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PARTE
SECONDA -
LA CELEBRAZIONE DEL
MISTERO CRISTIANO
SEZIONE
SECONDA - “I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA”
CAPITOLO
TERZO - I SACRAMENTI DEL
SERVIZIO DELLA COMUNIONE
1533
Il Battesimo,
la Confermazione
e l'Eucaristia sono i sacramenti dell'iniziazione cristiana. Essi
fondano la vocazione comune di tutti i discepoli di Cristo, vocazione
alla santità e alla missione di evangelizzare il mondo. Conferiscono le
grazie necessarie per vivere secondo lo Spirito in questa vita di
pellegrini in cammino verso la patria.
1534
Due altri sacramenti, l'Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla
salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo
avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una
missione particolare nella Chiesa e servono all'edificazione del popolo
di Dio.
1535 In
questi sacramenti, coloro che sono già stati consacrati mediante il
Battesimo e
la Confermazione
per il sacerdozio comune di tutti i fedeli, [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 10] possono ricevere consacrazioni particolari. Coloro
che ricevono il sacramento dell'Ordine sono consacrati per essere
“posti, in nome di Cristo, a pascere
la Chiesa
con la parola e la grazia di Dio” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
11]. Da parte loro, “i coniugi cristiani sono corroborati e come
consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del
loro stato” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48].
Articolo
6
IL
SACRAMENTO DELL'ORDINE
1536 L
'Ordine è il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo
ai suoi Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla
fine dei tempi: è, dunque, il sacramento del ministero apostolico.
Comporta tre gradi: l'episcopato, il presbiterato e il diaconato.
[Per
l'istituzione e la missione del ministero apostolico da parte di Cristo,
vedi sotto. Qui si tratta soltanto della via sacramentale attraverso la
quale tale ministero viene trasmesso].
I.
Perché il nome di sacramento dell'Ordine?
1537
La parola Ordine, nell'antichità romana, designava dei corpi costituiti
in senso civile, soprattutto il corpo di coloro che governano.
“Ordinatio” - ordinazione - indica l'integrazione in un “ordo” -
ordine -. Nella Chiesa ci sono corpi costituiti che
la Tradizione
, non senza fondamenti scritturistici, [Cf Eb 5,6; Eb 7,11; Sal 110,4 ]
chiama sin dai tempi antichi con il nome di “taxeis” (in greco), di
“ordines”: così
la Liturgia
parla dell'“ordo episcoporum” - ordine dei vescovi, - dell'“ordo
presbyterorum” - ordine dei presbiteri - dell'“ordo diaconorum” -
ordine dei diaconi. Anche altri gruppi ricevono questo nome di “ordo”:
i catecumeni, le vergini, gli sposi, le vedove. . .
1538 L
'integrazione in uno di questi corpi ecclesiali avveniva con un rito
chiamato ordinatio, atto religioso e liturgico che consisteva in una
consacrazione, una benedizione o un sacramento. Oggi la parola
“ordinatio” è riservata all'atto sacramentale che integra
nell'ordine dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi e che va al di là
di una semplice elezione, designazione, delega o istituzione da parte
della comunità, poiché conferisce un dono dello Spirito Santo che
permette di esercitare una “potestà sacra” (sacra potestas”), [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10] la quale non può venire che da
Cristo stesso, mediante la sua Chiesa. L'ordinazione è chiamata anche
“consecratio” - consacrazione - poiché è una separazione e una
investitura da parte di Cristo stesso, per la sua Chiesa. L' imposizione
delle mani del vescovo, insieme con la preghiera consacratoria,
costituisce il segno visibile di tale consacrazione.
II.
Il sacramento dell'Ordine
nell'Economia
della Salvezza
Il
sacerdozio dell'Antica Alleanza
1539
Il popolo eletto fu costituito da Dio come “un regno di sacerdoti e
una nazione santa” ( Es 19,6 ) [Cf Is 61,6 ]. Ma all'interno del
popolo di Israele, Dio scelse una delle dodici tribù, quella di Levi,
riservandola per il servizio liturgico; [Cf Nm 1,48-53 ] Dio stesso è
la sua parte di eredità [Cf Gs 13,33 ]. Un rito proprio ha consacrato
le origini del sacerdozio dell'Antica Alleanza [Cf Es 29,1-30; Lv 8 ].
In essa i sacerdoti sono costituiti “per il bene degli uomini nelle
cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati” [Cf
Eb 5,1 ].
1540
Istituito per annunciare
la Parola
di Dio [Cf Ml 2,7-9 ] e per ristabilire la comunione con Dio mediante i
sacrifici e la preghiera, tale sacerdozio è tuttavia impotente a
operare la salvezza, avendo bisogno di offrire continuamente sacrifici e
non potendo portare ad una santificazione definitiva, [Cf Eb 5,3; Eb
7,27; Eb 10,1-4 ] che soltanto il sacrificio di Cristo avrebbe operato.
1541
La Liturgia
della Chiesa vede tuttavia nel sacerdozio di Aronne e nel servizio dei
leviti, come pure nell'istituzione dei settanta “Anziani”, [Cf Nm
11,24-25 ] delle prefigurazioni del ministero ordinato della Nuova
Alleanza. Così, nel rito latino,
la Chiesa
si esprime nella preghiera consacratoria dell'ordinazione dei vescovi:
O
Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. . . Con la parola di
salvezza hai dato norme di vita nella tua Chiesa: tu, dal principio, hai
eletto Abramo come padre dei giusti, hai costituito capi e sacerdoti per
non lasciare mai senza ministero il tuo santuario. . [Pontificale
romano, Ordinazione del Vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, 52].
1542
Nell'ordinazione dei sacerdoti,
la Chiesa
prega:
Signore,
Padre santo. . . Nell'Antica Alleanza presero forma e figura vari uffici
istituiti per il servizio liturgico. A Mosè e ad Aronne, da te
prescelti per reggere e santificare il tuo popolo, associasti
collaboratori che li seguivano nel grado e nella dignità. Nel cammino
dell'esodo comunicasti a settanta uomini saggi e prudenti lo spirito di
Mosè tuo servo, perché egli potesse guidare più agevolmente con il
loro aiuto il tuo popolo. Tu rendesti partecipi i figli di Aronne della
pienezza del loro padre, perché non mancasse mai nella tua tenda il
servizio sacerdotale [Pontificale romano, Ordinazione del Vescovo, dei
presbiteri e dei diaconi, 52].
1543
E nella preghiera consacratoria per l'ordinazione dei diaconi,
la Chiesa
confessa:
Dio
onnipotente. . . Tu hai formato
la Chiesa.
. . hai disposto che mediante i tre gradi del ministero da te istituito
cresca e si edifichi il nuovo tempio, come in antico scegliesti i figli
di Levi a servizio del tabernacolo santo [Pontificale romano,
Ordinazione del Vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, 52].
L'unico
sacerdozio di Cristo
1544
Tutte le prefigurazioni del sacerdozio dell'Antica Alleanza trovano il
loro compimento in Cristo Gesù, unico “mediatore tra Dio e gli
uomini” ( 1Tm 2,5 ). Melchisedek, “sacerdote del Dio altissimo” (
Gen 14,18 ), è considerato dalla Tradizione cristiana come una
prefigurazione del sacerdozio di Cristo, unico “sommo sacerdote alla
maniera di Melchisedek” ( Eb 5,10; Eb 6,20 ), “santo, innocente,
senza macchia” ( Eb 7,26 ), il quale “con un'unica oblazione. . . ha
reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati” ( Eb 10,14 ),
cioè con l'unico sacrificio della sua croce.
1545
Il sacrificio redentore di Cristo è unico, compiuto una volta per
tutte. Tuttavia è reso presente nel sacrificio eucaristico della
Chiesa. Lo stesso vale per l'unico sacerdozio di Cristo: esso è reso
presente dal sacerdozio ministeriale senza che venga diminuita l'unicità
del sacerdozio di Cristo. “Infatti solo Cristo è il vero sacerdote,
mentre gli altri sono i suoi ministri” [San Tommaso d'Aquino, In ad
Hebraeos, 7, 4].
Due
partecipazioni all'unico sacerdozio di Cristo
1546
Cristo, sommo sacerdote e unico mediatore, ha fatto della Chiesa “un
Regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre” ( Ap 1,6 ) [Cf Ap 5,9-10;
1Pt 2,5; 1546 1Pt 2,9 ].
Tutta
la comunità dei credenti è, come tale, sacerdotale. I fedeli
esercitano il loro sacerdozio battesimale attraverso la partecipazione,
ciascuno secondo la vocazione sua propria, alla missione di Cristo,
Sacerdote, Profeta e Re. E' per mezzo dei sacramenti del Battesimo e
della Confermazione che i fedeli “vengono consacrati a formare... un
sacerdozio santo” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10].
1547
Il sacerdozio ministeriale o gerarchico dei vescovi e dei sacerdoti e il
sacerdozio comune di tutti i fedeli, anche se “l'uno e l'altro, ognuno
a suo proprio modo, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo”,
differiscono tuttavia essenzialmente, pur essendo “ordinati l'uno
all'altro” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10]. In che senso?
Mentre il sacerdozio comune dei fedeli si realizza nello sviluppo della
grazia battesimale - vita di fede, di speranza e di carità, vita
secondo lo Spirito - il sacerdozio ministeriale è al servizio del
sacerdozio comune, è relativo allo sviluppo della grazia battesimale di
tutti i cristiani. E' uno dei mezzi con i quali Cristo continua a
costruire e a guidare la sua Chiesa. Proprio per questo motivo viene
trasmesso mediante un sacramento specifico, il sacramento dell'Ordine.
In
persona di Cristo Capo
1548
Nel servizio ecclesiale del ministero ordinato è Cristo stesso che è
presente alla sua Chiesa in quanto Capo del suo Corpo, Pastore del suo
gregge, Sommo Sacerdote del sacrificio redentore, Maestro di Verità. E'
ciò che
la Chiesa
esprime dicendo che il sacerdote, in virtù del sacramento dell'Ordine,
agisce “in persona Christi capitis” - in persona di Cristo Capo: [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10; 28; Id., Sacrosanctum concilium,
33; Id. , Christus Dominus, 11; Id. , Presbyterorum ordinis, 2; 6]
E'
il medesimo Sacerdote, Cristo Gesù, di cui realmente il ministro fa le
veci. Costui se, in forza della consacrazione sacerdotale che ha
ricevuto, è in verità assimilato al Sommo Sacerdote, gode della potestà
di agire con la potenza dello stesso Cristo che rappresenta (virtute ac
persona ipsius Christi”) [Pio XII, Lett. enc. Mediator Dei]. Cristo è
la fonte di ogni sacerdozio: infatti il sacerdote della Legge [Antica]
era figura di lui, mentre il sacerdote della nuova Legge agisce in
persona di lui [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 22, 4].
1549
Attraverso il ministero ordinato, specialmente dei vescovi e dei
sacerdoti, la presenza di Cristo quale Capo della Chiesa è resa
visibile in mezzo alla comunità dei credenti [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 21]. Secondo la bella espressione di sant'Ignazio di
Antiochia, il vescovo è “ typos tou Patros ”, è come l'immagine
vivente di Dio Padre [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Trallianos,
3, 1; cf Epistula ad Magnesios, 6, 1].
1550
Questa presenza di Cristo nel ministro non deve essere intesa come se
costui fosse premunito contro ogni debolezza umana, lo spirito di
dominio, gli errori, persino il peccato. La forza dello Spirito Santo
non garantisce nello stesso modo tutti gli atti dei ministri. Mentre
nell'amministrazione dei sacramenti viene data questa garanzia, così
che neppure il peccato del ministro può impedire il frutto della
grazia, esistono molti altri atti in cui l'impronta umana del ministro
lascia tracce che non sono sempre il segno della fedeltà al Vangelo e
che di conseguenza possono nuocere alla fecondità apostolica della
Chiesa.
1551
Questo sacerdozio è ministeriale . “Questo ufficio che il Signore ha
affidato ai pastori del suo popolo è un vero servizio ” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 24]. Esso è interamente riferito a Cristo e
agli uomini. Dipende interamente da Cristo e dal suo unico sacerdozio ed
è stato istituito in favore degli uomini e della comunità della
Chiesa. Il sacramento dell'Ordine comunica “una potestà sacra”, che
è precisamente quella di Cristo. L'esercizio di tale autorità deve
dunque misurarsi sul modello di Cristo, che per amore si è fatto
l'ultimo e il servo di tutti [Cf Mc 10,43-45; 1Pt 5,3 ]. “Il Signore
ha esplicitamente detto che la sollecitudine per il suo gregge era una
prova di amore verso di lui” [San Giovanni Crisostomo, De sacerdotio,
2, 4: PG 48, 635D; cf Gv 21,15-17 ].
“A
nome di tutta la Chiesa”
1552
Il sacerdozio ministeriale non ha solamente il compito di rappresentare
Cristo - Capo della Chiesa - di fronte all'assemblea dei fedeli; esso
agisce anche a nome di tutta
la Chiesa
allorché presenta a Dio la preghiera della Chiesa [Cf Conc. Ecum. Vat.
II, Sacrosanctum concilium, 33] e soprattutto quando offre il sacrificio
eucaristico [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10].
1553
“A nome di tutta
la Chiesa
”. Ciò non significa che i sacerdoti siano i delegati della comunità.
La preghiera e l'offerta della Chiesa sono inseparabili dalla preghiera
e dall'offerta di Cristo, suo Capo. E' sempre il culto di Cristo nella e
per mezzo della sua Chiesa. E' tutta
la Chiesa
, Corpo di Cristo, che prega e si offre, “per ipsum et cum ipso et in
ipso” - per lui, con lui e in lui - nell'unità dello Spirito Santo, a
Dio Padre. Tutto il Corpo, “caput et membra” - capo e membra - prega
e si offre; per questo coloro che, nel Corpo, sono i ministri in senso
proprio, vengono chiamati ministri non solo di Cristo, ma anche della
Chiesa. Proprio perché rappresenta Cristo, il sacerdozio ministeriale
può rappresentare
la Chiesa.
III.
I tre gradi del sacramento dell'Ordine
1554
“Il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in
diversi ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi,
presbiteri, diaconi” [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10]. La
dottrina cattolica, espressa nella Liturgia, nel magistero e nella
pratica costante della Chiesa, riconosce che esistono due gradi di
partecipazione ministeriale al sacerdozio di Cristo: l'episcopato e il
presbiterato. Il diaconato è finalizzato al loro aiuto e al loro
servizio. Per questo il termine “ sacerdos ” - sacerdote - designa,
nell'uso attuale, i vescovi e i presbiteri, ma non i diaconi. Tuttavia,
la dottrina cattolica insegna che i gradi di partecipazione sacerdotale
(episcopato e presbiterato) e il grado di servizio (diaconato) sono
tutti e tre conferiti da un atto sacramentale chiamato
“ordinazione”, cioè dal sacramento dell'Ordine:
Tutti
rispettino i diaconi come lo stesso Gesù Cristo, e il vescovo come
l'immagine del Padre, e i presbiteri come il senato di Dio e come il
collegio apostolico: senza di loro non c'è Chiesa [ Sant'Ignazio di
Antiochia, Epistula ad Trallianos, 3, 1].
L'ordinazione
episcopale - pienezza
del
sacramento dell'Ordine
1555
“Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella
Chiesa, secondo la testimonianza della Tradizione, tiene il primo posto
l'ufficio di quelli che, costituiti nell'episcopato, per successione che
risale all'origine, possiedono i tralci del seme apostolico” [Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 20].
1556
Per adempiere alla loro alta missione, “gli Apostoli sono stati
arricchiti da Cristo con una speciale effusione dello Spirito Santo
discendente su loro, ed essi stessi, con l'imposizione delle mani, hanno
trasmesso questo dono dello Spirito ai loro collaboratori, dono che è
stato trasmesso fino a noi nella consacrazione episcopale” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 20].
1557
Il Concilio Vaticano II insegna che “con la consacrazione episcopale
viene conferita la pienezza del sacramento dell'Ordine, quella cioè che
dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri
viene chiamata il sommo sacerdozio, il vertice ["Summa"] del
sacro ministero” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 20].
1558
“La consacrazione episcopale conferisce pure, con l'ufficio di
santificare, gli uffici di insegnare e di governare... Infatti... con
l'imposizione delle mani e con le parole della consacrazione la grazia
dello Spirito Santo viene conferita e viene impresso un sacro carattere,
in maniera che i vescovi, in modo eminente e visibile, sostengono le
parti dello stesso Cristo Maestro, Pastore e Pontefice, e agiscono in
sua persona ["in Eius persona agant"]” [Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 20]. “Perciò i vescovi, per virtù dello Spirito
Santo, che loro è stato dato, sono divenuti i veri e autentici maestri
della fede, i pontefici e i pastori” [Conc. Ecum. Vat. II, Christus
Dominus, 2].
1559
“Uno viene costituito membro del corpo episcopale in virtù della
consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col capo del
collegio e con i membri” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 22]. Il
carattere e la natura collegiale dell'ordine episcopale si manifestano,
tra l'altro, nell'antica prassi della Chiesa che per la consacrazione di
un nuovo vescovo vuole la partecipazione di più vescovi [Cf ibid]. Per
l'ordinazione legittima di un vescovo, oggi è richiesto un intervento
speciale del Vescovo di Roma, per il fatto che egli è il supremo
vincolo visibile della comunione delle Chiese particolari nell'unica
Chiesa e il garante della loro libertà.
1560
Ogni vescovo ha, quale vicario di Cristo, l'ufficio pastorale della
Chiesa particolare che gli è stata affidata, ma nello stesso tempo
porta collegialmente con tutti i fratelli nell'episcopato la
sollecitudine per tutte le Chiese: “Se ogni vescovo è propriamente
pastore soltanto della porzione del gregge affidata alle sue cure, la
sua qualità di legittimo successore degli Apostoli, per istituzione
divina, lo rende solidarmente responsabile della missione apostolica
della Chiesa” [Pio XII, Lett. enc. Fidei donum; cf Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 23; Id., Christus Dominus, 4; 36; 37; Id. , Ad gentes, 5;
6; 38].
1561
Quanto è stato detto spiega perché l'Eucaristia celebrata dal vescovo
ha un significato tutto speciale come espressione della Chiesa riunita
attorno all'altare sotto la presidenza di colui che rappresenta
visibilmente Cristo, Buon Pastore e Capo della sua Chiesa [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Sacrosanctum concilium, 41; Id. , Lumen gentium, 26].
L'ordinazione
dei presbiteri - cooperatori dei vescovi
1562
“Cristo, consacrato e mandato nel mondo dal Padre, per mezzo dei suoi
Apostoli ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione
i loro successori, cioè i vescovi, i quali hanno legittimamente
affidato, secondo diversi gradi, l'ufficio del loro ministero a vari
soggetti nella Chiesa” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 28]. “La
[loro] funzione ministeriale fu trasmessa in grado subordinato ai
presbiteri, affinché questi, costituiti nell'Ordine del presbiterato,
fossero cooperatori dell'Ordine episcopale, per il retto assolvimento
della missione apostolica affidata da Cristo” [Conc. Ecum. Vat. II,
Presbyterorum ordinis, 2].
1563
“La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente unita all'Ordine
episcopale, partecipa dell'autorità con la quale Cristo stesso fa
crescere, santifica e governa il proprio Corpo. Per questo motivo, il
sacerdozio dei presbiteri, pur presupponendo i sacramenti
dell'iniziazione cristiana, viene conferito da quel particolare
sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell'unzione dello
Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li configura a
Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di
Cristo Capo” [Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 2].
1564
“I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e
dipendendo dai vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia
a loro uniti nell'onore sacerdotale e in virtù del sacramento
dell'Ordine, a immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote, [Cf Eb
5,1-10; Eb 7,24; Eb 9,11-28 ] sono consacrati per predicare il Vangelo,
pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del
Nuovo Testamento ” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 28].
1565 In
virtù del sacramento dell'Ordine i sacerdoti partecipano alla
dimensione universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli.
“Il dono spirituale che. . . hanno ricevuto nell'ordinazione non li
prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e
universale missione di salvezza, "fino agli ultimi confini della
terra"”, [Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 10]
“pronti nel loro animo a predicare dovunque il Vangelo” [Conc. Ecum.
Vat. II, Optatam totius, 20].
1566
Essi “soprattutto esercitano la loro funzione sacra nel culto o
assemblea eucaristica, dove, agendo in persona di Cristo, e proclamando
il suo mistero, uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro Capo e
nel sacrificio della Messa rendono presente e applicano, fino alla
venuta del Signore, l'unico sacrificio del Nuovo Testamento, il
sacrificio cioè di Cristo, che una volta per tutte si offre al Padre
quale vittima immacolata” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 28]. Da
questo unico sacrificio tutto il loro ministero sacerdotale trae la sua
forza [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 2].
1567
“I presbiteri, saggi collaboratori dell'ordine episcopale e suoi aiuto
e strumento, chiamati al servizio del Popolo di Dio, costituiscono col
loro vescovo un unico presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi.
Nelle singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire,
presente il vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande,
condividono in parte le sue funzioni e la sua sollecitudine e le
esercitano con dedizione quotidiana” [ Conc. Ecum. Vat. II, Lumen
gentium, 28]. I sacerdoti non possono esercitare il loro ministero se
non in dipendenza dal vescovo e in comunione con lui. La promessa di
obbedienza che fanno al vescovo al momento dell'ordinazione e il bacio
di pace del vescovo al termine della liturgia dell'ordinazione
significano che il vescovo li considera come suoi collaboratori, suoi
figli, suoi fratelli e suoi amici, e che, in cambio, essi gli devono
amore e obbedienza.
1568
“I presbiteri, costituiti nell'ordine del presbiterato mediante
l'ordinazione, sono tutti tra loro uniti da intima fraternità
sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio
nella diocesi al cui servizio sono assegnati sotto il proprio vescovo”
[Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 8]. L'unità del
presbiterio trova un'espressione liturgica nella consuetudine secondo la
quale, durante il rito dell'ordinazione, i presbiteri, dopo il vescovo,
impongono anch'essi le mani.
L'ordinazione
dei diaconi - “per il servizio”
1569
“In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono
imposte le mani "non per il sacerdozio, ma per il servizio"”
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 29; cf Id. , Christus Dominus, 15].
Per l'ordinazione al diaconato soltanto il vescovo impone le mani,
significando così che il diacono è legato in modo speciale al vescovo
nei compiti della sua “diaconia” [Cf Sant'Ippolito di Roma, Traditio
apostolica, 8].
1570
I diaconi partecipano in una maniera particolare alla missione e alla
grazia di Cristo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 41; Id. ,
Apostolicam actuositatem, 16]. Il sacramento dell'Ordine imprime in loro
un segno (carattere”) che nulla può cancellare e che li configura a
Cristo, il quale si è fatto “diacono”, cioè il servo di tutti [Cf
Mc 10,45; 1570 Lc 22,27; San Policarpo di Smirne, Epistula ad
Philippenses, 5, 2]. Compete ai diaconi, tra l'altro, assistere il
vescovo e i presbiteri nella celebrazione dei divini misteri,
soprattutto dell'Eucaristia, distribuirla, assistere e benedire il
matrimonio, proclamare il Vangelo e predicare, presiedere ai funerali e
dedicarsi ai vari servizi della carità [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen
gentium, 29; Id. , Sacrosanctum concilium, 35, 4; Id. , Ad gentes, 16].
1571
Dopo il Concilio Vaticano II
la Chiesa
latina ha ripristinato il diaconato “come un grado proprio e
permanente della gerarchia”, [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 29]
mentre le Chiese d'Oriente lo avevano sempre conservato. Il diaconato
permanente, che può essere conferito a uomini sposati, costituisce un
importante arricchimento per la missione della Chiesa. In realtà, è
conveniente e utile che gli uomini che nella Chiesa adempiono un
ministero veramente diaconale, sia nella vita liturgica e pastorale, sia
nelle opere sociali e caritative “siano fortificati per mezzo
dell'imposizione delle mani, trasmessa dal tempo degli Apostoli, e siano
più strettamente uniti all'altare, per poter esplicare più
fruttuosamente il loro ministero con l'aiuto della grazia sacramentale
del diaconato” [Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes, 16].
IV.
La celebrazione di questo sacramento
1572
La celebrazione dell'ordinazione di un vescovo, di presbiteri o di
diaconi, data la sua importanza per la vita della Chiesa particolare,
richiede il concorso del maggior numero possibile di fedeli. Avrà luogo
preferibilmente la domenica e nella cattedrale, con quella solennità
che si addice alla circostanza. Le tre ordinazioni, del vescovo, del
presbitero, e del diacono, hanno la medesima configurazione. Il loro
posto è in seno alla liturgia eucaristica.
1573
Il rito essenziale del sacramento dell'Ordine è costituito, per i tre
gradi, dall'imposizione delle mani, da parte del vescovo, sul capo
dell'ordinando come pure dalla specifica preghiera consacratoria che
domanda a Dio l'effusione dello Spirito Santo e dei suoi doni adatti al
ministero per il quale il candidato viene ordinato [Cf Pio XII, Cost. ap.
Sacramentum Ordinis: Denz. -Schönm., 3858].
1574
Come in tutti i sacramenti, accompagnano la celebrazione alcuni riti
annessi. Pur variando notevolmente nelle diverse tradizioni liturgiche,
essi hanno in comune la proprietà di esprimere i molteplici aspetti
della grazia sacramentale. Così, nel rito latino, i riti di
introduzione - la presentazione e l'elezione dell'ordinando, l'omelia
del vescovo, l'interrogazione dell'ordinando, le litanie dei santi -
attestano che la scelta del candidato è stata fatta in conformità alla
prassi della Chiesa e preparano l'atto solenne della consacrazione. A
questa fanno seguito altri riti che esprimono e completano in maniera
simbolica il mistero che si è compiuto: per il vescovo e il pre sbitero
l'unzione del santo crisma, segno dell'unzione speciale dello Spirito
Santo che rende fecondo il loro ministero; la consegna del libro dei
Vangeli, dell'anello, della mitra e del pastorale al vescovo, come segno
della sua missione apostolica di annunziare
la Parola
di Dio, della sua fedeltà alla Chiesa, sposa di Cristo, del suo compito
di pastore del gregge del Signore; la consegna, al sacerdote, della
patena e del calice, “l'offerta del popolo santo”, che egli è
chiamato a presentare a Dio; la consegna del libro dei Vangeli al
diacono, che ha ricevuto la missione di annunziare il Vangelo di Cristo.
V.
Chi può conferire questo sacramento?
1575
E' Cristo che ha scelto gli Apostoli e li ha resi partecipi della sua
missione e della sua autorità. Innalzato alla destra del Padre, non
abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre per mezzo
degli Apostoli e ancora lo conduce sotto la guida di quegli stessi
pastori che continuano oggi la sua opera [Cf Messale Romano, Prefazio
degli Apostoli I]. E' dunque Cristo che stabilisce alcuni come apostoli,
altri come pastori [Cf Ef 4,11 ]. Egli continua ad agire per mezzo dei
vescovi [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 21].
1576
Poiché il sacramento dell'Ordine è il sacramento del ministero
apostolico, spetta ai vescovi in quanto successori degli Apostoli
trasmettere “questo dono dello Spirito”, [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 21] “il seme apostolico” [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 21]. I vescovi validamente ordinati, che sono cioè nella
linea della successione apostolica, conferiscono validamente i tre gradi
del sacramento dell'Ordine [Cf Innocenzo III, Lettera Eius exemplo: Denz.
-Schönm., 794; Concilio Lateranense IV: ibid., 802; Codice di Diritto
Canonico, 1012; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 744; 747].
VI.
Chi può ricevere questo sacramento?
1577
“Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato
di sesso maschile ["vir"]” [Codice di Diritto Canonico,
1024]. Il Signore Gesù ha scelto degli uomini ["viri"] per
formare il collegio dei dodici Apostoli, [Cf Mc 3,14-19, Lc 6,12-16 ] e
gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori [Cf
1Tm 3,1-13; 2Tm 1,6; Tt 1,5-9 ] che sarebbero loro succeduti nel
ministero [S. Clemente di Roma, Epistula ad Corinthios, 42, 4; 44, 3].
Il collegio dei vescovi, con i quali i presbiteri sono uniti nel
sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di Cristo il
collegio dei Dodici.
La Chiesa
si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso. Per
questo motivo l'ordinazione delle donne non è possibile [Cf Giovanni
Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 26-27; Congregazione per
la Dottrina
della Fede, Dich. Inter insigniores: AAS 69 (1977), 98-116].
1578
Nessuno ha un diritto a ricevere il sacramento dell'Ordine. Infatti
nessuno può attribuire a se stesso questo ufficio. Ad esso si è
chiamati da Dio [Cf Eb 5,4 ]. Chi crede di riconoscere i segni della
chiamata di Dio al ministero ordinato, deve sottomettere umilmente il
proprio desiderio all'autorità della Chiesa, alla quale spetta la
responsabilità e il diritto di chiamare qualcuno a ricevere gli Ordini.
Come ogni grazia, questo sacramento non può essere ricevuto che come un
dono immeritato.
1579
Tutti i ministri ordinati della Chiesa latina, ad eccezione dei diaconi
permanenti, sono normalmente scelti fra gli uomini credenti che vivono
da celibi e che intendono conservare il celibato “per il Regno dei
cieli” ( Mt 19,12 ). Chiamati a consacrarsi con cuore indiviso al
Signore e alle “sue cose”, [Cf 1Cor 7,32 ] essi si donano
interamente a Dio e agli uomini. Il celibato è un segno di questa vita
nuova al cui servizio il ministro della Chiesa viene consacrato;
abbracciato con cuore gioioso, esso annuncia in modo radioso il Regno di
Dio [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 16].
1580
Nelle Chiese Orientali, da secoli, è in vigore una disciplina diversa:
mentre i vescovi sono scelti unicamente fra coloro che vivono nel
celibato, uomini sposati possono essere ordinati diaconi e presbiteri.
Tale prassi è da molto tempo considerata come legittima; questi
presbiteri esercitano un ministero fruttuoso in seno alle loro comunità
[Cf Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 16]. D'altro canto il
celibato dei presbiteri è in grande onore nelle Chiese Orientali, e
numerosi sono i presbiteri che l'hanno scelto liberamente, per il Regno
di Dio. In Oriente come in Occidente, chi ha ricevuto il sacramento
dell'Ordine non può più sposarsi.
VII.
Gli effetti del sacramento dell'Ordine
Il
carattere indelebile
1581
Questo sacramento configura a Cristo in forza di una grazia speciale
dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la
sua Chiesa. Per mezzo dell'ordinazione si viene abilitati ad agire come
rappresentanti di Cristo, Capo della Chiesa, nella sua triplice funzione
di sacerdote, profeta e re.
1582
Come nel caso del Battesimo e della Confermazione, questa partecipazione
alla funzione di Cristo è accordata una volta per tutte. Il sacramento
dell'Ordine conferisce, anch'esso, un carattere spirituale indelebile e
non può essere ripetuto né essere conferito per un tempo limitato [Cf
Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1767; Conc. Ecum. Vat. II, Lumen
gentium, 21; 28; 29; Id. , Presbyterorum ordinis, 2].
1583
Un soggetto validamente ordinato può, certo, per gravi motivi, essere
dispensato dagli obblighi e dalle funzioni connessi all'ordinazione o
gli può essere fatto divieto di esercitarli, [Cf Codice di Diritto
Canonico, 290-293; 1336, 1, 3. 5; 1338, 2] ma non può più ridiventare
laico in senso stretto, poiché il carattere impresso dall'ordinazione
rimane per sempre. La vocazione e la missione ricevute nel giorno della
sua ordinazione, lo segnano in modo permanente.
1584
Poiché in definitiva è Cristo che agisce e opera la salvezza mediante
il ministro ordinato, l'indegnità di costui non impedisce a Cristo di
agire. Sant'Agostino lo dice con forza:
Un
ministro superbo va messo assieme al diavolo; ma non per questo viene
contaminato il dono di Cristo, che attraverso di lui continua a fluire
nella sua purezza e per mezzo di lui arriva limpido a fecondare la
terra. . . La virtù spirituale del sacramento è infatti come la luce:
giunge pura a coloro che devono essere illuminati, e anche se deve
passare attraverso degli esseri immondi, non viene contaminata [Sant'Agostino,
In Evangelium Johannis tractatus, 5, 15].
La
grazia dello Spirito Santo
1585
La grazia dello Spirito Santo propria di questo sacramento consiste in
una configurazione a Cristo Sacerdote, Maestro e Pastore del quale
l'ordinato è costituito ministro.
1586
Per il vescovo è innanzitutto una grazia di fortezza (Il tuo Spirito
che regge e guida”: Preghiera consacratoria del vescovo nel rito
latino): la grazia di guidare e di difendere con forza e prudenza la sua
Chiesa come un padre e un pastore, con un amore gratuito verso tutti e
una predilezione per i poveri, gli ammalati e i bisognosi [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Christus Dominus, 13 e 16]. Questa grazia lo spinge ad
annunciare a tutti il Vangelo, ad essere il modello del suo gregge, a
precederlo sul cammino della santificazione identificandosi
nell'Eucaristia con Cristo Sacerdote e Vittima, senza temere di dare la
vita per le sue pecore:
Concedi,
Padre che conosci i cuori, a questo servo che hai scelto per
l'episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di esercitare in maniera
irreprensibile e in tuo onore la massima dignità sacerdotale,
servendoti notte e giorno; di rendere il tuo volto incessantemente
propizio e di offrirti i doni della tua santa Chiesa; di avere, in virtù
dello spirito del sommo sacerdozio, il potere di rimettere i peccati
secondo il tuo comando, di distribuire i compiti secondo la tua volontà
e di sciogliere ogni legame in virtù del potere che hai dato agli
Apostoli; di esserti accetto per la sua mansuetudine e per la purezza
del suo cuore, offrendoti un profumo soave per mezzo di Gesù Cristo tuo
Figlio. . [Sant'Ippolito di Roma, Traditio apostolica, 3].
1587
Il dono spirituale conferito dall'ordinazione presbiterale è espresso
da questa preghiera propria del rito bizantino. Il vescovo, imponendo le
mani, dice tra l'altro:
Signore,
riempi di Spirito Santo colui che ti sei degnato di elevare alla dignità
sacerdotale, affinché sia degno di stare irreprensibile davanti al tuo
altare, di annunciare il Vangelo del tuo Regno, di compiere il ministero
della tua parola di verità, di offrirti doni e sacrifici spirituali, di
rinnovare il tuo popolo mediante il lavacro della rigenerazione; in modo
che egli stesso vada incontro al nostro grande Dio e Salvatore Gesù
Cristo, tuo unico Figlio, nel giorno della sua seconda venuta, e riceva
dalla tua immensa bontà la ricompensa di un fedele adempimento del suo
ministero [Eucologia della liturgia bizantina].
1588
Quanto ai diaconi, la grazia sacramentale dà loro la forza necessaria
per servire il popolo di Dio nella “diaconia” della Liturgia, della
Parola e della carità, in comunione con il vescovo e il suo presbiterio
[Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 29].
1589
Dinanzi alla grandezza della grazia e dell'ufficio sacerdotali, i santi
dottori hanno avvertito l'urgente appello alla conversione al fine di
corrispondere con tutta la loro vita a Colui di cui sono divenuti
ministri mediante il sacramento. Così, san Gregorio Nazianzeno,
giovanissimo sacerdote, esclama:
Bisogna
cominciare col purificare se stessi prima di purificare gli altri;
bisogna essere istruiti per poter istruire; bisogna divenire luce per
illuminare, avvicinarsi a Dio per avvicinare a lui gli altri, essere
santificati per santificare, condurre per mano e consigliare con
intelligenza [San Gregorio Nazianzeno, Orationes, 2, 71: PG 35, 480B].
So di chi siamo i ministri, a quale altezza ci troviamo e chi è Colui
verso il quale ci dirigiamo. Conosco la grandezza di Dio e la debolezza
dell'uomo, ma anche la sua forza [San Gregorio Nazianzeno, Orationes, 2,
71: PG 35, 480B]. [ Chi è dunque il sacerdote? E'] il difensore della
verità, si eleva con gli angeli, glorifica con gli arcangeli, fa salire
sull'altare del cielo le vittime dei sacrifici, condivide il sacerdozio
di Cristo, riplasma la creatura, restaura [in essa] l'immagine [di Dio],
la ricrea per il mondo di lassù, e, per dire ciò che vi è di più di
sublime, è divinizzato e divinizza [San Gregorio Nazianzeno, Orationes,
2, 71: PG 35, 480B].
E
il santo Curato d'Ars: “E' il sacerdote che continua l'opera di
redenzione sulla terra”. . . “Se si comprendesse bene il sacerdote
qui in terra, si morirebbe non di spavento, ma di amore”... “Il
Sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù” [B. Nodet, Jean-Marie
Vianney, Curé d'Ars, 100].
In
sintesi
1590
San Paolo dice al suo discepolo Timoteo: “Ti ricordo di ravvivare il
dono di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani” ( 2Tm 1,6
), e “se uno aspira all'episcopato, desidera un nobile lavoro” ( 1Tm
3,1 ). A Tito diceva: “Per questo ti ho lasciato a Creta, perché
regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in
ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato” ( Tt 1,5 ).
1591
Tutta
la Chiesa
è un popolo sacerdotale. Grazie al battesimo, tutti i fedeli
partecipano al sacerdozio di Cristo. Tale partecipazione si chiama
“sacerdozio comune dei fedeli”. Sulla sua base e al suo servizio
esiste un'altra partecipazione alla missione di Cristo: quella del
ministero conferito dal sacramento dell'Ordine, la cui funzione è di
servire a nome e in persona di Cristo Capo in mezzo alla comunità.
1592
Il sacerdozio ministeriale differisce essenzialmente dal sacerdozio
comune dei fedeli poiché conferisce un potere sacro per il servizio dei
fedeli. I ministri ordinati esercitano il loro servizio presso il popolo
di Dio attraverso l'insegnamento [munus docendi], il culto divino [munus
liturgicum] e il governo pastorale [munus regendi].
1593
Fin dalle origini, il ministero ordinato è stato conferito ed
esercitato in tre gradi: quello dei vescovi, quello dei presbiteri e
quello dei diaconi. I ministeri conferiti dall'ordinazione sono
insostituibili per la struttura organica della Chiesa: senza il vescovo,
i presbiteri e i diaconi, non si può parlare di Chiesa [Cf Sant'Ignazio
di Antiochia, Epistula ad Trallianos, 3, 1].
1594
Il vescovo riceve la pienezza del sacramento dell'Ordine che lo
inserisce nel Collegio episcopale e fa di lui il capo visibile della
Chiesa particolare che gli è affidata. I vescovi, in quanto successori
degli Apostoli e membri del Collegio, hanno parte alla responsabilità
apostolica e alla missione di tutta
la Chiesa
sotto l'autorità del Papa, successore di san Pietro.
1595
I presbiteri sono uniti ai vescovi nella dignità sacerdotale e nello
stesso tempo dipendono da essi nell'esercizio delle loro funzioni
pastorali; sono chiamati ad essere i saggi collaboratori dei vescovi;
riuniti attorno al loro vescovo formano il “presbiterio”, che
insieme con lui porta la responsabilità della Chiesa particolare. Essi
ricevono dal vescovo la responsabilità di una comunità parrocchiale o
di una determinata funzione ecclesiale.
1596
I diaconi sono ministri ordinati per gli incarichi di servizio della
Chiesa; non ricevono il sacerdozio ministeriale, ma l'ordinazione
conferisce loro funzioni importanti nel ministero della Parola, del
culto divino, del governo pastorale e del servizio della carità,
compiti che devono assolvere sotto l'autorità pastorale del loro
vescovo.
1597
Il sacramento dell'Ordine è conferito mediante l'imposizione delle mani
seguita da una preghiera consacratoria solenne che chiede a Dio per
l'ordinando le grazie dello Spirito Santo richieste per il suo
ministero. L'ordinazione imprime un carattere sacramentale indelebile.
1598
La Chiesa
conferisce il sacramento dell'Ordine soltanto a uomini (viris)
battezzati, le cui attitudini per l'esercizio del ministero sono state
debitamente riconosciute. Spetta all'autorità della Chiesa la
responsabilità e il diritto di chiamare qualcuno a ricevere gli Ordini.
1599
Nella Chiesa latina il sacramento dell'Ordine per il presbiterato è
conferito normalmente solo a candidati disposti ad abbracciare
liberamente il celibato e che manifestano pubblicamente la loro volontà
di osservarlo per amore del Regno di Dio e del servizio degli uomini.
1600
Spetta ai vescovi conferire il sacramento dell'Ordine nei tre gradi.
Articolo
7
IL
SACRAMENTO DEL MATRIMONIO
1601
“Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro
la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei
coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati
è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento”
[Codice di Diritto Canonico, 1055, 1].
I.
Il matrimonio nel disegno di Dio
1602
La Sacra Scrittura
si apre con la creazione dell'uomo e della donna ad immagine e
somiglianza di Dio [Cf Gen 1,26-27 ] e si chiude con la visione delle
“nozze dell'Agnello” ( Ap 19,7; Ap 19,9 ). Da un capo all'altro
la Scrittura
parla del Matrimonio e del suo “mistero”, della sua istituzione e
del senso che Dio gli ha dato, della sua origine e del suo fine, delle
sue diverse realizzazioni lungo tutta la storia della salvezza, delle
sue difficoltà derivate dal peccato e del suo rinnovamento “nel
Signore” ( 1Cor 7,39 ), nella Nuova Alleanza di Cristo e della Chiesa
[Cf Ef 5,31-32 ].
Il
matrimonio nell'ordine della creazione
1603
“L'intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore
e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale. . .
Dio stesso è l'autore del matrimonio” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium
et spes, 48]. La vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa
dell'uomo e della donna, quali sono usciti dalla mano del Creatore. Il
matrimonio non è un'istituzione puramente umana, malgrado i numerosi
mutamenti che ha potuto subire nel corso dei secoli, nelle varie
culture, strutture sociali e attitudini spirituali. Queste diversità
non devono far dimenticare i tratti comuni e permanenti. Sebbene la
dignità di questa istituzione non traspaia ovunque con la stessa
chiarezza, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 47] esiste tuttavia
in tutte le culture un certo senso della grandezza dell'unione
matrimoniale, poiché “la salvezza della persona e della società
umana e cristiana è strettamente connessa con una felice situazione
della comunità coniugale e familiare” [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 47].
1604
Dio, che ha creato l'uomo per amore, lo ha anche chiamato all'amore,
vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano. Infatti l'uomo è
creato ad immagine e somiglianza di Dio [Cf Gen 1,27 ] che è Amore [Cf
1Gv 4,8; 1Gv 4,16 ]. Avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco
amore diventa un'immagine dell'amore assoluto e indefettibile con cui
Dio ama l'uomo. E' cosa buona, molto buona, agli occhi del Creatore [Cf
Gen 1,31 ]. E questo amore che Dio benedice è destinato ad essere
fecondo e a realizzarsi nell'opera comune della custodia della
creazione: “Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e
moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela"” ( Gen 1,28 ).
1605
Che l'uomo e la donna siano creati l'uno per l'altro, lo afferma
la Sacra Scrittura
: “Non è bene che l'uomo sia solo”. La donna, “carne della sua
carne”, sua eguale, del tutto prossima a lui, gli è donata da Dio
come un “aiuto”, rappresentando così Dio dal quale viene il nostro
aiuto [ Cf Sal 121,2 ]. “Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e
sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (
Gen 2,24 ) [Cf Gen 2,18-25 ]. Che ciò significhi un'unità
indefettibile delle loro due esistenze, il Signore stesso lo mostra
ricordando quale sia stato, “all'origine”, il disegno del Creatore:
“Così che non sono più due, ma una carne sola” ( Mt 19,6 ).
Il
matrimonio sotto il regime del peccato
1606
Ogni uomo fa l'esperienza del male, attorno a sé e in se stesso. Questa
esperienza si fa sentire anche nelle relazioni fra l'uomo e la donna. Da
sempre la loro unione è stata minacciata dalla discordia, dallo spirito
di dominio, dall'infedeltà, dalla gelosia e da conflitti che possono
arrivare fino all'odio e alla rottura. Questo disordine può
manifestarsi in modo più o meno acuto, e può essere più o meno
superato, secondo le culture, le epoche, gli individui, ma sembra
proprio avere un carattere universale.
1607
Secondo la fede, questo disordine che noi constatiamo con dolore, non
deriva dalla natura dell'uomo e della donna, né dalla natura delle loro
relazioni, ma dal peccato . Rottura con Dio, il primo peccato ha come
prima conseguenza la rottura della comunione originale dell'uomo e della
donna. Le loro relazioni sono distorte da accuse reciproche; [Cf Gen
3,12 ] la loro mutua attrattiva, dono proprio del Creatore, [Cf Gen 2,22
] si cambia in rapporti di dominio e di bramosia; [Cf Gen 3,16 b] la
splendida vocazione dell'uomo e della donna ad essere fecondi, a
moltiplicarsi e a soggiogare la terra [Cf Gen 1,28 ] è gravata dai
dolori del parto e dalle fatiche del lavoro [ Cf Gen 3,16-19 ].
1608
Tuttavia, anche se gravemente sconvolto, l'ordine della creazione
permane. Per guarire le ferite del peccato, l'uomo e la donna hanno
bisogno dell'aiuto della grazia che Dio, nella sua infinita
misericordia, non ha loro mai rifiutato [Cf Gen 3,21 ]. Senza questo
aiuto l'uomo e la donna non possono giungere a realizzare l'unione delle
loro vite, in vista della quale Dio li ha creati “all'inizio”.
Il
matrimonio sotto la pedagogia della Legge
1609
Nella sua misericordia, Dio non ha abbandonato l'uomo peccatore. Le
sofferenze che derivano dal peccato, “i dolori del parto” ( Gen 3,16
), il lavoro “con il sudore del volto” ( Gen 3,19 ), costituiscono
anche dei rimedi che attenuano i danni del peccato. Dopo la caduta, il
matrimonio aiuta a vincere il ripiegamento su di sé, l'egoismo, la
ricerca del proprio piacere, e ad aprirsi all'altro, all'aiuto
vicendevole, al dono di sé.
1610
La coscienza morale riguardante l'unità e l'indissolubilità del
matrimonio si è sviluppata sotto la pedagogia della Legge antica. La
poligamia dei patriarchi e dei re non è ancora esplicitamente
rifiutata. Tuttavia,
la Legge
data a Mosè mira a proteggere la donna contro l'arbitrarietà del
dominio da parte dell'uomo, sebbene anch'essa porti, secondo
la Parola
del Signore, le tracce della “durezza del cuore” dell'uomo, a motivo
della quale Mosè ha permesso il ripudio della donna [Cf Mt 19,8; 1610
Dt 24,1 ].
1611
Vedendo l'Alleanza di Dio con Israele sotto l'immagine di un amore
coniugale esclusivo e fedele, [Cf Os 1-3; Is 54; Is 62; Ger 2-3; 1611
Ger 31; Ez 16; Ez 23 ] i profeti hanno preparato la coscienza del Popolo
eletto ad una intelligenza approfondita dell'unicità e
dell'indissolubilità del matrimonio [Cf Ml 2,13-17 ]. I libri di Rut e
di Tobia offrono testimonianze commoventi di un alto senso del
matrimonio, della fedeltà e della tenerezza degli sposi.
La Tradizione
ha sempre visto nel Cantico dei Cantici un'espressione unica dell'amore
umano, in quanto è riflesso dell'amore di Dio, amore “forte come la
morte” che “le grandi acque non possono spegnere” ( Ct 8,6-7 ).
Il
matrimonio nel Signore
1612 L
'alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo Israele aveva preparato
l'Alleanza Nuova ed eterna nella quale il Figlio di Dio, incarnandosi e
offrendo la propria vita, in certo modo si è unito tutta l'umanità da
lui salvata, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22] preparando
così “le nozze dell'Agnello” (Ap 19,7; Ap 19,9).
1613
Alle soglie della sua vita pubblica, Gesù compie il suo primo segno -
su richiesta di sua Madre - durante una festa nuziale [Cf Gv 2,1-11 ].
La Chiesa
attribuisce una grande importanza alla presenza di Gesù alle nozze di
Cana. Vi riconosce la conferma della bontà del matrimonio e l'annuncio
che ormai esso sarà un segno efficace della presenza di Cristo.
1614
Nella sua predicazione Gesù ha insegnato senza equivoci il senso
originale dell'unione dell'uomo e della donna, quale il Creatore l'ha
voluta all'origine: il permesso, dato da Mosè, di ripudiare la propria
moglie, era una concessione motivata dalla durezza del cuore; [Cf Mt
19,8 ] l'unione matrimoniale dell'uomo e della donna è indissolubile:
Dio stesso l'ha conclusa. “Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo
non lo separi” ( Mt 19,6 ).
1615
Questa inequivocabile insistenza sull'indissolubilità del vincolo
matrimoniale ha potuto lasciare perplessi e apparire come un'esigenza
irrealizzabile [Cf Mt 19,10 ]. Tuttavia Gesù non ha caricato gli sposi
di un fardello impossibile da portare e troppo gravoso, [Cf Mt 11,29-30
] più pesante della Legge di Mosè. Venendo a ristabilire l'ordine
iniziale della creazione sconvolto dal peccato, egli stesso dona la
forza e la grazia per vivere il matrimonio nella nuova dimensione del
Regno di Dio. Seguendo Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé
la propria croce [Cf Mc 8,34 ] gli sposi potranno “capire” [Cf Mt
19,11 ] il senso originale del matrimonio e viverlo con l'aiuto di
Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della croce
di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana.
1616
E' ciò che l'Apostolo Paolo lascia intendere quando dice: “Voi,
mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato
la Chiesa
e ha dato se stesso per lei, per renderla santa” ( Ef 5,25-26 ), e
aggiunge subito: “Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e
si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo
mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (
Ef 5,31-32 ).
1617
Tutta la vita cristiana porta il segno dell'amore sponsale di Cristo e
della Chiesa. Già il Battesimo, che introduce nel Popolo di Dio, è un
mistero nuziale: è, per così dire, il lavacro di nozze [Cf Ef 5,26-27
] che precede il banchetto di nozze, l'Eucaristia. Il Matrimonio
cristiano diventa, a sua volta, segno efficace, sacramento dell'alleanza
di Cristo e della Chiesa. Poiché ne significa e ne comunica la grazia,
il matrimonio fra battezzati è un vero sacramento della Nuova Alleanza
[Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1800; Codice di Diritto
Canonico, 1055, 2].
La
verginità per il Regno
1618
Cristo è il centro di ogni vita cristiana. Il legame con lui occupa il
primo posto rispetto a tutti gli altri legami, familiari o sociali [Cf
Lc 14,26; 1618 Mc 10,28-31 ]. Fin dall'inizio della Chiesa, ci sono
stati uomini e donne che hanno rinunciato al grande bene del matrimonio
per seguire “l'Agnello dovunque va”( Ap 14,4 ), per preoccuparsi
delle cose del Signore e cercare di piacergli, [Cf 1Cor 7,32 ] per
andare incontro allo Sposo che viene [Cf Mt 25,6 ]. Cristo stesso ha
invitato certuni a seguirlo in questo genere di vita, di cui egli rimane
il modello:
Vi
sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne
sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri
che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli. Chi può capire,
capisca ( Mt 19,12 ).
1619
La verginità per il Regno dei cieli è uno sviluppo della grazia
battesimale, un segno possente della preminenza del legame con Cristo,
dell'attesa ardente del suo ritorno, un segno che ricorda pure come il
matrimonio sia una realtà del mondo presente che passa [Cf Mc 12,25;
1Cor 7,31 ].
1620
Entrambi, il sacramento del Matrimonio e la verginità per il Regno di
Dio, provengono dal Signore stesso. E' lui che dà loro senso e concede
la grazia indispensabile per viverli conformemente alla sua volontà [Cf
Mt 19,3-12 ]. La stima della verginità per il Regno [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 42; Id., Perfectae caritatis, 12; Id. , Optatam
totius, 10] e il senso cristiano del Matrimonio sono inseparabili e si
favoriscono reciprocamente:
Chi
denigra il matrimonio, sminuisce anche la gloria della verginità; chi
lo loda, aumenta l'ammirazione che è dovuta alla verginità. . .
Infatti, ciò che sembra bello solo in rapporto a ciò che è brutto non
può essere molto bello; quello che invece è la migliore delle cose
considerate buone, è la cosa più bella in senso assoluto [San Giovanni
Crisostomo, De virginitate, 10, 1: PG 48, 540A; cf Giovanni Paolo II,
Esort. ap. Familiaris consortio, 16].
II.
La celebrazione del Matrimonio
1621
Nel rito latino, la celebrazione del Matrimonio tra due fedeli cattolici
ha luogo normalmente durante
la Santa Messa
, a motivo del legame di tutti i sacramenti con il Mistero pasquale di
Cristo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 61].
Nell'Eucaristia si realizza il memoriale della Nuova Alleanza, nella
quale Cristo si è unito per sempre alla Chiesa, sua diletta sposa per
la quale ha dato se stesso [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 6].
E' dunque conveniente che gli sposi suggellino il loro consenso a
donarsi l'uno all'altro con l'offerta delle loro proprie vite, unendola
all'offerta di Cristo per la sua Chiesa, resa presente nel sacrificio
eucaristico, e ricevendo l'Eucaristia, affinché, nel comunicare al
medesimo Corpo e al medesimo Sangue di Cristo, essi “formino un corpo
solo” in Cristo [Cf 1Cor 10,17 ].
1622
“In quanto gesto sacramentale di santificazione, la celebrazione
liturgica del Matrimonio. . . deve essere per sé valida, degna e
fruttuosa” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 67].
Conviene quindi che i futuri sposi si dispongano alla celebrazione del
loro Matrimonio ricevendo il sacramento della Penitenza.
1623
Secondo la tradizione latina sono gli sposi, come ministri della grazia
di Cristo, a conferirsi mutualmente il sacramento del Matrimonio
esprimendo davanti alla Chiesa il loro consenso. Nelle tradizioni delle
Chiese orientali, i sacerdoti, vescovi o presbiteri, sono testimoni del
reciproco consenso scambiato tra gli sposi ma anche la loro benedizione
è necessaria per la validità del sacramento.
1624
Le diverse liturgie sono ricche di preghiere di benedizione e di
epiclesi che chiedono a Dio la sua grazia e la benedizione sulla nuova
coppia, specialmente sulla sposa. Nell'epiclesi di questo sacramento gli
sposi ricevono lo Spirito Santo come Comunione di amore di Cristo e
della Chiesa [Cf Ef 5,32 ]. E' lui il sigillo della loro alleanza, la
sorgente sempre offerta del loro amore, la forza in cui si rinnoverà la
loro fedeltà.
III.
Il consenso matrimoniale
1625
I protagonisti dell'alleanza matrimoniale sono un uomo e una donna
battezzati, liberi di contrarre il matrimonio e che esprimono
liberamente il loro consenso. “Essere libero” vuol dire:
-
non subire costrizioni;
-
non avere impedimenti in base ad una legge naturale o ecclesiastica.
1626
La Chiesa
considera lo scambio del consenso tra gli sposi come l'elemento
indispensabile “che costituisce il matrimonio” [Codice di Diritto
Canonico, 1057, 1]. Se il consenso manca, non c'è matrimonio.
1627
Il consenso consiste in un “atto umano col quale i coniugi mutuamente
si danno e si ricevono”: [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48; cf
Codice di Diritto Canonico, 1057, 2] “Io prendo te come mia sposa” -
“Io prendo te come mio sposo” [Rituale romano, Il sacramento del
matrimonio, 45]. Questo consenso che lega gli sposi tra loro, trova il
suo compimento nel fatto che i due diventano “una carne sola” [Cf
Gen 2,24; Mc 10,8; Ef 5,31 ].
1628
Il consenso deve essere un atto della volontà di ciascuno dei
contraenti, libero da violenza o da grave costrizione esterna [Cf Codice
di Diritto Canonico, 1103]. Nessuna potestà umana può sostituirsi a
questo consenso [Cf ibid., 1057, 1]. Se tale libertà manca, il
matrimonio è invalido.
1629
Per questo motivo (o per altre cause che rendono nullo e non avvenuto il
matrimonio): [Cf Codice di Diritto Canonico, 1095-1107]
la Chiesa
può, dopo esame della situazione da parte del tribunale ecclesiastico
competente, dichiarare “la nullità del matrimonio”, vale a dire che
il matrimonio non è mai esistito. In questo caso i contraenti sono
liberi di sposarsi, salvo rispettare gli obblighi naturali derivati da
una precedente unione [Cf ibid., 1071].
1630
Il sacerdote (o il diacono) che assiste alla celebrazione del
matrimonio, accoglie il consenso degli sposi a nome della Chiesa e dà
la benedizione della Chiesa. La presenza del ministro della Chiesa (e
anche dei testimoni) esprime visibilmente che il matrimonio è una realtà
ecclesiale.
1631
E' per questo motivo che
la Chiesa
normalmente richiede per i suoi fedeli la forma ecclesiastica della
celebrazione del matrimonio [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm.,
1813-1816; Codice di Diritto Canonico, 1108]. Diverse ragioni concorrono
a spiegare questa determinazione:
-
Il matrimonio sacramentale è un atto liturgico. E' quindi conveniente
che venga celebrato nella Liturgia pubblica della Chiesa.
-
Il matrimonio introduce in un ordo - ordine - ecclesiale, crea dei
diritti e dei doveri nella Chiesa, fra gli sposi e verso i figli.
-
Poiché il matrimonio è uno stato di vita nella Chiesa, è necessario
che vi sia certezza sul matrimonio (da qui l'obbligo di avere dei
testimoni).
-
Il carattere pubblico del consenso protegge il “Sì” una volta dato
e aiuta a rimanervi fedele.
1632
Perché il “Sì” degli sposi sia un atto libero e responsabile, e
l'alleanza matrimoniale abbia delle basi umane e cristiane solide e
durature, la preparazione al matrimonio è di fondamentale importanza.
L'esempio
e l'insegnamento dati dai genitori e dalle famiglie restano il cammino
privilegiato di questa preparazione.
Il
ruolo dei pastori e della comunità cristiana come “famiglia di Dio”
è indispensabile per la trasmissione dei valori umani e cristiani del
matrimonio e della famiglia, [Cf Codice di Diritto Canonico, 1063] tanto
più che nel nostro tempo molti giovani conoscono l'esperienza di
focolari distrutti che non assicurano più sufficientemente questa
iniziazione:
I
giovani devono essere adeguatamente e tempestivamente istruiti,
soprattutto in seno alla propria famiglia, sulla dignità dell'amore
coniugale, sulla sua funzione e le sue espressioni; così che, formati
nella stima della castità, possano ad età conveniente passare da un
onesto fidanzamento alle nozze [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
49].
I
matrimoni misti e la disparità di culto
1633 In
numerosi paesi si presenta assai di frequente la situazione del
matrimonio misto (fra cattolico e battezzato non cattolico). Essa
richiede un'attenzione particolare dei coniugi e dei pastori. Il caso di
matrimonio con disparità di culto (fra cattolico e non-battezzato)
esige una circospezione ancora maggiore.
1634
La diversità di confessione fra i coniugi non costituisce un ostacolo
insormontabile per il matrimonio, allorché essi arrivano a mettere in
comune ciò che ciascuno di loro ha ricevuto nella propria comunità, e
ad apprendere l'uno dall'altro il modo in cui ciascuno vive la sua
fedeltà a Cristo. Ma le difficoltà dei matrimoni misti non devono
neppure essere sottovalutate. Esse sono dovute al fatto che la
separazione dei cristiani non è ancora superata. Gli sposi rischiano di
risentire il dramma della disunione dei cristiani all'interno stesso del
loro focolare. La disparità di culto può aggravare ulteriormente
queste difficoltà. Divergenze concernenti la fede, la stessa concezione
del matrimonio, ma anche mentalità religiose differenti possono
costituire una sorgente di tensioni nel matrimonio, soprattutto a
proposito dell'educazione dei figli. Una tentazione può allora
presentarsi: l'indifferenza religiosa.
1635
Secondo il diritto in vigore nella Chiesa latina, un matrimonio misto
necessita, per la sua liceità, dell' espressa licenza dell'autorità
ecclesiastica [Cf Codice di Diritto Canonico, 1124]. In caso di disparità
di culto è richiesta, per la validità del matrimonio, una espressa
dispensa dall'impedimento [Cf ibid., 1086]. Questa licenza o questa
dispensa suppongono che entrambe le parti conoscano e non escludano i
fini e le proprietà essenziali del matrimonio; inoltre che la parte
cattolica confermi gli impegni, portati a conoscenza anche della parte
acattlica, di conservare la propria fede e di assicurare il Battesimo e
l'educazione dei figli nella Chiesa cattolica [Cf ibid., 1125].
1636 In
molte regioni, grazie al dialogo ecumenico, le comunità cristiane
interessate hanno potuto organizzare una pastorale comune per i
matrimoni misti. Suo compito è di aiutare queste coppie a vivere la
loro situazione particolare alla luce della fede. Essa deve anche
aiutarle a superare le tensioni fra gli obblighi dei coniugi l'uno nei
confronti dell'altro e verso le loro comunità ecclesiali. Deve
incoraggiare lo sviluppo di ciò che è loro comune nella fede, e il
rispetto di ciò che li separa.
1637
Nei matrimoni con disparità di culto lo sposo cattolico ha un compito
particolare: infatti “il marito non credente viene reso santo dalla
moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito
credente” ( 1Cor 7,14 ). E' una grande gioia per il coniuge cristiano
e per
la Chiesa
se questa “santificazione” conduce alla libera conversione
dell'altro coniuge alla fede cristiana [Cf 1Cor 7,16 ]. L'amore
coniugale sincero, la pratica umile e paziente delle virtù familiari e
la preghiera perseverante possono preparare il coniuge non credente ad
accogliere la grazia della conversione.
IV.
Gli effetti del sacramento del Matrimonio
1638
“Dalla valida celebrazione del matrimonio sorge tra i coniugi un
vincolo di sua natura perpetuo ed esclusivo; inoltre nel matrimonio
cristiano i coniugi, per i compiti e la dignità del loro stato, vengono
corroborati e come consacrati da uno speciale sacramento ” [Codice di
Diritto Canonico, 1134].
Il
vincolo matrimoniale
1639
Il consenso, mediante il quale gli sposi si donano e si ricevono
mutuamente, è suggellato da Dio stesso [Cf Mc 10,9 ]. Dalla loro
alleanza “nasce, anche davanti alla società, l'istituto (del
matrimonio) che ha stabilità per ordinamento divino” [Conc. Ecum.
Vat. II, Gaudium et spes, 48]. L'alleanza degli sposi è integrata
nell'alleanza di Dio con gli uomini: “L'autentico amore coniugale è
assunto nell'amore divino” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48].
1640
Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il
matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere
sciolto. Questo vincolo, che risulta dall'atto umano libero degli sposi
e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e
dà origine ad un'alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in
potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della
sapienza divina [Cf Codice di Diritto Canonico, 1141].
La
grazia del sacramento del Matrimonio
1641
“I coniugi cristiani. . . hanno, nel loro stato di vita e nel loro
ordine, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio” [Conc. Ecum. Vat.
II, Lumen gentium, 11]. Questa grazia propria del sacramento del
Matrimonio è destinata a perfezionare l'amore dei coniugi, a rafforzare
la loro unità indissolubile. In virtù di questa grazia essi “si
aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale,
nell'accettazione e nell'educazione della prole” [Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 11].
1642
Cristo è la sorgente di questa grazia. “Come un tempo Dio venne
incontro al suo popolo con un patto di amore e di fedeltà, così ora il
Salvatore degli uomini e Sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi
cristiani attraverso il sacramento del Matrimonio” [Conc. Ecum. Vat.
II, Gaudium et spes, 48]. Egli rimane con loro, dà loro la forza di
seguirlo prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro
cadute, di perdonarsi vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli
altri, [ Cf Gal 6,2 ] di essere “sottomessi gli uni agli altri nel
timore di Cristo” ( Ef 5,21 ) e di amarsi di un amore soprannaturale,
delicato e fecondo. Nelle gioie del loro amore e della loro vita
familiare egli concede loro, fin da quaggiù, una pregustazione del
banchetto delle nozze dell'Agnello:
Come
sarò capace di esporre la felicità di quel matrimonio che
la Chiesa
unisce, l'offerta eucaristica conferma, la benedizione suggella, gli
angeli annunciano e il Padre celeste ratifica?. . . Quale giogo quello
di due fedeli uniti in un'unica speranza, in un unico desiderio, in
un'unica osservanza, in un unico servizio! Entrambi sono figli dello
stesso Padre, servi dello stesso Signore; non vi è nessuna divisione
quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi, sono veramente due in una
sola carne e dove la carne è unica, unico è lo spirito [Tertulliano,
Ad uxorem, 2, 9; cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
13].
V.
I beni e le esigenze dell'amore coniugale
1643
“L'amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le
componenti della persona - richiamo del corpo e dell'istinto, forza del
sentimento e dell'affettività, aspirazione dello spirito e della volontà
-; esso mira a una unità profondamente personale, quella che, al di là
dell'unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuore solo e
un'anima sola; esso esige l' indissolubilità e la fedeltà della
donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità. In una
parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale, ma
con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma
anche le eleva al punto da farne l'espressione di valori propriamente
cristiani” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 13].
L'unità
e l'indissolubilità del matrimonio
1644 L
'amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l'unità e
l'indissolubilità della loro comunità di persone che ingloba tutta la
loro vita: “Così che non sono più due, ma una carne sola” ( Mt
19,6 ) [Cf Gen 2,24 ]. Essi “sono chiamati a crescere continuamente
nella loro comunione attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa
matrimoniale del reciproco dono totale” [Giovanni Paolo II, Esort. ap.
Familiaris consortio, 19]. Questa comunione umana è confermata,
purificata e condotta a perfezione mediante la comunione in Cristo Gesù,
donata dal sacramento del Matrimonio. Essa si approfondisce mediante la
vita della comune fede e l'Eucaristia ricevuta insieme.
1645
“L'unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera
lampante anche dalla uguale dignità personale sia dell'uomo che della
donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore” [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 49]. La poligamia è contraria a questa
pari dignità e all'amore coniugale che è unico ed esclusivo [Cf
Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 19].
La
fedeltà dell'amore coniugale
1646 L
'amore coniugale esige dagli sposi, per sua stessa natura, una fedeltà
inviolabile. E' questa la conseguenza del dono di se stessi che gli
sposi si fanno l'uno all'altro. L'amore vuole essere definitivo. Non può
essere “fino a nuovo ordine”. “Questa intima unione, in quanto
mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la
piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità” [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48].
1647
La motivazione più profonda si trova nella fedeltà di Dio alla sua
alleanza, di Cristo alla sua Chiesa. Dal sacramento del Matrimonio gli
sposi sono abilitati a rappresentare tale fedeltà e a darne
testimonianza. Dal sacramento, l'indissolubilità del Matrimonio riceve
un senso nuovo e più profondo.
1648
Può sembrare difficile, persino impossibile, legarsi per tutta la vita
a un essere umano. E' perciò quanto mai necessario annunciare la buona
novella che Dio ci ama di un amore definitivo e irrevocabile, che gli
sposi sono partecipi di questo amore, che egli li conduce e li sostiene,
e che attraverso la loro fedeltà possono essere i testimoni dell'amore
fedele di Dio. I coniugi che, con la grazia di Dio, danno questa
testimonianza, spesso in condizioni molto difficili, meritano la
gratitudine e il sostegno della comunità ecclesiale [Cf Giovanni Paolo
II, Esort. ap. Familiaris consortio, 20].
1649
Esistono tuttavia situazioni in cui la coabitazione matrimoniale diventa
pra ticamente impossibile per le più varie ragioni. In tali casi
la Chiesa
ammette la separazione fisica degli sposi e la fine della coabitazione.
I coniugi non cessano di essere marito e moglie davanti a Dio; non sono
liberi di contrarre una nuova unione. In questa difficile situazione, la
soluzione migliore sarebbe, se possibile, la riconciliazione. La comunità
cristiana è chiamata ad aiutare queste persone a vivere cristianamente
la loro situazione, nella fedeltà al vincolo del loro matrimonio che
resta indissolubile [Cf ibid., 83; Codice di Diritto Canonico,
1151-1155].
1650
Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al
divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova
unione.
La Chiesa
sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (Chi ripudia la
propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se
la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”:
Mc 10,11-12 ), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se
era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati
civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente
contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla
Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione.
Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità
ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza
non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver
violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono
impegnati a vivere in una completa continenza.
1651
Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che spesso
conservano la fede e desiderano educare cristianamente i loro figli, i
sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di una attenta
sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla
Chiesa, alla vita della quale possono e devono partecipare in quanto
battezzati:
Siano
esortati ad ascoltare
la Parola
di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella
preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative
della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede
cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza, per implorare
così, di giorno in giorno, la grazia di Dio [Giovanni Paolo II, Esort.
ap. Familiaris consortio, 84].
L'apertura
alla fecondità
1652
“Per sua indole naturale, l'istituto stesso del matrimonio e l'amore
coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole
e in queste trovano il loro coronamento”: [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 48]
I
figli sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono
moltissimo al bene degli stessi genitori. Lo stesso Dio che disse:
“Non è bene che l'uomo sia solo” ( Gen 2,18 ) e che “creò
all'inizio l'uomo maschio e femmina” ( Mt 19,4 ), volendo comunicare
all'uomo una certa speciale partecipazione nella sua opera creatrice,
benedisse l'uomo e la donna, dicendo loro: “Crescete e
moltiplicatevi” ( Gen 1,28 ). Di conseguenza la vera pratica
dell'amore coniugale e tutta la struttura della vita familiare che ne
nasce, senza posporre gli altri fini del matrimonio, a questo tendono
che i coniugi, con fortezza d'animo, siano disposti a cooperare con
l'amore del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro
continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 48].
1653
La fecondità dell'amore coniugale si estende ai frutti della vita
morale, spirituale e soprannaturale che i genitori trasmettono ai loro
figli attraverso l'educazione. I genitori sono i primi e principali
educatori dei loro figli [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gravissimum
educationis, 3]. In questo senso il compito fondamentale del matrimonio
e della famiglia è di essere al servizio della vita [Cf Giovanni Paolo
II, Esort. ap. Familiaris consortio, 28].
1654
I coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli, possono nondimeno
avere una vita coniugale piena di senso, umanamente e cristianamente. Il
loro matrimonio può risplendere di una fecondità di carità, di
accoglienza e di sacrificio.
VI.
La Chiesa
domestica
1655
Cristo ha voluto nascere e crescere in seno alla Santa Famiglia di
Giuseppe e di Maria.
La Chiesa
non è altro che la “famiglia di Dio”. Fin dalle sue origini, il
nucleo della Chiesa era spesso costituito da coloro che, insieme con
tutta la loro famiglia, erano divenuti credenti [Cf At 18,8 ]. Allorché
si convertivano, desideravano che anche tutta la loro famiglia fosse
salvata [Cf At 16,31 e 11, 14]. Queste famiglie divenute credenti erano
piccole isole di vita cristiana in un mondo incredulo.
1656
Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persino ostile alla
fede, le famiglie credenti sono di fondamentale importanza, come
focolari di fede viva e irradiante. E' per questo motivo che il Concilio
Vaticano II, usando un'antica espressione, chiama la famiglia
“Ecclesia domestica” Chiesa domestica [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen
gentium, 11; cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 21].
E' in seno alla famiglia che “i genitori devono essere per i loro
figli, con la parola e con l'esempio, i primi annunciatori della fede, e
secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo
speciale” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11].
1657
E' qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdozio battesimale
del padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri della
famiglia, “con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il
ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con
l'abnegazione e l'operosa carità” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
11]. Il focolare è così la prima scuola di vita cristiana e “una
scuola di umanità più ricca” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
52]. E' qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l'amore
fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto
divino attraverso la preghiera e l'offerta della propria vita.
1658
Bisogna anche ricordare alcune persone che, a causa delle condizioni
concrete in cui devono vivere - e spesso senza averlo voluto - sono
particolarmente vicine al cuore di Gesù e meritano quindi affetto e
premurosa sollecitudine da parte della Chiesa e in modo speciale dei
pastori: il gran numero di persone celibi. Molte di loro restano senza
famiglia umana, spesso a causa delle condizioni di povertà. Ve ne sono
di quelle che vivono la loro situazione nello spirito delle Beatitudini,
servendo Dio e il prossimo in maniera esemplare. A tutte loro bisogna
aprire le porte dei focolari, “Chiese domestiche”, e della grande
famiglia che è
la Chiesa.
“Nessuno è privo della famiglia in questo mondo:
la Chiesa
è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono “affaticati
e oppressi” ( Mt 11,28 )” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris
consortio, 85].
In
sintesi
1659
San Paolo dice: “Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha
amato
la Chiesa.
. . Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla
Chiesa” ( Ef 5,25; Ef 5,32 ).
1660 L
'alleanza matrimoniale, mediante la quale un uomo e una donna
costituiscono fra loro un'intima comunione di vita e di amore, è stata
fondata e dotata di sue proprie leggi dal Creatore. Per sua natura è
ordinata al bene dei coniugi così come alla generazione e
all'educazione della prole. Tra battezzati essa è stata elevata da
Cristo Signore alla dignità di sacramento [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 48; Codice di Diritto Canonico, 1055, 1].
1661
Il sacramento del Matrimonio è segno dell'unione di Cristo e della
Chiesa. Esso dona agli sposi la grazia di amarsi con l'amore con cui
Cristo ha amato la sua Chiesa; la grazia del sacramento perfeziona così
l'amore umano dei coniugi, consolida la loro unità indissolubile e li
santifica nel cammino della vita eterna [Cf Concilio di Trento: Denz.
-Schönm., 1799].
1662
Il matrimonio si fonda sul consenso dei contraenti, cioè sulla volontà
di donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere
un'alleanza d'amore fedele e fecondo.
1663
Poiché il matrimonio stabilisce i coniugi in uno stato pubblico di vita
nella Chiesa, è opportuno che la sua celebrazione sia pubblica,
inserita in una celebrazione liturgica, alla presenza del sacerdote (o
del testimone qualificato della Chiesa), dei testimoni e dell'assemblea
dei fedeli.
1664 L
'unità, l'indissolubilità e l'apertura alla fecondità sono essenziali
al matrimonio. La poligamia è incompatibile con l'unità del
matrimonio; il divorzio separa ciò che Dio ha unito; il rifiuto della
fecondità priva la vita coniugale del suo “preziosissimo dono”, il
figlio [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 50].
1665
Il nuovo matrimonio dei divorziati, mentre è ancora vivo il coniuge
legittimo, contravviene al disegno e alla Legge di Dio insegnati da
Cristo. Costoro non sono separati dalla Chiesa, ma non possono accedere
alla Comunione eucaristica. Vivranno la loro vita cristiana
particolarmente educando i loro figli nella fede.
1666
Il focolare cristiano è il luogo in cui i figli ricevono il primo
annuncio della fede. Ecco perché la casa familiare è chiamata a buon
diritto “
la Chiesa
domestica”, comunità di grazia e di preghiera, scuola delle virtù
umane e della carità cristiana.
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