Humani
generis Redemptionem
Lettera enciclica
sulla
predicazione della parola di Dio
Ai
Venerabili Fratelli
Patriarchi,
Primati, Arcivescovi e Vescovi
ed
altri Ordinarii locali
aventi
pace e comunione con la Sede Apostolica
Venerabili Fratelli, salute ed Apostolica
Benedizione.
I. L'annuncio della Parola
La predicazione prosegue l'opera della redenzione
Avendo Gesù Cristo nostro Signore col morire
sull'altare della Croce compiuta la Redenzione del genere umano, e
volendo indurre gli uomini mercè l'osservanza de' suoi
comandamenti a guadagnarsi la vita eterna, non ricorse ad altro
mezzo che alla voce de' suoi predicatori, commettendo loro di
annunziare al mondo le cose necessarie a credere o ad operare per
la salute. " Piacque a Dio di salvare i credenti per mezzo
della stoltezza della predicazione " (1 Cor 1,21). Elesse
egli quindi gli apostoli, ed avendo loro infusi con lo Spirito
Santo i doni appropriati a sì alto ufficio: " Andate "
- disse - " per tutto il mondo e predicate l'Evangelio "
(Mc 16,15). Ed è questa predicazione appunto che rinnovò la
faccia della terra. Poiché se la Fede cristiana convertì le
menti degli uomini da molteplici errori alla conoscenza della
verità, e le anime loro dall'indegnità dei vizi all'eccellenza
di ogni virtù, non per altra via le convertì se non per via
della predicazione: " La Fede dall'udito, l'udito poi per la
parola di Cristo " (Rm 10,17). Laonde, siccome per divina
disposizione, sogliono le cose conservarsi per quelle medesime
cause che le hanno generate, egli è manifestato essere legge
divina che l'opera dell'eterna salute si continui per la
predicazione della cristiana sapienza; a buon diritto venir questa
annoverata tra le cose di suprema importanza, e meritare perciò
tutte le nostre cure e sollecitudini, massime se ci fosse ragion
di credere ch'ella, perdendo in efficacia, fosse in qualche modo
venuta meno alla sua nativa integrità.
Ed è questo appunto che s'aggiunge ai tanti mali,
che Noi sopra ogni altro affliggono in questi miseri tempi. Se
miriamo quanti sono coloro che attendono alla predicazione, li
ritroviamo in sì gran numero che forse mai non fu il maggiore. Ma
se al tempo stesso consideriamo a che sono ridotti i costumi
pubblici e privati e le leggi onde si reggono i popoli, vediamo
crescere ogni giorno il disprezzo e la dimenticanza d'ogni
concetto soprannaturale; vediamo illanguidire il vigore severo
della virtù cristiana, con obbrobrioso e rapido ritorno
all'indegnità della vita pagana.
Di tanti mali molte certamente e varie sono le
cagioni: non si può negare però che purtroppo insufficiente sia
il rimedio che i ministri della divina parola vi dovrebbero
apportare. Forse che la parola di Dio non è più quella che
l'Apostolo chiamava viva ed efficace e penetrante più d'una spada
a due tagli? Forse col tempo e coll'uso la spada s'è spuntata?
Certo ella è colpa dei ministri, che non sanno maneggiarla,
s'essa perde spesso della sua forza. Né davvero si può dire che
gli Apostoli incontrassero tempi migliori dei nostri, come se
allora il mondo fosse più docile al Vangelo o meno riottoso alla
legge di Dio.
Gli è perciò che conscii del dovere che l'ufficio
apostolico c'impone e mossi dall'esempio dei due nostri immediati
Predecessori, abbiamo creduto, in un affare di tanta importanza,
di dover porre ogni diligenza per chiamare la predicazione della
divina parola alla norma data da Cristo e dalle leggi
ecclesiastiche.
II. Cause di inefficacia
Non si deve predicare senza mandato
Nel che, o Venerabili Fratelli, importa ricercare
anzitutto quali siano le cagioni che fanno tralignare dalla retta
via. Ora siffatte cagioni possono ridursi a tre: o perché viene
commessa la predicazione a chi non si dovrebbe; o perché non ci
si apporta la dovuta intenzione; o ancora non si predica nel modo
che si conviene.
Infatti, secondo che insegna il Concilio di Trento,
l'ufficio di predicare spetta ai Vescovi principalmente. E gli
Apostoli, ai quali succedettero i Vescovi, quello soprattutto
ritennero che loro appartenesse. Così Paolo: " Non mi ha
mandato Cristo a battezzare, ma a predicare il Vangelo " (1
Cor 1,17). E gli altri Apostoli similmente: " Non è giusto
che noi tralasciamo la parola di Dio per servire alle mense "
(At 6,2).
Però sebbene quest'ufficio appartenga ai Vescovi
in proprio, tuttavia essendo essi occupati da molti altri pensieri
nel governo delle loro Chiese, né potendo perciò sempre né in
ogni caso adempirlo di per sé, è necessario che vi
soddisfacciano anche per mezzo di altri. Laonde chiunque, oltre i
Vescovi, esercita quest'ufficio, lo esercita senza dubbio come un
incarico episcopale. Questo adunque rimanga anzitutto bene
stabilito: a nessuno essere lecito d'intraprendere da sé
l'ufficio di predicare, essere anzi a ciò necessaria la legittima
missione, che nessuno può dare, dal Vescovo in fuori: "
Quomodo praedicabunt nisi mittantur? Come predicheranno se non
sono mandati? " (Rm 10,15). Quindi mandati furono gli
Apostoli, e mandati da Colui che è Pastore supremo e Vescovo
delle anime nostre (cf 1 Pt 2,25), mandati i settantadue
discepoli; e lo stesso Paolo, quantunque costituito già da Cristo
vaso di elezione per portare il nome di lui dinanzi alle genti ed
ai re (cf At 9,15), non iniziò il suo apostolato fino a quando i
seniori, ubbidendo al comando dello Spirito Santo: "
Mettetemi da parte Saulo per l'impresa " (del Vangelo) (At
13,2), impostegli le mani, non lo licenziarono. La qual cosa nei
primi tempi della Chiesa fu consuetudine costante. Tanto che
tutti, anche i più insigni nel semplice ordine sacerdotale, come
Origene, e quelli che dappoi furono innalzati alla dignità
episcopale, come Cirillo di Gerusalemme e gli altri antichi
Dottori della Chiesa, tutti, autorizzati ciascuno dal proprio
vescovo, intrapresero l'opera della predicazione.
Oggi all'incontro, o Venerabili Fratelli, si
direbbe sia invalsa un'usanza ben differente. Non sono rari, tra i
sacri oratori, tali di cui si potrebbe ripetere con verità quello
onde si lagna Iddio presso Geremia: " Io non li avevo mandati
quei profeti, eppure correvano da sé " (Ger 23,21). Basta
infatti che alcuno o per naturale inclinazione o per altro motivo
qualunque s'invogli di darsi al ministero della parola, perché
facilmente gli si apra l'accesso al pergamo, quasi palestra da
esercitarvisi ognuno a suo talento. Tocca dunque a voi, o
Venerabili Fratelli, riparare a tanto disordine; e poiché ben
sapete come dovrete un giorno rendere conto a Dio ed alla Chiesa
del pascolo che avrete fornito alle vostre greggi, non vogliate
permettere che alcuno, senza il vostro consenso, s'introduca
nell'ovile e quivi a suo piacimento pasca le pecorelle di Cristo.
Nessuno pertanto nelle vostre diocesi d'ora innanzi dovrà
predicare se non sia stato da voi stessi chiamato ed approvato.
Vorremmo perciò, su questo proposito, che con ogni
vigilanza consideriate a quali persone affidate incarico così
santo e rilevante. Il decreto del Concilio Tridentino infatti
questo solo permette ai Vescovi, che scelgano uomini idonei, cioè
dire che siano capaci di adempiere salutarmente il dovere della
predicazione. Salutarmente, dice - notate bene la parola che
esprime la norma in questo affare - non dice con eloquenza, non già
con plauso degli uditori, ma con frutto delle anime, che è il
fine proprio del ministero della divina parola. Che se desiderate
intendere da Noi anche più precisamente quali veramente si
debbano reputare idonei, diremo senz'altro che sono quelli appunto
ne' quali riscontrate i segni della vocazione divina. Imperocché
quei requisiti stessi che si domandano acciocché alcuno sia
ammesso al sacerdozio: " Nessuno si appropria da sé tale
onore ma chi è chiamato da Dio " (Eb 5,4), sono pure
necessari perché egli sia giudicato atto alla predicazione.
Chi può essere ammesso a predicare
Vocazione questa non difficile ad intendere. Poiché
allorquando Cristo, Maestro e Signor nostro, stava per salire al
cielo, non disse già agli Apostoli che, spargendosi pel mondo,
subito principiassero a predicare, ma " trattenetevi in città
sino a tanto che siate rivestiti di virtù dall'alto " (Lc
24,4). Sicché questo è l'indizio d'essere alcuno da Dio chiamato
a tale ufficio, s'egli sia dall'alto rivestito di virtù. Il che
come sia, Venerabili Fratelli, lo possiamo raccogliere
dall'esempio degli Apostoli, tostoché ricevettero virtù dal
cielo. Era su di loro disceso appena lo Spirito Santo, che
lasciando stare i mirabili carismi loro conferiti essi, di rozzi e
fiacchi uomini che erano, ad un tratto diventarono dotti e
perfetti. Così se un sacerdote sia fornito di conveniente
dottrina e di virtù purché egli abbia tanto in doni di natura da
non tentare Iddio giustamente si potrà giudicarlo chiamato al
ministero della predicazione, né vi sarà ragione che il Vescovo
non lo possa ammettere. Ed è quello stesso che intende il
Concilio di Trento, quando stabilisce che il Vescovo non permetta
di predicare ad alcuno che non sia ben provato per costumi e per
dottrina. E' quindi dovere del Vescovo assicurarsi per via di
lunga ed accurata esperienza quanta sia la scienza e la virtù di
coloro, ch'egli pensa d'incaricare dell'ufficio di predicare. E
s'egli in ciò si dimostrasse troppo facile e trascurato,
mancherebbe ad un suo gravissimo dovere, e sul suo capo ricadrebbe
la colpa e degli errori profferiti dal predicatore ignorante e
dello scandalo e mal esempio del malvagio.
Ma per facilitarvi l'adempimento dell'obbligo
vostro in questo genere, o Venerabili Fratelli, ordiniamo che
d'ora innanzi tutti coloro che domandano la facoltà di predicare
abbiano a sostenere un doppio e severo giudizio, dei costumi e
della scienza loro, così appunto come si suole per la facoltà di
ascoltare le confessioni. E chiunque o per l'uno o per l'altro
conto sia ritrovato manchevole, senza nessun riguardo, come inetto
venga escluso da tale ufficio. Lo esige la dignità vostra, perché,
come abbiamo detto, i predicatori fanno le vostre veci: lo esige
il bene della santa Chiesa, nella quale, se altri mai dev'essere
sale della terra e luce del mondo, ciò spetta a colui che è
occupato nel ministero della parola (Mt 5,13.14).
Il fine e le forme della predicazione
Ben considerate queste cose, può sembrare
superfluo il procedere a spiegare qual debba essere il fine e il
modo della sacra predicazione. Giacché ove la scelta dei sacri
oratori si faccia secondo la mentovata regola, che dubbio c'è che
quelli, i quali sono adorni delle richieste qualità, si
proporranno nel predicare una degna causa e si atterranno a una
degna maniera? Tuttavia giova lumeggiare questi due capi, affinché
tanto meglio apparisca perché mai talvolta venga a mancare in
alcuni l'ideale del buon predicatore.
Che cosa i predicatori nell'adempiere al loro
ufficio abbiano da avere innanzi agli occhi, si rileva da questo,
che essi possono e debbono dire di sé quel di San Paolo: "
Facciamo le veci di ambasciatori per Cristo " (2 Cor 5,20).
Se dunque sono ambasciatori di Cristo, nel compiere la loro
ambasceria debbono volere quello stesso che Cristo intese nel
darla loro: anzi quello che egli stesso si propose, mentre visse
sulla terra. Giacché gli Apostoli, e dopo gli Apostoli i
predicatori, non ebbero missione diversa da quella di Cristo:
" Come mandò me il Padre, anch'io mando voi " (Gv
20,21). E sappiamo per che cosa Cristo discese dal cielo, avendo
egli apertamente dichiarato: " Io a questo fine son venuto
nel mondo, di rendere testimonianza alla verità " (Gv
18,37). " Io son venuto perché abbiano vita " (Gv
10,10).
Quelli dunque che esercitano la sacra predicazione
debbono mirare all'una e all'altra cosa, cioè a diffondere la
verità da Dio rivelata, e a destare ed alimentare la vita
soprannaturale in coloro che li ascoltano; in una parola, a
promuovere la gloria di Dio, coll'attendere alla salute delle
anime. Laonde, come a torto si direbbe medico chi non esercitò la
medicina, o maestro di un'arte qualsiasi chi quell'arte non
insegni, così chi predicando non si cura di condurre gli uomini a
una più piena cognizione di Dio e sulla via dell'eterna salute,
potremo dirlo un vano declamatore, non un predicatore evangelico.
E così non ve ne fossero di siffatti declamatori!
Intenzioni dei falsi predicatori
E che cosa è poi quello da cui si lasciano
soprattutto trasportare? Alcuni dalla cupidigia della gloria
umana, per soddisfare alla quale " si studiano di dir cose più
alte che adatte, ingenerando nelle deboli intelligenze stupore di
sé, non operando la loro salute. Si vergognano di dir cose umili
e piane, per non sembrar di saper solo queste... Si vergognano di
allattare i pargoli ". E mentre il Signore Gesù dall'umiltà
degli uditori voleva s'intendesse essere egli colui che si
aspettava: " Si annunzia ai poveri il Vangelo " (Mt
2,5), quanto non brigano costoro per acquistarsi rinomanza dalla
predicazione nelle grandi città e sui pulpiti primarii? E poiché
nelle cose rivelate da Dio ve n'ha di quelle che spaventano la
debolezza della corrotta natura umana, e che per ciò non sono
adatte ad adunare moltitudini, da esse cautamente si astengono e
prendono a trattare argomenti ne' quali, salvo la natura del
luogo, niente v'ha di sacro. E non raro avviene, che nel trattar
di verità eterne discendono alla politica, massime se qualche
cosa di questo genere occupi fortemente gli animi degli uditori.
Questo solo sembra essere il loro studio, di piacere agli uditori
e imitar quelli che San Paolo dice lusingatori delle orecchie (2
Tm 9,3). Di qui quel gesto non pacato e grave, ma da scena e da
comizio; di qui quelle patetiche modulazioni di voci o tragiche
impetuosità; di qui quel modo di parlare proprio dei giornali; di
qui quella copia di sentenze attinte dagli scrittori empii ed
acattolici, non dalle divine Lettere né dai Santi Padri; di qui
finalmente quella vertiginosità di parola che nei più d'essi si
riscontra e che serve sì a ottundere le orecchie e a far stupire
gli uditori, ma che non reca ad essi niente di buono da riportare
a casa. Ora è incredibile di che inganno siano vittime cotali
predicatori. Conseguano pure quel plauso degli stolti che essi
cercano con tanta fatica e non senza profanazione: ma vale la
spesa, quando con ciò essi vanno incontro al biasimo degli uomini
savii, e, quel che è peggio, al tremendo giudizio severissimo di
Cristo?
Se non che, Venerabili Fratelli, non tutti i
predicatori che si allontanano dalle buone regole cercano, nel
predicare, unicamente gli applausi. Il più delle volte quelli che
si procurano siffatte manifestazioni lo fanno per giovarsene ad
altro scopo anche meno onesto. Giacché dimenticando il detto di
San Gregorio: " Il sacerdote non predica per mangiare, ma
perciò deve mangiare perché predichi ", non sono rari
coloro i quali, sentendo di non esser fatti per altri uffici, dove
vivere con decoro, si sono dati alla predicazione, non per
esercitare debitamente questo santissimo ministero, ma per fare i
loro interessi. Vediamo quindi tutte le sollecitudini di costoro
essere volte non a cercare dove si possa sperare un maggior frutto
nelle anime, ma dove predicando v'è da guadagnare di più.
Ora da uomini siffatti non potendosi aspettar altro
che danno e disonore per la Chiesa, dovete, Venerabili Fratelli,
vigilare con ogni diligenza affinché, scoprendo qualcuno che
faccia servire la predicazione alla sua vanità o all'interesse,
lo rimoviate senza indugio dall'ufficio di predicare. Giacché chi
non si perita di profanare cosa sì santa, non avrà certo ritegno
di discendere ad ogni bassezza, spargendo una macchia d'ignominia
non solo sopra di sé, ma anche sullo stesso sacro ministero, che
così indegnamente egli compie.
E dovrà usarsi la stessa severità contro coloro
che non predicano come si deve, per aver trascurati i necessarii
requisiti a compiere bene questo ministero. E quali siano questi,
lo insegna coll'esempio suo colui che dalla Chiesa fu denominato
il Predicatore della verità, Paolo Apostolo; ed oh se, per
beneficio di Dio, avessimo molto maggior numero di predicatori
simili a lui!
III. Condizioni per predicare
La scienza necessaria
La prima cosa dunque che apprendiamo da San Paolo
si è con che preparazione e dottrina egli intraprese a predicare.
Né qui intendiamo degli studii ai quali egli aveva diligentemente
atteso sotto il magistero di Gamaliele. Giacché la scienza in lui
infusa per rivelazione, oscurava e quasi sopraffaceva quella che
egli da sé si era procacciata: benché anche questa non gli giovò
poco, come dalle sue Lettere si ricava. La scienza è affatto
necessaria al predicatore, come dicemmo; della cui luce chi è
privo facilmente erra, secondo la verissima sentenza del Concilio
Lateranense IV: " L'ignoranza è la madre di tutti gli errori
". Tuttavia ciò non vuole intendersi di qualsiasi scienza,
ma di quella che è propria del sacerdote e che si restringe, per
dir tutto in poco, alla cognizione di sé, di Dio e dei doveri: di
sé, diciamo, perché ognuno metta da parte i propri vantaggi; di
Dio, perché conduca tutti a conoscerlo e ad amarlo; dei doveri,
perché li osservi e insegni ad osservarli. La scienze delle altre
cose, se manchi questa, gonfia e nulla giova.
Disponibilità senza condizioni
Ma vediamo qual fu nell'Apostolo la preparazione
interiore. Nel che tre cose debbono massimamente tenersi sotto gli
occhi. La prima, che San Paolo si abbandonò tutto alla divina
volontà. Non appena infatti, mentr'era in cammino verso Damasco,
fu tocco dalla virtù del Signore Gesù, egli proruppe in quella
esclamazione, degna d'un Apostolo: " Signore, che vuoi tu che
io faccia? " (At 9,6). Per amor di Cristo, cominciò subito
ad essergli indifferente, come gli fu poi sempre in appresso, il
lavorare e il riposare, la penuria e l'abbondanza, la lode e il
disprezzo, il vivere e il morire. Non è da dubitare che perciò
egli profittasse tanto nell'apostolato, perché si sottomise con
pieno ossequio alla volontà di Dio. Al modo stesso quindi innanzi
tutto serva a Dio ogni predicatore che s'affatica alla salute
delle anime: in maniera che non si dia alcun pensiero degli
uditori, del successo, dei frutti, che sarà per avere: che
cerchi, infine, non sé, ma Dio solo.
Questo studio poi così grande di prestare ossequio
a Dio richiede un animo sì disposto a patire, che non si
sottragga a nessuna fatica o incommodo. La qual cosa in Paolo fu
insigne. Giacché avendo il Signore detto di lui: " Io gli
farò vedere quanto debba egli patire per il nome mio " (At
9,16), egli da allora abbracciò tutti i travagli sì
volenterosamente da scrivere: " Sono inondato dall'allegrezza
in mezzo a tutte le nostre tribolazioni " (2 Cor 7,4). Ora
questa tolleranza della fatica se nel predicatore sia segnalata,
purificandolo da quel che in lui v'è di umano, e conciliandogli
la grazia di Dio necessaria per far frutto, è incredibile quanto
renda commendevole la sua opera agli occhi del popolo cristiano.
Al contrario poco riescono a muover gli animi, quelli che dovunque
vanno, cercano comodità più del giusto, e fuori delle loro
prediche, non toccano quasi altro del sacro ministero; sì da
apparire che essi badino più alla propria sanità, che al
vantaggio delle anime.
In terzo luogo finalmente dall'Apostolo s'impara
che al predicatore è necessario quello che si dice lo spirito di
orazione: egli infatti come prima fu chiamato all'apostolato,
cominciò a pregar Dio: " Ei già fa orazione " (At
9,11). E la ragione è perché non coll'abbondanza del dire, né
col discutere sottilmente o col caldamente perorare si ottiene la
salute delle anime: un predicatore che si fermi qui non è altro
che " un bronzo sonante o un cembalo squillante " (1 Cor
13,1). Ciò che dà vigore alle parole dell'uomo e le fa
mirabilmente efficaci a salute, è la divina grazia: " Dio
diede il crescere " (1 Cor 3,6). Or la grazia di Dio non si
ottiene con lo studio e coll'arte, ma s'impetra con la preghiera.
Onde chi poco o niente è dedito all'orazione, indarno spende la
sua opera e la sua diligenza nella predicazione, perché innanzi a
Dio non caverà nessun profitto né per sé né per gli uditori.
Dottrina e pietà
Pertanto, a restringere in poco quanto siamo venuti
dicendo fin qui, ci serviamo di queste parole di San Pietro
Damiano: " Al predicatore due cose sono sommamente
necessarie, cioè dire, che sovrabbondi di sentenze della dottrina
sacra e fiammeggi dello splendore di religiosa vita. Che dove un
sacerdote non riesca ad unire in sé le due cose, di guisa che sia
esemplare di vita e copioso dei doni di dottrina, è meglio senza
dubbio la vita che la dottrina... Più vale la chiarezza della
vita per l'esempio, che l'eloquenza e l'accurata eleganza dei
discorsi... E' necessario che il sacerdote, che esercita l'ufficio
della predicazione, versi piogge di dottrina spirituale ed irraggi
lume di vita religiosa: a maniera di quell'Angelo, il quale
annunziando ai pastori il nato Signore, balenò d'uno splendore di
chiarezza, ed espresse con parole ciò che era venuto ad
evangelizzare ".
Predicare tutta la verità e tutti i precetti
Ma per ritornare a San Paolo, se esaminiamo di
quali cose fosse solito trattare predicando, egli compendia tutto
così: " Non mi credetti di sapere altra cosa tra di noi, se
non Gesù Cristo, e questo crocifisso " (1 Cor 2,2). Fare che
gli uomini conoscessero sempre più Gesù Cristo, e d'una
cognizione che giovasse a vivere e non a credere soltanto, ecco
quello a che egli s'affaticò con tutto il vigore del suo petto. E
però predicava tutti i dommi o precetti di Cristo anche i più
severi senza nessuna reticenza o temperamento, intorno all'umiltà,
all'annegazione di sé, alla castità, al disprezzo delle cose
terrene, all'obbedienza, al perdono dei nemici o simili. Né
mostrava alcuna timidezza nel proclamare: che si scelga tra Dio e
Belial, perché non si può servire ad entrambi; che tutti, appena
escono di questa vita, hanno a presentarsi a un tremendo giudizio;
che con Dio non c'è luogo a transazioni; che o è da sperare la
vita eterna, se si osserva tutta la legge, o, se per secondare le
passioni si trascura il dovere, è da aspettarsi il fuoco eterno.
Né mai il Predicatore della verità stimò di astenersi da
siffatti argomenti per la ragione che, data la corruzione dei
tempi, sembrassero troppo duri a coloro ai quali parlava.
Apparisce chiaro dunque come non siano da approvare quei
predicatori, che non osano toccare certi capi di dottrina
cristiana, per non riuscir molesti all'uditorio. Forse che il
medico darà rimedii inutili all'infermo, se questi per caso
abborrisca dagli utili? E poi qui si parrà la virtù e l'abilità
dell'oratore, se egli le cose ingrate avrà col suo dire rese
grate.
Non serve la sapienza del mondo
Gli argomenti poi che aveva preso a trattare in che
modo l'Apostolo li esponeva? " Non nelle persuasive
dell'umana sapienza " (1 Cor 2,4). Quanto importa, Venerabili
Fratelli, che ciò sia da tutti sommamente ritenuto, mentre
vediamo non pochi oratori sacri che predicano mettendo da parte la
Sacra Scrittura, i Padri e i Dottori della Chiesa e gli argomenti
della sacra teologia, e non parlano se non quasi solo il
linguaggio della ragione. Ed è, senza dubbio, uno sbaglio: giacché
nell'ordine soprannaturale non si riesce a nulla coi soli
amminicoli umani. - Ma si oppone: al predicatore il quale si fondi
troppo sulle verità rivelate, non si presta fede. - E' proprio
vero? Ammettiamo pure che ciò avvenga presso gli acattolici:
sebbene, quando i Greci cercavano la sapienza, s'intende, di
questo mondo, l'Apostolo predicava Gesù Crocifisso. Ma, se
volgiamo gli occhi alle popolazioni cattoliche, in esse coloro che
sono alieni da noi, ritengono per lo più la radice della Fede: le
menti infatti sono accecate perché son corrotti gli animi.
Finalmente con quale spirito predicava San Paolo?
Non per piacere agli uomini, ma a Cristo: " Se piacessi agli
uomini, non sarei servo di Cristo " (Gal 1,10). Con un'anima
tutt'accesa della carità di Cristo, non altro cercava se non la
gloria di Cristo. O se quanti s'affaticano nel ministero della
parola, amassero tutti davvero Gesù Cristo, e potessero far
proprie l'espressioni di San Paolo: " Per causa di cui (Gesù
Cristo) ho giudicato un discapito tutte le cose " (Fil 3,8);
e " Il mio vivere è Cristo " (Fil 3,8). Tanto quelli
che ardono d'amore, sanno infiammare gli altri. Onde San Bernardo
così ammonisce il predicatore: " Se tu bene intendi, cerca
d'esser conca e non canale ";
cioè di quel che dici sii pieno tu stesso, e non ti basti
solo trasfonderlo negli altri. " Ma - come lo stesso Dottore
soggiunge - oggi nella Chiesa abbiamo molti canali e pochissime
conche ".
Affinché ciò non accada in avvenire, dobbiamo
rivolgere tutti i nostri sforzi, o Venerabili Fratelli: a noi
spetta, respingendo gl'indegni, e incoraggiando, formando,
guidando gl'idonei, fare che di predicatori, secondo il cuore di
Dio, ne sorgano quanti più si può.
Pieghi poi lo sguardo sul suo gregge il
misericordioso Pastore eterno, Gesù Cristo, anche per le
preghiere della Vergine Santissima, Madre augusta dello stesso
Verbo incarnato e Regina degli Apostoli; e rinfocolando lo spirito
dell'apostolato nel Clero, faccia che siano numerosi quelli che
cerchino " di comparir degni d'approvazione davanti a Dio,
operai non mai svergognati, che rettamente maneggino la parola di
verità " (2 Tm 2,15).
Auspice dei doni divini e in attestato della nostra
benevolenza, a voi, o Venerabili Fratelli, e al vostro Clero e
popolo impartiamo con ogni affetto l'Apostolica Benedizione.
Dato a Roma presso San Pietro, il 15 giugno, festa
del Sacratissimo Cuore di Gesù, dell'anno 1917, terzo del nostro
Pontificato.
BENEDICTUS PP. XV
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