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Capitolo XVI
SOLTANTO
IN DIO VA CERCATA LA VERA CONSOLAZIONE
- Qualunque cosa io possa immaginare e desiderare per mia
consolazione, non l'aspetto qui, ora, ma in futuro. Ché, pure se io
potessi avere e godere da solo tutte le gioie e le delizie del
mondo, certamente ciò non potrebbe durare a lungo. Sicché, anima
mia, non potrai essere pienamente consolata e perfettamente
confortata se non in Dio, che allieta i poveri e accoglie gli umili.
Aspetta un poco, anima mia, aspetta ciò che Dio ha promesso e avrai
in cielo la pienezza di ogni bene. Se tu brami disordinatamente i
beni temporali, perderai quelli eterni del cielo: dei beni di quaggiù
devi avere soltanto l'uso temporaneo, col desiderio fisso a quelli
eterni. Anima mia, nessun bene di quaggiù, ti potrà appagare perché
non sei stata creata per avere soddisfazione in queste cose. Anche
se tu avessi tutti i beni del mondo, non potresti essere felice e
beata, perché è in Dio, creatore di tutte le cose, che consiste la
tua completa beatitudine e la tua felicità. Non è una felicità
quale appare nella esaltazione di coloro che amano stoltamente
questo mondo, ma una felicità quale si aspettano i buoni seguaci di
Cristo; quale, talora, è pregustata, fin da questo momento, da
coloro che vivono dello spirito e dai puri di cuore, "il cui
pensiero è già nei cieli" (Fil 3,20).
- Vano e di breve durata è il conforto che viene dagli uomini;
santo e puro è quello che la verità fa sentire dal di dentro.
L'uomo pio si porta con sé, dappertutto, il suo consolatore, Gesù,
e gli dice: o Signore Gesù, stammi vicino in ogni luogo e in ogni
tempo. La mia consolazione sia questa, di rinunciare lietamente ad
ogni conforto umano. Che se mi verrà meno la tua consolazione, sia
per me di supremo conforto, appunto, questo tuo volere, questa
giusta prova; poiché "non durerà per sempre la tua collera e
le tue minacce non saranno eterne" (Sal 102,9).
Capitolo XVII
AFFIDARE
STABILMENTE IN DIO OGNI CURA DI NOI STESSI
- Figlio, lascia che io faccia con te quello che voglio: io so
quello che ti è necessario. Tu hai pensieri umani e i tuoi
sentimenti seguono spesso suggestioni umane. Signore, è ben vero
quanto dici. La tua sollecitudine per me è più grande di ogni
premura che io possa avere per me stesso. In verità, chi non
rimette in te tutte le sue preoccupazioni si affida proprio al caso.
Signore, purché la mia volontà sia continuamente retta e ferma in
te, fai di me quello che ti piace. Giacché, qualunque cosa avrai
fatto di me non può essere che per il bene. Se mi vuoi nelle
tenebre, che tu sia benedetto; e se mi vuoi nella luce, che tu sia
ancora benedetto. Se ti degni di darmi consolazione, che tu sia
benedetto; e se mi vuoi nelle tribolazione, che tu sia egualmente
benedetto.
- Figlio, se vuoi camminare con me, questo deve essere il tuo
atteggiamento. Devi essere pronto a patire, come pronto a godere;
devi lietamente essere privo di tutto e povero, come sovrabbondante
e ricco. Signore, qualunque cosa vorrai che mi succeda, la sopporterò
di buon grado per tuo amore. Con lo stesso animo voglio accettare
dalla tua mano bene e male, dolcezza e amarezza, gioia e tristezza;
e voglio renderti grazie per ogni cosa che mi accada. Preservami da
tutti i peccati, e non temerò né la morte né l'inferno. Purché
tu non mi respinga per sempre cancellandomi dal libro della vita,
qualunque tribolazione mi piombi addosso non mi farà alcun male.
Capitolo XVIII
SOPPORTARE
SERENAMENTE LE MISERIE DI QUESTO MONDO SULL'ESEMPIO DI CRISTO
- Figlio, io discesi dal cielo per la tua salvezza e presi sopra di
me le tue miserie, non perché vi fossi costretto, ma per slancio
d'amore; e ciò perché tu imparassi a soffrire e a sopportare senza
ribellione le miserie di questo mondo. Infatti, dall'ora della mia
nascita fino alla morte in croce, non venne mai meno in me la forza
di sopportare il dolore. Ho conosciuto grande penuria di beni
terreni; ho udito molte accuse rivolte a me; ho sopportato con
dolcezza cose da far arrossire ed ingiurie; per il bene fatto ho
ricevuto ingratitudine; per i miracoli, bestemmie; per il mio
insegnamento, biasimi.
- Signore, tu ben sapesti patire per tutta la tua vita, compiendo
pienamente, in tal modo, la volontà del Padre tuo; perciò è
giusto che io, misero peccatore, sappia sopportare me stesso, fin
quando a te piacerà; è giusto che, per la mia salvezza, io porti
il peso di questa vita corruttibile, fino a quando tu vorrai. In
verità, anche se noi la sentiamo come un peso, la vita di quaggiù,
per effetto della tua grazia, già fu resa capace di molti meriti e
più tollerabile e luminosa, per noi, povera gente, in virtù del
tuo esempio e dietro le orme dei tuoi santi. Anzi la nostra vita è
piena di consolazione, molto più di quanto non fosse al tempo della
vecchia legge, quando era ancora chiusa la porta del cielo e ancora
era nascosta la via di esso; quando erano ben pochi quelli che si
davano pensiero di cercare il regno dei cieli, e neppure i giusti,
meritevoli di salvezza, avevano potuto entrare nella patria celeste,
non essendo ancora stato pagato - prima della tua passione e della
tua santa morte - il debito del peccato. Oh, come ti debbo
ringraziare per avere mostrato a me, e a tutti i tuoi seguaci, la
strada diritta e sicura verso l'eterno tuo regno! La nostra strada
è la tua vita stessa: attraverso una santa capacità di patire
camminiamo verso di te, che sei il nostro premio. Se tu non ci
avessi preceduto, con questo insegnamento, chi si prenderebbe cura
di seguirti? Quanti rimarrebbero indietro assai, se non potessero
guardare al tuo esempio luminoso. Ecco, siamo ancora ben poco
fervorosi, pur dopo tanti miracoli e nonostante i tuoi
ammaestramenti; che cosa mai sarebbe di noi, se non avessimo avuto
una così grande luce per seguirti?
Capitolo XIX
LA
CAPACITA' DI SOPPORTARE LE OFFESE E LA VERA PROVATA PAZIENZA
- Che è quello che vai dicendo, o figlio? Cessa il tuo lamento,
tenendo presenti le sofferenze mie e quelle degli altri santi.
"Non hai resistito ancora fino al sangue" (Eb 12,4). Ciò
che tu soffri è poca cosa, se ti metti a confronto con coloro che
patirono tanto gravemente: così fortemente tentati, così
pesantemente tribolati, provati in vari modi e messi a dura prova.
Occorre dunque che tu rammenti le sofferenze più gravi degli altri,
per imparare a sopportare le tue, piccole. Che se piccole non ti
sembrano, vedi se anche questo non dipenda dalla tua incapacità di
sopportazione. Comunque, siano piccoli o grandi questi mali, fa' in
modo di sopportare tutto pazientemente. Il tuo agire sarà tanto più
saggio, e tanto più grande sarà il tuo merito, quanto meglio ti
sarai disposto al patire; anzi lo troverai anche più lieve, se,
intimamente e praticamente, sarai pronto e sollecito. E non dire:
questo non lo posso sopportare; non devo tollerare cose simili da
una tale persona, che mi fa del male assai, e mi rimprovera cose che
non avevo neppure pensato; da un altro, non da lui, le tollererei di
buon grado, e riterrei giusto doverle sopportare. E' una stoltezza
un simile ragionamento. Esso non tiene conto della virtù della
pazienza, né di colui a cui spetta di premiarla; ma tiene conto
piuttosto delle persone e delle offese ricevute. Vero paziente non
è colui che vuole sopportare soltanto quel che gli sarà sembrato
giusto, e da chi gli sarà piaciuto. Vero paziente, invece, è colui
che non guarda da quale persona egli venga messo alla prova: se dal
superiore, oppure da un suo pari, o da un inferiore; se da un uomo
buono o santo, oppure da un malvagio, o da persona che non merita
nulla. Vero paziente è colui che indifferentemente - da qualunque
persona, e per quante volte, gli venga qualche contrarietà - tutto
accetta con animo grato dalla mano di Dio; anzi lo ritiene un
vantaggio grande, poiché non c'è cosa, per quanto piccola, purché
sopportata per amore di Dio, che passi senza ricompensa, presso Dio.
- Sii dunque preparato al combattimento, se vuoi ottenere vittoria.
Senza lotta non puoi giungere ad essere premiato per la tua
sofferenza. Se rifiuti la sofferenza, rifiuti anche il premio; se
invece desideri essere premiato, devi combattere da vero uomo e
saper sopportare con pazienza. Come al riposo non si giunge se non
dopo aver faticato, così alla vittoria non si giunge se non dopo
aver combattuto. Oh, Signore, che mi diventi possibile, per tua
grazia, quello che mi sembra impossibile per la mia natura: tu sai
che ben scarsa è la mia capacità di soffrire, e che al sorgere di
una, sia pur piccola, difficoltà, mi trovo d'un colpo atterrato.
Che mi diventi cara e desiderabile, in tuo nome, qualsiasi prova e
qualsiasi tribolazione: soffrire ed essere tribolato per amor tuo,
ecco ciò che è grandemente salutare all'anima mia.
Capitolo XX
RICONOSCERE
LA PROPRIA DEBOLEZZA E LA MISERIA DI QUESTA NOSTRA VITA
- "Confesserò contro di me il mio peccato" (Sal 31,5); a
te, o Signore, confesserò la mia debolezza. Spesso basta una cosa
da nulla per abbattermi e rattristarmi: mi propongo di comportarmi
da uomo forte, ma, al sopraggiungere di una piccola tentazione, mi
trovo in grande difficoltà. Basta una cosa assolutamente da nulla
perché me ne venga una grave tentazione: mentre, fino a che non
l'avverto, mi sento abbastanza sicuro, poi, a un lieve spirare di
vento, mi trovo quasi sopraffatto. "Guarda dunque, Signore,
alla mia miseria" (Sal 14,18) e alla mia fragilità, che tu ben
conosci per ogni suo aspetto; abbi pietà di me; "tirami fuori
dal fango, così che io non vi rimanga confitto" (Sal 68,15),
giacendo a terra per sempre. Quello che mi risospinge indietro e mi
fa arrossire dinanzi a te, è appunto questa mia instabilità e
questa mia debolezza nel resistere alle tentazioni. Che, pur quando
ad esse non si acconsenta del tutto, già molto mi disturba la
persecuzione loro; e assai mi affligge vivere continuamente così,
in lotta. La mia debolezza mi appare in modo chiaro dal fatto che
proprio i pensieri che dovrei avere sempre in orrore sono molto più
facili a piombare su di me che ad andarsene. Voglia il Cielo, o
potentissimo Dio di Israele, che, nel tuo grande amore per le anime
di coloro che hanno fede in te, tu abbia a guardare alla fatica e
alla sofferenza del tuo servo; che tu l'assista in ogni cosa a cui
si accinge. Fammi forte della divina fortezza, affinché non abbia a
prevalere in me l'uomo vecchio: questa misera carne non ancora
pienamente sottomessa allo spirito, contro la quale bisogna
combattere, finché si vive in questa miserabile vita.
- Ahimé!, quale è questa vita, dove non mancano tribolazioni e
miserie; dove tutto è pieno di agguati e di nemici! Ché, se
scompare un'afflizione o una tentazione, una altra ne viene; anzi,
mentre ancora dura una lotta, ne sopraggiungono molte altre, e
insospettate. Ora, come si può amare una vita così soggetta a
disgrazie e a miserie? Di più, come si può chiamare vita questa,
se da essa procedono tante morti e calamità? E invece la si ama e
molta gente va cercando in essa la propria gioia. Il mondo viene
sovente accusato di essere ingannevole e vano; ma non per questo
viene facilmente abbandonato, perché troppo prevalgono le brame
terrene. Altro è ciò che induce ad amare il mondo; altro è ciò
che induce a condannarlo. Inducono ad amarlo il desiderio dell'uomo
carnale, "il desiderio degli occhi e la superbia della
vita" (1 Gv 2,16); inducono invece ad odiarlo e ad esserne
disgustato le pene e le sofferenze che giustamente conseguono a quei
desideri perversi. E tuttavia - tristissima cosa - i piaceri malvagi
hanno il sopravvento in coloro che hanno l'animo rivolto al mondo, e
"considerano gioia lo stare tra le spine" (Gb 30,7);
incapaci, come sono, di vedere e di gustare la soavità di Dio e
l'intima bellezza della virtù. Quelli invece che disprezzano
totalmente il mondo, e si sforzano di vivere per Dio in santa
disciplina, conoscono la divina dolcezza, che è stata promessa a
chi sa davvero rinunciare; essi comprendono appieno quanto siano
gravi gli errori e gli inganni del mondo.
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