PARTE
TERZA -
LA VITA IN
CRISTO
SEZIONE
PRIMA -
LA VOCAZIONE DELL'UOMO
:
LA VITA NELLO
SPIRITO
CAPITOLO
SECONDO -
LA COMUNITA' UMANA
1877
La vocazione dell'umanità è di rendere manifesta l'immagine di Dio e
di essere trasformata ad immagine del Figlio unigenito del Padre. Tale
vocazione riveste una forma personale, poiché ciascuno è chiamato ad
entrare nella beatitudine divina; ma riguarda anche la comunità umana
nel suo insieme.
Articolo
1
LA PERSONA E
LA SOCIETA'
I.
Il carattere comunitario della vocazione umana
1878
Tutti gli uomini sono chiamati al medesimo fine, Dio stesso. Esiste una
certa somiglianza tra l'unità delle Persone divine e la fraternità che
gli uomini devono instaurare tra loro, nella verità e nella carità [
Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 24]. L'amore del prossimo è
inseparabile dall'amore per Dio.
1879
La persona umana ha bisogno della vita sociale. Questa non è per l'uomo
qualcosa di aggiunto, ma un'esigenza della sua natura. Attraverso il
rapporto con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i
fratelli, l'uomo sviluppa le proprie virtualità, e così risponde alla
propria vocazione [Cf ibid., 25].
1880
Una società è un insieme di persone legate in modo organico da un
principio di unità che supera ognuna di loro. Assemblea insieme
visibile e spirituale, una società dura nel tempo: è erede del passato
e prepara l'avvenire. Grazie ad essa, ogni uomo è costituito
“erede”, riceve dei “talenti” che arricchiscono la sua identità
e che sono da far fruttificare [Cf Lc 19,13; Lc 19,15 ]. Giustamente,
ciascuno deve dedizione alle comunità di cui fa parte e rispetto alle
autorità incaricate del bene comune.
1881
Ogni comunità si definisce in base al proprio fine e conseguentemente
obbedisce a regole specifiche; però “principio, soggetto e fine di
tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana ” [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 25].
1882
Certe società, quali la famiglia e la comunità civica, sono più
immediatamente rispondenti alla natura dell'uomo. Sono a lui necessarie.
Al fine di favorire la partecipazione del maggior numero possibile di
persone alla vita sociale, si deve incoraggiare la creazione di
associazioni e di istituzioni d'elezione “a scopi economici,
culturali, sociali, sportivi, ricreativi, professionali, politici, tanto
all'interno delle comunità politiche, quanto sul piano mondiale”
[Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra, 60]. Tale
“socializzazione” esprime parimenti la tendenza naturale che spinge
gli esseri umani ad associarsi, al fine di conseguire obiettivi che
superano le capacità individuali. Essa sviluppa le doti della persona,
in particolare, il suo spirito di iniziativa e il suo senso di
responsabilità. Concorre a tutelare i suoi diritti [Cf Conc. Ecum. Vat.
II, Gaudium et spes, 25; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus,
12].
1883
La socializzazione presenta anche dei pericoli. Un intervento troppo
spinto dello Stato può minacciare la libertà e l'iniziativa personali.
La dottrina della Chiesa ha elaborato il principio detto di sussidiarietà.
Secondo tale principio, “una società di ordine superiore non deve
interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore,
privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di
necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre
componenti sociali, in vista del bene comune” [Giovanni Paolo II,
Lett. enc. Centesimus annus, 48; cf Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo
anno].
1884
Dio non ha voluto riservare solo a sé l'esercizio di tutti i poteri.
Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di
esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo
di governare deve essere imitato nella vita sociale. Il comportamento di
Dio nel governo del mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per
la libertà umana, dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano
le comunità umane. Costoro devono comportarsi come ministri della
Provvidenza divina.
1885
Il principio di sussidiarietà si oppone a tutte le forme di
collettivismo. Esso precisa i limiti dell'intervento dello Stato. Mira
ad armonizzare i rapporti tra gli individui e le società. Tende ad
instaurare un autentico ordine internazionale.
II.
La conversione e la società
1886
La società è indispensabile alla realizzazione della vocazione umana.
Per raggiungere questo fine è necessario che sia rispettata la giusta
gerarchia dei valori che “subordini le dimensioni materiali e
istintive a quelle interiori e spirituali”: [Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Centesimus annus, 36]
La
convivenza umana deve essere considerata anzitutto come un fatto
spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero;
esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene
morale; e come nobile comune godimento del bello in tutte le sue
legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni
negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più
ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la
loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le
espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i
movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli
altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza
nel suo evolversi incessante [Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris,
35].
1887
Lo scambio dei mezzi con i fini, [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus, 41] che porta a dare valore di fine ultimo a ciò che
è soltanto un mezzo per concorrervi, oppure a considerare delle persone
come puri mezzi in vista di un fine, genera strutture ingiuste che
“rendono ardua e praticamente impossibile una condotta cristiana,
conforme ai comandamenti del Divino Legislatore” [Pio XII, discorso
del 1 giugno 1941].
1888
Occorre, quindi, far leva sulle capacità spirituali e morali della
persona e sull'esigenza permanente della sua conversione interiore, per
ottenere cambiamenti sociali che siano realmente a suo servizio. La
priorità riconosciuta alla conversione del cuore non elimina affatto,
anzi impone l'obbligo di apportare alle istituzioni e alle condizioni di
vita, quando esse provochino il peccato, i risanamenti opportuni, perché
si conformino alle norme della giustizia e favoriscano il bene anziché
ostacolarlo.
1889
Senza l'aiuto della grazia, gli uomini non saprebbero “scorgere il
sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza
che, illudendosi di combatterlo, lo aggrava”. E' il cammino della
carità, cioè dell'amore di Dio e del prossimo. La carità rappresenta
il più grande comandamento sociale. Essa rispetta gli altri e i loro
diritti. Esige la pratica della giustizia e sola ce ne rende capaci.
Essa ispira una vita che si fa dono di sé: “Chi cercherà di salvare
la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà” ( Lc
17,33 ).
In
sintesi
1890
Esiste una certa somiglianza tra l'unità delle persone divine e la
fraternità che gli uomini devono instaurare tra loro.
1891
Per svilupparsi in conformità alla propria natura, la persona umana ha
bisogno della vita sociale. Certe società, quali la famiglia e la
comunità civica, sono più immediatamente rispondenti alla natura
dell'uomo.
1892
“Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve
essere la persona umana” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 25].
1893
Si deve incoraggiare una larga partecipazione ad associazioni ed
istituzioni d'elezione.
1894
Secondo il principio di sussidiarietà, né lo Stato né alcuna società
più grande devono sostituirsi all'iniziativa e alla responsabilità
delle persone e dei corpi intermedi.
1895
La società deve agevolare l'esercizio delle virtù, non ostacolarlo.
Deve ispirarla una giusta gerarchia dei valori.
1896
Là dove il peccato perverte il clima sociale, occorre far appello alla
conversione dei cuori e alla grazia di Dio. La carità stimola a giuste
riforme. Non c'è soluzione alla questione sociale al di fuori del
Vangelo [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 3].
Articolo
2
LA PARTECIPAZIONE ALLA
VITA SOCIALE
I.
L'autorità
1897
“La convivenza fra gli esseri umani non può essere ordinata e feconda
se in essa non è presente un'autorità legittima che assicuri l'ordine
e contribuisca all'attuazione del bene comune in grado sufficiente”
[Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 46].
Si
chiama “autorità” il titolo in forza del quale delle persone o
delle istituzioni promulgano leggi e danno ordini a degli uomini e si
aspettano obbedienza da parte loro.
1898
Ogni comunità umana ha bisogno di una autorità che la regga [Cf Leone
XIII, Lett. enc. Immortale Dei; Id., Lett. enc. Diuturnum illud]. Tale
autorità trova il proprio fondamento nella natura umana. E' necessaria
all'unità della comunità civica. Suo compito è quello di assicurare,
per quanto possibile, il bene comune della società.
1899 L
'autorità, esigita dall'ordine morale, viene da Dio: “Ciascuno sia
sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non
da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone
all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si
oppongono si attireranno addosso la condanna” ( Rm 13,1-2 ) [Cf 1Pt
2,13-17 ].
1900
Il dovere di obbedienza impone a tutti di tributare all'autorità gli
onori che ad essa sono dovuti e di circondare di rispetto e, secondo il
loro merito, di gratitudine e benevolenza le persone che ne esercitano
l'ufficio.
Alla
penna del papa san Clemente di Roma è dovuta la più antica preghiera
della Chiesa per l'autorità politica: [Cf già 1Tm 2,1-2 ]
O
Signore, dona loro salute, pace, concordia, costanza, affinché possano
esercitare, senza ostacolo, il potere sovrano che loro hai conferito.
Sei Tu, o Signore, re celeste dei secoli, che doni ai figli degli uomini
la gloria, l'onore, il potere sulla terra. Perciò dirigi Tu, o Signore,
le loro decisioni a fare ciò che è bello e che ti è gradito; e così
possano esercitare il potere, che Tu hai loro conferito, con religiosità,
con pace, con clemenza, e siano degni della tua misericordia [San
Clemente di Roma, Epistula ad Corinthios, 61, 1-2].
1901
Se l'autorità rimanda ad un ordine prestabilito da Dio, “la
determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono
lasciate alla libera decisione dei cittadini” [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 74].
La
diversità dei regimi politici è moralmente ammissibile, purché essi
concorrano al bene legittimo delle comunità che li adottano. I regimi
la cui natura è contraria alla legge naturale, all'ordine pubblico e ai
fondamentali diritti delle persone, non possono realizzare il bene
comune delle nazioni alle quali essi si sono imposti.
1902 L
'autorità non trae da se stessa la propria legittimità morale. Non
deve comportarsi dispoticamente, ma operare per il bene comune come una
“forza morale che si appoggia sulla libertà e sulla coscienza del
dovere e del compito assunto”: [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
74]
La
legislazione umana non riveste il carattere di legge se non nella misura
in cui si conforma alla retta ragione; da ciò è evidente che essa trae
la sua forza dalla legge eterna. Nella misura in cui si allontanasse
dalla ragione, la si dovrebbe dichiarare ingiusta, perché non
realizzerebbe il concetto di legge: sarebbe piuttosto una forma di
violenza [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 93, 3, ad 2].
1903 L
'autorità è esercitata legittimamente soltanto se ricerca il bene
comune del gruppo considerato e se, per conseguirlo, usa mezzi
moralmente leciti. Se accade che i governanti emanino leggi ingiuste o
prendano misure contrarie all'ordine morale, tali disposizioni non sono
obbliganti per le coscienze. “In tal caso, anzi, chiaramente l'autorità
cessa di essere tale e degenera in sopruso” [Giovanni XXIII, Lett. enc.
Pacem in terris, 51].
1904
“E' preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da
altre sfere di competenza, che lo mantengano nel giusto limite. E'
questo, il principio dello "Stato di diritto", nel quale è
sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli uomini” [Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 44].
II.
Il bene comune
1905 In
conformità alla natura sociale dell'uomo, il bene di ciascuno è
necessariamente in rapporto con il bene comune. Questo non può essere
definito che in relazione alla persona umana:
Non
vivete isolati, ripiegandovi su voi stessi, come se già foste
confermati nella giustizia; invece riunitevi insieme, per ricercare ciò
che giova al bene di tutti [Lettera di Barnaba, 4, 10].
1906
Per bene comune si deve intendere “l'insieme di quelle condizioni
della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di
raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”
[Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 26; cf ibid. , 74]. Il bene
comune interessa la vita di tutti. Esige la prudenza da parte di
ciascuno e più ancora da parte di coloro che esercitano l'ufficio
dell'autorità. Esso comporta tre elementi essenziali:
1907 In
primo luogo, esso suppone il rispetto della persona in quanto tale. In
nome del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i
diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana. La società ha
il dovere di permettere a ciascuno dei suoi membri di realizzare la
propria vocazione. In particolare, il bene comune consiste nelle
condizioni d'esercizio delle libertà naturali che sono indispensabili
al pieno sviluppo della vocazione umana: tali il diritto “alla
possibilità di agire secondo il retto dettato della propria coscienza,
alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in
campo religioso” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 26].
1908 In
secondo luogo, il bene comune richiede il benessere sociale e lo
sviluppo del gruppo stesso. Lo sviluppo è la sintesi di tutti i doveri
sociali. Certo, spetta all'autorità farsi arbitra, in nome del bene
comune, fra i diversi interessi particolari. Essa però deve rendere
accessibile a ciascuno ciò di cui ha bisogno per condurre una vita
veramente umana: vitto, vestito, salute, lavoro, educazione e cultura,
informazione conveniente, diritto a fondare una famiglia, ecc [Cf ibid].
1909
Il bene comune implica infine la pace, cioè la stabilità e la
sicurezza di un ordine giusto. Suppone quindi che l'autorità
garantisca, con mezzi onesti, la sicurezza della società e quella dei
suoi membri. Esso fonda il diritto alla legittima difesa personale e
collettiva.
1910
Se ogni comunità umana possiede un bene comune che le consente di
riconoscersi come tale, è nella comunità politica che si trova la sua
realizzazione più completa. E' compito dello Stato difendere e
promuovere il bene comune della società civile, dei cittadini e dei
corpi intermedi.
1911
I legami di mutua dipendenza tra gli uomini s'intensificano. A poco a
poco si estendono a tutta la terra. L'unità della famiglia umana, la
quale riunisce esseri che godono di una eguale dignità naturale,
implica un bene comune universale. Questo richiede una organizzazione
della comunità delle nazioni capace di “provvedere ai diversi bisogni
degli uomini, tanto nel campo della vita sociale, cui appartengono
l'alimentazione, la salute, l'educazione..., quanto in alcune
circostanze particolari che sorgono qua e là, come possono essere... la
necessità di soccorrere le angustie dei profughi, o anche di aiutare
gli emigrati e le loro famiglie” [Cf ibid].
1912
Il bene comune è sempre orientato verso il progresso delle persone:
“Nell'ordinare le cose ci si deve adeguare all'ordine delle persone e
non il contrario” [Cf ibid]. Tale ordine ha come fondamento la verità,
si edifica nella giustizia, è vivificato dall'amore.
III.
Responsabilità e partecipazione
1913
La partecipazione è l'impegno volontario e generoso della persona negli
scambi sociali. E' necessario che tutti, ciascuno secondo il posto che
occupa e il ruolo che ricopre, partecipino a promuovere il bene comune.
Questo dovere è inerente alla dignità della persona umana.
1914
La partecipazione si realizza innanzitutto con il farsi carico dei
settori dei quali l'uomo si assume la responsabilità personale:
attraverso la premura con cui si dedica all'educazione della propria
famiglia, mediante la coscienza con cui attende al proprio lavoro, egli
partecipa al bene altrui e della società [Cf Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Centesimus annus, 43].
1915
I cittadini, per quanto è possibile, devono prendere parte attiva alla
vita pubblica. Le modalità di tale partecipazione possono variare da un
paese all'altro, da una cultura all'altra. “E' da lodarsi il modo di
agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è
fatta partecipe della gestione della cosa pubblica in un clima di vera
libertà” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 31].
1916
La partecipazione di tutti all'attuazione del bene comune implica, come
ogni dovere etico, una conversione incessantemente rinnovata dei partner
sociali. La frode e altri sotterfugi mediante i quali alcuni si
sottraggono alle imposizioni della legge e alle prescrizioni del dovere
sociale, vanno condannati con fermezza, perché incompatibili con le
esigenze della giustizia. Ci si deve occupare del progresso delle
istituzioni che servono a migliorare le condizioni di vita degli uomini
[Cf ibid., 30].
1917
Spetta a coloro che sono investiti di autorità consolidare i valori che
attirano la fiducia dei membri del gruppo e li stimolano a mettersi al
servizio dei loro simili. La partecipazione ha inizio dall'educazione e
dalla cultura. “Legittimamente si può pensare che il futuro
dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di
trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza”
[Cf ibid., 30].
In
sintesi
1918
“Non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite
da Dio” ( Rm 13,1 ).
1919
Ogni comunità umana ha bisogno di un'autorità per conservarsi e
svilupparsi.
1920
“La comunità politica e l'autorità pubblica hanno il loro fondamento
nella natura umana e perciò appartengono all'ordine stabilito da Dio”
[Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 74].
1921 L
'autorità è esercitata in modo legittimo se si dedica al conseguimento
del bene comune della società. Per raggiungerlo, deve usare mezzi
moralmente accettabili.
1922
La diversità dei regimi politici è legittima, a condizione che essi
concorrano al bene della comunità.
1923 L
'autorità politica deve essere esercitata entro i limiti dell'ordine
morale e garantire le condizioni d'esercizio della libertà.
1924
Il bene comune comprende “l'insieme di quelle condizioni della vita
sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere
la propria perfezione più pienamente e più speditamente” [Conc. Ecum.
Vat. II, Gaudium et spes, 74].
1925
Il bene comune comporta tre elementi essenziali: il rispetto e la
promozione dei diritti fondamentali della persona; la prosperità o lo
sviluppo dei beni spirituali e temporali della società; la pace e la
sicurezza del gruppo e dei suoi membri.
1926
La dignità della persona umana implica la ricerca del bene comune.
Ciascuno ha il dovere di adoperarsi per suscitare e sostenere
istituzioni che servano a migliorare le condizioni di vita degli uomini.
1927
E' compito dello Stato difendere e promuovere il bene comune della
società civile. Il bene comune dell'intera famiglia umana richiede una
organizzazione della società internazionale.
Articolo
3
LA GIUSTIZIA SOCIALE
1928
La società assicura la giustizia sociale allorché realizza le
condizioni che consentono alle associazioni e agli individui di
conseguire ciò a cui hanno diritto secondo la loro natura e la loro
vocazione. La giustizia sociale è connessa con il bene comune e con
l'esercizio dell'autorità.
I.
Il rispetto della persona umana
1929
La giustizia sociale non si può ottenere se non nel rispetto della
dignità trascendente dell'uomo. La persona rappresenta il fine ultimo
della società, la quale è ad essa ordinata:
La
difesa e la promozione della dignità della persona umana ci sono state
affidate dal Creatore; di essa sono rigorosamente e responsabilmente
debitori gli uomini e le donne in ogni congiuntura della storia
[Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 47].
1930 Il rispetto della
persona umana implica il rispetto dei diritti che scaturiscono dalla sua
dignità di creatura. Questi diritti sono anteriori alla società e ad
essa si impongono. Essi sono il fondamento della legittimità morale di
ogni autorità: una società che li irrida o rifiuti di riconoscerli
nella propria legislazione positiva, mina la propria legittimità morale
[Cf Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 65]. Se manca tale
rispetto, un'autorità non può che appoggiarsi sulla forza o sulla
violenza per ottenere l'obbedienza dei propri sudditi. E' compito della
Chiesa richiamare alla memoria degli uomini di buona volontà questi
diritti e distinguerli dalle rivendicazioni abusive o false.
1931
Il rispetto della persona umana non può assolutamente prescindere dal
rispetto di questo principio: “I singoli” devono “considerare il
prossimo, nessuno eccettuato, come "un altro se stesso",
tenendo conto della sua vita e dei mezzi necessari per viverla
degnamente” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 27]. Nessuna
legislazione sarebbe in grado, da se stessa, di dissipare i timori, i
pregiudizi, le tendenze all'orgoglio e all'egoismo, che ostacolano
l'instaurarsi di società veramente fraterne. Simili comportamenti si
superano solo con la carità, la quale vede in ogni uomo un
“prossimo”, un fratello.
1932
Il dovere di farsi il prossimo degli altri e di servirli attivamente
diventa ancor più urgente quando costoro sono particolarmente
bisognosi, sotto qualsiasi aspetto. “Ogni volta che avete fatto queste
cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a
me” ( Mt 25,40 ).
1933
Questo stesso dovere comprende anche coloro che pensano o operano
diversamente da noi. L'insegnamento di Cristo arriva fino a chiedere il
perdono delle offese. Estende il comandamento dell'amore, che è quello
della legge nuova, a tutti i nemici [Cf Mt 5,43-44 ]. La liberazione
nello spirito del Vangelo è incompatibile con l'odio del nemico in
quanto persona, ma non con l'odio del male che egli compie in quanto
nemico.
II.
Uguaglianza e differenze tra gli uomini
1934
Tutti gli uomini, creati ad immagine dell'unico Dio e dotati di una
medesima anima razionale, hanno la stessa natura e la stessa origine.
Redenti dal sacrificio di Cristo, tutti sono chiamati a partecipare alla
medesima beatitudine divina: tutti, quindi, godono di una eguale dignità.
1935 L
'uguaglianza tra gli uomini poggia essenzialmente sulla loro dignità
personale e sui diritti che ne derivano:
Ogni
genere di discriminazione nei diritti fondamentali della persona. . . in
ragione del sesso, della stirpe, del colore, della condizione sociale,
della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato, come
contrario al disegno di Dio [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 29].
1936 L
'uomo, venendo al mondo, non dispone di tutto ciò che è necessario
allo sviluppo della propria vita, corporale e spirituale. Ha bisogno
degli altri. Si notano differenze legate all'età, alle capacità
fisiche, alle attitudini intellettuali o morali, agli scambi di cui
ciascuno ha potuto beneficiare, alla distribuzione delle ricchezze [Cf
ibid]. I “talenti” non sono distribuiti in misura eguale [Cf Mt
25,14-30; 1936 Lc 19,11-27 ].
1937
Tali differenze rientrano nel piano di Dio, il quale vuole che ciascuno
riceva dagli altri ciò di cui ha bisogno, e che coloro che hanno
“talenti” particolari ne comunichino i benefici a coloro che ne
hanno bisogno. Le differenze incoraggiano e spesso obbligano le persone
alla magnanimità, alla benevolenza e alla condivisione; spingono le
culture a mutui arricchimenti:
Io
distribuisco le virtù tanto differentemente, che non do tutto ad
ognuno, ma a chi l'una a chi l'altra ... A chi darò principalmente la
carità, a chi la giustizia, a chi l'umiltà, a chi una fede viva... E
così ho dato molti doni e grazie di virtù, spirituali e temporali, con
tale diversità, che non tutto ho comunicato ad una sola persona,
affinché voi foste costretti ad usare carità l'uno con l'altro... Io
volli che l'uno avesse bisogno dell'altro e tutti fossero miei ministri
nel dispensare le grazie e i doni da me ricevuti [Santa Caterina da
Siena, Dialoghi, 1, 7].
1938
Esistono anche delle disuguaglianze inique che colpiscono milioni di
uomini e di donne. Esse sono in aperto contrasto con il Vangelo:
L'eguale
dignità delle persone richiede che si giunga ad una condizione più
umana e giusta della vita. Infatti le troppe disuguaglianze economiche e
sociali, tra membri e tra popoli dell'unica famiglia umana, suscitano
scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale, all'equità, alla
dignità della persona umana, nonché alla pace sociale ed
internazionale [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 29].
III.
La solidarietà umana
1939
Il principio di solidarietà, designato pure con il nome di
“amicizia” o di “carità sociale”, è una esigenza diretta della
fraternità umana e cristiana: [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Sollicitudo rei socialis, 38-40; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 10]
un errore
oggi
largamente diffuso, è la dimenticanza della legge della solidarietà
umana e della carità, legge dettata e imposta tanto dalla comunità di
origine e dall'uguaglianza della natura ragionevole, propria di tutti
gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano, quanto dal sacrificio
offerto da Gesù Cristo sull'altare della croce, al Padre suo celeste,
in favore dell'umanità peccatrice [Pio XII, Lett. enc. Summi
pontificatus].
1940
La solidarietà si esprime innanzitutto nella ripartizione dei beni e
nella remunerazione del lavoro. Suppone anche l'impegno per un ordine
sociale più giusto, nel quale le tensioni potrebbero essere meglio
riassorbite e i conflitti troverebbero più facilmente la loro soluzione
negoziata.
1941
I problemi socio-economici non possono essere risolti che mediante il
concorso di tutte le forme di solidarietà: solidarietà dei poveri tra
loro, dei ricchi e dei poveri, dei lavoratori tra loro, degli
imprenditori e dei dipendenti nell'impresa, solidarietà tra le nazioni
e tra i popoli. La solidarietà internazionale è un'esigenza di ordine
morale. La pace del mondo dipende in parte da essa.
1942
La virtù della solidarietà oltrepassa l'ambito dei beni materiali.
Diffondendo i beni spirituali della fede,
la Chiesa
ha, per di più, favorito lo sviluppo del benessere temporale, al quale
spesso ha aperto vie nuove. Così, nel corso dei secoli, si è
realizzata la parola del Signore: “Cercate prima il Regno di Dio e la
sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” ( Mt
6,33 ):
Da
duemila anni, vive e vigoreggia nell'anima della Chiesa quel sentimento
che ha spinto ed ancora spinge fino all'eroismo della carità i monaci
agricoltori, i liberatori degli schiavi, coloro che curano gli ammalati,
coloro che portano il messaggio della fede, della civiltà, della
cultura a tutte le generazioni e a tutti i popoli, al fine di creare
condizioni sociali tali da rendere possibile per tutti una vita degna
dell'uomo e del cristiano [Pio XII, discorso del 1 giugno 1941].
In
sintesi
1943
La società assicura la giustizia sociale realizzando le condizioni che
permettono alle associazioni e agli individui di ottenere ciò a cui
hanno diritto.
1944
Il rispetto della persona umana conduce a considerare l'altro come “un
altro se stesso”. Esso comporta il rispetto dei diritti fondamentali
che derivano dall'intrinseca dignità della persona.
1945 L
'uguaglianza tra gli uomini si fonda sulla loro dignità personale e sui
diritti che da essa derivano.
1946
Le differenze tra le persone rientrano nel disegno di Dio, il quale
vuole che noi abbiamo bisogno gli uni degli altri. Esse devono spronare
alla carità.
1947 L
'eguale dignità delle persone umane richiede l'impegno per ridurre le
disuguaglianze sociali ed economiche eccessive. Essa spinge ad eliminare
le disuguaglianze inique.
1948 La solidarietà è una
virtù eminentemente cristiana. Essa attua la condivisione dei beni
spirituali ancor più che di quelli materiali.
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