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Libro IV
INCOMINCIANO I CONSIGLI DEVOTI PER LA SANTA
COMUNIONE
Parola di Cristo
"Venite a me tutti, voi che siete affaticati e
oppressi; ed io vi ristorerò", dice il Signore (Mt 11,28).
"Il pane che io darò è la mia carne per la
vita del mondo" (Gv 6,52). "Prendete e mangiate, questo è il
mio corpo, che sarà dato per voi: fate questo in memoria di me"
(1Cor 11,24).
"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
rimane in me, ed io in lui" (Gv 6,57).
"Le parole che vi ho dette sono spirito e
vita" (Gv 6,64).
Capitolo I
CON
QUANTA VENERAZIONE SI DEBBA ACCOGLIERE CRISTO
Parola del discepolo
- O Cristo, verità eterna. Sono queste, parole tue, anche se non
pronunciate in un solo momento, né scritte in un sol punto. E poiché
sono parole tue, e veritiere, esse devono essere accolte tutte da me
con gratitudine e con fede. Sono parole tue, pronunciate da te; ma
sono anche mie, giacché le hai proferite per la mia salvezza. E
dalla tua bocca le prendo con gioia, per farle penetrare più
profondamente nel mio cuore. Parole di così grande misericordia,
piene di dolcezza e di amore, mi sollevano; ma mi atterriscono i
miei peccati, e la mia coscienza non pura mi impedisce di ricevere sì
grandi misteri. La dolcezza delle tue parole mi spinge, ma poi mi
attarda il cumulo dei miei difetti. Tu mi comandi di accostarmi a te
con fiducia, se voglio stare intimamente in te; tu mi comandi di
ricevere il cibo dell'immortalità, se voglio conquistare la vita
eterna e la gloria. "Venite tutti a me - dici - voi che siete
faticati e oppressi, ed io vi ristorerò" (Mt 11,28). Dolce
all'orecchio del peccatore, e piena d'intimità, questa parola; una
parola con la quale tu, o Signore Dio mio, inviti me, misero e
povero, alla comunione del tuo corpo santissimo.
- Ma chi sono io, o Signore, per credermi degno di accostarmi a te?
Gli immensi cieli non ti contengono, e tu dici: "Venite a me
tutti". Che cosa vuol dire una degnazione così misericordiosa,
un invito così pieno di amicizia? Come oserò venire, io che so
bene di non avere nulla di buono, per cui possa credermene degno?
Come ti farò entrare nella mia casa, io che molte volte ho offeso
il tuo volto tanto benigno? Gli angeli e gli arcangeli ti venerano;
ti temono i santi e i beati; e tu dici: "Venite tutti a
me". Se non fossi tu a dirlo, o Signore, chi lo crederebbe; e
se non fossi tu a comandarlo, chi avrebbe il coraggio di
avvicinarsi? Ecco, Noè, uomo giusto, lavorò cent'anni nella
costruzione dell'arca, per trovare salvezza con pochi suoi; e come
potrò io, solo in un'ora, prepararmi a ricevere con religioso
timore il costruttore del mondo? Mosè, il servo tuo grande, a te
particolarmente caro, fece un'arca con legni non soggetti a marcire
e la rivestì d'oro purissimo, per riporvi le tavole della legge; ed
io, putrida creatura, oserò ricevere con tanta leggerezza te,
autore della legge e datore della vita? Salomone, il sapientissimo
re d'Israele, costruì, con un lavoro di sette anni, un tempio
grandioso a lode del tuo nome; ne celebrò la dedicazione con una
festa di otto giorni e con l'offerta di mille vittime pacifiche; e
collocò solennemente, tra gioiosi suoni di tromba, l'arca
dell'alleanza nel luogo per essa predisposto. E come ti introdurrò
nella mia casa, io, infelice, il più miserabile tra gli uomini; io
che, a stento, riesco a passare devotamente una mezz'ora? E fosse
almeno, una volta, una mezz'oretta passata come si deve!
- O mio Dio, quanto si sforzarono di fare costoro per piacerti! Ahimé!
Come è poco quello che faccio io. Come è breve il tempo che
impiego quando mi preparo a comunicarmi: raramente tutto raccolto;
ancor più raramente libero da ogni distrazione. Mentre, alla
presenza salvatrice della tua essenza divina, non dovrebbe, di
certo, affacciarsi alcun pensiero non degno di te; ed io non dovrei
lasciarmi prendere da alcuna creatura, giacché sto per ricevere
nella mia casa, non un angelo, ma il Signore degli angeli. Eppure c'è
un abisso tra l'arca dell'alleanza, con le cose sante che
custodisce, e il corpo tuo purissimo, con la sua forza indicibile;
tra i sacrifici legali di allora, immagine dei sacrifici futuri, e
il tuo corpo, vittima vera, che porta a compimento tutti gli antichi
sacrifici. Perché dunque non mi infiammo di più alla tua adorabile
presenza; perché non mi preparo con cura più grande a nutrirmi
della tua santità, quando quei santi dell'Antico Testamento -
patriarchi e profeti, e anche re e principi, in unione con tutto il
popolo - dimostrarono un così grande slancio devoto verso il culto
divino? Danzò il piissimo re Davide, con tutte le sue forze, la
danza sacra dinanzi all'arca di Dio, riandando col pensiero alle
prove d'amore date, in passato, da Dio ai patriarchi; apprestò
strumenti vari, compose salmi e li fece cantare in letizia, e più
volte cantò lui stesso sulla cetra, mosso dalla grazia dello
Spirito Santo; istruì il popolo d'Israele a lodare Iddio con tutto
il cuore, a benedire ed esaltare ogni giorno il nome di Dio, d'una
sola voce. Se allora si viveva in così grande devozione; se di quel
tempo restò il ricordo delle lodi date a Dio davanti all'arca
dell'alleanza, quanta venerazione e quanta devozione devono essere
ora in me, e in tutto il popolo cristiano, di fronte al sacramento e
nell'atto di nutrirsi del corpo di Cristo, cosa più di ogni altra
sublime?
- Corrono molti, fino a luoghi lontani, per vedere le reliquie dei
santi e stanno a bocca aperta a sentire le cose straordinarie
compiute dai santi stessi; ammirano le grandi chiese; osservano e
baciano le sacre ossa, avvolte in sete intessute d'oro. Mentre qui,
accanto a me, sull'altare, ci sei tu, mio Dio, santo dei santi, il
creatore degli uomini e il signore degli angeli. Spesso è la
curiosità umana che spinge a quelle visite, un desiderio di cose
nuove, non mai viste; ma se ne riporta scarso frutto di
miglioramento interiore, specialmente quando il peregrinare è così
superficiale, privo di una vera contrizione. Mentre qui, nel
sacramento dell'altare, sei interamente presente tu, mio Dio,
"uomo Cristo Gesù" (1Tm 2,5); qui si riceve frutto
abbondante di salvezza eterna, ogni volta che ti accoglie degnamente
e con devozione. Non una qualunque superficialità, né la smania
curiosa di vedere con i propri occhi, ci porta a questo sacramento,
ma una fede sicura, una pia speranza, un sincero amore. O Dio,
invisibile creatore del mondo, come è mirabile quello che tu fai
con noi; come è soave e misericordioso quello che concedi ai tuoi
eletti, ai quali offri te stesso, come cibo nel sacramento.
Sacramento che oltrepassa ogni nostra comprensione, trascina in modo
del tutto particolare il cuore delle persone devote e infiamma il
loro amore. Anche coloro che ti seguono con pia fedeltà, coloro che
regolano tutta la loro vita al fine del perfezionamento spirituale,
ricevono spesso da questo eccelso sacramento aumento di grazia nella
devozione e nell'amore della virtù. Mirabile e nascosta, questa
grazia del sacramento, che soltanto i seguaci di Cristo conoscono,
mentre non la sentono coloro che non hanno la fede e sono asserviti
al peccato. In questo sacramento è data la grazia spirituale, è
restaurata nell'anima la virtù perduta e torna l'innocenza, che era
stata deturpata dal peccato. Tanto grande è talora questa grazia
che, per la pienezza della devozione conferita, non soltanto lo
spirito, ma anche il fragile corpo sente che gli sono state date
forze maggiori.
- Rammarichiamoci altamente e lamentiamo la nostra tiepidezza e
negligenza, poiché non siamo tratti da un ardore più grande a
ricevere Cristo, nel quale consiste tutta la speranza e il merito
della salvezza. E' lui, infatti, "la nostra santificazione e la
nostra redenzione" (1Cor 1,30); è lui il conforto di noi che
siamo in cammino; è lui l'eterna gioia dei santi. Rammarichiamoci,
dunque, altamente che tanta gente si renda così poco conto di
questo mistero di salvezza, letizia del cielo e fondamento di tutto
il mondo. Cecità e durezza del cuore umano, non curarsi
maggiormente di un dono così grande, o, godendone tutti i giorni,
finire persino col non badarvi! Se questo sacramento santissimo si
celebrasse soltanto in un certo luogo, e fosse consacrato da un solo
sacerdote in tutto il mondo, pensa da quale desiderio sarebbero
tutti presi di andare in quel luogo, a quel sacerdote, per veder
celebrare i divini misteri. Ma, ecco, i sacerdoti sono moltissimi, e
Cristo viene immolato in molti luoghi; e così quanto più è
diffusa nel mondo la sacra comunione, tanto più è manifesta la
grazia e la carità di Dio verso l'uomo. Che tu sia ringraziato, o
Gesù buono, pastore eterno, che con il tuo corpo prezioso e con il
tuo sangue ti sei degnato di ristorare noi poveri ed esuli,
invitandoci a ricevere questi misteri con queste parole, uscite
dalla tua stessa bocca: "venite tutti a me, voi che siete
faticati ed oppressi, ed io vi ristorerò" (Mt 11,28).
Capitolo II
NEL
SACRAMENTO SI MANIFESTANO ALL'UOMO LA GRANDE BONTA' E L'AMORE DI DIO
Parola del discepolo
- O Signore, confidando nella tua bontà e nella tua grande
misericordia, mi appresso infermo al Salvatore, affamato e assetato
alla fonte della vita, povero al re del cielo, servo al Signore,
creatura al Creatore, desolato al pietoso mio consolatore. Ma
"per qual ragione mi è dato questo, che tu venga a me?" (Lc
1,43). Chi sono io, perché tu ti doni a me; come potrà osare un
peccatore di apparirti dinanzi; come ti degnerai di venire ad un
peccatore? Ché tu lo conosci, il tuo servo; e sai bene che in lui
non c'è alcunché di buono, per cui tu gli dia tutto ciò.
Confesso, dunque, la mia pochezza, riconosco la tua bontà,
glorifico la tua misericordia e ti ringrazio per il tuo immenso
amore. Infatti non è per i miei meriti che fai questo, ma per il
tuo amore: perché mi si riveli maggiormente la tua bontà, più
grande mi si offra il tuo amore e l'umiltà ne risulti più
perfettamente esaltata. Poiché, dunque, questo ti è caro, e così
tu comandasti che si facesse, anche a me è cara questa tua
degnazione. E voglia il Cielo che a questo non sia di ostacolo la
mia iniquità.
- Gesù, pieno di dolcezza e di benignità, quanta venerazione ti
dobbiamo, e gratitudine e lode incessante, per il fatto che
riceviamo il tuo santo corpo, la cui grandezza nessuno può
comprendere pienamente. Ma quali saranno i miei pensieri in questa
comunione con te, in questo avvicinarmi al mio Signore; al mio
Signore che non riesco a venerare nella misura dovuta e che tuttavia
desidero accogliere devotamente? Quale pensiero più opportuno e più
salutare di quello di abbassarmi totalmente di fronte a te,
esaltando, su di me la tua bontà infinita? Ti glorifico, o mio Dio,
e ti esalto in eterno; disprezzo me stesso, sottoponendomi a te, dal
profondo della mia pochezza. Ecco, tu sei il santo dei santi, ed io
una sozzura di peccati. Ecco, tu ti abbassi verso di me, che non
sono degno neppure di rivolgerti lo sguardo. Ecco, tu vieni a me,
vuoi stare con me, mi inviti al tuo banchetto; tu mi vuoi dare il
cibo celeste, mi vuoi dare da mangiare il pane degli angeli:
nient'altro, veramente, che te stesso, "pane vivo, che sei
disceso dal cielo e dai la vita al mondo (Gv 6,33.51). Se
consideriamo da dove parte questo amore, quale degnazione ci appare;
quanto profondi ringraziamenti e quante lodi ti si debbono!
- Quanto fu utile per la nostra salvezza il tuo disegno, quando hai
istituito questo sacramento; come è soave e lieto questo banchetto,
nel quale hai dato in cibo te stesso! Come è ammirabile questo che
tu fai; come è efficace la tua potenza e infallibile la tua verità.
Infatti, hai parlato "e le cose furono" (Sal 148, 5); e fu
anche questo sacramento, che tu hai comandato. Mirabile cosa, degna
della nostra fede; cosa che oltrepassa la umana comprensione che tu,
o Signore Dio mio, vero Dio e uomo, sia tutto sotto quella piccola
apparenza del pane e del vino; e che tu sia mangiato senza essere
consumato. "Tu, o Signore di tutti", che, di nessuno
avendo bisogno, hai voluto, per mezzo del Sacramento, abitare fra
noi (2 Mac 14,35), conserva immacolato il mio cuore e il mio corpo,
affinché io possa celebrare sovente i tuoi misteri, con lieta e
pura coscienza; e possa ricevere, a mia salvezza eterna, ciò che tu
hai stabilito e istituito massimamente a tua glorificazione e
perenne memoria di te.
- Rallegrati, anima mia, e rendi grazie a Dio per un dono così
sublime, per un conforto così straordinario, lasciato a te in
questa valle di lacrime. In verità, ogni qualvolta medito questo
mistero e ricevi il corpo di Cristo, lavori alla tua redenzione e ti
rendi partecipe di tutti i meriti di Cristo. Mai non viene meno,
infatti, l'amore di Cristo; né si esaurisce la grandezza della sua
intercessione. E' dunque con animo sempre rinnovato che ti devi
disporre a questo Sacramento; è con attenta riflessione che devi
meditare il mistero della salvezza. E quando celebri la Messa, o
l'ascolti, ciò deve apparirti un fatto così grande, così
straordinario e così pieno di gioia, come se, in quello stesso
giorno, scendendo nel seno della Vergine, Cristo si facesse uomo,
patisse e morisse pendendo dalla croce.
Capitolo III
UTILITA'
DELLA COMUNIONE FREQUENTE
Parola del discepolo
- Ecco, io vengo a te, o Signore, per trarre beneficio dal tuo dono
e ricevere allegrezza al banchetto santo, "che, nella tua bontà,
o Dio, hai preparato al misero" (Sal 67,11). Ecco, quanto io
posso e debbo desiderare sta tutto in te; tu sei la mia salvezza, la
redenzione, la speranza, la fortezza, la maestà e la gloria.
"Ricolma dunque oggi di letizia l'anima del tuo servo, perché,
o Signore Gesù, a te ho innalzato l'anima mia" (Sal 85,4).
Ardentemente desidero ora riceverti, con devozione e venerazione;
desidero introdurti nella mia casa, per meritare, come Zaccheo, di
essere da te benedetto e di essere annoverato tra i figli d'Abramo.
L'anima mia ha fame del tuo corpo; il mio cuore arde di farsi una
cosa sola con te. Dammi in dono te stesso, e mi basta; poiché non
c'è consolazione che abbia valore, fuori di te. Non posso stare
senza di te; non riesco a vivere senza la tua presenza. E così
occorre che io mi accosti frequentemente a te, ricevendoti come
mezzo della mia salvezza. Che non mi accada di venir meno per
strada, se fossi privato di questo cibo celeste. Tu stesso, o Gesù
tanto misericordioso, predicando alle folle e guarendo varie
malattie, dicesti una volta: "non li voglio mandare alle loro
case digiuni, perché non vengano meno per strada" (Mt 15,32).
Fa', dunque, la stessa cosa ora con me; tu, che, per dare conforto
ai fedeli, hai lasciato te stesso in sacramento. Sei tu, infatti, il
soave ristoro dell'anima; e chi ti mangia degnamente sarà partecipe
ed erede della gloria eterna. Poiché, dunque, io cado tanto spesso
in peccato, e intorpidisco e vengo meno tanto facilmente, è
veramente necessario che, pregando, confessandomi frequentemente e
prendendo il santo cibo del tuo corpo, io mi rinnovi, mi purifichi e
mi infiammi; cosicché non avvenga che, per una prolungata
astinenza, io mi allontani dal mio santo proposito. In verità,
"i sensi dell'uomo, fin dall'adolescenza, sono proclivi al
male" (Gn 8,21); tosto egli cade in mali peggiori, se non lo
soccorre la medicina celeste. Ed è appunto la santa Comunione che
distoglie l'uomo dal male e lo rafforza nel bene. Che se ora sono
così spesso svogliato e tiepido nella Comunione o nella
celebrazione della Messa, che cosa sarebbe di me, se non prendessi
questo rimedio e non cercassi un così grande aiuto? Anche se non mi
sento sempre degno e pienamente disposto a celebrare, farò in modo
di ricevere, in tempi opportuni, questi divini misteri e di rendermi
partecipe di una grazia così grande. Giacché la principale, anzi
l'unica, consolazione dell'anima fedele - finché va peregrinando,
lontana da te, entro il corpo mortale - consiste proprio in questo,
nel ricordarsi frequentemente del suo Dio e nel ricevere, in spirito
di devozione, il suo diletto.
- Oh!, meravigliosa degnazione della tua misericordia verso di noi,
che tu, Signore Dio, creatore e vivificatore di tutti gli spiriti
celesti, ti abbassi a venire in questa anima poveretta, saziando la
sua fame con la tua divinità e insieme con la tua umanità. Felice
quello spirito, beata quell'anima che merita di ricevere devotamente
te, Signore e Dio, colmandosi in tal modo di gioia interiore. Quale
grande signore essa accoglie; quale amato ospite, qual piacevole
compagno riceve; quale fedele amico accetta; quale nobile e bello
sposo essa abbraccia, degno di amore più di ogni persona cara e di
ogni cosa che si possa desiderare. Tacciano dinanzi a te, o
dolcissimo mio diletto, il cielo e la terra, con tutte le loro
bellezze; giacché dalla degnazione della tua munificenza cielo e
terra ricevono quanto hanno di grande e di nobile, pur non arrivando
essi alla grandezza del tuo nome, "immenso nella sua
sapienza" (Sal 146,5).
Capitolo IV
MOLTI
SONO I BENEFICI CONCESSI A COLORO CHE SI COMUNICANO DEVOTAMENTE
Parola del discepolo
- Signore Dio mio, "con la dolcezza delle tue benedizioni"
(Sal 20,4) vieni in soccorso a me, tuo servo, affinché io possa
accostarmi degnamente e devotamente al tuo grande sacramento. Muovi
il mio cuore verso di te e scuotimi dal mio grande torpore.
"Vieni a me con la tua forza salvatrice" (Sal 105,4),
cosicché io possa gustare in ispirito la tua dolcezza, insita tutta
in questo sacramento, quasi sua fonte. Apri i miei occhi, cosicché
io possa intravvedere un così grande mistero; dammi la forza di
credere in esso, con fede sicura. Tutto ciò è infatti opera delle
tue mani, non opera dell'uomo; tua sacra istituzione, non invenzione
umana. Quindi non v'è alcuno che possa da sé solo comprendere
pienamente queste cose, che superano anche l'intelligenza degli
angeli. Ed io, indegno peccatore, polvere e cenere, come potrò mai
sondare e comprendere, un così profondo e santo mistero? O Signore,
nella semplicità del mio cuore, in pienezza e sicurezza di fede e
in adesione al tuo comando, mi accosto a te con sentimenti di
speranza e di devozione: credo veramente che tu sia presente qui nel
Sacramento, Dio e uomo. Tu vuoi che io ti accolga in me, in unione
d'amore. Perciò domando alla tua clemenza ed imploro il dono di
questa grazia speciale, di essere totalmente immedesimato in te, in
sovrabbondanza d'amore e di non più ricercare altra consolazione.
Giacché questo Sacramento, così alto e prezioso, è salvezza
dell'anima e del corpo e rimedio ad ogni infermità dello spirito.
Per mezzo di questo Sacramento vengono curati i miei vizi; le
passioni sono frenate; le tentazioni sono sconfitte o almeno
diminuite; viene aumentata la grazia, rafforzata la virtù cui si è
posto mano, rinsaldata la fede, rinvigorita la speranza e l'amore
fatto più ardente e più grande.
- O mio Dio, "tu che innalzi l'anima mia" (Sal 53,6), e
ripari all'umana fragilità con il dono di ogni consolazione
interiore, tu hai concesso e ancora spesso concedi nel Sacramento
grandi benefici ai tuoi diletti che devotamente si comunicano. Tu
infondi in essi grande conforto nelle varie tribolazioni,
innalzandoli dal fondo della loro prostrazione alla speranza del tuo
aiuto; tu li ricrei interiormente e li fai risplendere con una
grazia rinnovata. Così, mentre prima della Comunione si sentivano
angosciati e privi d'amore, poi, ristorati dal cibo e dalla bevanda
celeste, si trovano trasformati e migliori. E questo tu fai
generosamente con i tuoi eletti, affinché essi conoscano in verità,
ed esperimentino chiaramente, quanto siano deboli per se stessi e
quale bontà e grazia ottengano da te. Giacché, per se stessi, sono
freddi, duri e mancanti di devozione; invece, per tuo dono, sono
fatti degni di essere fervorosi, alacri e pieni di devozione. Chi
mai, essendosi accostato umilmente alla fonte stessa della soavità,
non riporta anche solo un poco di dolcezza; chi mai, stando accanto
a un grande fuoco, non ne risente un po' di calore? Ora, tu sei la
fonte sempre piena, straboccante; tu sei il fuoco sempre vivo, che
mai non si estingue. Perciò, anche se non posso attingere alla
pienezza di questa fonte e bere a sazietà, metterò ugualmente la
bocca all'orlo della celeste cannella, per prendere almeno una
piccola goccia, a saziare la mia sete, onde non inaridire del tutto.
Anche se non posso essere ancora nella pienezza della beatitudine
celeste, né posso essere ardente come un cherubino o un serafino,
mi sforzerò tuttavia di perseverare nella devozione e di
predisporre l'anima mia ad impadronirsi di una, sia pur piccola,
fiamma del divino incendio, nutrendosi umilmente al sacramento della
salvezza. A quello che mi manca, supplisci tu, con benignità e
misericordia, o buon Gesù, salvatore santissimo; tu che ti sei
degnato di chiamare tutti a te, dicendo: "venite a me voi tutti
che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò (Mt 11,28). In
verità io mi affatico, e suda il mio volto; il mio cuore è
tormentato da sofferenze interiori; sono oppresso dai peccati,
legato e schiacciato da molte passioni perverse. "E non c'è
nessuno che possa aiutarmi" (Sal 21,12), non c'è nessuno
"che possa liberarmi e soccorrermi" (Sal 7,3), all'infuori
di te, "Dio mio salvatore" (Sal 24,5), al quale affido me
stesso e ogni mia cosa, perché tu mi custodisca e mi conduca alla
vita eterna. Accettami a lode e gloria del tuo nome; tu che hai
apprestato il tuo corpo e il tuo sangue quale cibo e bevanda. O
"Signore Dio, mia salvezza" (Sal 26,9), fa' che nella
dimestichezza del tuo mistero s'accresca lo slancio della mia
devozione.
Capitolo V
GRANDEZZA
DEL SACRAMENTO E CONDIZIONE DEL SACERDOTE
Parola del Diletto
- Anche se tu avessi la purezza degli angeli e la santità di San
Giovanni Battista, non saresti degno di ricevere o anche solo di
toccare questo sacramento. Non dipende infatti dai meriti degli
uomini che si consacri e si tocchi il sacramento di Cristo, e ci si
nutra del pane degli angeli. Grande è l'ufficio, grande la dignità
dei sacerdoti, ai quali è dato quello che non è concesso agli
angeli; giacché soltanto i sacerdoti, ordinati regolarmente nella
Chiesa, hanno il potere di celebrare e di consacrare il corpo di
Cristo. Il sacerdote, invero, è servo di Dio: si vale della parola
di Dio, per comando e istituzione di Dio. Nel sacramento, attore
primo, invisibilmente operante, è Dio, al quale è sottoposta ogni
cosa, secondo il suo volere, in obbedienza al suo comando. In questo
sublime sacramento, devi dunque credere più a Dio onnipotente che
ai tuoi sensi o ad alcun segno visibile; a questa realtà, istituita
da Dio, ti devi accostare con reverenza e con timore. "Rifletti
su te stesso" e considera di chi sei stato fatto ministro, con
l'imposizione delle mani da parte del vescovo (1Tm 4,16.14). Ecco,
sei stato fatto sacerdote e consacrato per celebrare. Vedi, dunque,
di offrire il sacrificio a Dio con fede, con devozione, e al tempo
conveniente; vedi di offrire te stesso, irreprensibile. Non si è
fatto più leggero il tuo carico; anzi sei ormai legato da un più
stretto vincolo di disciplina e sei tenuto a una maggiore perfezione
di santità.
- Il sacerdote deve essere ornato di ogni virtù e offrire agli
altri l'esempio di una vita santa; abituale suo rapporto non sia con
la gente volgare secondo modi consueti a questo mondo, ma con gli
angeli in cielo o con la gente santa, in terra. Il sacerdote,
rivestito delle sacre vesti, fa le veci di Cristo, supplichevolmente
e umilmente pregando Iddio per sé e per tutto il popolo. Egli
porta, davanti e dietro, il segno della croce del Signore, perché
abbia costante ricordo della passione di Cristo; davanti, sulla
casula, porta la croce, perché guardi attentamente a quelle che
sono le orme di Cristo, e abbia cura di seguirla con fervore; dietro
è pure segnato dalla croce, perché sappia sopportare con dolcezza
ogni contrarietà che gli venga da altri. Porta davanti la croce,
perché pianga i propri peccati; e la porta anche dietro, perché
pianga compassionevolmente anche i peccati commessi da altri, e
sappia di essere stato posto tra Dio e il peccatore, non lasciandosi
illanguidire nella preghiera e nell'offerta, fin che non sia fatto
degno di ottenere grazia e misericordia. Con la celebrazione, il
sacerdote rende onore a Dio, fa lieti gli angeli, dà motivo di
edificazione ai fedeli, aiuta i vivi, appresta pace ai defunti e fa
di se stesso il dispensatore di tutti i benefici divini.
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