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la
samaritana (Gv 4) e il giovane ricco (Mt 19, 16-22) Vangelo secondo Giovanni cap. 4 1 Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevan sentito dire: Gesù
fa più discepoli e battezza più di Giovanni 2 - sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi
discepoli -, 3 lasciò 31
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32 Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete».
33 E i discepoli si domandavano l'un l'altro: «Qualcuno forse gli
ha portato da mangiare?». 34 Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi
ha mandato e compiere la sua opera. 39 Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della
donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto».
40 E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi
con loro ed egli vi rimase due giorni.
41 Molti di più credettero per la sua parola
42 e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi
crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è
veramente il salvatore del mondo». 3-4
“(Gesù) lasciò A
un certo punto, stanco del viaggio, si ferma presso un pozzo (viene
evidenziata l’umanità di Gesù il quale ha fame, ha sete, è stanco,
si commuove dinanzi al cadavere dell’amico Lazzaro, ecc. che, in
contrapposizione con la sua dichiarata divinità, è un’altra
caratteristica del quarto Vangelo). 5
“Qui c’era il pozzo di Giacobbe”. Il
pozzo in questione è il famoso pozzo situato nel terreno che il
patriarca acquistò dopo l’incontro con Esaù e che diede a suo figlio
Giuseppe. La località è Sicar o Sichem dove si svolge anche la famosa
grande assemblea di Gs 24: qui Israele fu chiamato a rinnovare la sua
promessa di fedeltà al Dio dell’Alleanza. Siamo, quindi, in un
territorio carico di storia e di senso salvifico. 6 “Era
verso mezzogiorno”:
Giovanni è sempre puntuale nel situare le sue scene dal punto di vista
geografico e temporale. Inoltre il mezzogiorno,
il centro della giornata sembra voler evidenziare l’importanza
dell’evento (a mezzogiorno Gesù sarà consegnato da Pilato ai Giudei per metterlo
a morte (Gv 19,14-16). 7-9
“Arrivò intanto una donna ad attingere acqua” . Ancora una volta una donna
stimola Gesù a un grande discorso così come una
donna lo aveva costretto a compiere il primo grande miracolo
dell’acqua trasformata in vino (Gv 2,3-5). Questa
non è una donna qualunque, è una donna che ha una storia particolare
(non è da tutti aver avuto cinque mariti!), è una donna che va ad
attingere acqua - essenziale per la sopravvivenza - in un’ora del
giorno, per quella zona, abbastanza proibitiva: sicuramente faceva
caldo. All’epoca non c’era l’acqua corrente e ogni donna andava,
giornalmente, ad attingere acqua per lavarsi, cucinare, fare le
abluzioni, ecc. ma sicuramente ci andava in un’ora più fresca, di
primo mattino o al tramonto. Questa donna viene ad attingere acqua
nell’ora più calda della giornata: sembra quasi che venga costretta
da qualche evento; forse aveva passato una notte insonne. Anche lo
scenario, visivamente, si presenta come piuttosto desolato: caldo, sete,
i discepoli che sono andati via, Gesù e la donna soli. 10-14
“Se tu conoscessi il dono di Dio”.
Due persone che non sanno niente l’una dell’altra, se non di
appartenere a due popoli da secoli in conflitto, cominciano a
conoscersi. Il primo passo lo compie Gesù[1]
con un’affermazione che lascia perplessa la donna: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da
bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua
viva.” La
donna, sicuramente una persona molto pratica, obietta che il suo
interlocutore non ha un mezzo per attingere acqua e, pensando forse di
avere davanti a sé una persona non proprio sana di mente, pone delle
obiezioni di carattere religioso al giudeo che le si trova davanti: “Sei
tu forse più grande del nostro padre Giacobbe?”. C’è
un senso di disprezzo nelle parole della donna, quasi a voler
rivendicare la sua fierezza di appartenere al popolo Samaritano in
contrapposizione ai Giudei. Ma Gesù non scende allo stesso livello
della discussione - anche se successivamente dirà che la salvezza viene
dai Giudei (4,22) - piuttosto ne eleva il tono promettendo, addirittura,
un’acqua che toglie la sete per sempre.
15 “Signore, dammi di quest’acqua”. Adesso alla donna non interessa più se il
suo interlocutore è Giudeo o Samaritano, se è pazzo o sano di mente, a
lei interessa quest’acqua particolare per non venire sempre ad
attingerne con grande fatica, come abbiamo visto[2].
Il
pensiero va subito alla Legge e alla Grazia, alla vecchia e alla nuova
Alleanza, a quella fatta di prescrizioni e di ritualità e a quella
incentrata sulla misericordia gratuita di Dio che, in Gesù Cristo, si
fa acqua viva per ogni uomo (qui c’è sicuramente un riferimento al
Battesimo). Ogni giorno, l’uomo schiavo della Legge, è tenuto ad
osservarne tutte le prescrizioni senza, però, trovare la pace perfetta:
più è osservante, più sente di doverlo essere, più si sente migliore
degli altri (Lc 18,9-14) e più ha bisogno di rimanere in questo
“cerchio di morte” per sentirsi vivo. Quello
che, invece, promette Gesù è veramente una vita nuova, un modo nuovo
di adempiere i precetti dell’Alleanza, uno sguardo nuovo gettato sulla
eterna condizione dell’uomo di sentirsi sottomesso alla divinità alla
stregua di uno schiavo (in tutto il Vangelo ci sono binomi come schiavitù-libertà,
luce-tenebra, menzogna-verità, ecc.). Gesù comincia a presentarsi alla
donna come il Messia, non come lo intende lei, ma come colui che svelerà
al mondo il vero volto di Dio (Gv 14,8-11). 16-20
“Va’ a chiamare tuo marito”.
Ora anche la donna si svela, anzi, si lascia svelare da Gesù che la
conosce bene. Si può dire che si lascia denudare, mettere a nudo nel
profondo: ora il dialogo non è più alla pari, tra un uomo giudeo e una
donna samaritana, ma è il dialogo tra Dio e l’uomo, tra Questa
scena ricorda molto altre scene di incontri dei Sinottici (Il giovane
ricco, Zaccheo, l’emorroissa, Giairo, la donna cananea, ecc.) e,
forse, è uno dei brani giovannei che più hanno riferimento con gli
altri evangelisti. Per certi aspetti si respira la stessa aria, anche se
qui la divinità di Gesù è più palese e il dialogo più lungo. Quando
la donna si sente conosciuta - “Hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito” -
si arrende e compie il primo atto di fede nel riconoscere l’uomo che
le sta di fronte come un profeta[3]. 21-25
“E’ giunto il momento in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in
Spirito e verità”. Siamo
al punto culminante di tutto il racconto: nella polemica sui luoghi dove
bisogna andare per adorare il Dio vivente, il Nazareno, interprete e
coautore della volontà del Padre (questo in Gv è messo molto bene in
evidenza) cambia completamente marcia, mette la quinta, diremmo oggi, e
va alla sostanza della questione: da oggi in poi, Dio non si adorerà né
a Gerusalemme né sul monte Garizim, né in nessun altro luogo
circoscritto, ma in Spirito e
verità. Dio è Spirito, è trascendente, è il Totalmente Altro, è
Colui che i cieli dei cieli non possono racchiudere e se, fino ad oggi,
ha lasciato che gli uomini lo adorassero in templi e sinagoghe, ora è
giunto il momento di adorarlo nella verità, perché la verità si è
fatta carne nella persona di Gesù di Nazareth. Oggi
la samaritana può vedere il vero volto di Dio e rimanere viva. Oggi,
come a Mosè, Jahvè parla ad ogni uomo faccia a faccia. Oggi il tempio,
l’altare, l’olocausto,
la vittima, il sacrificio, i sacerdoti terreni, non hanno più senso
perché il Figlio, l’Unto, Colui che era e che è presso il Padre fin
dall’eternità, è diventato tempio, altare, olocausto, vittima,
sacrificio e sacerdote eterno. Nella persona del Nazareno tutto viene
ricapitolato, anche il senso del culto a Dio. In
definitiva, il cristiano dovunque si trovi può celebrare il culto, il
sacerdote può dire messa anche sul palmo della mano, nella cabina di un
aereo o nelle profondità di una grotta in India. La
donna ha un ultimo sussulto religioso con una risposta che sembra quasi
una domanda: “So che deve venire
il Messia”. Pare volersi giustificare di fronte ad affermazioni
così perentorie e, apparentemente, rimproverevoli. E’ come se volesse
riconoscere che quello che Gesù dice fa parte dell’opera del Messia
che lei, come ogni Giudeo e Samaritano, attende. Non ha ancora capito
appieno con chi ha a che fare. 26
“Sono io, che ti parlo!”. Finalmente
Gesù si svela completamente (l’autorivelazione è un’altra
caratteristica del Vangelo giovanneo). Non c’è più bisogno di
attendere il Messia perché è venuto ed è Colui che ora parla con la
donna, faccia a faccia. Il Regno di Dio è in mezzo a noi, non c’è
bisogno di aspettare ancora: bisogna solo decidersi per esso. 27-38
“In quel momento giunsero i suoi discepoli .....”. Cambio di scena[4]:
i discepoli, completamente assenti fino ad ora, tornano dalle compere
mentre la donna, lasciata la brocca - un elemento indispensabile per la
sua sopravvivenza: ricorda un po’ il mantello del cieco di Gerico (Mt
10,50) - corre in città ad annunciare alla gente quello che le era
capitato. I
discepoli, ancora una volta, manifestano la loro inintelligenza di
fronte alle parole di Gesù quando, alla loro richiesta di mangiare, il
Maestro risponde che ha da mangiare un cibo che loro non conoscono, al
che essi si chiedono se qualcun altro gli ha portato da mangiare. In
parte è vero, Gesù ha mangiato ma non il cibo che intendono loro, ha
mangiato dell’incontro con la donna, ha mangiato della sua volontà di
salvarsi, si è cibato delle sue ferite, della sua sofferenza di una
vita senza senso, chiusa in pratiche ritualistiche e avvinghiata dai
peccati come una mosca in una ragnatela. E
ne approfitta per fare un discorso sulla missione, su quello che i
discepoli dovranno fare nella vita
per adempiere alla loro vocazione. 39-42 “Molti samaritani credettero in lui”.
All’annuncio della donna, per le sue parole, i suoi concittadini
furono sollecitati a muoversi per andare a conoscere quest’uomo
straordinario che le aveva detto tutto quello che aveva fatto. Ma molti
di più credettero per la parola stessa di Gesù, il quale si fermò due
giorni con loro (fatto scandaloso per un giudeo che, solo a nominare un
samaritano, si sentiva impuro). Credere all’apostolo, al catechista è
gran bella cosa, ma quello che ci cambia la vita è l’incontro reale
con Gesù Cristo. Gli altri sono solo dei mezzi per arrivare a Lui. Analizziamo
ora quest’altro incontro riportato dall’apostolo Matteo nel suo
vangelo: Vangelo secondo Matteo cap. 19, 16-22[5]
16 Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo
fare di buono per ottenere la vita eterna?». 17 Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno
solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18
Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose « Non uccidere, non
commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, 19
onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». 20 Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose;
che mi manca ancora?». 21 Gli
disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che
possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e
seguimi». 22 Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte
ricchezze. 16a “Un
tale...” Per
prima cosa notiamo che l’altro protagonista dell’incontro è un
perfetto sconosciuto: un tale. Questo aggettivo, infatti, indica una
persona o cosa indeterminata. Per il momento il nostro soggetto non ha
un nome, né un’età, né una professione o condizione sociale:
sappiamo solo che è di genere maschile. 16b “Maestro,
che cosa devo fare...” Sappiamo
per certo che questo tale conosceva Gesù, almeno di fama: infatti lo
chiama Maestro (in ebraico Rabbì). Prima di tutto notiamo che nei
vangeli Gesù viene chiamato maestro
da chi ne conosce l’autorità per sentito dire (i farisei, i sadducei
e gli altri dottori della Legge - cfr. Mt 8, 19. 12, 38. 22, 15-16; Mc
4, 38. 9, 5; Lc 5, 5. 7, 39-40. 8, 22-24; ecc.) e da chi ne riconosce
l’autorità per bisogno (il padre dell’indemoniato - Mc 9, 17 segg.
- i dieci lebbrosi - Lc 17, 11-13 - ecc.). Le parole conoscere
e riconoscere sono sostanzialmente diverse tra loro: la seconda vuol
dire che la cosa o la persona conosciuta è anche accettata, mentre la
prima no: anche il diavolo conosce Dio ma non lo accetta quale Signore.
È interessante il confronto con Is 30, 19-20 (Popolo
di Sion che abiti in Gerusalemme, tu non dovrai più piangere; a un tuo
grido di supplica ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta.
Anche se il Signore ti darà il pane dell'afflizione e l'acqua della
tribolazione, tuttavia non si terrà più nascosto il tuo maestro; i
tuoi occhi vedranno il tuo maestro):
qui la parola maestro viene usata esplicitamente in rapporto al Signore come colui
che risponde alle richieste del popolo. Colui che gli indicherà la via
della salvezza. I
due racconti paralleli, riferiti da Luca e Marco, aggiungono
l’aggettivo buono a Maestro mentre
Matteo lo pone dopo la parola fare.
Non credo ci sia contrapposizione in quanto se il Maestro è buono darà
sicuramente dei consigli buoni e se risponde alla domanda che cosa devo fare di buono dando una risposta buona vuol dire che
è anche un Maestro buono. Cosa
chiede il tale? La vita eterna (e scusate se è poco); la chiede, però,
come se fosse un diritto, una ricompensa alle sue buone azioni.
Era molto diffusa, in Israele, la mentalità che Dio ricompensava
l’uomo in base alle sue opere: ad ogni azione corrispondeva una
risposta di Jahvè, sia nel bene che nel male. Infatti gli storpi, i
ciechi, gli handicappati in genere erano considerati uomini o donne che
si trovavano in tali condizioni perché avevano commesso delle cattive
azioni o, se lo erano dalla nascita, era a causa dei peccati commessi
dai loro genitori (cfr. Gv 9, 1-2). Quindi il nostro amico chiede la
ricetta per la vita eterna. 17 “Egli
rispose...” Gesù
comincia subito a porre dei paletti sul senso di buono
e chiarisce che uno solo è buono. Questo termine lo ritroviamo molte
volte nella Bibbia riferito sia alle azioni che l’uomo commette in
conformità ai comandamenti divini, sia a Dio stesso che è origine di
ogni bontà. Soprattutto nel libro dei Salmi la parola buono
è riferita esclusivamente a Jahvè (cfr. Sal 25, 8; 34, 9; 52, 11; 54,
8 ecc.). Essere buono è prerogativa di Dio; nessuno può esserlo come
Lui in quanto l’azione del peccato comunque inquina la nostra umanità
anche se possiamo commettere le migliori azioni di questo mondo. Dio è
buono in quanto è, noi
possiamo solo diventarlo, nella misura in cui Lui ce ne dà le capacità
e nella misura in cui noi siamo capaci di accogliere la sua azione di
grazia. Proprio
per questo Gesù fa riferimento ai comandamenti: se vuoi essere buono
devi seguire 18a “Ed
egli chiese: Quali?”
C’è un’insistenza da parte del tale che quasi innervosisce. Lui sa
bene quali sono i comandamenti; da ebreo non può ignorarli perché fin
dalla sua nascita è stato educato nell’osservanza della Legge. Sua
madre, prima, e i suoi educatori, poi, non hanno lasciato passare un
solo giorno senza parlagli delle opere che Dio ha compiuto nella storia
d’Israele iniziando dalla proclamazione dei dieci comandamenti sul
monte Sinai per bocca di Mosè (cfr. Dt 6, 4-9). 18b “Gesù
rispose...” Pazientemente
Gesù glieli ricorda omettendo, però, i primi tre che sono quelli, per
così dire, orizzontali, che trattano, cioè, del rapporto tra l’uomo
e Dio, mentre gli altri sette riguardano la civile convivenza tra
l’uomo e il suo prossimo. 20 “Il
giovane gli disse...”
Come nella stampa di un negativo, cominciano a delinearsi i contorni di
questo sconosciuto: è sicuramente una persona che ha stima di se stesso
(parla con Gesù in modo affatto sottomesso, come rileviamo, invece, dai
dialoghi con i peccatori o con i malati); fa finta di non capire le
parole del Maestro; scopriamo, adesso, che è giovane e che, a conferma
della sua presunzione, ha sempre osservato i comandamenti che Gesù gli
ha appena ricordato. Potremmo pensare che non gli manca niente; eppure
ha paura della morte: vuole la vita eterna! 21 “Se
vuoi essere perfetto...”
Il Maestro capisce che quest’uomo vuole la perfezione; e non è una
richiesta assurda. Lui stesso, al cap. 5 dello stesso vangelo, dice: “Siate
voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.(Mt 5, 48) La
richiesta del giovane, dunque, non è irrealizzabile: Dio ci chiama alla
perfezione. Ci invita ad entrare a tal punto in comunione con Lui da
volerci donare la sua essenza interamente: la perfezione, la bontà,
l’amore. Ma
per fare questo occorrono due cose: 1) il distacco dalle ricchezze
condividendole con i poveri; 2) seguire Gesù senza remore e senza
ripensamenti (cfr. Lc 9, 62) 22 “Udito
questo il giovane se ne andò triste...” Questa volta la risposta del Maestro ha lasciato il segno. Il giovane
non ha più il coraggio di replicare perché è stato colpito nel suo
bene più caro: la ricchezza. Lui crede di osservare i comandamenti e
Gesù gli ha svelato la verità. Non è possibile amare Dio se si ama il
denaro: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà
l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non
potete servire a Dio e a mammona.” (Lc 16, 13). Per questo il
Maestro ha omesso i primi tre comandamenti che sono racchiusi
nell’unico grande comandamento mosaico: Ascolta
Israele, il Signore è nostro Dio, il Signore è uno; amerai il Signore
Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue
forze (Dt 6, 4-5). Non è possibile, quindi, amare il prossimo se
non si ama Dio! Quindi,
questo tale che abbiamo scoperto giovane e ricco, se ne va triste.
Altro che la vita eterna! Non sappiamo che fine abbia fatto, ma
certamente, da quel momento, la sua presunta bontà ha avuto un forte
scossone. Ecco,
così, raccontati e analizzati brevemente due incontri riportati da
Giovanni e da Matteo. Gli
attori sono tre: Gesù, da una parte, e la samaritana e il giovane
ricco, dall’altra. I secondi due sono molto diversi tra loro: una
donna e un uomo, una peccatrice e uno che si crede giusto; una povera e
un ricco. Il
primo incontro è stato casuale, il secondo cercato. La samaritana
ignora chi sia il suo interlocutore mentre il giovane lo conosce bene (o
almeno crede). La donna sembra che non abbia bisogno di Gesù, l’uomo
sì. Nel
primo racconto il dialogo si svolge in modo intimo e solitario, nel
secondo tutto ci fa pensare che siano state presenti altre persone (i
discepoli - cfr. Mt 19, 23 segg.). Il
modo di accostarsi a Gesù è completamente diverso: la samaritana è
dapprima indifferente, poi dubbiosa, quindi sconcertata e, alla fine,
entusiasta. Il giovane, invece, all’inizio mostra una grande sicurezza
di sé e si rivolge al Maestro con ostentata presunzione; poi, alle
domande di Gesù, cerca di giustificarsi e, infine, se ne va deluso
perché non ha avuto la risposta che voleva. Anche
l’effetto dell’incontro è diverso: nella samaritana crea gioia e
voglia di diffondere quello che ha scoperto, mentre nel giovane provoca
tristezza. La donna scopre quello che può riempirle la vita; l’uomo,
invece, scopre che la sua vita è piena di illusioni. Gesù
getta un raggio di luce sull’esistenza della samaritana mentre oscura
la presunta luce del giovane ricco. Entrambe sono rivelazioni della
Verità, ma, mentre per l’una costituisce annuncio di salvezza, per
l’altro è fonte di tristezza. È
il modo con cui la verità viene accolta che è diverso. Per la
samaritana c’è un cammino ascendente: da una vita squallida, piena di
delusioni e rimpianti a una visione nuova dell’esistenza, la
realizzazione di una promessa per cui tutto assume una dimensione
diversa: nel perdono e nell’accoglienza del Maestro le si apre la
speranza di una vita nuova. Per il giovane ricco, invece, il cammino è
discendente: da un’esistenza perfetta vissuta nell’illusione
dell’osservanza della Legge alla visione della menzogna che riempie la
sua vita, della sua incapacità ad amare, della sua completa dipendenza
dai beni terreni. La
donna scopre la vita eterna perché la sua vita terrena non ha senso;
l’uomo scopre che la sua esistenza terrena non può portarlo alla vita
eterna. Questi
due incontri sono altrettanto modelli per i nostri incontri col Cristo;
non è difficile ritrovarci nell’uno o nell’altro. La
fede nasce dall’incontro, nasce dal modo con cui si cerca e si vive
l’incontro: sentendosi come la samaritana si ha la possibilità di
scoprire il perdono e la riconciliazione col Padre; vivendo come il
giovane ricco si può scoprire che la morte e la risurrezione del Figlio
di Dio non hanno avuto alcun senso per noi, e mai ne avranno. In Abramo
nasce la fede alla luce di una chiamata e di una promessa; così pure in
Maria. Entrambi accolgono l’annuncio con cuore aperto; sono in attesa
di qualcosa di grande: un figlio e la terra promessa per Abramo,
diventare madre dell’Altissimo per Maria. Entrambi si mettono in
cammino: il patriarca lascia la sua casa paterna per andare verso un
luogo che non conosce, Dio
cerca la samaritana e il giovane, allo stesso modo: in tutt’e due i
racconti Gesù si reca al luogo dell’appuntamento. Dipende dalla
nostra disposizione d’animo se la lieta novella può avere effetto o
no. il Figlio dell’Altissimo è venuto per tutti, ricchi o poveri,
santi o peccatori, ma quanto più ci si crede santi o ricchi, tanto più
la sua venuta è inutile.
Con la nostra arroganza siamo capaci di legare le mani
all’Onnipotente! Dio
ci conosce per come siamo realmente e la sua Parola non ha altro scopo
che ricondurci a Lui. Lui sa bene che la nostra vita non ha senso senza
la sua presenza. Lui sa bene che non siamo capaci di amare, perciò ci
ha amati per primo. Lui sa bene che siamo schiavi della nostra lussuria,
della nostra cupidigia, del nostro sfrenato attaccamento ai beni
terreni, perciò si è donato completamente a noi. Lui sa bene che non
siamo capaci di salire al Cielo, perciò è sceso sulla Terra. La
fede è anche il momento in cui Può
darsi che il giovane ricco si sia ritrovato sotto la croce e abbia
capito la lezione; forse è stato tra i primi discepoli degli apostoli;
magari sarà morto martire in una delle tante persecuzioni del primo
secolo; chissà ....... Una cosa è certa: da quel giorno la sua vita
non è stata più la stessa perché ha incontrato, nel suo cammino, la
prima persona che lo abbia amato veramente (cfr. Mc 10, 21) dicendogli
la verità sul senso della sua esistenza. Se fino a poco prima si era
illuso di condurre una vita esemplare, dopo l’incontro le sue
illusioni sono cadute ma, allo stesso tempo, ha capito che se avesse
voluto, la sua vita sarebbe potuto cambiare. Da quel momento era tutto
nelle sue mani! Concludiamo
soffermandoci su alcuni personaggi che abbelliscono il nostro presepe ma
che sono molto di più di statuette di terracotta: i pastori. Questi
uomini si trovavano per caso nei pressi del luogo dove nasce il Figlio
di Dio. Non facevano altro che il loro lavoro di ogni giorno: pascolare
il gregge. Nella loro vita squallida e monotona irrompe un fatto
sconvolgente: una miriade di angeli annuncia loro la nascita del
Salvatore! Perché ai pastori e non ad altri? Perché Erode rifiuta
l’annuncio dei Magi tanto che Ecco:
Gesù si rivela ai piccoli e ai poveri, e a loro cambia la vita. Per il
giovane ricco ed Erode, invece, non rimane altro che la tristezza di
aver solo visto passare l’amore eterno del Padre senza riuscire a
coglierlo. Echeggiano
le parole di Abramo ai tre angeli che vanno a trovarlo sotto la quercia
di Mamre: Mio Signore, se ho
trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo
servo (Gen 18, 3). [1] Nei grandi racconti degli incontri (sia negli scritti giovannei sia nei Sinottici) è sempre Gesù a prendere l’iniziativa e a dare un significato soteriologico a tutto il dialogo. [2] Qui l’acqua non viene trasformata in vino, come alle nozze di Cana, ma resa sostanza sublime che va al di là della sua specificità di materia liquida per assurgere a dimensione soteriologica. [3]
In Giovanni la parola profeta non viene riferito a qualunque persona
che se ne andava per [4] Tutto il quarto Vangelo è composto da grosse scene drammatiche con molti personaggi, dialoghi intensi, momenti carichi di tensione e repentini cambi di situazioni. [5] Cfr. Mc 10, 17-22 e Lc 18, 18-23.
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