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Capitolo LI
DEDICARSI
A COSE PIU' UMILI QUANDO SI VIENE MENO NELLE PIU' ALTE
Tu non riesci, o figlio, a persistere in un fervoroso
desiderio di virtù e restare in un alto grado di contemplazione.
Talora, a causa della colpa che è all'origine dell'umanità, devi
scendere più in basso e portare il peso di questa vita corruttibile,
pur contro voglia e con disgusto; disgusto e pesantezza di spirito, che
sentirai fino a che vestirai questo corpo mortale. Nella carne, dunque,
e sotto il peso della carne devi spesso patire, poiché non sei capace
di stare interamente e continuamente in occupazioni spirituali e nella
contemplazione di Dio. Allora devi rifugiarti in occupazioni umili e
materiali e fortificarti con azioni degne; devi attendere, con ferma
fiducia, che io venga dall'alto e mi manifesti a te; devi sopportare con
pazienza il tuo esilio e la tua aridità di spirito, fino a che io non
venga di nuovo a te, liberandoti da tutte le angosce. Invero ti farò
dimenticare le tue fatiche, nel godimento della pace interiore; ti aprirò
dinanzi il campo delle Scritture, nel quale potrai cominciare a correre
con animo sollevato "la via dei mie comandamenti" (Sal
118,32). Allora dirai: "i patimenti di questo mondo non sono nulla
in confronto alla futura gloria, che si rivelerà in noi" (R>m
8,18).
Capitolo LII
L'UOMO
NON SI CREDA MERITEVOLE DI ESSERE CONSOLATO, MA PIUTTOSTO DI ESSERE
COLPITO
- E' giusto, o Signore, quello che fai con me quando mi lasci
abbandonato e desolato; perché della tua consolazione o di alcuna
tua visita spirituale io non son degno, e non lo sarei neppure se
potessi versare tante lacrime quanto un mare. Altro io non merito
che di essere colpito e punito, per averti offeso, spesso e in grave
modo, e per avere, in molte occasioni peccato grandemente. Dunque, a
conti fatti, in verità, io non sono meritevole del minimo tuo
conforto. Ma tu, Dio clemente e pietoso, per manifestare
l'abbondanza della tua bontà in copiosa misericordia, non vuoi che
l'uomo, opera della tue mani, perisca; inoltre ti degni di consolare
il tuo servo, anche al di là di ogni merito, in modo superiore
all'umano: ché non somigliano ai discorsi degli uomini, le tue
parole consolatrici. O Signore, che cosa ho fatto perché tu mi
abbia a concedere qualche celeste conforto? Non rammento di aver
fatto nulla di buono; rammento invece di essere sempre stato facile
al vizio e tardo all'emendamento. Questa è la verità; non posso
negarlo. Se dicessi il contrario, tu ti porresti contro di me, e
nessuno verrebbe a difendermi. Che cosa ho meritato con i mie
peccati, se non l'inferno e il fuoco eterno?
- Sinceramente lo confesso, io sono meritevole di essere vituperato
in tutti i modi, e disprezzato, non già di essere annoverato tra i
tuoi fedeli. Anche se questo me lo dico con dolore, paleserò
chiaramente, contro di me, per amore di verità, i miei peccati, così
da rendermi degno di ottenere più facilmente la tua misericordia.
Che dirò, colpevole quale sono, e pieno di vergogna? Non ho la
sfrontatezza di pronunziare parola; se non questa soltanto: ho
peccato, Signore, ho peccato, abbi pietà di me, dammi il tuo
perdono. "Lasciami un poco; lascia che io pianga tutto il mio
dolore, prima di andare nel luogo della tenebra, coperto dalla
caligine della morte" (Gb 10,20s). Che cosa chiedi massimamente
dal colpevole, dal misero peccatore, se non che egli si penta e si
umilii per le sue colpe? Dalla sincera contrizione e
dall'umiliazione interiore sboccia la speranza del perdono, e
ritrova se stessa la coscienza sconvolta; l'uomo riacquista la
grazia perduta e trova riparo dall'ira futura. Dio e l'anima
penitente si incontrano in un vicendevole santo bacio. Sacrificio a
te gradito, o Signore - sacrificio che odora, al tuo cospetto, molto
più soave del profumo dell'incenso - è l'umile sincero pentimento
dei peccatori. E' questo pure l'unguento gradito che hai voluto
fosse versato sui tuoi sacri piedi, giacché tu non hai disprezzato
"un cuore contrito ed umiliato" (Sal 50,19). In questo
sincero pentimento si trova rifugio dalla faccia minacciosa del
nemico. Con esso si ripara e si purifica tutto ciò che, da qualche
parte, fu deturpato e inquinato.
Capitolo LIII
LA
GRAZIA DI DIO NON SI CONFONDE CON CIO' CHE HA SAPORE DI COSE TERRENE
- Preziosa, o figlio, è la mia grazia; essa non tollera di essere
mescolata a cose esteriori e a consolazioni terrene. Perciò devi
buttar via tutto ciò che ostacola la grazia, se vuoi che questa sia
infusa in te. Procurati un luogo appartato, compiaciti di stare solo
con te stesso, non andare cercando di chiacchierare con nessuno;
effondi, invece, la tua devota preghiera a Dio, per conservare
compunzione d'animo e purezza di coscienza. Il mondo intero,
consideralo un nulla; alle cose esteriori anteponi l'occuparti di
Dio. Ché non potresti attendere a me, e nello stesso tempo trovare
godimento nelle cose passeggere. Occorre allontanarsi dalle persone
che si conoscono e alle quali si vuole bene; occorre tenere l'animo
sgombro da ogni conforto temporale. Ecco ciò che il santo apostolo
Pietro chiede, in nome di Dio: che i seguaci di Cristo si conservino
in questo mondo "come forestieri e pellegrini" (1Pt 2,11).
Quanta sicurezza in colui che muore, senza essere legato alla terra
dall'attaccamento per alcuna cosa. Uno spirito debole, invece, non
riesce a mantenere il cuore tanto distaccato: l'uomo materiale non
conosce la libertà dell'uomo interiore. Che se uno vuole veramente
essere uomo spirituale, egli deve rinunciare a tutti, ai lontani e
ai vicini; e guardarsi da se stesso più ancora che dagli altri. Se
avrai vinto pienamente te stesso, facilmente soggiogherai tutto il
resto. Trionfare di se medesimi è vittoria perfetta; giacché colui
che domina se stesso - facendo sì che i sensi obbediscano alla
ragione, e la ragione obbedisca in tutto e per tutto a Dio - questi
è, in verità il vincitore di sé e signore del mondo.
- Se brami elevarti a questa somma altezza, è necessario che tu
cominci con coraggio, mettendo la scure alla radice, per poter
estirpare totalmente la tua segreta inclinazione, contraria al
volere di Dio e volta a te stesso e a tutto ciò che è tuo utile
materiale. Da questo vizio, dall'amore di sé, contrarissimo alla
volontà divina, deriva, si può dire, tutto quanto deve essere
stroncato radicalmente. Domato e superato questo vizio, si farà
stabilmente una grande pace e una grande serenità. Ma sono pochi
quelli che si adoprano per morire del tutto a se stessi, e per
uscire pienamente da se stessi. I più restano avviluppati, né
sanno innalzarsi spiritualmente sopra di sé. Coloro che desiderano
camminare con me senza impacci debbono mortificare tutti i loro
affetti perversi e contrari all'ordine voluto da Dio, senza restare
attaccati di cupido amore personale ad alcuna creatura.
Capitolo LIV
GLI
OPPOSTI IMPULSI DELLA NATURA E DELLA GRAZIA
- Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli
della grazia; come si muovono in modo nettamente contrario, ma così
sottilmente che soltanto, e a fatica, li distingue uno che sia
illuminato da interiore spiritualità. Tutti, invero, desiderano il
bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono a qualcosa di
buono; ma, appunto per una falsa apparenza del bene, molti sono
ingannati. La natura è scaltra, trascina molta gente, seduce,
inganna e mira sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina
schietta, evita il male, sotto qualunque aspetto esso appaia; non
prepara intrighi; tutto fa soltanto per amore di Dio, nel quale,
alla fine, trova la sua quiete. La natura non vuole morire, non
vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata,
sopraffatta o sottomessa, né mettersi da sé sotto il giogo. La
grazia, invece, tende alla mortificazione di sé e resiste alla
sensualità, desidera e cerca di essere sottomessa e vinta; non
vuole avere una sua libertà, preferisce essere tenuta sotto
disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma vuole sempre vivere
restando sottoposta a Dio; è pronta a cedere umilmente a ogni
creatura umana, per amore di Dio. La natura s'affanna per il suo
vantaggio, e bada all'utile che le possa venire da altri. La grazia,
invece, tiene conto di ciò che giova agli altri, non del profitto e
dell'interesse propri. La natura gradisce onori e omaggi. La grazia,
invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura
rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si
rallegra "di patire oltraggi nel nome di Gesù" (At 5,41).
La natura inclina all'ozio e alla tranquillità materiale. La
grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la
fatica. La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta
quelle spregevoli e grossolane. La grazia, invece, si compiace di ciò
che è semplice e modesto; non disprezza le cose rozze, né rifugge
dal vestire logori panni.
- La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e
si rattrista delle perdite di quaggiù; si adira per una piccola
parola offensiva. La grazia, invece, non sta attaccata all'oggi, ma
guarda all'eternità; non si agita per la perdita di cose materiali;
non si inasprisce per una parola un po' brusca, perché il suo
tesoro e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. La
natura è avida, preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è
proprio e personale. La grazia, invece, è caritatevole e aperta
agli altri; rifugge dalle cose personali, si contenta del poco,
ritiene "più bello dare che ricevere" (At 20,35). La
natura tende alle creature e al proprio corpo, alla vanità e alle
chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù;
rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri
della carne, frena il desiderio di andare di qua e di là, si
vergogna di comparire in pubblico. La natura gode volentieri di
qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La
grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra
di ogni cosa di questo mondo, mira a godere del sommo bene. La
natura tutto fa per il proprio guadagno e il proprio vantaggio; non
può fare nulla senza ricevere nulla; per ogni favore spera di
conseguirne uno uguale o più grande, oppure di riceverne lodi e
approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi doni
siano molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla che sia
passeggero e non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio
soltanto; delle cose necessarie in questa vita non vuole avere più
di quanto le possa essere utile a conseguire le cose eterne.
- La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si
vanta della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da
nobile stirpe; sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude
coloro che sono come lei. La grazia, invece, ama anche i nemici; non
si esalta per la quantità degli amici; non dà importanza al luogo
di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi
sia una virtù superiore; è ben disposta verso il povero, più che
verso il ricco; simpatizza maggiormente con la povera gente che con
i potenti; sta volentieri con le persone sincere, non già con gli
ipocriti; esorta sempre le anime buone ad ambire a "doni
spirituali sempre più grandi" (1Cor 12,31), così da
assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio. La natura, di
qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia
sopporta con fermezza ogni privazione. La natura riferisce tutto a sé;
lotta per sé, discute per sé. La grazia, invece, riconduce tutte
le cose a Dio, da cui provengono come dalla loro origine; nulla di
buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con superbia; non
contende, non pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si
sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero,
all'eterna sapienza e al giudizio di Dio. La natura è avida di
conoscere cose segrete e vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori,
per fare molte esperienze; desidera distinguersi e darsi da fare in
modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione. La grazia,
invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché
tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non
essendoci mai, su questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo. La
grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a evitare la vana
compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che
sarebbe degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte
le nostre azioni e i nostri studi, al vero profitto, alla lode e
alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di sé e delle cose sue,
desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia lodato Iddio,
che tutto elargisce per puro amore.
- E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono
particolare di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia
della salvezza eterna. La grazia innalza l'uomo dalle cose terrestri
all'amore del cielo e lo trasforma da carnale in spirituale.
Adunque, quanto più si tiene in freno e si vince la natura, tanto
maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e
nuove manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma secondo
l'immagine di Dio.
Capitolo LV
LA
CORRUZIONE DELLA NATURA E LA POTENZA DELLA GRAZIA DIVINA
- o Signore mio Dio, che mi hai creato a tua immagine e somiglianza,
concedimi questa grazia grande, indispensabile per la salvezza, come
tu ci hai rivelato; così che io possa superare la mia natura, tanto
malvagia, che mi trae al peccato e alla perdizione. Ché, nella mia
carne, io sento, contraria alla "legge della mia ragione, la
legge del peccato" (Rm 7,23), la quale mi fa schiavo e di
frequente mi spinge ad obbedire ai sensi. E io non posso far fronte
alle passioni peccaminose, provenienti da questa legge del peccato,
se non mi assiste la tua grazia santissima, infusa nel mio cuore,
che ne avvampa. Appunto una tua grazia occorre, una grazia grande,
per vincere la natura, sempre proclive al male, fin dal principio.
Infatti, per colpa del primo uomo Adamo, la natura decadde, corrotta
dal peccato; e la triste conseguenza di questa macchia passò in
tutti gli uomini, talché quella "natura", da te creata
buona e retta, ormai è intesa come "vizio e debolezza della
natura corrotta". Così, per la libertà che le è lasciata, la
natura trascina verso il male e verso il basso. E quel poco di forza
che rimane nella natura è come una scintilla coperta dalla cenere.
E' questa la ragione naturale, che, pur se circondata da oscurità,
è ancora capace di giudicare il bene ed il male, e di separare il
vero dal falso; anche se non riesce a compiere tutto quello che
riconosce come buono, anche se non possiede la pienezza del lume
della verità e la perfetta purezza dei suoi affetti. E' per questo,
o mio Dio, che "nello spirito, mi compiaccio della tua
legge" (Rm 7,22), sapendo che il tuo comando è buono, giusto e
santo, tale che ci invita a fuggire ogni male e ogni peccato.
Invece, nella carne, io mi sottometto alla legge del peccato,
obbedendo più ai sensi che alla ragione. E' per questo che
"volere il bene mi è facile, ma a compiere il bene non
riesco" (Rm 7,18). E' per questo che vado spesso proponendomi
molte buone cose; ma mi manca la grazia che mi aiuti nella mia
debolezza, e mi ritiro e vengo meno anche per una piccola difficoltà.
E' per questo che mi avviene di conoscere la via della perfezione e
di vedere con chiarezza quale debba essere la mia condotta; ma poi,
schiacciato dal peso della corruzione dell'umanità, non riesco a
salire a cose più elevate.
- La tua grazia, o Signore, mi è davvero massimamente necessaria
per cominciare, portare avanti e condurre a compimento il bene:
"senza di essa non posso far nulla" (Gv 15,5),
"mentre tutto posso in te" che mi dai forza, con la tua
grazia (Fil 4,13). Grazia veramente di cielo, questa; mancando la
quale i nostri meriti sono un nulla, e un nulla si devono
considerare anche i doni naturali. Abilità e ricchezza, bellezza e
forza, intelligenza ed eloquenza, nulla valgono presso di te, o
Signore, se manca la grazia. Ché i doni di natura li hanno sia i
buoni che i cattivi; mentre dono proprio degli eletti è la grazia,
cioè l'amore di Dio. Rivestiti di tale grazia, gli eletti sono
ritenuti degni della vita eterna. Tutto sovrasta, questa grazia;
tanto che né il dono della profezia, né il potere di operare
miracoli, né la più alta contemplazione non valgono nulla, senza
di essa. Neppure la fede, neppure la speranza, né le altre virtù
sono a te accette, senza la carità e la grazia.
- O grazia beata, che fai ricco di virtù chi è povero nello
spirito e fai ricco di molti beni chi è umile di cuore, vieni,
discendi in me, colmami, fin dal mattino della tua consolazione,
cosicché l'anima mia non venga meno per stanchezza e aridità
interiore! Ti scongiuro, o Signore: che io trovi grazia ai tuoi
occhi. La tua gloria mi basta (2Cor 12,9), pur se non otterrò tutto
quello cui tende la natura umana. Anche se sarò tentato e
angustiato da molte tribolazioni, non temerò alcun male, finché la
tua grazia sarà con me. Essa mi dà forza, guida ed aiuto; vince
tutti i nemici, è più sapiente di tutti i sapienti. Essa è
maestra di verità e di vita, luce del cuore, conforto
nell'afflizione. Essa mette in fuga la tristezza, toglie il timore,
alimenta la pietà, genera le lacrime. Che cosa sono io mai, senza
la grazia, se non un legno secco, un ramo inutile, da buttare via?
"La tua grazia, dunque, o Signore, mi preceda sempre e mi
segua, e mi conceda di essere sempre pronto a operare, per Gesù
Cristo, Figlio tuo. Amen. (Messale Romano, oremus della XVI domenica
dopo Pentecoste).
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