Dalla meditazione
alla Contemplazione di Dio
Dove
finisce la meditazione e dove inizia la contemplazione?
Per molti una tale domanda risulta del tutto insignificante e
superflua. Essi, infatti, si rifiutano di distinguere tra meditazione e
contemplazione. Di conseguenza non esiste un passaggio o,se si vuole, è
solo di parole. Altri però amano chiamare contemplazione piuttosto che
meditazione la presenza consapevole e stupita della mente e del cuore,
in particolar modo, all’Assoluto, Dio.
Senza addentrarci nei particolari di tale disputa, ecco alcuni
presupposti indispensabili alla preghiera interiore o contemplativa:
Essere
presente a me stesso per essere presente a Dio
E’
stato scritto che gli “elementi classici della tecnica cristiana della
preghiera interiore sono: il celibato, la solitudine, il silenzio, la
veglia, il digiuno”(A.Luof).
Tale
definizione è interessante perché, oltre a richiamare certi valori,
evidenzia come essi non sono la contemplazione, ma semplici presupposti,
“tecniche” che ci introducono ad essa, rendendo possibile il suo
sorgere in noi.
A
quali atteggiamenti ci richiamano le singole parole? Eccoli in breve:
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Celibato : non
significa soltanto disciplina o sospensione dell’attività sessuale.Il
suo significato è piuttosto quello di “cuore indiviso”(1Cor 7,34)
che ci consente di essere “uniti al Signore senza distrazioni”
(7,35). Paolo addita come motivo che giustifica l’astensione
consensuale e temporanea da rapporti nella vita degli sposi, il “darsi
alla preghiera”(7,5).
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Solitudine : è
stata definita “madre della preghiera”, che è un incontro “da
solo a Solo”. Cristo amava abbandonarsi all’orazione nella
solitudine ( Mt 14,23; Mc 1,35; Lc 5,16; 9,18).
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Silenzio : è stato
definito “padre della preghiera”. Nel silenzio l’uomo raggiunge la
propria verità e si apre all’ascolto di Dio: “E’ bene aspettare
in silenzio la salvezza del Signore” (Lam 3,26).
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Veglia : è
sinonimo di vigilanza, nella quale risiede una delle condizioni
indispensabili della preghiera. Per questo il cuore del giusto veglia
anche nella notte (Sal 63,7; 77,3; 119,55.62). Nella notte la preghiera
è segreto mormorio che si agita nel cuore e grido dalle risonanze
infinite. Cristo amava “pregare passando la notte in preghiera” (Lc
6,12). Le ore notturne immergono nel mistero, bruciano le distanze di
tempo e di luogo, consentono di penetrare nel cuore. Ma, più di tutto
sono espressione di prontezza e di vigile e amorosa attesa.
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Digiuno : i
cristiani dell’Oriente lo chiamano “il dottore dell’esychia”, la
preghiera di quiete o di contemplazione. San Pietro invita ad essere
“moderati e sobri, per dedicarsi alla preghiera” (1Pt 4,7).
Tutti
questi mezzi hanno lo scopo di favorire il rientro dell’uomo in se
stesso, di renderlo presente a se stesso perché possa rendersi presente
a Dio in profondità.
Sono
atteggiamenti che caratterizzano anzitutto uno stile di vita. Non
possiamo considerarli come parentesi che aprono e chiudono particolari e
momentanee esperienze meditative. C’è uno stile di vita improntato
alla sobrietà e alla vigilanza che favorisce il nascere e lo
svilupparsi della meditazione in noi; e c’è uno stile di vita che la
rende impossibile, abitassimo pure il più ritirato deserto di questo
mondo.
Quando
questi atteggiamenti si traducono in stile di vita, allora possiamo
riprenderli e approfondirli nei momenti di meditazione.
Trasformiamo
così l’esperienza meditativa in un impegno che, per un verso,
riaasume ciò che siamo nella vita; ma per l’altro lo prepara e, in
parte, lo anticipa.
(a
cura di d.Valerio Ambrosi donali@libero.it)
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