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Principi
e norme per l'uso del Messale Romano
PROEMIO..
3
Testimonianza
di una fede immutata.
3
Prova
di una tradizione ininterrotta.
4
Adattamento
alle nuove condizioni
4
Capitolo
I: IMPORTANZA E DIGNITÀ DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA..
7
Capitolo
II: STRUTTURA, ELEMENTI E PARTI DELLA MESSA..
8
I.
Struttura generale della Messa.
8
II.
I diversi elementi della Messa.
8
III.
Le singole parti della Messa.
10
A)
RITI DI INTRODUZIONE.
10
B)
LITURGIA DELLA PAROLA..
11
C)
LITURGIA EUCARISTICA..
13
D)
RITI DI CONCLUSIONE.
15
Capitolo
III: UFFICI E MINISTERI NELLA MESSA..
16
I.
Uffici e ministeri dell’Ordine sacro.
16
II.
Ufficio e compito del popolo di Dio.
16
III.
Uffici particolari
17
Capitolo
IV: DIVERSE FORME DI CELEBRAZIONE DELLA MESSA..
19
I.
Messa con il popolo.
19
A)
FORMA TIPICA..
20
B)
MINISTERI DEL DIACONO..
23
C)
COMPITI DELL’ACCOLITO..
24
D)
COMPITI DEL LETTORE.
25
II.
Messe concelebrate.
25
Premesse.
25
Riti
di introduzione.
26
Liturgia
della Parola.
26
Liturgia
eucaristica.
26
Riti
di comunione.
29
Riti
di conclusione.
30
III.
Messa senza il popolo.
30
Premesse.
30
Riti
di introduzione.
31
Liturgia
della Parola.
31
Liturgia
eucaristica.
31
Riti
di conclusione.
32
IV.
Alcune norme di carattere generale per tutte le forme di Messa.
32
Venerazione
dell’altare e del libro dei Vangeli
32
Genuflessione
e inchino.
32
L’incensazione.
32
La
purificazione.
33
La
comunione sotto le due specie.
33
CAPITOLO
V: DISPOSIZIONE E ARREDAMENTO DELLE CHIESE PER LA CELEBRAZIONE DELLA
EUCARISTIA..
36
I.
PRINCIPI GENERALI
36
II.
DISPOSIZIONE DELLA CHIESA PER L’ASSEMBLEA EUCARISTICA..
36
III.
IL PRESBITERIO..
36
IV.
L’ALTARE.
37
V.
LA SUPPELLETTILE DELL’ALTARE.
37
VI.
LA SEDE PER IL SACERDOTE CELEBRANTE E PER I MINISTRI, OSSIA IL LUOGO
DELLA PRESIDENZA..
37
VII.
L’AMBONE, OSSIA IL LUOGO DAL QUALE VIENE ANNUNCIATA LA PAROLA DI DIO..
38
VIII.
I POSTI DEI FEDELI
38
IX.
IL POSTO DELLA "SCHOLA" E DELL’ORGANO DI ALTRI STRUMENTI
MUSICALI
38
X.
IL POSTO DELLA CUSTODIA DELLA SANTISSIMA EUCARISTIA..
38
XI.
LE IMMAGINI ESPOSTE ALLA VENERAZIONE DEI FEDELI
39
XII.
LA DISPOSIZIONE GENERALE DEL LUOGO SACRO..
39
CAPITOLO
VI: COSE NECESSARIE PER LA CELEBRAZIONE DELLA MESSA..
40
I.
IL PANE E IL VINO PER CELEBRARE L’EUCARISTIA..
40
II.
LE SUPPELLETTILI SACRE IN GENERE.
40
III.
I VASI SACRI
40
IV.
LE VESTI SACRE.
41
V.
ALTRA SUPPELLETTILE DESTINATA ALL’USO DELLA CHIESA..
42
CAPITOLO
VII: LA SCELTA DELLE PARTI DELLA MESSA..
43
I.
LA SCELTA DELLA MESSA..
43
II.
LA SCELTA DELLE PARTI
DELLA MESSA..
44
Le
letture.
44
Le
orazioni
44
I
canti
45
Facoltà
particolari
45
CAPITOLO
VIII: MESSE E ORAZIONI PER DIVERSE CIRCOSTANZE E MESSE PER I DEFUNTI
46
I.
MESSE E ORAZIONI PER
DIVERSE CIRCOSTANZE.
46
II.
MESSE DEI DEFUNTI
46
PRECISAZIONI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA..
48
1.
Appressandosi a celebrare con i suoi discepoli il banchetto pasquale,
nel quale istituì il Sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue, Cristo
Signore ordinò di preparare una sala grande e addobbata (Le 22, 12).
Quest’ordine
la Chiesa
l’ha sempre considerato rivolto a se stessa quando dettava le norme
per preparare gli animi, disporre i luoghi, fissare i riti e scegliere i
testi per la celebrazione dell’Eucaristia.
Anche le presenti norme, stabilite in base alle decisioni del Concilio
Ecumenico Vaticano II, come anche il nuovo Messale, che
la Chiesa
di rito romano userà d’ora innanzi per celebrare
la Messa
, sono una prova di questa sollecitudine della Chiesa, della sua fede e
del suo amore immutato verso il grande mistero eucaristico, e
testimoniano la sua continua e ininterrotta tradizione, nonostante vi
siano state introdotte alcune novità.
2.
La natura sacrificale della Messa, solennemente affermata dal Concilio
di Trento, in armonia con tutta la tradizione della Chiesa (1), è stata
riaffermata dal Concilio Vaticano II, che ha pronunziato, a proposito
della Messa, queste significative parole: "Il nostro Salvatore
nell’ultima cena... istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e
del suo Sangue, al fine di perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno,
il Sacrificio della Croce, e di affidare così alla sua diletta sposa,
la Chiesa
, il memoriale della sua morte e risurrezione" (2).
Questo insegnamento del Concilio lo si ritrova costantemente nelle
formule della Messa. Dice il Sacramentario Leoniano:
"Ogni volta che celebriamo il memoriale di questo sacrificio, si
compie l’opera della nostra redenzione" (3) ebbene, la
dottrina espressa con precisione in questa frase è sviluppata con
chiarezza e con cura nelle Preghiere eucaristiche: in queste Preghiere,
quando il sacerdote fa l’anamnesi, rivolgendosi a Dio in nome di tutto
il popolo, gli rende grazie e gli offre il sacrificio vivo, santo, cioè
l’oblazione della Chiesa e la vittima per la cui immolazione Dio ha
voluto essere placato (4), e prega perché il Corpo e il Sangue di
Cristo siano un sacrificio accetto al Padre per la salvezza del mondo
intero (5).
Così, nel nuovo Messale, la regola della preghiera della Chiesa
corrisponde alla sua costante regola di fede; questa ci dice che, fatta
eccezione per il modo di offrire, e che è differente, vi è piena
identità tra il Sacrificio della Croce e la sua rinnovazione
sacramentale nella Messa, che Cristo Signore ha istituito nell’ultima
cena e ha ordinato agli Apostoli di celebrare in memoria di lui; e per
conseguenza,
la Messa
è insieme sacrificio di lode, d’azione di grazie, di propiziazione e
di espiazione.
3.
Anche il mistero mirabile della presenza reale del Signore sotto le
specie eucaristiche è affermato dal Concilio Vaticano II (6) e dagli
altri documenti del magistero della Chiesa (7), nel medesimo senso e con
la medesima dottrina con cui il Concilio di Trento l’aveva proposto
alla nostra fede (8). Nella celebrazione della Messa, questo mistero è
posto in luce non soltanto dalle parole stesse della consacrazione, che
rendono il Cristo presente per mezzo della transustanziazione, ma anche
dal senso e dall’espressione esterna di sommo rispetto e di adorazione
di cui è fatto oggetto nel corso della liturgia eucaristica. Per lo
stesso motivo, al Giovedì Santo, nella Cena del Signore, e nella
solennità del Corpo e del Sangue del Signore, il popolo cristiano e
chiamato a onorare in modo particolare, con l’adorazione, questo
ammirabile sacramento.
4.
Quanto alla natura del sacerdozio ministeriale, che è proprio del
presbitero, in quanto egli offre il sacrificio nella persona di Cristo e
presiede l’assemblea del popolo santo, essa è posta in luce,
nell’espressione stessa del rito, dal posto eminente del sacerdote e
dalla sua funzione. I compiti di questa funzione sono indicati e
ribaditi con molta chiarezza nel prefazio della Messa crismale del
Giovedì Santo, giorno in cui si commemora l’istituzione del
sacerdozio. Il testo sottolinea la potestà sacerdotale conferita per
mezzo dell’imposizione delle mani, e descrive questa medesima potestà
enumerandone tutti gli uffici: è la continuazione della potestà
sacerdotale di Cristo, Pontefice sommo della Nuova Alleanza.
5.
Questa natura del sacerdozio ministeriale mette a sua volta nella giusta
luce un’altra realtà di grande importanza: il sacerdozio regale dei
fedeli, il cui sacrificio spirituale raggiunge la sua perfezione
attraverso il ministero dei presbiteri, in unione con il sacrificio di
Cristo, unico Mediatore (9). La celebrazione dell’Eucaristia è
infatti azione .di tutta
la Chiesa
; in essa ciascuno compie soltanto, ma integralmente, quello che gli
compete, tenuto conto del posto che egli occupa nel popolo di Dio. È il
motivo per cui si presta ora una maggiore attenzione a certi aspetti
della celebrazione che, nel corso dei secoli, erano stati talvolta
alquanto trascurati. Questo popolo è il popolo di Dio, acquistato dal
Sangue di Cristo, riunito dal Signore, nutrito con la sua Parola; popolo
la cui vocazione è di far salire verso Dio le preghiere di tutta la
famiglia umana; popolo che, in Cristo, rende grazie per il mistero della
salvezza, offrendo il suo Sacrificio; popolo infine che per mezzo della
comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, rafforza la sua unità. Questo
popolo è già santo per la sua origine; ma in forza della sua
partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa al mistero eucaristico,
progredisce continuamente in santità (10).
6.
Nell’enunciare le norme per la revisione del rito della Messa, il
Vaticano II ha ordinato, tra l’altro, che certi riti venissero
"riportati all’antica tradizione dei santi Padri" (11): sono
le stesse parole usate da san Pio V nella lettera apostolica Quo
primum con la quale nel 1570 promulgava il Messale di Trento. Anche
da questo incontro verbale è facile rilevare come i due Messali romani,
benché separati da quattro secoli, conservino una medesima e identica
tradizione. Se poi si tengono presenti gli elementi profondi di questa
tradizione, non è difficile rendersi conto come il secondo Messale
completi egregiamente il primo.
7. In
tempi
davvero difficili, nei quali la fede cattolica era stata messa in
pericolo circa la natura sacrificale della Messa, il sacerdozio
ministeriale, la presenza reale e permanente di Cristo sotto le specie
eucaristiche, a san Pio V premeva anzitutto salvaguardare una tradizione
relativamente recente ingiustamente attaccata, introducendo il meno
possibile di cambiamenti nel sacro rito. E in verità, il Messale del
1570 si differenzia ben poco dal primo Messale stampato nel 1474; e
questo, a sua volta, riprende fedelmente il Messale del tempo di
Innocenzo III. Inoltre i manoscritti della Biblioteca Vaticana, anche se
avevano permesso di adottare in certi casi delle lezioni migliori, non
consentirono in quella diligente ricerca di "antichi autori
fededegni", di andare al di là di quanto s’era fatto con i
commentari liturgici del Medioevo.
8.
Attualmente, al contrario, questo "ordinamento dei santi
Padri" tenuto presente dai revisori responsabili del Messale di san
Pio V, si è arricchito di innumerevoli studi di eruditi. Dopo la prima
edizione del Sacramentario Gregoriano nel 1571, gli antichi sacramentari
romani e ambrosiani sono stati oggetto di numerose edizioni critiche; lo
stesso si dica degli antichi libri liturgici spagnoli e gallicani, che
han fatto riscoprire un buon numero di preghiere fino allora ignorate,
ma di non poca importanza sotto l’aspetto spirituale.
Data poi la scoperta di un buon numero di documenti liturgici, sono
pure, attualmente, meglio conosciute le tradizioni dei primi secoli,
anteriori alla formazione dei riti d’Oriente e d’Occidente. Inoltre,
il progresso degli studi patristici ha permesso di appurare la teologia
del mistero eucaristico attraverso l’insegnamento di Padri eminenti
nell’antichità cristiana, come sant’Ireneo, sant’Ambrogio, san
Cirillo di Gerusalemme, san Giovanni Crisostomo.
9.
La "tradizione dei santi Padri" esige dunque che non solo si
conservi la tradizione trasmessa dai nostri predecessori immediati, ma
che si tenga presente e si approfondisca fin dalle origini tutto il
passato della Chiesa e si faccia un’accurata indagine sui modi
molteplici con cui l’unica fede si è manifestata in forme di cultura
umana e profana così diverse tra loro, quali erano quelle in uso nelle
regioni abitate da Semiti, Greci e Latini. Questo approfondimento più
vasto ci permette di constatare come lo Spirito Santo accordi al popolo
di Dio un’ammirevole fedeltà nel conservare immutato il deposito
della fede, per grande che sia la varietà delle preghiere e dei riti.
10.
Il nuovo Messale mentre attesta la lex orandi della Chiesa romana
e salvaguarda il deposito della fede trasmesso dai recenti Concili,
segna a sua volta una tappa di grande importanza nella tradizione
liturgica.
Quando i Padri del Concilio Vaticano II ripresero le formulazioni
dogmatiche del Concilio di Trento, le loro parole risuonarono in
un’epoca ben diversa nella vita del mondo; è per questo che nel campo
pastorale essi hanno potuto dare dei suggerimenti e dei consigli, che
sarebbero stati impensabili quattro secoli prima.
11.
Il Concilio di Trento aveva già riconosciuto il grande valore
catechetico contenuto nella celebrazione della Messa, ma non poteva
trarne tutte le conseguenze pratiche. In realtà si chiedeva da molti
che venisse concesso l’uso della lingua volgare nella celebrazione del
sacrificio eucaristico. Ma dinanzi a tale richiesta, il Concilio,
considerate le circostanze di allora, riteneva suo dovere riaffermare la
dottrina tradizionale della Chiesa, secondo la quale il sacrificio
eucaristico è anzitutto azione di Cristo stesso: per conseguenza, la
sua efficacia non dipende affatto dal modo di partecipazione dei fedeli.
Ecco perché si espresse con queste parole decise e misurate insieme:
"Benché
la Messa
contenga un ricco insegnamento per il popolo dei fedeli, i Padri non
hanno ritenuto opportuno, che venga celebrata indistintamente in lingua
volgare" (12). E condannò chi osasse affermare che "non si
deve ammettere il rito della Chiesa romana, in forza del quale una parte
del canone e le parole della consacrazione vengono dette a bassa voce; o
che
la Messa
si debba celebrare in lingua volgare" (13). Nondimeno, se da un
lato proibì l’uso della lingua parlata nella Messa, dall’altro
ordinò ai pastori di supplirvi con un’opportuna catechesi:
"Perché il gregge di Cristo non soffra la fame.., il santo
Concilio ordina ai pastori e a tutti quelli che hanno cura d’anime di
soffermarsi frequentemente, nel corso della celebrazione della Messa, o
personalmente o per mezzo di altri, su questo o quel testo della Messa,
e di spiegare, tra l’altro, il mistero di questo santissimo
Sacrificio, specialmente nelle domeniche e nei giorni festivi"
(14).
12.
Convocato perché
la Chiesa
adattasse ai nostri tempi i compiti della sua, missione apostolica, il
Concilio Vaticano II ha, come quello di Trento, esaminato profondamente
la natura didattica e pastorale della Liturgia (15). E poiché non v’è
ormai nessun cattolico che neghi la legittimità e l’efficacia del
rito compiuto in lingua latina, il Concilio ha ammesso senza difficoltà
che "l’uso della lingua parlata può riuscire spesso di grande
utilità per il popolo", e l’ha quindi permessa (16).
L’entusiasmo con cui questa decisione è stata dappertutto accolta, ha
portato, sotto la guida dei vescovi e della stessa sede apostolica, alla
concessione che tutte le celebrazioni liturgiche con partecipazione di
popolo si possano fare in lingua viva, per rendere più facile
l’intelligenza piena del mistero celebrato.
13.
Tuttavia, poiché l’uso della lingua parlata nella sacra liturgia è
soltanto uno strumento, anche se molto importante, per esprimere più
chiaramente la catechesi del mistero contenuto nella celebrazione, il
Concilio Vaticano II ha insistito perché si mettessero in pratica certe
prescrizioni del Concilio di Trento che non erano state dappertutto
osservate, come il dovere di fare l’omelia nelle domeniche e nei
giorni festivi (17); e la possibilità di intercalare ai riti
determinate esortazioni (18).
Soprattutto però il Concilio Vaticano II, nel consigliare "quella
partecipazione perfetta alla Messa per la quale i fedeli dopo la
comunione del sacerdote ricevono il Corpo del Signore dal medesimo
sacrificio" (19), ha portato al compimento di un altro voto dei
Padri Tridentini, che, cioè, per partecipare più pienamente
all’Eucaristia "nelle singole Messe i presenti si comunicassero
non solo con l’intimo fervore dell’anima, ma anche con la ricezione
sacramentale dell’Eucaristia" (20).
14.
Indotto dal medesimo spirito e dallo stesso zelo pastorale, il Concilio
Vaticano II ha potuto riesaminare le decisioni di Trento a proposito
della comunione sotto le due specie. Poiché attualmente nessuno mette
in dubbio i principi dottrinali sul pieno valore della comunione sotto
la sola specie del pane, il Concilio ha permesso in alcuni casi la
comunione sotto le due specie, con la quale, grazie a una presentazione
più chiara del segno sacramentale, si ha modo di penetrare più
profondamente il mistero al quale i fedeli partecipano (21).
15. In
questo
modo, mentre
la Chiesa
rimane fedele al suo compito di maestra di verità conservando "ciò
che è vecchio" cioè il deposito della tradizione, assolve pure il
suo compito di esaminare e adottare con prudenza "ciò che è
nuovo" (cf Mt 13,52).
Una parte del nuovo Messale adegua più visibilmente le preghiere della
Chiesa ai bisogni del nostro tempo; tali sono specialmente le Messe
rituali e quelle per varie necessità, nelle quali si fondono
felicemente tradizione e novità. Pertanto, mentre sono rimaste intatte
molte espressioni attinte alla più antica tradizione della Chiesa e
rese familiari dallo stesso Messale Romano nelle sue varie edizioni,
molte altre sono state adattate alle esigenze e alle condizioni attuali.
Altre infine, come le orazioni per
la Chiesa
, per i laici, per la santificazione del lavoro umano, per l’unione di
tutti i popoli, e per certe necessità proprie del nostro tempo, sono
state interamente composte ex novo, traendo i pensieri e spesso
anche i termini dai recenti documenti conciliari.
Così pure, in vista di una presa di coscienza della situazione nuova
del mondo contemporaneo, è sembrato che non si recasse offesa alcuna al
venerabile tesoro della Tradizione modificando alcune espressioni dei
testi antichi, allo scopo di meglio armonizzare la lingua con quella
della teologia attuale e perché esprimessero in verità la presente
situazione della disciplina della Chiesa.
Per questo motivo sono stati cambiati alcuni modi di esprimersi, che
risentivano di una certa mentalità sull’apprezzamento e sull’uso
dei beni terrestri, ed altri ancora che mettevano in rilievo una forma
di penitenza esteriore propria della Chiesa di altri tempi.
Le norme liturgiche del Concilio di Trento sono state, dunque, su molti
punti, completate e integrate dalle norme del Concilio Vaticano II; il
Concilio ha così condotto a termine gli sforzi fatti per accostare i
fedeli alla liturgia, sforzi condotti per quattro secoli e con più
intensità in un’epoca recente, grazie soprattutto allo zelo liturgico
promosso da san Pio X e dai suoi successori.
Note
1. Sess.
XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio: DS
1738-1759.
2. SC 47; cf LG 3, 28; PO 2, 4, 5.
3. Cf Sacramentarium veronense, ed. L.C.
Mohlberg, n. 93.
4. Cf Preghiera eucaristica III.
5. Cf Preghiera eucaristica IV.
6. SC 7, 47; PO 5, 18
7. Cf Pio XII, Lett. enc. Humani generis: AAS 42(1950), pp.
570-571; MF EV II, 421-432; Paolo VI, Sollemnis professio fidei, 30.6.1968,
nn. 24-26: EV III, 560-562; EM
3f
, 9.
8. Cf
Sess. XIII, Decretum de ss. Eucharistia: DS 1635-1661.
9. Cf PO 2.
10. Cf SC 11.
11. Cf SC 50.
12. Conc.
Trid., sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio, cap.
8: DS 1749.
13. Ibid. cap. 9: DS 1750.
14. Ibid. cap. 8: DS 1749.
15. Cf SC 33.
16. SC 36.
17. SC 52.
18. SC 35, 3.
19. SC 55.
20. Sess. XXII, Doctrina de ss. Missae
sacrificio. cap.
6: DS 1747.
21. Cf SC 55.
Capitolo I: IMPORTANZA
E DIGNITÀ DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA
1. La
celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio
gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita
cristiana per
la Chiesa
universale, per quella locale, e per i singoli fedeli (1). Nella Messa
infatti si ha il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il
mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono al Padre,
adorandolo per mezzo di Cristo Figlio di Dio (2). In essa inoltre
la Chiesa
commemora, nel corso dell’anno, i misteri della redenzione, in modo da
renderli in certo modo presenti (3). Tutte le altre azioni sacre e ogni
attività della vita cristiana sono in stretta relazione con
la Messa
, da essa derivano e ad essa sono ordinate (4).
2. È
perciò di somma importanza che la celebrazione della Messa, o Cena del
Signore, sia ordinata in modo che i ministri e i fedeli, partecipandovi
ciascuno secondo il proprio ordine e grado, traggano abbondanza di quei
frutti (5), per il conseguimento dei quali Cristo Signore ha istituito
il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue e lo ha
affidato, come memoriale della sua passione e risurrezione, alla Chiesa,
sua dilettissima sposa (6).
3. Si
potrà ottenere davvero questo risultato, se, tenuto conto della natura
e delle altre caratteristiche di ogni assemblea, tutti la celebrazione
verrà ordinata in modo tale da portare i fedeli a una partecipazione
consapevole, attiva e piena, esterna od interna, ardente di fede,
speranza e carità; partecipazione vivamente desiderata dalla Chiesa e
richiesta dalla natura stessa della celebrazione, e alla quale il popolo
cristiano ha diritto e dovere in forza del Battesimo (7)
4. Non
sempre si può avere la presenza e l’attiva partecipazione dei fedeli,
che manifestano più chiaramente la natura ecclesiale dell’azione
liturgica (8); sempre però la celebrazione eucaristica ha
l’efficacia e la dignità che le sono proprie, in quanto è unione di
Cristo e della Chiesa (9), e il sacerdote vi agisce sempre per la
salvezza del popolo.
5. Poiché
inoltre la celebrazione dell’Eucaristia, come tutta la liturgia, si
compie per mezzo di segni sensibili, mediante i quali la fede si
alimenta, s’irrobustisce e si esprime (10), si deve avere la
massima cura nello scegliere e nel disporre quelle forme e quegli
elementi che
la Chiesa
propone, e che, considerate le circostanze di persone e di luoghi,
possono favorire più intensamente la partecipazione attiva e piena e
rispondere più adeguatamente al bene dei fedeli.
6.
Pertanto questa "Istruzione" si propone di esporre i principi
generali per l’ordinamento della celebrazione dell’Eucaristia, e
presentare le norme per regolare le singole forme di celebrazione (11).
Le Conferenze Episcopali, secondo
la Costituzione
sulla Sacra Liturgia, possono prescrivere, per il loro territorio, delle
norme che tengano conto delle tradizioni e della cultura propria dei
loro popoli, delle regioni e delle diverse comunità (12).
Note
1. Cf SC 41; LG 11; PO 2, 5, 6; UR 15; EM 3e, 6.
2. Cf
SC 10
3. Cf
SC 102.
4. Cf PO 5; SC 10.
5. Cf
SC 14, 19, 26, 28, 30.
6. Cf
SC 47.
7. Cf
SC 14.
8. Cf
SC 41.
9. Cf PO 13.
10. SC 59.
11. Cf per le Messe nei gruppi particolari: AcP; per le Messe con
i fanciulli: PB; sul modo di unire le Ore dell’Ufficio con
la Messa
: IGLH 93-98
12. SC 37-40.
7. Nella
Messa o Cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi
insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di
Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio
eucaristico (13).
Per questa riunione locale della santa Chiesa vale perciò in modo
eminente la promessa di Cristo: "Là dove sono due o tre radunati
nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20).
Infatti nella celebrazione della Messa, nella quale si perpetua il
sacrificio della Croce (14), Cristo è realmente presente
nell’assemblea dei fedeli riunita in suo nome, nella persona del
ministro, nella sua parola e in modo sostanziale e permanente sotto le
specie eucaristiche (15)
8.
La Messa
è costituita da due parti, la "Liturgia della Parola" e la
"Liturgia eucaristica"; esse son così strettamente congiunte
tra di loro da formare un unico atto di culto (16). Nella Messa,
infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la
mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro
(17). Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la
celebrazione.
Lettura della parola di Dio e sua spiegazione
9.
Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo
popolo e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il Vangelo.
Per questo, le letture della parola di Dio, che costituiscono un
elemento importantissimo della Liturgia, si devono ascoltare da tutti
con venerazione. E benché la parola di Dio nelle letture della sacra
Scrittura sia rivolta a tutti gli uomini di ogni epoca e sia da essi
intelligibile, tuttavia la sua efficacia viene accresciuta da
un’esposizione viva e attuale, cioè dall’omelia, che è considerata
parte dell’azione liturgica (18).
Le orazioni e le altre parti che spettano al sacerdote
10. Tra
le parti proprie del sacerdote, occupa il primo posto
la Preghiera
eucaristica, culmine di tutta la celebrazione. Seguono poi le orazioni,
cioè: l’orazione di inizio (o colletta), l’orazione sulle offerte e
l’orazione dopo la comunione. Queste preghiere dette dal sacerdote
nella sua qualità di presidente dell’assemblea nella persona di
Cristo, sono rivolte a Dio a nome dell’intero popolo santo e di tutti
i presenti (19). Perciò giustamente si chiamano "orazioni
presidenziali".
11.
Spetta ugualmente al sacerdote, per il suo ufficio di presidente
dell’assemblea radunata, formulare alcune monizioni e proporre le
formule di introduzione e di conclusione previste nel rito medesimo. Di
loro natura queste monizioni non esigono di essere pronunziate alla
lettera, nella formulazione presentata nel Messale; per cui potrà
essere opportuno l’adattarle in qualche modo, almeno in alcuni casi,
alle vere condizioni della comunità (20). Così pure spetta al
sacerdote che presiede annunziare la parola di Dio e impartire la
benedizione finale. Egli può inoltre intervenire con brevissime parole,
all’inizio della celebrazione, per introdurre i fedeli alla Messa del
giorno; alla Liturgia della Parola, prima delle letture; alla Preghiera
eucaristica, prima di iniziare il prefazio; prima del congedo, per
concludere l’intera azione sacra.
12. La
natura delle parti "presidenziali" esige che esse siano
proferite a voce alta e chiara e che siano ascoltate da tutti con
attenzione (21). Perciò mentre il sacerdote le dice, non si devono
sovrapporre altre orazioni o canti, e l’organo e altri strumenti
musicali devono tacere.
13. Il
sacerdote formula preghiere non soltanto come presidente a nome di tutta
la comunità, ma talvolta anche a titolo personale, per poter compiere
il proprio ministero con maggior attenzione e pietà. Tali preghiere si
dicono sottovoce.
Altre formule che ricorrono nella celebrazione
14.
Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura, ha carattere
"comunitario" (22), grande rilievo assumono i dialoghi tra il
celebrante e l’assemblea dei fedeli, e le acclamazioni (23). Infatti
questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione
comunitaria, ma favoriscono ed effettuano la comunione tra il sacerdote
e il popolo.
15. Le
acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle
orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli
riuniti devono porre in atto in ogni forma di Messa per esprimere e
ravvivare l’azione di tutta la comunità (24).
16.
Altre parti, assai utili per manifestare e favorire la partecipazione
attiva dei fedeli, spettano all’intera assemblea: sono soprattutto
l’atto penitenziale, la professione di fede, la preghiera universale
(detta anche preghiera dei fedeli) e la preghiera del Signore (cioè il
Padre nostro).
17.
Infine, tra le altre formule:
a) alcune costituiscono un rito o un atto a sé stante, come l’inno
Gloria, il salmo responsoriale, l’Alleluia e il versetto prima del
Vangelo (canto al Vangelo), il Santo (Sanctus), l’acclamazione
dell’anamnesi e il canto dopo la comunione;
b) altre, invece, accompagnano qualche rito, come i canti d’ingresso,
di offertorio, quelli che accompagnano la "frazione" o atto di
spezzare il pane (Agnello di Dio - Agnus Dei) e la comunione.
In qual modo proclamare i vari testi
18. Nei
testi che devono esser pronunziati a voce alta e chiara dal sacerdote,
dai ministri, o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo
secondo che si tratti di una lettura, di un orazione, di una monizione,
di un’acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma
di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica. Inoltre si
tenga conto delle caratteristiche delle diverse lingue e della cultura
specifica di ogni popolo.
Nelle rubriche e nelle norme che seguono, le parole "dire"
oppure "proclamare" devono essere intese in riferimento sia al
canto che alla recita, tenuto conto dei principi sopra esposti.
Importanza del canto
19. I
fedeli che si radunano nell’attesa della venuta del loro Signore, sono
esortati dall’Apostolo a cantare insieme salmi, inni e cantici
spirituali (cf Col 3, 16). Infatti il canto è segno della gioia del
cuore (cf At 2,46). Perciò dice molto bene sant'Agostino: "Il
cantare è proprio di chi ama" (25), e già dall’antichità si
formò il detto: "Chi canta bene, prega due volte".
Nelle celebrazioni si dia quindi grande importanza al canto, tenuto
conto della diversità culturale delle popolazioni e della capacità di
ciascun gruppo anche se non è sempre necessario cantare tutti i testi
che per loro natura sono destinati al canto. Nella scelta delle parti
destinate al canto, si dia la preferenza a quelle di maggior importanza,
e soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote o dai
ministri con la risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo
insieme (26). Poiché sono sempre più frequenti le riunioni di fedeli
di diverse nazionalità, è opportuno che sappiano cantare insieme, in
lingua latina, e nelle melodie più facili, almeno le parti
dell’Ordinario della Messa, specialmente il simbolo della fede e la
preghiera del Signore (Pater noster) (27).
Gesti e atteggiamenti del corpo
20.
L’atteggiamento comune del corpo, che tutti i partecipanti al rito
sono invitati a prendere, è il segno della comunità e dell’unità
dell’assemblea: esso esprime e favorisce l’intenzione e i sentimenti
dell’animo dei partecipanti (28).
21. Per
ottenere l’uniformità nei gesti e negli atteggiamenti, i fedeli
seguano le indicazioni che vengono date dal diacono, o dal sacerdote, o
da un altro ministro, durante la celebrazione. Inoltre, in tutte le
Messe, salvo indicazioni in contrario, i fedeli stiano in piedi
dall’inizio del canto di ingresso, o mentre il sacerdote si reca
all’altare, fino alla conclusione dell’orazione di inizio (o
colletta), durante il canto dell’Alleluia prima del Vangelo; durante
la proclamazione del Vangelo; durante la professione di fede e la
preghiera universale (o preghiera dei fedeli); dall’orazione sulle
offerte fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto
in seguito. Stanno invece seduti durante la proclamazione delle letture
prima del Vangelo e durante il salmo responsoriale; all’omelia e
durante la preparazione dei doni all’offertorio; se lo si ritiene
opportuno, durante il sacro silenzio dopo la comunione.
S’inginocchiano poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano o la
ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri motivi
ragionevoli.
Spetta però alle Conferenze Episcopali adattare i gesti e gli
atteggiamenti del corpo, descritti nel Rito della Messa romana, alla
cultura dei vari popoli (29). Nondimeno si faccia in modo che tali
adattamenti corrispondano al senso e al carattere di ciascuna parte
della celebrazione.
22. Fra
i gesti sono comprese anche le azioni e gli atteggiamenti del sacerdote
nel recarsi all’altare, quelle per la presentazione dei doni e per la
comunione dei fedeli. Conviene che queste azioni siano fatte in modo
decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le norme
stabilite per i singoli movimenti.
Il silenzio
23. Si
deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della
celebrazione (30). La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo
nelle singole celebrazioni. Così, durante l'atto penitenziale e
dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo
la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che
si è ascoltato; dopo la comunione, favorisce la preghiera interiore di
lode e di ringraziamento.
24. Le
parti che precedono
la Liturgia
della Parola, cioè l’introito, il saluto, l’atto penitenziale, il
Kyrie eleison, il Gloria e l’orazione (o colletta), hanno un carattere
di inizio, di introduzione e di preparazione.
Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una
comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio ed a
celebrare degnamente l’Eucaristia.
L’introito
25.
Quando il popolo è riunito, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con
i ministri, si inizia il canto d’ingresso. La funzione propria di
questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire
l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero
del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione
del sacerdote e dei ministri.
26. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal
popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o
dalla sola schola. Si può utilizzare sia l’antifona con il suo
canto, quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale
simplex, oppure un altro canto adatto all’azione sacra, al
carattere del giorno o del tempo, e il cui testo sia stato approvato
dalla Conferenza Episcopale.
Se all’introito non ha luogo il canto, l’antifona proposta dal
Messale Romano viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal
lettore, o anche dallo stesso sacerdote dopo il saluto.
Saluto all’altare e al popolo radunato
27.
Giunti in presbiterio, il sacerdote e i ministri salutano l’altare. In
segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano e il
sacerdote lo può incensare secondo l’opportunità.
28.
Terminato il canto d’ingresso, il sacerdote e tutta l’assemblea si
segnano col segno di croce. Poi il sacerdote con il saluto annunzia alla
comunità riunita la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la
risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata.
Atto penitenziale
29.
Salutato il popolo, il sacerdote, o un altro ministro che ne sia capace,
può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno. Quindi il
sacerdote invita all’atto penitenziale, che viene compiuto da tutta la
comunità mediante la confessione generale, e si conclude con
l’assoluzione del sacerdote.
Kyrie eleison
50. Dopo
l’atto penitenziale ha inizio il Kyrie eleison, a meno che non sia già
stato detto durante l’atto penitenziale. Essendo un canto col quale i
fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia, di solito
viene eseguito da tutti, in alternanza tra il popolo e la schola o
un cantore.
Ogni acclamazione di solito si dice due volte; ma non si esclude che, in
considerazione dell’indole delle diverse lingue o della composizione
musicale o di circostanze particolari, sia ripetuto un maggior numero di
volte, o intercalato da un breve "tropo". Se il Kyrie eleison
non viene cantato, si recita.
Gloria in excelsis
31. Il
Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale
la Chiesa
, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e
l’Agnello. Viene cantato da tutta l’assemblea, o dal popolo
alternativamente con la schola oppure dalla schola. Se non
lo si canta, viene recitato da tutti, insieme o alternativamente.
Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del Tempo di Avvento e
Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in particolari
celebrazioni più solenni.
Orazione conclusiva dei riti di introduzione (o colletta)
32. Poi
il sacerdote invita il popolo a pregare; e tutti insieme con il
sacerdote stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza
di essere alla presenza di Dio e per poter formulare nel proprio cuore
la preghiera personale. Quindi il sacerdote dice l’orazione, chiamata
comunemente "colletta". Per mezzo di essa viene espresso il
carattere della celebrazione e con le parole del sacerdote si rivolge la
preghiera a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo.
Il popolo, unendosi alla preghiera ed esprimendo il suo assenso, fa sua
l’orazione con l’acclamazione Amen.
Nella Messa si dice una sola colletta; la stessa cosa vale anche per
l’orazione sulle offerte e dopo la comunione.
La colletta termina con la conclusione lunga, e cioè:
— se è rivolta al Padre: Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo
Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito
Santo, per tutti i secoli dei secoli;
— se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell’orazione medesima si
fa menzione del Figlio: Egli è Dio (opp. che è Dio) e vive e regna con
te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;
— se è rivolta al Figlio: Tu che sei Dio e vivi e regni con Dio
Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Invece l’orazione sulle offerte e l’orazione dopo
la Comunione
hanno la conclusione breve, e cioè:
— se e rivolta al Padre: Per Cristo nostro Signore;
— se e rivolta al Padre, ma verso la fine dell’orazione medesima si
fa menzione del Figlio: Egli vive e regna nei secoli dei secoli;
— se e rivolta al Figlio: Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
33. Le
letture scelte dalla sacra Scrittura con i canti che le accompagnano,
costituiscono la parte principale della Liturgia della Parola;
l’omelia, la professione di fede e la preghiera universale o preghiera
dei fedeli sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle letture,
che vengono poi spiegate nella omelia, Dio parla al suo popolo (31), gli
manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un
nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente per mezzo della sua
parola, tra i fedeli (32). Il popolo fa propria questa parola divina con
i canti e vi aderisce con la professione di fede; così nutrito, prega
nell’orazione universale per le necessità di tutta
la Chiesa
e per la salvezza del mondo intero.
Le letture bibliche
34. Con
le letture si offre ai fedeli la mensa della parola di Dio e si aprono
loro i tesori della Bibbia (33). Poiché secondo la tradizione
l’ufficio di proclamare le letture non spetta al presidente ma ad uno
dei ministri, conviene che, d’ordinario, il diacono, o, in sua
assenza, un altro sacerdote legga il Vangelo; un lettore invece legga le
altre letture. Mancando però il diacono o un altro sacerdote, leggerà
il Vangelo lo stesso sacerdote celebrante (34).
35. Alla
lettura del Vangelo si deve il massimo rispetto; lo insegna la liturgia
stessa, perché la distingue dalle altre letture con particolari onori:
sia da parte del ministro incaricato di proclamarla che si prepara con
la benedizione o con la preghiera; sia da parte dei fedeli, i quali con
le acclamazioni riconoscono e professano che Cristo è presente e parla
a loro, e ascoltano la lettura stando in piedi; sia per mezzo dei segni
di venerazione che si rendono al libro dei Vangeli.
I canti tra le letture
36. Alla
prima lettura segue il salmo responsoriale, o graduale, che è parte
integrante della Liturgia della Parola. Il salmo, d’ordinario, è
preso dal Lezionario, perché ogni testo salmodico è direttamente
connesso con la relativa lettura: pertanto la scelta del salmo dipende
dalle letture. Nondimeno, perché il popolo più facilmente possa
ripetere il ritornello, sono stati scelti alcuni testi comuni di
ritornelli e di salmi per diversi tempi dell’anno e per le diverse
categorie di santi; questi testi si possono utilizzare al posto di
quelli corrispondenti alle letture ogni volta che il salmo viene
cantato.
Il salmista o cantore del salmo, canta o recita i versetti del salmo
all’ambone o in altro luogo adatto; l’assemblea sta seduta e
ascolta, e partecipa di solito con il ritornello, a meno che il salmo
non sia cantato o recitato per intero senza ritornello. Se si canta,
oltre al salmo designato sul Lezionario, si può utilizzare o il
graduale del Graduale romanum, oppure un salmo responsoriale o
alleluiatico del Graduale simplex, così come sono indicati in
tali libri.
37. Alla
seconda lettura segue l’Alleluia o un altro canto, a seconda del tempo
liturgico.
a) L’Alleluia si canta in qualsiasi Tempo, tranne che in Quaresima. Può
essere iniziato o da tutti, o dalla schola, o da un cantore e, se
è il caso, lo si ripete. I versetti si scelgono dal Lezionario oppure
dal Graduale.
b) L’altro canto è costituito da un versetto prima del Vangelo,
oppure da un altro salmo o tratto, come si trovano nel Lezionario o nel
Graduale.
38.
Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:
a) nel Tempo in cui si canta l’Alleluia, si può utilizzare o il salmo
alleluiatico, oppure il salmo e l’Alleluia con il suo versetto, o solo
il salmo o solo l’Alleluia;
b), nel tempo in cui l’Alleluia non si canta, si può eseguire o il
salmo o il versetto prima del Vangelo (cioè il canto al Vangelo).
39. Il
salmo dopo la lettura, se non viene cantato, deve essere letto ad alta
voce; invece l’Alleluia e il versetto prima del Vangelo, se non si
cantano, si possono tralasciare.
40. La
sequenza è facoltativa, eccetto nei giorni di Pasqua e di Pentecoste.
L’omelia
41.
L’omelia fa parte della liturgia ed è molto raccomandata (35): è
infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Deve essere la
spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra Scrittura, o
di un altro testo dell’Ordinario o del Proprio della Messa del giorno,
tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari
necessità di chi ascolta (36).
42.
Nelle domeniche e nelle feste di precetto si deve tenere l’omelia in
tutte le Messe con partecipazione di popolo; non si può omettere senza
una ragione grave. Negli altri giorni è raccomandata specialmente nelle
ferie di Avvento, di Quaresima e del Tempo pasquale; così pure nelle
altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso il concorso del
popolo alla chiesa (37).
L’omelia di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote celebrante.
La professione di fede
43. Il
Simbolo, o professione di fede, nella celebrazione della Messa, ha lo
scopo di suscitare nell’assemblea, dopo l’ascolto della parola di
Dio nelle letture e nell’omelia, una risposta di assenso, e di
richiamare alla mente la regola della fede, prima di incominciare la
celebrazione dell’Eucaristia.
44. Il
Simbolo deve esser recitato dal sacerdote insieme con il popolo nelle
domeniche e nelle solennità; si può dire anche in particolari
celebrazioni più solenni.
Se viene cantato, si canti normalmente da tutti o a cori alterni.
La preghiera universale
45.
Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo,
esercitando la sua funzione sacerdotale, prega per tutti gli uomini. E'
conveniente che nelle Messe con partecipazione di popolo vi sia
normalmente questa preghiera, nella quale si elevino suppliche per la
santa Chiesa, per i governanti, per coloro che si trovano in necessità,
per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo (38).
46. La
successione delle intenzioni sia ordinariamente questa:
a) per le necessità della Chiesa;
b) per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo;
c) per quelli che si trovano in difficoltà;
d) per la comunità locale.
Tuttavia in qualche celebrazione particolare, per esempio nella
Confermazione, nel Matrimonio, nelle Esequie, la successione delle
intenzioni può venire adattata maggiormente alla circostanza
particolare.
47.
Spetta al sacerdote celebrante guidare la preghiera, invitare, con una
breve monizione, i fedeli a pregare, e concludere la preghiera con
un’orazione. Sarà bene che le intenzioni siano proposte da un diacono
o da un cantore, o da qualche altra persona (39). Tutta l’assemblea
esprime la sua preghiera o con un’invocazione comune, dopo che sono
state presentate le intenzioni, oppure pregando in silenzio.
48.
Nell’ultima Cena Cristo istituì il sacrificio e convito pasquale per
mezzo del quale è reso di continuo presente nella Chiesa il sacrificio
della Croce, allorché il sacerdote che rappresenta Cristo Signore,
compie ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli perché lo
facessero in memoria di lui (40).
Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il pane e
li diede ai suoi discepoli, dicendo: "Prendete, mangiate, bevete;
questo è il mio Corpo; questo è il calice del mio Sangue. Fate questo
in memoria di me". Perciò
la Chiesa
ha disposto tutta la celebrazione della Liturgia eucaristica in vari
momenti, che corrispondono a queste parole e gesti di Cristo. Infatti:
1. Nella preparazione dei doni, vengono portati all’altare pane e vino
con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani.
2. Nella Preghiera eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta
l’opera della salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di
Cristo.
3. Mediante la frazione di un unico pane si manifesta l’unità dei
fedeli, e per mezzo della comunione i fedeli si cibano del Corpo e del
Sangue del Signore, allo stesso modo con il quale gli Apostoli li hanno
ricevuti dalle mani di Cristo stesso.
La preparazione dei doni
49.
All’inizio della Liturgia eucaristica si portano all’altare i doni,
che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo.
Prima di tutto si prepara l’altare, o mensa del Signore, che è il
centro di tutta
la Liturgia
eucaristica (41), ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il
messale e il calice, se non viene preparato alla credenza.
Poi si portano le offerte: i fedeli — cosa lodevole — presentano il
pane e il vino; il sacerdote, o il diacono, in luogo opportuno e adatto,
li riceve e li depone sull’altare, recitando le formule prescritte.
Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio
pane e vino destinati alla liturgia, tuttavia il rito di presentare
questi doni conserva il suo valore e il suo significato spirituale.
Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i
poveri o per
la Chiesa
, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo
adatto, fuori della mensa eucaristica.
50. Il
canto all’offertorio accompagna la processione con la quale si portano
i doni; esso si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti
sull’altare. Le norme che regolano questo canto sono le stesse che per
il canto d’ingresso (n. 26). L’antifona di offertorio, se non si
canta, viene tralasciata.
51. Si
può fare l’incensazione dei doni posti sull’altare stesso, per
significare che l’offerta della Chiesa e la sua preghiera si innalzano
come incenso al cospetto di Dio. Dopo l’incensazione dei doni e
dell’altare, anche il sacerdote e il popolo possono ricevere l’incensazione
dal diacono o da un altro ministro.
52.
Quindi il sacerdote si lava le mani; con questo rito si esprime il
desiderio di purificazione interiore.
53.
Deposte le offerte sull’altare e compiuti i riti che accompagnano
questo gesto, il sacerdote invita i fedeli a unirsi a lui nella
preghiera e pronunzia l’orazione sulle offerte: si conclude così la
preparazione dei doni e si prelude alla Preghiera eucaristica.
La Preghiera
eucaristica
54. A
questo
punto ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera
celebrazione, vale a dire
la Preghiera
eucaristica, cioè la preghiera di azione di grazie e di santificazione.
Il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore
nella preghiera e nell’azione di grazie, e lo associa a sé nella
solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge al
Padre per mezzo di Gesù Cristo. Il significato di questa preghiera è
che tutta l’assemblea si unisca insieme con Cristo nel magnificare le
grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio.
55. Gli
elementi principali di cui consta
la Preghiera
eucaristica, si possono distinguere come segue:
a) L’azione di grazie (che si esprime specialmente nel
prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio
Padre e gli rende grazie per tutta l’opera della salvezza o per
qualche suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno,
della festa o del Tempo.
b) L’acclamazione: tutta l’assemblea, unendosi alle creature
celesti, canta o recita il Santo (Sanctus). Questa acclamazione, che fa
parte della Preghiera eucaristica, è pronunziata da tutto il popolo col
sacerdote.
c) L’epiclesi:
la Chiesa
implora con speciali invocazioni la potenza divina, perché i doni
offerti dagli uomini vengano consacrati, cioè diventino il Corpo e il
Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella
comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno.
d) Il racconto dell’istituzione e la consacrazione: mediante le
parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso
istituì nell’ultima Cena, quando offri il suo Corpo e il suo Sangue
sotto le specie del pane e del vino, lo diede a mangiare e a bere agli
Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero.
e) L’anamnesi:
la Chiesa
, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli
Apostoli, celebra la memoria di Cristo, ricordando soprattutto la sua
beata passione, la brio-sa risurrezione e l’ascensione al cielo.
f) L’offerta: nel corso di questa stessa memoria
la Chiesa
, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo,
offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata.
La Chiesa
desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma anche
imparino ad offrire se stessi e così portino ogni giorno più a
compimento, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con
i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti (42).
g) Le intercessioni: in esse si esprime che l’Eucaristia viene
celebrata in comunione con tutta
la Chiesa
, sia celeste che terrestre, e che l’offerta è fatta per essa e per
tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati a
partecipare alla redenzione e alla salvezza acquistata per mezzo del
Corpo e del Sangue di Cristo.
h) La dossologia finale che esprime la glorificazione di Dio:
essa viene ratificata e conclusa con l’acclamazione del popolo.
La Preghiera
eucaristica esige che tutti l’ascoltino con rispetto e in silenzio, e
vi partecipino con le acclamazioni previste nel rito.
Riti di comunione
56.
Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene
che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il
suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale (43).
A questo mirano la frazione del pane e gli altri riti preparatori che
dispongono immediatamente i fedeli alla comunione.
a) La preghiera del Signore (o Padre nostro): in essa si chiede il pane
quotidiano, nel quale i cristiani scorgono anche un riferimento al pane
eucaristico, e si implora la purificazione dei peccati, così che
realmente "i santi doni vengano dati ai santi”. Il sacerdote
rivolge l’invito alla preghiera, che tutti i fedeli dicono insieme con
lui; ma soltanto il sacerdote vi aggiunge l’embolismo, che il popolo
conclude con la dossologia. L’embolismo, sviluppando l’ultima
domanda della preghiera del Signore, chiede per tutta la comunità dei
fedeli la liberazione dal potere del male.
L’invito (o monizione), la preghiera del Signore, l’embolismo e la
dossologia, con la quale il popolo conclude l’embolismo, sì cantano o
si dicono ad alta voce.
b) Segue il rito della pace, con il quale i fedeli implorano la pace e
l’unità per
la Chiesa
e per l’intera famiglia umana, ed esprimono fra di loro l’amore
vicendevole, prima di partecipare all’unico pane.
Le Conferenze Episcopali stabiliranno il modo di compiere questo gesto
di pace secondo l’indole e le usanze delle popolazioni.
c) Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell’ultima
Cena, sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l’azione
eucaristica. Questo rito non ha soltanto una ragione pratica, ma
significa che noi, pur essendo molti, diventiamo un solo corpo nella
comunione a un solo pane di vita, che è Cristo (1 Cor 10,17).
d) L’ immixtio: il celebrante mette nel calice una
piccola porzione dell’ostia.
e) Agnello di Dio (Agnus Dei): mentre si compie la frazione del pane e l’immixtio,
si canta dalla schola o dal cantore l'invocazione Agnello di
Dio (Agnus Dei), alla quale risponde il popolo; oppure la si dice ad
alta voce. Si può ripetere questa invocazione quante volte è
necessario per accompagnare la frazione del pane. L’ultima
invocazione termina con le parole dona a noi la pace (dona nobis pacem).
f) La preparazione personale del sacerdote: il celebrante si prepara con
una preghiera silenziosa a ricevere con frutto il Corpo e il Sangue di
Cristo. Lo stesso fanno i fedeli pregando in silenzio.
g) Quindi il celebrante mostra ai fedeli il pane eucaristico che sarà
ricevuto nella comunione e li invita al banchetto di Cristo; poi insieme
con essi esprime sentimenti di umiltà, servendosi delle parole del
Vangelo.
h) Si desidera vivamente che i fedeli ricevano il Corpo del Signore con
ostie consacrate nella stessa Messa, e nei casi previsti, facciano la
comunione al calice, perché anche per mezzo dei segni, la comunione
appaia meglio come partecipazione al sacrificio in atto (44).
i) Mentre il sacerdote e i fedeli si comunicano, si esegue il canto di
comunione; esso ha lo scopo di esprimere mediante l’accordo delle voci
l’unione spirituale di coloro che si comunicano, dimostrare la gioia
del cuore e rendere più fraterna la processione di coloro che si
accostano a ricevere il Corpo di Cristo. Il canto comincia mentre il
sacerdote si comunica, e si protrae per un certo tempo, durante la
comunione dei fedeli. Se però è previsto che dopo la comunione si
eseguisca un inno, il canto di comunione s’interrompa al momento
opportuno.
Come canto di comunione si può utilizzare o l’antifona del Graduale
romanum, con o senza salmo, o l’antifona col salmo del Graduale
simplex, oppure un altro canto adatto, approvato dalla Conferenza
Episcopale. Può essere cantato o dalla sola schola, o dalla schola
o dal cantore insieme col popolo.
Se invece non si canta, l’antifona di comunione proposta dal Messale
viene recitata o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, se no
dallo stesso sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di
distribuire la comunione ai fedeli.
j) Ultimata la distribuzione della comunione il sacerdote e i fedeli,
secondo l’opportunità, pregano per un po’ di tempo in silenzio. Si
può anche far cantare da tutta l’assemblea un inno, un salmo o un
altro canto di lode.
k) Nell’orazione dopo la comunione, il sacerdote chiede i frutti del
mistero celebrato. Il popolo fa sua l’orazione con l’acclamazione
Amen.
57. I
riti di conclusione comprendono:
a) Il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in
certe circostanze si può arricchire e sviluppare con l’"orazione
sul popolo" o con un’altra formula più solenne.
b) Il congedo propriamente detto, con il quale si scioglie
l’assemblea, perché ognuno ritorni alle sue occupazioni lodando e
benedicendo il Signore.
Note
13. Cf PO 5; SC 33.
14. Cf CONC. Trid., sess. XXII, Doctrina de Ss. Missae
sacrificio,
cap. 1: DS 1 739-1742; Paolo VI, Sollemnis professio fidei, 30.6.1968,
n. 24: EV III, 560.
15. Cf SC 7; MF: EV 11, 424; EM 9.
16. Cf SC 56; EM 10.
17. Cf SC 48, 51; DV 21; P0 4.
18. Cf SC 7, 33, 52.
19. Cf SC 33.
20. Cf S. Congr. per il culto divino, Lett. circ. Eucharistiae participationem, 27.4.1973,
n. 14: EV IV, 2492.
21. Cf MS 14.
22. Cf SC 26, 27; EM 3d.
23. Cf SC 30.
24. Cf MS 16a.
25. Sermo 336,1: PL 38, 1472.
26. Cf MS 7, 16; Messale Romano, Ordinamento dei canti della
Messa, ed. tip. 1972, "Premesse": EV IV, 1669 ss.
27. Cf SC 54; IOE 59; MS 47.
28. Cf SC 30.
29. Cf SC 39.
30. Cf SC 30; MS 17.
31. Cf SC 33.
32. Cf SC 7.
33. Cf SC 51.
34. Cf IOE 50.
35. Cf SC 52.
36. Cf IOE 54.
37. Cf IOE 53.
38. Cf SC 53.
39. Cf IOE 56.
40. Cf SC 47; EM 3a, b.
41. Cf IOE 91; EM 24
42. Cf SC 48; PO 5.
43. Cf EM 12. 33a.
44. Cf EM 31, 32; sulla
facoltà di comunicarsi due volte nello stesso giorno: cf CIC, c. 917
58.
Nell’assemblea, che si riunisce per
la Messa
, ciascuno ha il diritto e il dovere di recare la sua partecipazione in
diversa misura a seconda della diversità di ordine e di compiti (45).
Pertanto tutti, sia i ministri che i fedeli, compiendo il proprio
ufficio, facciano tutto e soltanto ciò che è di loro competenza (46):
così che la stessa disposizione della celebrazione manifesti
la Chiesa
costituita nei suoi diversi ordini e ministeri.
59. Ogni
legittima celebrazione dell’Eucaristia è diretta dal vescovo, o
personalmente, o per mezzo dei presbiteri suoi collaboratori (47).
Quando il vescovo è presente a una Messa con partecipazione di popolo,
è bene che presieda lui stesso l’assemblea, e che associ a sé i
presbiteri nella celebrazione, per quanto è possibile concelebrando con
loro.
Questo
si fa non tanto per accrescere la solennità esteriore del rito, ma per
esprimere con maggior chiarezza il mistero della Chiesa, sacramento di
unità (48)
Se il
vescovo non celebra l’Eucaristia, ma ne affida il compito a un
presbitero, è bene che sia lui a presiedere
la Liturgia
della Parola e a impartire la benedizione alla fine della Messa.
60.
Anche il sacerdote che nella comunità dei fedeli è insignito del
potere derivatogli dall’Ordine sacro di offrire il sacrificio nella
persona di Cristo (49), presiede l’assemblea riunita, ne dirige la
preghiera, annuncia ad essa il messaggio della salvezza, si associa il
popolo nell’offerta del sacrificio a Dio Padre per Cristo nello
Spirito Santo, distribuisce ai fratelli il pane della vita eterna e
partecipa con essi al banchetto. Pertanto, quando celebra
l’Eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e
nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far
sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo.
61. Tra
i ministri ha il primo posto il diacono, il cui ordine già dagli inizi
della Chiesa fu tenuto in grande onore. Nella Messa il diacono ha come
ufficio proprio: l’annunciare il Vangelo e talvolta predicare la
parola di Dio, proporre ai fedeli le intenzioni della preghiera
universale, servire il sacerdote, distribuire ai fedeli l’Eucaristia,
specialmente sotto la specie del vino, ed eventualmente indicare
all’assemblea i gesti e gli atteggiamenti da assumere.
62. Nella
celebrazione della Messa i fedeli formano la gente santa, il popolo che
Dio si è acquistato e il sacerdozio regale, per rendere grazie a Dio,
offrire la vittima immacolata non soltanto per le mani del sacerdote ma
anche insieme con lui, e imparare a offrire se stessi (50). Procurino
quindi di manifestare tutto ciò con un profondo senso religioso e con
la carità verso i fratelli che partecipano alla stessa celebrazione.
Evitino
perciò ogni forma di individualismo e di divisione, tenendo presente
che hanno un unico Padre nei cieli, e che perciò tutti sono tra loro
fratelli.
Formino
invece un solo corpo, sia nell’ascoltare la parola di Dio, sia nel
prendere parte alle preghiere e al canto, sia specialmente nella comune
offerta del sacrificio e nella comune partecipazione alla mensa del
Signore. Questa unità appare molto bene dai gesti e dagli atteggiamenti
del corpo, che i fedeli compiono tutti insieme.
I fedeli
non rifiutino di servire con gioia l’assemblea del popolo di Dio, ogni
volta che sono pregati di prestare qualche servizio particolare nella
celebrazione.
63. Tra
i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la schola cantorum o
"coro", il cui compito è quello di eseguire a dovere le parti
che le son proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la
partecipazione attiva dei fedeli nel canto (51). Quello che si dice
della schola cantorum vale anche, con gli opportuni adattamenti,
per gli altri musicisti, specialmente per l’organista.
64. È
opportuno che vi sia un cantore o maestro di coro per dirigere e
sostenere il canto del popolo. Anzi, mancando la schola, è
compito del cantore guidare i diversi canti, facendo partecipare il
popolo per la parte che gli spetta (52).
65.
L’accolito è istituito per curare il servizio all’altare e aiutare
il sacerdote e il diacono. A lui spetta specialmente preparare
l’altare e i vasi sacri, e, come ministro straordinario, distribuire
l’Eucaristia ai fedeli.
66. Il
lettore è istituito per proclamare le letture della sacra Scrittura,
eccetto il Vangelo; può anche proporre le intenzioni della preghiera
universale e, in mancanza del salmista, recitare il salmo interlezionale.
lì
lettore nella celebrazione eucaristica ha un suo ufficio proprio, che
deve esercitare lui stesso, anche se sono presenti ministri di ordine
superiore.
Perché
i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave
e vivo amore della sacra Scrittura (53), è necessario che i lettori
incaricati di tale ufficio, anche se non ne hanno ricevuta
l’istituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno.
67. È
compito del salmista proclamare il salmo, o il canto biblico, tra le
letture. Per adempiere convenientemente il suo ufficio, è necessario
che il salmista possegga l’arte del salmodiare e abbia una buona
pronuncia e una buona dizione.
68.
Quanto agli altri ministri, alcuni svolgono determinate funzioni in
presbiterio, altri fuori del presbiterio. Fra i primi si annoverano
coloro ai quali è stato affidato il compito di distribuire, in qualità
di ministri straordinari, la santa Comunione (54), come pure coloro che
portano il messale, la croce, i ceri, il pane, il vino, l’acqua e il
turibolo.
Fra gli
altri ci sono:
a) Il
commentatore, che rivolge ai fedeli spiegazioni ed esortazioni per
introdurli nella celebrazione e meglio disporli a comprenderla e
seguirla. Gli interventi del commentatore siano preparati con cura,
siano chiari e sobri. Nel compiere il suo ufficio, il commentatore sta
in un luogo adatto davanti ai fedeli, ma non sale all’ambone.
b)
Coloro che, in alcune regioni, accolgono i fedeli alla porta della
chiesa e li dispongono ai propri posti, e ordinano i movimenti
processionali dei fedeli.
c)
Coloro che raccolgono le offerte in chiesa.
69. È
bene che, soprattutto nelle grandi chiese e nelle comunità importanti,
vi sia qualcuno incaricato di predisporre con cura le celebrazioni, e di
preparare i ministri a compierle con decoro, ordine e devozione.
70.
Tutti i ministeri inferiori a quelli propri del diacono, possono essere
esercitati da uomini laici, anche se non ne hanno ricevuta
l’istituzione.
Gli
uffici che si compiono fuori del presbiterio, possono essere affidati
anche alle donne, secondo il prudente giudizio del rettore della chiesa.
Tuttavia
la Conferenza Episcopale
può permettere che anche una donna ben preparata proclami le letture
che precedono il Vangelo e proponga le intenzioni della preghiera
universale; spetta poi alla stessa Conferenza precisare il luogo adatto
dal quale le donne possono annunciare la parola di Dio nell’assemblea
liturgica (55).
71. Se
sono presenti più persone che possono esercitare lo stesso ministero,
nulla impedisce che si distribuiscano tra loro le varie parti di uno
stesso ministero e ciascuno svolga la sua. Per esempio, un diacono può
essere incaricato delle parti in canto, e un altro del servizio
all’altare; se vi sono più letture, converrà distribuirle tra più
lettori, e cosi via.
72. Se
nella Messa con partecipazione di popolo vi è un solo ministro, egli può
compiere diversi uffici.
73. La
preparazione pratica di ogni celebrazione liturgica si faccia di comune
intesa fra tutti coloro che sono interessati rispettivamente alla parte
rituale, pastorale e musicale, sotto la direzione del rettore della
chiesa, e sentito anche il parere dei fedeli per quelle cose che li
riguardano direttamente.
Note
45. Cf
SC 14, 26.
46. Cf
SC 28.
47. Cf
LG 26, 28; SC 42.
48. Cf SC 26.
49. Cf PO 2; LG 28.
50. Cf
SC 48; EM 12.
51. Cf
MS 19.
52. Cf
MS 21.
53. Cf
SC 24.
54. Cf
IC 1.
55. Cf LI 7.
74.
Nella Chiesa locale si deve dare il primo posto — lo richiede il suo
significato — alla Messa cui presiede il vescovo circondato dal suo
presbiterio e dai ministri (56) con la partecipazione piena e
attiva del popolo santo di Dio. Si ha qui infatti una speciale
manifestazione della Chiesa.
75.
Grande importanza si deve dare anche alla Messa celebrata con una
comunità, specialmente parrocchiale; essa, infatti, soprattutto nella
celebrazione comunitaria della domenica, manifesta
la Chiesa
universale in un momento e in un luogo determinato (57).
76. Tra
le Messe celebrate da determinate comunità, particolare importanza ha
la Messa
conventuale, che è parte dell’Ufficio quotidiano, come pure
la Messa
della "comunità". E sebbene queste Messe non comportino
nessuna forma particolare di celebrazione, tuttavia è quanto mai
conveniente che siano celebrate con il canto, e soprattutto con la piena
partecipazione di tutti i membri della comunità, sia di religiosi che
di canonici. In queste Messe perciò ognuno eserciti la sua funzione
secondo l’Ordine o il ministero ricevuto. Anzi, conviene che tutti i
sacerdoti non tenuti a celebrare individualmente per l’utilità
pastorale dei fedeli, per quanto è possibile concelebrino in queste
Messe. Inoltre tutti i sacerdoti membri della comunità, tenuti a
celebrare individualmente per il bene pastorale dei fedeli, possono,
nello stesso giorno, concelebrare anche
la Messa
conventuale o di comunità (58)
77. Per
"Messa con il popolo" si intende quella celebrata con la
partecipazione dei fedeli. Conviene, per quanto è possibile, che la
celebrazione si svolga con il canto e con un congruo numero di ministri,
soprattutto nelle domeniche e feste di precetto (59); si può fare però
anche senza canto e con un solo ministro.
78. È
bene che un accolito, un lettore e un cantore assistano, di solito, il
sacerdote celebrante; è questa la forma "tipica", come verrà
chiamata negli articoli seguenti. Però il rito qui descritto prevede la
possibilità di usare un numero anche maggiore di ministri.
A qualsiasi forma di celebrazione può prendere parte un diacono, che
svolge l’ufficio a lui proprio.
Cose
da preparare
79.
L’altare sia ricoperto da almeno una tovaglia. Sull’altare, o vicino
ad esso, si pongano almeno due, anche quattro, o sei candelieri con i
ceri accesi; se celebra il vescovo della diocesi, i candelieri saranno
sette. Inoltre, sull’altare, o vicino ad esso, si collochi la croce. I
candelieri e la croce si possono portare nella processione di ingresso.
Sopra l’altare si può collocare il libro dei Vangeli, distinto dal
libro delle altre letture, a meno che non venga portato nella
processione di ingresso.
80. Si
preparino pure:
a) accanto alla sede del sacerdote: il messale e, se necessario, il
libro dei canti;
b) sull’ambone: il lezionario;
c) sopra la credenza: il calice, il corporale, il purificatoio e,
secondo l’opportunità, la palla; la patena e le pissidi, se
occorrono, con il pane per la comunione del sacerdote, dei ministri e
del popolo; le ampolle con il vino e l’acqua, a meno che tutte queste
cose non vengano presentate dai fedeli all’offertorio; il piattello
per la comunione dei fedeli; inoltre il necessario per lavarsi le mani.
Il calice sia ricoperto da un velo, che può essere sempre di colore
bianco.
81. In
sacrestia,
si preparino, secondo le varie forme di celebrazione, le vesti sacre del
sacerdote e dei ministri:
a) per il sacerdote: camice, stola e casula;
b) per il diacono: camice, stola e dalmatica; in caso però di necessità
o di minor solennità la dalmatica si può omettere;
c) per gli altri ministri: camice o altre vesti legittimamente
approvate.
Tutti coloro che indossano il camice usino il cingolo e l’amitto, a
meno che non si provveda diversamente.
82.
Quando il popolo si è riunito, il sacerdote e i ministri, rivestiti
delle vesti sacre, si avviano all’altare, in quest’ordine:
a) il ministro con il turibolo fumigante, se si usa l’incenso;
b) i ministri che, secondo l’opportunità, portano i candelieri con i
ceri accesi; in mezzo a loro, eventualmente, un altro ministro con la
croce;
c) gli accoliti e gli altri ministri;
d) il lettore, che può portare il libro dei Vangeli; e) il sacerdote
celebrante.
Se si usa l’incenso, prima di incamminarsi il sacerdote pone
l’incenso nel turibolo.
83. Durante
la processione all’altare, si esegue il canto d’ingresso (cf nn.
25-26).
84.
Arrivati all’altare, il sacerdote e i ministri fanno la debita
riverenza: inchino profondo oppure, se vi è il tabernacolo con il
Santissimo Sacramento, genuflessione.
La croce portata in processione viene collocata presso l’altare, o in
altro luogo adatto; i candelieri portati dai ministri si depongono
accanto all’altare o sopra la credenza; il libro dei Vangeli viene
posto sull’altare.
85. Il
sacerdote sale all’altare e lo bacia in segno di venerazione. Poi,
secondo l’opportunità, lo incensa tutto intorno.
86.
Fatto questo, il sacerdote si reca alla sede. Terminato il canto
d’ingresso, tutti in piedi, sacerdote e fedeli, fanno il segno della
croce. lì sacerdote dice: Nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo (In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti); il popolo
risponde: Amen. Poi, rivolto al popolo, e allargando le braccia, il
sacerdote lo saluta con una delle formule proposte. Egli stesso, o un
altro ministro idoneo può fare una breve introduzione alla Messa del
giorno.
87. Dopo
l’atto penitenziale, si dicono il Kyrie eleison e il Gloria, secondo
le rubriche (nn. 30-3 1). Il Gloria può essere iniziato o dallo stesso
celebrante, o dai cantori, o anche da tutti insieme.
88.
Quindi il sacerdote invita il popolo alla preghiera, dicendo a mani
giunte: Preghiamo (Oremus). E tutti insieme con il sacerdote pregano,
per breve tempo, in silenzio. Poi il sacerdote, con le braccia
allargate, dice la colletta; al termine di questa, il popolo acclama:
Amen.
89.
Terminata l’orazione, il lettore si reca all’ambone e proclama la
prima lettura; tutti l’ascoltano seduti, e alla fine rispondono con
l’acclamazione.
90. Dopo
la lettura, il salmista o il cantore, o lo stesso lettore, canta o legge
il salmo; il popolo vi prende parte con il ritornello (Cf 36).
91. Poi,
se c’è una seconda lettura prima del Vangelo, il lettore la proclama
all’ambone, come si è detto sopra; tutti siedono e stanno in ascolto,
e alla fine rispondono con l’acclamazione.
92.
Segue l’Alleluia o un altro canto, secondo il tempo liturgico (Cf nn.
37-39).
93.
Mentre si canta l’Alleluia o un altro canto, se si usa l’incenso, il
sacerdote lo mette nel turibolo. Quindi, a mani giunte, e inchinato
davanti all’altare, dice sottovoce il Purifica il mio cuore (Munda cor
meum).
94. Poi
se il libro dei Vangeli è sull’altare, Io prende e, preceduto dai
ministri, che possono portare l’incenso e i ceri, si reca
all’ambone.
95.
All’ambone il sacerdote apre il libro e dice: Il Signore sia con voi (Dominus
vobiscum), e quindi Dal Vangelo secondo N., (Lectio sancti Evangelii
secundum N.), tracciando con il pollice il segno di croce sul
libro e sulla propria persona, in fronte, sulla bocca e sul petto. Poi,
se si usa il turibolo, incensa il libro. Dopo l’acclamazione del
popolo, il sacerdote legge ad alta voce il Vangelo. Terminata la
lettura, bacia il libro, dicendo sottovoce: La parola del Vangelo
cancelli i nostri peccati (Per evangelica dicta deleantur nostra delicta).
Al Vangelo segue l’acclamazione del popolo secondo l’uso della
regione.
96.
Quando manca il lettore, il sacerdote stesso proclama tutte le letture
e, se necessario, anche i canti interlezionali, stando all’ambone
Quivi, se lo si usa, pone l’incenso nel turibolo e dice, inchinandosi
il Purifica il mio cuore (Munda cor meum).
97.
L’omelia si tiene alla sede o all’ambone.
98. Il
Simbolo (Credo) viene detto dal sacerdote insieme con il popolo (cf n.
44). Nel dire le parole E per opera dello Spirito Santo.., e si è fatto
uomo (Et incarnatus est de Spiritu Sancto... et homo factus est), tutti
si inchinano; nelle feste dell’Annunciazione (25 marzo) e del Natale
del Signore (25 dicembre) tutti genuflettono.
99. Poi
si dice la preghiera universale o preghiera dei fedeli; il sacerdote la
dirige dalla sede o dall’ambone; il popolo vi partecipa nella parte
che gli spetta (Cf nn. 45-47).
100.
Dopo la preghiera dei fedeli, ha inizio il canto di offertorio (Cf n.
50), mentre i ministri collocano sull’altare il corporale, il
purificatoio, il calice e il messale.
101. Sarà
bene che la partecipazione dei fedeli si manifesti con l’offerta sia
del pane e del vino per la celebrazione dell’Eucaristia, sia di altri
doni, per le necessità della Chiesa e dei poveri.
Le offerte dei fedeli sono opportunamente ricevute dal sacerdote aiutato
dai ministri e deposte in luogo adatto; invece il pane e il vino per
l’Eucaristia si portano all’altare.
102.
All’altare il sacerdote riceve dal ministro la patena con il pane, e
tenendola con entrambe le mani un po’ sollevata sull’altare, recita
la formula prescritta; quindi depone la patena con il pane sopra il
corporale.
103.
Poi, stando a lato dell’altare, riceve dal ministro l’ampollina, e
versa il vino e un po’ d’acqua nel calice, dicendo sottovoce la
formula prescritta. Ritornato al centro dell’altare, prende il calice
e tenendolo un po’ sollevato con entrambe le mani, dice la formula
prescritta; quindi depone il calice sul corporale e, se occorre, lo
copre con la palla.
104.
Infine, inchinandosi, dice sottovoce: Umili e pentiti (In spiritu
humilitatis).
105.
Secondo l’opportunità, il sacerdote incensa quindi le offerte e
l’altare; a sua volta il ministro incensa il celebrante e il popolo.
106.
Dopo la preghiera Umili e pentiti (In spiritu humilitatis) oppure dopo
l’incensazione, il sacerdote, stando a lato dell’altare, si lava le
mani con l’acqua versatagli dal ministro, dicendo sottovoce la formula
prescritta.
107.
Ritornato al centro dell’altare, rivolto al popolo, lo invita, anche
con il gesto delle mani (allargandole e ricongiungendole) a pregare,
dicendo: Pregate, fratelli (Orate fratres). Dopo la risposta del popolo,
dice con le braccia allargate, l’orazione sopra le offerte; al termine
il popolo acclama: Amen.
108.
Quindi il sacerdote inizia
la Preghiera
eucaristica. Allargando le braccia dice: Il Signore sia con voi (Dominus
vobiscum), prosegue dicendo: In alto i nostri cuori (Sursum corda), e
intanto innalza le mani; poi, con le braccia aperte, soggiunge: Rendiamo
grazie al Signore, nostro Dio (Gratias agamus Domino Deo nostro). Dopo
che il popolo ha risposto: E cosa buona e giusta (Dignum et iustum est),
il sacerdote continua il prefazio; e, al termine di esso, a mani giunte,
canta o dice ad alta voce insieme con i ministri e il popolo: Santo,
santo, santo... (Sanctus...) (Cf n. 55 b).
109. Il
sacerdote prosegue
la Preghiera
eucaristica, secondo le rubriche indicate in ogni formulario della
Preghiera stessa. Se il sacerdote celebrante è un vescovo, dopo le
parole con il tuo servo il nostro Papa N. (cum famulo tuo Papa nostro
N.) soggiunge: con me, indegno tuo servo (et me indigno servo tuo).
L’Ordinario del luogo si deve nominare con questa formula:
Con il tuo servo il nostro Papa N. e il nostro vescovo (o vicario,
prelato, prefetto, abate) (cum famulo tuo Papa nostro N. et Episcopo
nostro vel vicario, prelato, praefecto, abbate). Si possono nominare
nella Preghiera eucaristica anche i vescovi coadiutori e ausiliari.
Quando si dovessero fare più nomi, si dice con formula generale: e con
il nostro vescovo N. e i vescovi suoi collaboratori (cum Episcopo nostro
N. et Episcopis cooperatoribus eius) (60). In ogni Preghiera eucaristica
tali formule si devono adattare, secondo le esigenze grammaticali.
Poco prima della consacrazione, il ministro avverte, se ne è il caso, i
fedeli con un segno di campanello. Così pure suona il campanello alla
presentazione al popolo dell’ostia consacrata e del calice secondo le
consuetudini locali.
110.
Dopo la dossologia, che conclude
la Preghiera
eucaristica, il sacerdote, a mani giunte, dice la monizione che precede
l’orazione del Signore e recita poi il Padre nostro (Pater noster) a
braccia allargate, insieme con il popolo.
111. Al
termine del Padre nostro (Pater noster), il sacerdote, sempre con le
braccia aperte, dice da solo l’embolismo Liberaci, o Signore (Libera
nos), dopo il quale il popolo acclama: Tuo è il regno (Quia tuum est
regnum).
112.
Quindi il sacerdote, ad alta voce, dice la preghiera: Signore Gesù
Cristo (Domine Iesu Christe), poi, con il gesto delle mani (allargandole
e ricongiungendole), annuncia la pace, dicendo: La pace del Signore sia
sempre con voi (Pax Domini sit semper vobiscum). Il popolo risponde: E
con il tuo spirito (Et cum spiritu tuo). Poi, secondo l’opportunità,
il sacerdote soggiunge: Scambiatevi un segno di pace (Offerte vobis
pacem) e tutti, secondo le consuetudini del luogo, si scambiano
vicendevolmente un segno di pace e di amore fraterno. Il celebrante può
dare il segno di pace ai ministri.
113. Il
sacerdote prende l’ostia, la spezza sopra la patena e ne mette una
particella nel calice, dicendo sottovoce: Il Corpo… uniti in questo
calice (Haec commixtio). Intanto la schola e il popolo cantano o
dicono: Agnello di Dio (Agnus Dei) (Cf n. 56 e).
114.
Quindi il sacerdote dice sottovoce la preghiera: Signore Gesù Cristo,
Figlio del Dio vivo (Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi), oppure La
comunione con il tuo Corpo (Perceptio Corporis et Sanguinis).
115.
Terminata la preghiera, genuflette, prende l’ostia e, tenendola
alquanto sollevata sopra la patena, rivolto al popolo dice: Beati gli
invitati... Ecco l’Agnello di Dio (Beati... Ecce Agnus Dei), e,
insieme con il popolo, prosegue: O Signore, non sono degno (Domine non
sum dignus), una sola volta.
116.
Poi, rivolto all’altare, il sacerdote dice sottovoce: Il Corpo di
Cristo mi custodisca per la vita eterna (Corpus Christi custodiat me in
vitam aeternam), e con riverenza si ciba del Corpo di Cristo. Quindi
prende il calice, dicendo: Il Sangue di Cristo mi custodisca per la vita
eterna (Sanguis Christi custodiat me in vitam aeternam), e con riverenza
beve il Sangue di Cristo.
117.
Prende poi la patena o la pisside e si porta verso i comunicandi. Se la
comunione si fa sotto la sola specie del pane, eleva alquanto l’ostia
e la presenta a ciascuno di essi dicendo:
Il Corpo di Cristo (Corpus Christi). Questi risponde: Amen, e tenendo il
piattello sotto il mento, riceve il Sacramento.
118. Per
la comunione sotto le due specie, si segue il rito descritto più oltre
(Cf nn. 240-252).
119.
Mentre il sacerdote si comunica, si inizia il canto di comunione (Cf n.
56 i).
120.
Terminata la distribuzione della comunione, il sacerdote ritorna
all’altare e raccoglie i frammenti, se ce ne fossero; poi, stando a
lato dell’altare o alla credenza, purifica la patena o la pisside
sopra il calice, purifica poi il calice dicendo sottovoce: Il sacramento
ricevuto (Quod ore sumpsimus), e lo asterge con il purificatoio. Se i
vasi sacri sono stati astersi all’altare, il ministro li porta alla
credenza.
I vasi sacri da purificare, soprattutto se fossero molti, si possono
anche lasciare, opportunamente ricoperti, sull’altare o alla credenza,
sopra il corporale; la purificazione si compie dopo
la Messa
, una volta congedato il popolo.
121.
Compiute le purificazioni, il sacerdote può ritornare alla sede. Si può
osservare, per un tempo conveniente, un "sacro silenzio"
oppure eseguire un canto di lode o un salmo (cf n. 56j).
122.
Poi, alla sede o all’altare, il sacerdote, rivolto al popolo, dice:
Preghiamo (Oremus), e, a braccia allargate, dice l’orazione dopo la
comunione, alla quale può premettere una breve pausa di silenzio, a
meno che sia già stato osservato subito dopo la comunione. Al termine
dell’orazione il popolo acclama: Amen.
123.
Detta l’orazione dopo la comunione, si possono dare, se occorre, brevi
comunicazioni (o avvisi) al popolo.
124. Poi
il sacerdote, con il suo consueto gesto delle mani, saluta il popolo,
dicendo: Il Signore sia con voi (Dominus vobiscum); a cui si risponde: E
con il tuo spirito (Et cum spiritu tuo). E subito il sacerdote
soggiunge: Vi benedica Dio onnipotente (Benedicat vos omnipotens Deus),
e tracciando con la mano destra il segno della croce verso i fedeli,
prosegue: Padre e Figlio e Spirito Santo (Pater et Filius et Spiritus
Sanctus). Il popolo risponde: Amen.
In giorni e circostanze particolari, a questa formula di benedizione si
premette, secondo le rubriche, un’altra formula, più solenne, oppure
la "orazione sul popolo".
Subito dopo la benedizione, il sacerdote, a mani giunte, aggiunge:
La Messa
è finita: andate in pace (ite Missa est); e tutti rispondono: Rendiamo
grazie a Dio (Deo gratias).
125.
Infine il sacerdote bacia l’altare in segno di venerazione. Poi, fatta
con i ministri la debita riverenza, si ritira.
126. Se
alla Messa seguisse un’altra azione liturgica, si tralasciano i riti
di conclusione, cioè il saluto, la benedizione e il congedo.
127. Se
vi è un diacono nell’esercizio del suo ministero, si osservano le
norme indicate nel paragrafo precedente, eccetto quanto segue.
In genere il diacono:
a) sta accanto al sacerdote e lo aiuta;
b) all’altare, svolge il suo servizio al calice e al libro;
c) se non è presente nessun altro ministro, egli stesso compie secondo
le necessità gli uffici degli altri ministri.
128. Il
diacono, rivestito delle vesti sacre, e portando il libro dei Vangeli,
precede il sacerdote nella processione verso l’altare, altrimenti sta
al suo fianco.
129.
Fatta insieme con il sacerdote la debita riverenza all’altare, il
diacono vi sale con lui. Depone sulla mensa il libro dei Vangeli e
insieme con il sacerdote bacia l’altare in segno di venerazione.
Quindi, se si usa l’incenso, assiste il sacerdote nell’infusione
dell’incenso nel turibolo e nella incensazione dell’altare.
130.
Incensato l’altare, insieme con il sacerdote si reca alla sede; qui
rimane accanto al sacerdote, prestandogli servizio secondo le necessità.
131.
Mentre si canta l’Alleluia o un altro canto, se si usa il turibolo
aiuta il sacerdote nell’infusione dell’incenso, quindi, inchinandosi
dinanzi al sacerdote, chiede la benedizione dicendo a bassa voce:
Benedicimi, o padre (Iube, domne, benedicere). Il sacerdote lo benedice
con la formula: Il Signore sia nel tuo cuore (Dominus sit in corde tuo).
Il diacono risponde: Amen. Poi, se il libro dei Vangeli si trova
sull’altare, lo prende e va all’ambone: lo precedono, se vi sono, i
ministri con i candelieri, e con l’incenso, secondo l’opportunità.
Qui saluta il popolo, incensa il libro e proclama il Vangelo. Terminata
la lettura, bacia il libro in segno di venerazione, dicendo sottovoce:
La parola del Vangelo (Per evangelica dicta), e ritorna presso il
sacerdote. Se invece non si tiene l’omelia né si dice il Credo, può
rimanere all’ambone per la preghiera dei fedeli, mentre i ministri
ritornano al loro posto.
132.
Alla preghiera dei fedeli, dopo l’introduzione del sacerdote, il
diacono propone le varie intenzioni, stando all’ambone o in altro
luogo adatto.
133.
All’offertorio, mentre il sacerdote rimane seduto alla sede, il
diacono prepara l’altare con l’aiuto degli altri ministri; spetta a
lui la cura dei vasi sacri. Sta accanto al sacerdote e lo aiuta nel
ricevere i doni del popolo. Presenta al sacerdote la patena con il pane
da consacrare; versa il vino e un po’ d’acqua nel calice dicendo
sottovoce: L’acqua unita al vino (Per huius aquae), e lo presenta poi
al sacerdote. Però la preparazione del calice, cioè l’infusione del
vino e dell’acqua, la può fare alla credenza. Se si usa l’incenso,
assiste il sacerdote nell’incensazione delle offerte e dell’altare,
poi lui stesso, o un altro ministro, incensa il sacerdote e il popolo.
134.
Durante
la Preghiera
eucaristica, il diacono sta accanto al sacerdote, ma un po’ indietro,
per attendere, quando occorre, al calice e al messale.
135.
Alla dossologia finale della Preghiera eucaristica, stando accanto al
sacerdote, tiene sollevato il calice, mentre il sacerdote eleva la
patena con l’ostia, finché il popolo non abbia acclamato l’Amen.
136.
Dopo che il sacerdote ha detto la preghiera per la pace e rivolto
l’augurio: La pace del Signore sia sempre con voi (Pax Domini sit
semper vobiscum), al quale il popolo risponde: E con il tuo spirito (Et
cum spiritu tuo), il diacono, secondo l’opportunità, invita a darsi
scambievolmente la pace, dicendo:
Scambiatevi un segno di pace (Offerte vobis pacem). Riceve dal sacerdote
la pace, e la può dare agli altri ministri più vicini.
137.
Dopo che il sacerdote si è comunicato, il diacono riceve la comunione
sotto le due specie, quindi aiuta il sacerdote a distribuire la
comunione al popolo. Se la comunione viene data sotto le due specie,
porge il calice ai singoli, e beve al calice per ultimo.
138.
Compiuta la distribuzione della comunione, il diacono con il sacerdote
ritorna all’altare, raccoglie i frammenti, se ve ne fossero, quindi
porta alla credenza il calice e gli altri vasi sacri, che purifica e
riordina, come di norma, mentre il sacerdote ritorna alla sede.
I vasi sacri da purificare si possono anche lasciare opportunamente
ricoperti alla credenza, sopra il corporale; la purificazione si compie
dopo
la Messa
, una volta congedato il popolo.
139.
Detta l’orazione dopo la comunione, il diacono dà brevemente al
popolo le eventuali comunicazioni (o avvisi), a meno che il sacerdote
preferisca darli personalmente.
140.
Dopo la benedizione del sacerdote, il diacono congeda il popolo dicendo:
La Messa
è finita: andate in pace (Ite, Missa est).
141.
Quindi, insieme con il sacerdote, bacia l’altare in segno di
venerazione e, fatta la debita riverenza, ritorna con lui allo stesso
modo come era venuto.
142. Gli
uffici che l’accolito può svolgere sono di vario genere, e molti di
essi si possono presentare insieme. Conviene distribuire i vari compiti
tra più accoliti; se però è presente un solo accolito, svolga lui
stesso gli uffici più importanti, e gli altri vengano distribuiti tra i
vari ministri.
143. Nel
rito d’ingresso, l’accolito può portare la croce, affiancato da due
ministranti con i ceri accesi. Giunto all’altare, depone la croce
presso l’altare stesso e va al suo posto in presbiterio.
144.
Durante la celebrazione, è compito dell’accolito accostarsi,
all’occorrenza, al sacerdote o al diacono per presentar loro il libro
o per aiutarli in tutto ciò che è necessario. Conviene pertanto che,
per quanto possibile, occupi un posto dal quale possa svolgere
comodamente il suo compito, sia alla sede che all’altare.
145. In
assenza
del diacono, terminata la preghiera universale, mentre il sacerdote
rimane alla sede, l’accolito dispone sull’altare il corporale, il
purificatoio, il calice e il messale. Quindi aiuta, se necessario, il
sacerdote nel ricevere i doni del popolo e, secondo l’opportunità,
porta all’altare il pane e il vino e li presenta al sacerdote. Se si
usa l’incenso, presenta lui stesso il turibolo al sacerdote, e lo
assiste poi nell’incensazione delle offerte e dell’altare.
146. Può,
come ministro straordinario, aiutare il sacerdote nella distribuzione
della comunione al popolo (61). Se si fa la comunione sotto le due
specie, l’accolito presenta il calice ai comunicandi, o tiene lui
stesso il calice, se la comunione si dà per intinzione.
147.
Terminata la distribuzione della comunione, aiuta il sacerdote o il
diacono a purificare e riordinare i vasi sacri. In assenza del diacono,
l’accolito porta i vasi sacri alla credenza e lì stesso li purifica e
li riordina.
148. Nel
rito d’ingresso, il lettore può, in assenza del diacono, portare il
libro dei Vangeli: in tal caso, procede davanti al sacerdote; se no,
sfila con gli altri ministri.
149.
Giunto all’altare e fatta con il sacerdote la debita riverenza, sale
all’altare, depone su di esso il libro dei Vangeli e va ad occupare il
suo posto in presbiterio con gli altri ministri.
150.
Proclama all’ambone le letture che precedono il Vangelo. In mancanza
del salmista, può anche proclamare il salmo responsoriale dopo la prima
lettura.
151. In
assenza
del diacono, dopo l’introduzione del sacerdote, il lettore può
suggerire le intenzioni della preghiera universale.
152. Se
all’ingresso o alla comunione non si fa un canto, e se le antifone
indicate sul messale non vengono recitate dai fedeli, le dice il lettore
al tempo dovuto.
153. La
concelebrazione, nella quale si manifesta assai bene l’unità del
sacerdozio, del sacrificio e del popolo di Dio, è prescritta dal rito
stesso nell’ordinazione del vescovo e dei presbiteri, e nella Messa
crismale.
È raccomandata inoltre, a meno che l’utilità dei fedeli non richieda
o suggerisca diversamente, nelle occasioni seguenti:
a) il Giovedì della Settimana Santa nella Messa vespertina nella Cena
del Signore;
b) nelle Messe celebrate in occasione di Concili, di raduni di vescovi e
di Sinodi;
c) nella Messa per la benedizione di un Abate;
d) nella Messa conventuale e nella Messa principale nelle chiese e negli
oratori;
e) nelle Messe in occasione di incontri di sacerdoti, siano essi
secolari o religiosi (62).
154.
Quando vi è un numero considerevole di sacerdoti, il Superiore
competente può concedere che la concelebrazione abbia luogo più volte
anche nello stesso giorno, ma in tempi successivi, o in luoghi sacri
diversi (63).
155.
Spetta al vescovo, a norma del diritto, regolare la disciplina della
concelebrazione nella sua diocesi, anche nelle chiese e negli oratori
dei religiosi esenti (64).
156.
Nessuno, mai, venga ammesso a concelebrare a Messa già iniziata (65).
157.
Particolare importanza si deve dare a quella concelebrazione, in cui i
sacerdoti di una diocesi concelebrano con il proprio vescovo,
specialmente nella Messa crismale del Giovedì della Settimana Santa, e
in occasione del Sinodo o della visita pastorale. Per lo stesso motivo
si raccomanda la concelebrazione tutte le volte che i sacerdoti si
radunano insieme con il proprio vescovo, sia in occasione di esercizi
spirituali, sia per qualche altro convegno. In tali circostanze viene
manifestato in modo più evidente quel segno dell’unità del
sacerdozio, come pure della Chiesa stessa, che è proprio di ogni
concelebrazione (66).
158. Per
motivi particolari, suggeriti o dal significato del rito o dalla
solennità della festa, è concesso di celebrare o concelebrare più
volte nello stesso giorno nei seguenti casi:
a) al Giovedì della Settimana Santa, chi ha celebrato o concelebrato
la Messa
crismale, può celebrare o concelebrare anche
la Messa
vespertina nella Cena del Signore;
b) a Pasqua, chi ha celebrato o concelebrato la prima Messa nella
notte può celebrare o concelebrare la seconda Messa di Pasqua;
c) nel Natale del Signore tutti i sacerdoti possono celebrare o
concelebrare le tre Messe, purché lo facciano nelle ore corrispondenti;
d) chi in occasione del Sinodo, della visita pastorale o di incontri
sacerdotali concelebra col vescovo o con un suo delegato, può di nuovo
celebrare, a giudizio del vescovo stesso, per l’utilità dei fedeli
(67). La stessa possibilità è data, con gli opportuni
adattamenti, anche per le riunioni di religiosi con il proprio Ordinario
o con un suo delegato.
159.
La Messa
concelebrata, in qualunque forma si svolga, si deve ordinare secondo il
rito della Messa celebrata individualmente, tenute presenti le norme e
le varianti qui sotto indicate.
160. Se
alla Messa concelebrata non prendono parte né il diacono né gli altri
ministri, i compiti loro propri vengono assolti da alcuni concelebranti.
161. I
sacerdoti concelebranti, in sacrestia o in altro luogo adatto, indossano
le vesti sacre che indossano abitualmente nella celebrazione
individuale. Tuttavia per un ragionevole motivo, come ad esempio un
numero notevole di concelebranti e la mancanza di paramenti, i
concelebranti, fatta sempre eccezione per il celebrante principale,
possono fare a meno della pianeta o casula, e usare soltanto la stola
sopra il camice.
162.
Preparata a dovere ogni cosa, si fa, come di consueto, la processione
attraverso la chiesa fino all’altare. I sacerdoti concelebranti
precedono il celebrante principale.
163.
Giunti all’altare, i sacerdoti concelebranti e il sacerdote celebrante
principale, fanno la debita riverenza, baciano l’altare in segno di
venerazione, quindi si recano al posto loro assegnato. Il sacerdote
celebrante principale, secondo l’opportunità, incensa l’altare; si
reca poi alla sede.
164.
Durante
la Liturgia
della Parola, i sacerdoti concelebranti stanno al loro posto, e nel
sedere e nell’alzarsi si uniformano al sacerdote celebrante
principale.
165.
L’omelia è tenuta normalmente dal sacerdote celebrante principale o
da uno dei sacerdoti concelebranti.
166. I
riti di offertorio vengono compiuti dal sacerdote celebrante principale;
gli altri sacerdoti concelebranti restano al loro posto.
167. Al
termine dei riti di offertorio, i sacerdoti concelebranti si avvicinano
all’altare disponendosi attorno ad esso, in modo però da non
intralciare lo svolgimento dei riti, e permettere ai fedeli di vedere
bene l’azione sacra, e al diacono di avvicinarsi facilmente
all’altare per svolgere il suo ministero.
Modo di dire
la Preghiera
eucaristica
168. Il
prefazio vien detto dal solo sacerdote celebrante principale; il Santo
(Sanctus) viene cantato o recitato da tutti insieme con il popolo e la schola.
169.
Terminato il Santo (Sanctus), i sacerdoti concelebranti proseguono la
recita della Preghiera eucaristica, nel modo indicato più sotto.
Soltanto il sacerdote celebrante principale compie i gesti, salvo
indicazioni in contrario.
170.
Nella preghiera eucaristica, le parti da recitarsi in comune devono
essere pronunziate dai sacerdoti concelebranti a voce sommessa, in modo
che si distingua chiaramente la voce del sacerdote celebrante
principale. In tal modo
la Preghiera
è più facilmente intesa dal popolo.
a) Preghiera eucaristica I o Canone romano
171. Il
sacerdote celebrante principale da solo, con le braccia allargate, dice
il Padre clementissimo (Te igitur).
172. Il
ricordo dei vivi Ricordati, Signore (Memento Domine) e il In comunione
con tutta
la Chiesa
(Communicantes), si possono affidare all’uno o all’altro dei
sacerdoti concelebranti, che recita queste parti da solo, con le braccia
allargate e ad alta voce.
173. Di
nuovo il sacerdote celebrante principale, da solo, con le braccia
allargate, dice l’Accetta con benevolenza, o Signore (Hanc igitur).
174.
Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule dal
Santifica, o Dio (Quam oblationem) fino al Ti supplichiamo (Supplices),
con queste modalità:
a) Santifica, o Dio (Quam oblationem): con le mani stese verso le
offerte;
b) La vigilia della sua passione (Qui pridie) e Dopo la cena (Simili
modo): a mani giunte;
c) le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il
calice, se ciò sembra opportuno; alla presentazione al popolo
dell’ostia consacrata e del calice i sacerdoti concelebranti sollevano
lo sguardo verso di essi, e poi si inchinano profondamente;
d) In questo sacrificio (Unde et memores) e Volgi sulla nostra offerta (Supra
quae): con le braccia allargate;
e) Ti supplichiamo, Dio onnipotente (Supplices): stando inchinati e a
mani giunte fino alle parole: perché su tutti noi che partecipiamo di
questo altare (ex hac altaris partecipatione); poi, eretti, i sacerdoti
concelebranti fanno il segno di croce alle parole: scenda la pienezza di
ogni grazia e benedizione del cielo (omni benedictione caelesti et
gratia repleamur).
175. Il
Memento dei morti e Anche a noi, tuoi ministri, peccatori (Nobis quoque
peccatoribus), si possono affidare all’uno o all’altro dei sacerdoti
concelebranti, che recita queste parti da solo, con le braccia allargate
e ad alta voce.
176.
Alle parole Anche a noi, tuoi ministri, peccatori (Nobis quoque
peccatoribus), tutti i sacerdoti concelebranti si battono il petto.
177. Il
sacerdote celebrante principale, da solo, dice: Per Cristo, nostro
Signore, tu, o Dio (Per quem haec omnia).
178. In
questa
Preghiera eucaristica, i testi dal Santifica, o Dio (Quam oblationem) al
Ti supplichiamo (Supplices) incluso, come pure la dossologia finale si
possono eseguire in canto.
b) Preghiera eucaristica II
179. Il
sacerdote celebrante principale, da solo, con le braccia allargate dice
il Padre veramente santo (Vere sanctus).
180.
Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule da
Santifica questi doni (Haec ergo dona) fino a Ti preghiamo umilmente (Et
supplices), come segue:
a) Santifica questi doni (Haec ergo dona): con le mani stese verso le
offerte;
b) Egli offrendosi liberamente (Qui cum passioni) e Dopo la cena (Simili
modo): a mani giunte;
c) le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il
calice, se ciò sembra opportuno; alla presentazione al popolo
dell’ostia consacrata e del calice i sacerdoti concelebranti sollevano
lo sguardo verso di essi, e poi si inchinano profondamente;
d) Celebrando il memoriale (Memores igitur) e Ti preghiamo umilmente (Et
supplices): con le braccia allargate.
181. Le
intercessioni per i vivi: Ricordati, Padre (Recordare, Domine) e per i
defunti: Ricordati dei nostri fratelli (Memento etiam fratrum nostrorum),
si possono affidare all’uno o all’altro dei sacerdoti concelebranti,
che recita queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta
voce.
182. I
testi: Egli, offrendosi alla sua passione (Qui cum passioni). Allo
stesso modo (Simili modo). Celebrando il memoriale (Memores igitur),
come pure la dossologia finale di questa Preghiera eucaristica si
possono eseguire in canto.
c) Preghiera eucaristica III
183. Il
sacerdote celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice
il Padre veramente santo (Vere sanctus).
184.
Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule Ora ti
preghiamo umilmente (Supplices ergo te, Domine), fino a Guarda con amore
(Respice, quaesumus), come segue:
a) Ora ti preghiamo umilmente (Supplices ergo te, Domine): con le mani
stese verso le offerte;
b) Nella notte in cui fu tradito (Ipse enim in qua nocte tradebatur) e
Dopo la cena (Simili modo): a mani giunte;
c) le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il
calice, se ciò sembra opportuno; alla presentazione al popolo
dell’ostia consacrata e del calice i sacerdoti concelebranti sollevano
lo sguardo verso di essi e poi si inchinano profondamente;
d) Celebrando il memoriale (Memores igitur) e Guarda con amore (Respice,
quaesumus): con le braccia allargate.
185. Le
intercessioni: Egli faccia di noi (Ipse nos) e Per questa vittima della
nostra riconciliazione (Haec hostia nostrae reconciliationis) si possono
affidare all’uno o all’altro dei sacerdoti concelebranti, che recita
queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.
186. I
testi: Nella notte (Ipse enim), Dopo la cena allo stesso modo (Simili
modo), Celebrando il memoriale (Memores igitur), come pure la dossologia
finale di questa Preghiera eucaristica, si possono eseguire in canto.
d) Preghiera eucaristica IV
187. Il
sacerdote celebrante principale, da solo, con le braccia allargate,
dice: Noi ti lodiamo, Padre santo (confitemur tibi, Pater sancte), fino
a: E compiere ogni santificazione (omnem sanctificationem compleret).
188.
Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule da:
Ora ti preghiamo, Padre (Quaesumus igitur, Domine), fino a Guarda con
amore (Respice, Domine), come segue:
a) Ora ti preghiamo, Padre (Quaesumus igitur, Domine): con le mani stese
verso le offerte;
b) Egli, venuta l’ora (Ipse enim, cum hora venisset), Allo stesso modo
(Simili modo): a mani giunte;
c) le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il
calice, se ciò sembra opportuno; alla presentazione al popolo
dell’ostia consacrata e del calice, i sacerdoti concelebranti
sollevano lo sguardo verso di essi, e poi si inchinano profondamente;
d) In questo memoriale (Unde et nos) e Guarda con amore (Respice, Domine):
con le braccia allargate.
189. Le
intercessioni: Ora, Padre, ricordati (Nunc ergo, Domine) si possono
affidare a uno dei sacerdoti concelebranti, che recita queste parti da
solo, con le braccia allargate e ad alta voce.
190. I
testi: Egli, venuta l’ora (Ipse enim), Allo stesso modo (Simili modo),
In questo memoriale (Unde et nos), come pure la dossologia finale di
questa Preghiera eucaristica, si possono eseguire in canto.
Dossologia finale
191. La
dossologia finale della Preghiera eucaristica viene recitata dal solo
celebrante principale, oppure da tutti i concelebranti insieme con lui.
192.
Quindi il sacerdote celebrante principale dice, a mani giunte, la
monizione prima della preghiera del Signore poi, con le braccia
allargate, recita il Padre nostro (Pater noster) insieme con gli altri
sacerdoti concelebranti e con il popolo.
193. Il
sacerdote celebrante principale, da solo, con le braccia allargate,
prosegue: Liberaci, o Signore, da tutti i mali (Libera, nos). Al
termine, tutti i sacerdoti concelebranti insieme con il popolo
acclamano: Tuo è il regno (Quia tuum est regnum).
194.
Dopo l’invito del diacono o di uno dei sacerdoti concelebranti:
Scambiatevi un segno di pace (Offerte vobis pacem), tutti si scambiano
tra loro la pace. Coloro che sono più vicini al sacerdote celebrante
principale ricevono da lui la pace prima del diacono.
195.
Mentre si canta o si dice l’Agnello di Dio (Agnus Dei), alcuni dei
sacerdoti concelebranti possono aiutare il sacerdote celebrante
principale nello spezzare le ostie per la comunione dei sacerdoti
concelebranti e del popolo.
196.
Compiuta la immixtio, soltanto il sacerdote celebrante principale
recita sottovoce la preghiera: Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo
(Domine Jesu Christe, Fili Dei vivi) oppure La comunione con il tuo
Corpo e il tuo Sangue (Perceptio Corporis et Sanguinis).
197.
Terminata l’orazione prima della comunione, il sacerdote celebrante
principale genuflette e si scosta un poco dall’altare. I sacerdoti
concelebranti uno dopo l’altro si accostano all’altare,
genuflettono, prendono con devozione il Corpo di Cristo e, tenendo la
mano sinistra sotto la destra, ritornano al loro posto. I sacerdoti
concelebranti possono anche rimanere al loro posto e prendere il Corpo
di Cristo dalla patena presentata ai singoli dal sacerdote celebrante
principale o da uno o più sacerdoti concelebranti; possono anche
passarsi l’un l’altro la patena.
198. Poi
il sacerdote celebrante principale prende l’ostia e, tenendola un
po’ sollevata sopra la patena, rivolto al popolo dice: Beati gli
invitati alla cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio (Beati... Ecce
Agnus Dei) e prosegue insieme con i sacerdoti concelebranti e il popolo,
dicendo: O Signore, non sono degno (Domine, non sum dignus).
199.
Quindi il sacerdote celebrante principale, rivolto verso l’altare,
dice sottovoce: Il Corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna
(Corpus Christi custodiat me in vitam aeternam), e devotamente si
comunica al Corpo di Cristo. Allo stesso modo si comunicano i sacerdoti
concelebranti. Dopo di loro il diacono riceve dal sacerdote celebrante
principale il Corpo del Signore.
200. La
comunione al Sangue di Cristo si può fare o bevendo direttamente dal
calice, o con la cannuccia o il cucchiaino, o anche per intinzione.
201. Se
si fa la comunione direttamente al calice, si può fare in uno di questi
modi:
a) il sacerdote celebrante principale prende il calice, dicendo
sottovoce: Il Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna (Sanguis
Christi custodiat me in vitam aeternam) e beve al calice, che consegna
poi al diacono o a un sacerdote concelebrante; quindi distribuisce la
comunione ai fedeli, oppure ritorna alla sede. I sacerdoti concelebranti,
uno dopo l’altro, oppure a due a due, se vi sono due calici, si
accostano all’altare, bevono al calice e ritornano al loro posto. Il
diacono o un sacerdote concelebrante deterge il calice con il
purificatoio dopo la comunione di ognuno dei sacerdoti concelebranti.
b) Il sacerdote celebrante principale, stando in mezzo all’altare, fa
la comunione al Sangue del Signore nel modo consueto. I sacerdoti
concelebranti possono rimanere al loro posto, e far la comunione al
Sangue del Signore bevendo al calice che viene loro presentato dal
diacono o da uno dei sacerdoti concelebranti; oppure anche passandosi il
calice l’un l’altro. Il labbro del calice viene sempre asterso o da
chi lo presenta ai singoli, o da colui che beve. Dopo essersi
comunicato, ognuno ritorna al suo posto.
202. Se
la comunione viene fatta con la cannuccia, si svolge in questo modo:
Il sacerdote celebrante principale prende la cannuccia, dicendo: Il
Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna (Sanguis Christi
custodiat me in vitam aeternam), beve il Sangue del Signore e
immediatamente purifica la cannuccia sorseggiando un po’ d’acqua da
un recipiente a suo tempo collocato sull’altare, e depone la cannuccia
su un’apposita patena. Quindi il diacono, o uno dei sacerdoti
concelebranti, colloca opportunamente il calice o in mezzo all’altare
oppure al lato destro del medesimo, sopra un altro corporale. Vicino al
calice si pone anche un recipiente con l’acqua per la purificazione
delle cannucce, e una patena sopra la quale vengono deposte le cannucce.
I sacerdoti concelebranti, uno dopo l’altro, si accostano
all’altare, prendono la cannuccia e bevono il Sangue del Signore,
quindi purificano la cannuccia sorseggiando un po’ d’acqua e
depongono la cannuccia sopra l’apposita patena.
203. Se
la comunione al calice viene fatta con un cucchiaino, si svolge come la
comunione con la cannuccia; si faccia però attenzione a deporre, dopo
la comunione, il cucchiaino in un apposito recipiente con acqua che,
finita la comunione, l’accolito porta a una credenza, per lavarvi e
asciugarvi tutti i cucchiaini.
204. Per
ultimo viene il diacono. Dopo essersi comunicato al Sangue del Signore,
beve il Sangue rimasto; porta poi il calice alla credenza, dove lui
stesso o l’accolito compie la purificazione, asterge il calice e lo
riordina come di consueto.
205. La
comunione dei sacerdoti concelebranti può anche essere ordinata in modo
che la comunione al Corpo e, subito dopo, al Sangue del Signore, venga
fatta dai singoli all’altare.
In questo caso, il sacerdote celebrante principale si comunica sotto le
due specie, come quando celebra
la Messa
da solo, attenendosi tuttavia al rito scelto nei singoli casi per la
comunione al calice: rito al quale devono conformarsi tutti gli altri
sacerdoti concelebranti.
Dopo che il sacerdote celebrante principale si è comunicato, il calice
viene deposto verso il lato destro dell’altare, sopra un altro
corporale. I sacerdoti concelebranti, uno dopo l’altro, si portano al
centro dell’altare, genuflettono e si comunicano al Corpo del Signore;
successivamente, al lato destro dell’altare, si comunicano al Sangue
del Signore, secondo il rito adottato per la comunione al calice, come
è detto sopra. La comunione del diacono e la purificazione del calice
si svolgono secondo le modalità sopra indicate.
206. Se
la comunione dei sacerdoti concelebranti si fa per intinzione, il
sacerdote celebrante principale si comunica al Corpo e al Sangue del
Signore nel modo consueto, facendo però attenzione a lasciare nel
calice una quantità sufficiente per la comunione dei sacerdoti
concelebranti. Poi il diacono, oppure uno dei sacerdoti concelebranti,
dispone opportunamente il calice, o in mezzo all’altare o sul lato
destro (sopra un altro corporale) insieme con la patena che contiene le
ostie. I sacerdoti concelebranti, uno dopo l’altro, si accostano
all’altare, genuflettono, prendono l’ostia, la intingono nel calice
e, tenendo la patena sotto il mento, si comunicano; ritornano poi al
loro posto, come all’inizio della Messa.
Il diacono riceve la comunione per intinzione da un sacerdote
concelebrante e risponde Amen quando questi dice: Il Corpo e il Sangue
di Cristo (Corpus et Sanguis Christi).
Quindi il diacono, all’altare, beve quanto è rimasto nel calice, poi
lo porta alla credenza dove egli stesso o l’accolito compie la
purificazione, asterge il calice e lo riordina come di consueto.
207. Il
sacerdote celebrante principale compie i riti di conclusione nel modo
consueto, mentre i sacerdoti concelebranti rimangono al loro posto.
208.
Prima di allontanarsi, i sacerdoti concelebranti fanno all’altare la
debita riverenza. Il sacerdote celebrante principale bacia l’altare in
segno di venerazione.
209. Si
tratta della Messa celebrata dal sacerdote, con la sola presenza di un
ministro, che gli risponde.
210.
Questa Messa segue in generale il Rito della Messa con il popolo; il
ministro pronunzia eventualmente le parti che spettano al popolo.
211. Non
si celebri
la Messa
senza la partecipazione di almeno qualche fedele o di un ministro, se
non per un motivo giusto e ragionevole; in questo caso, si tralasciano
tutti i saluti e si omette la benedizione al termine della Messa.
212.
Prima della Messa si prepara il calice sopra la credenza Vicino
all’altare, oppure sull’altare; il messale invece viene collocato al
lato sinistro dell’altare.
213. Il
sacerdote, dopo la debita riverenza all’altare, fa il segno di croce
dicendo: Nel nome del Padre (In nomine Patris); rivolgendosi al
ministro, lo saluta con una delle formule proposte e, sempre ai piedi
dell’altare, compie l’atto penitenziale.
214.
Sale poi all’altare e lo bacia in segno di venerazione; quindi si
porta al messale, al lato sinistro dell’altare, dove rimane sino al
termine della preghiera universale (o preghiera dei fedeli).
215.
Legge l’antifona d’ingresso e dice il Kyrie, e il Gloria secondo le
rubriche.
216.
Poi, a mani giunte, dice Preghiamo (Oremus) e, dopo una conveniente
pausa, recita, con le braccia allargate, la colletta, al termine della
quale il ministro risponde: Amen.
217.
Dopo la colletta, il ministro oppure il sacerdote medesimo legge la
prima lettura e il salmo e, quando si deve dire, la seconda lettura e il
versetto alleluiatico, o un altro canto.
218.
Quindi, rimanendo nello stesso posto, il sacerdote, inchinandosi, recita
il Purifica il mio cuore (Munda cor meum) e legge il Vangelo. Alla fine
bacia il libro in segno di venerazione, dicendo sottovoce: La parola del
Vangelo (Per evangelica dicta), e il ministro risponde con
l’acclamazione.
219. Il
sacerdote recita poi, secondo le rubriche, il Simbolo (Credo) insieme
con il ministro.
220.
Segue la preghiera universale, che si può dire anche in questa Messa.
Il sacerdote formula le intenzioni, e il ministro risponde.
221. Il
ministro depone sull’altare il corporale, il purificatoio e il calice,
a meno che non vi siano già stati posti all’inizio della Messa.
222. Si
depongono pane e vino sull’altare, dopo aver fatto l'infusione
dell’acqua, nel modo indicato nella Messa con il popolo, recitando le
formule indicate nel Rito della Messa. Quindi il sacerdote si lava le
mani, stando a lato dell’altare, mentre il ministro versa l’acqua.
223. Il
sacerdote dice l’orazione sulle offerte e
la Preghiera
eucaristica attenendosi ai riti descritti nella Messa con il popolo.
224. La
preghiera del Signore Padre nostro (Pater noster) con il suo embolismo
si recita come nella Messa con il popolo.
225.
Dopo l’acclamazione al termine dell’embolismo, il sacerdote dice la
preghiera: Signore Gesù Cristo, che hai detto (Domine Iesu Christe, qui
dixisti); quindi soggiunge: La pace del Signore sia sempre con voi (Pax
Domini sit semper vobiscum), e il ministro risponde: E con il tuo
spirito (Et cum spiritu tuo). Se lo ritiene opportuno, il sacerdote
offre la pace al ministro.
226.
Quindi, mentre dice l’Agnello di Dio (Agnus Dei) insieme con il
ministro, il sacerdote spezza l’ostia sopra la patena. Terminato
l’Agnello di Dio (Agnus Dei), compie l’immixtio dicendo
sottovoce: Il Corpo... uniti in questo calice (Haec commixtio).
227.
Dopo l’immixtio, il sacerdote dice la preghiera Signore Gesù
Cristo, Figlio del Dio vivo (Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi), oppure
La comunione con il tuo Corpo (Perceptio Corporis et Sanguinis); quindi
genuflette, prende l’ostia e, se il ministro fa la comunione, si volta
verso di lui: tenendo l’ostia un po’ sollevata sopra la patena dice:
Beati... Ecco l’Agnello di Dio (Beati... Ecce Agnus Dei) e recita con
lui, una sola volta: O Signore, non sono degno (Domine, non sum dignus).
Rivolto poi verso l’altare, si comunica al Corpo di Cristo.
Se invece il ministro non si comunica, il sacerdote prende l’ostia e,
stando rivolto all’altare, dice, una volta sola, sottovoce: O Signore,
non sono degno (Domine, non sum dignus), e si comunica al Corpo
del Signore. La comunione al Sangue di Cristo si fa nel modo descritto
nel Rito della Messa con il popolo.
228.
Prima di dare la comunione al ministro, il sacerdote legge l’antifona
alla comunione.
229. La
purificazione del calice si fa a lato dell’altare. Poi il calice può
essere portato dal ministro sulla credenza o anche lasciato sull'altare,
come all’inizio.
230.
Dopo aver purificato il calice, il sacerdote può fare una pausa di
silenzio; poi dice l’orazione dopo la comunione.
231. I
riti di conclusione si svolgono come nella Messa con il popolo; si
tralascia però il congedo:
La Messa
è finita: andate in pace (Ite, Missa est).
232.
Secondo l’uso tramandato nella Liturgia, la venerazione all’altare e
al libro dei Vangeli si esprime con il bacio. Qualora però questo gesto
simbolico non corrispondesse pienamente alle tradizioni e alla cultura
di una determinata regione, spetta alla Conferenza Episcopale
determinare un gesto che sostituisca il bacio, informandone
la Sede Apostolica.
233.
Durante
la Messa
si fanno tre genuflessioni: dopo la presentazione al popolo
dell’ostia, dopo la presentazione del calice e prima della comunione.
Ma se nel presbiterio ci fosse il tabernacolo con il SS. Sacramento, si
genuflette anche prima e dopo
la Messa
, e tutte le volte che si passa davanti al tabernacolo.
234. Vi
sono due specie di inchino: del capo e del corpo:
a) L’inchino del capo si fa quando vengono nominate insieme le tre
divine Persone; al nome di Gesù, della beata Vergine Maria e del santo
in onore del quale si celebra
la Messa.
b) L’inchino di tutto il corpo, o inchino profondo, si fa:
all’altare, se non vi è il tabernacolo con il SS. Sacramento; mentre
si dicono le preghiere Purifica il mio cuore (Munda cor meum) e Umili e
pentiti (In spiritu humilitatis); nel Simbolo (Credo) alle parole: E per
opera dello Spirito Santo (Et incarnatus est); nel Canone romano, alle
parole: Ti supplichiamo, Dio onnipotente (Supplices te rogamus).
Il diacono compie lo stesso inchino mentre chiede la benedizione prima
di proclamare il Vangelo. Inoltre il sacerdote, alla consacrazione, si
inchina leggermente mentre proferisce le parole del Signore.
235.
L’uso dell’incenso in qualsiasi forma di Messa è facoltativo. Si può
usare l’incenso:
a) durante la processione d’ingresso;
b) all’inizio della Messa, per incensare l’altare;
e) alla processione e alla proclamazione del Vangelo;
d) all’offertorio, per incensare le offerte, l’altare, il sacerdote
e il popolo;
e) alla presentazione al popolo dell’ostia e del calice dopo la
consacrazione.
236. Il
sacerdote mette l’incenso nel turibolo e lo benedice tracciando un
segno di croce, senza nulla dire.
L’incensazione dell’altare si svolge in questo modo:
a) Se l’altare è separato dalla parete, il sacerdote lo incensa
girandogli intorno.
b) Se l’altare è addossato alla parete, il sacerdote lo incensa
passando prima la parte destra dell’altare, poi la sinistra.
La croce, se è sopra l’altare o accanto ad esso, viene incensata
prima dell’altare; se invece si trova dietro l’altare, viene
incensata quando il sacerdote le passa davanti.
237.
Ogni volta che qualche frammento di ostia rimane attaccato alle dita,
soprattutto dopo la frazione o dopo la comunione dei fedeli, il
sacerdote asterge le dita sulla patena, oppure, se necessario, lava le
dita stesse. Così pure raccoglie eventuali frammenti fuori della
patena.
238. I
vasi sacri vengono purificati dal sacerdote, dal diacono o
dall’accolito possibilmente alla credenza, dopo la comunione, oppure
dopo
la Messa. La
purificazione del calice si fa con acqua e vino, oppure soltanto con
acqua, che poi quello che purifica beve. La patena si asterge
normalmente con il purificatolo.
239. Se
un’ostia o una particola scivolasse via, si raccolga con rispetto; se
poi si versasse qualche goccia del Sangue del Signore, si lavi il luogo
con acqua, e l’acqua si versi nel sacrario.
240. La
santa comunione esprime con maggior pienezza la sua forma di segno, se
vien fatta sotto le due specie. Risulta infatti più evidente il segno
del banchetto eucaristico, e si esprime più chiaramente la volontà
divina di ratificare la nuova ed eterna alleanza nel Sangue del Signore,
ed è più intuitivo il rapporto tra il banchetto eucaristico e il
convito escatologico nel regno del Padre (68).
241. I
pastori d’anime si facciano un dovere di ricordare, nel modo più
adatto, ai fedeli che partecipano al rito o che vi assistono, la
dottrina cattolica riguardo alla forma della comunione, secondo il
Concilio di Trento. In particolare ricordino ai fedeli quanto insegna la
fede cattolica: che, cioè, anche sotto una sola specie si riceve il
Cristo tutto intero e il Sacramento in tutta la sua verità; di
conseguenza, per quanto riguarda i frutti della comunione, coloro che
ricevono una sola specie, non rimangono privi di nessuna grazia
necessaria alla salvezza (69).
Inoltre insegnino che nell’amministrazione dei Sacramenti, salva la
loro sostanza,
la Chiesa
ha il potere di determinare o cambiare ciò che essa ritiene più
conveniente per la venerazione dovuta ai Sacramenti stessi e per
l’utilità di coloro che li ricevono, secondo la diversità delle
circostanze, dei tempi e dei luoghi (70).
Nello stesso tempo però esortino i fedeli perché partecipino più
intensamente al sacro rito, nella forma in cui è posto in maggior
evidenza il segno del banchetto.
242.
Secondo il giudizio dell’Ordinario, e previa una conveniente
catechesi, si concede la comunione al calice nei casi seguenti (71):
1. ai neofiti adulti, nella Messa che segue il loro Battesimo; ai
cresimati adulti, nella Messa della loro Confermazione; ai battezzati
che vengono accolti nella comunione della Chiesa;
2. agli sposi, nella Messa del loro Matrimonio;
3. ai diaconi, nella Messa della loro Ordinazione;
4. alla badessa, nella Messa della sua benedizione; alle vergini, nella
Messa della loro consacrazione; ai professi (di ambo i sessi) e ai loro
genitori, parenti e confratelli nella Messa in cui emettono per la prima
volta i voti religiosi, o li rinnovano, o fanno la professione
perpetua;
5. a coloro che ricevono un ministero, nella Messa della loro
istituzione; ai coadiutori missionari laici, nella Messa in cui sono
ufficialmente mandati, e a quanti altri ricevono durante
la Messa
una missione da parte della Chiesa;
6. a un infermo, e a tutti coloro che lo assistono,
nell’amministrazione del Viatico, quando si celebra
la Messa
nell’abitazione del malato;
7. al diacono e ai ministri che esercitano il loro ufficio nella Messa;
8. nella Messa concelebrata:
a) a tutti coloro che nella concelebrazione stessa svolgono un vero
ufficio liturgico, e a tutti gli alunni dei seminari che vi prendono
parte;
b) nelle loro chiese, anche a tutti i membri degli Istituti che
professano i consigli evangelici; ai membri delle altre Società, che si
consacrano a Dio con i voti religiosi, o una oblazione o una promessa;
inoltre a tutti coloro che vivono giorno e notte nella casa dei membri
di quegli Istituti e di quelle Società;
9. ai sacerdoti che prendono parte a grandi celebrazioni e
non possono celebrare o concelebrare;
10. a tutti coloro che prendono parte agli esercizi spirituali, nella
Messa che, durante questi esercizi, viene celebrata per loro, e alla
quale essi partecipano attivamente; a tutti coloro che prendono parte a
una riunione pastorale nella Messa celebrata in forma comunitaria;
11. alle persone di cui ai nn. 2 e 4, nella Messa del loro giubileo;
12. al padrino, alla madrina, ai genitori e al coniuge nonché ai
catechisti laici del battezzato adulto, nella Messa della sua
iniziazione cristiana;
13. ai genitori, ai familiari, ai benefattori insigni, che partecipano
alla Messa di un sacerdote novello;
14. ai membri delle comunità, nella Messa conventuale o di
"comunità", a norma del n. 76.
Inoltre le Conferenze Episcopali possono stabilire modalità,
motivazioni e condizioni in base alle quali gli Ordinari possano
concedere la comunione sotto le due specie anche in altri casi di grande
importanza, per la vita spirituale di una comunità o di un gruppo di
fedeli.
Entro questi limiti, gli Ordinari possono indicare i casi particolari, a
condizione però che la concessione non sia indiscriminata, che le
celebrazioni siano ben precisate e le esorbitanze diffidate; si dovranno
inoltre evitare le occasioni di un gran numero di comunicandi. I gruppi
poi che fruiscono di questa facoltà siano ben determinati, disciplinati
e omogenei.
243. Per
distribuire la comunione sotto le due specie, si devono preparare:
a) se la comunione al calice si fa con la cannuccia, cannucce
d’argento per il sacerdote e per i singoli comunicandi, inoltre un
recipiente con acqua per purificare le cannucce e una patena per
deporvele;
b) un cucchiaino, se col cucchiaino viene somministrato il Sangue del
Signore;
c) se la comunione sotto le due specie viene distribuita per intinzione,
ostie né troppo sottili nè troppo piccole, ma un poco più consistenti
del solito perché si possano convenientemente distribuire, dopo averle
intinte parzialmente nel Sangue del Signore.
1. Rito della comunione sotto le due specie bevendo direttamente dal
calice
244. Se
vi è presente il diacono o un altro sacerdote o un accolito:
a) Il sacerdote celebrante si comunica al Corpo e al Sangue del Signore
come al solito, facendo in modo che nel calice rimanga una quantità
sufficiente per coloro che riceveranno la comunione; asterge poi
l’esterno del calice con il purificatoio.
b) Il sacerdote consegna al ministro il calice e il purificatoio; prende
poi la patena o la pisside con le ostie; quindi il sacerdote e il
ministro del calice si portano dove possono più comodamente dare la
comunione ai fedeli.
c) I comunicandi si avvicinano a uno a uno, fanno la debita riverenza, e
si portano davanti al sacerdote, il quale presenta a ciascuno l’ostia,
dicendo: Il Corpo di Cristo (Corpus Christi); il comunicando risponde:
Amen, e riceve dal sacerdote il Corpo del Signore.
d) Quindi il comunicando si porta davanti al ministro, il quale, a sua
volta, dice: Il Sangue di Cristo (Sanguis Christi); il comunicando
risponde: Amen, e, per comodità, egli stesso con le sue mani accosta
alle labbra il calice, che gli viene presentato dal ministro; beve e
restituisce al ministro, che asterge con il purificatoio il labbro
esterno del calice.
e) Terminata la comunione al calice, il ministro depone il calice
sull’altare. Il sacerdote distribuisce la comunione agli altri fedeli
che eventualmente la ricevono sotto una sola specie; e poi torna
all’altare, dove egli stesso, o il ministro, beve il resto del vino
consacrato e fa le purificazioni come di consueto.
245. Se
non è presente il diacono, né un altro sacerdote, né un accolito:
a) Il sacerdote si comunica al Corpo e al Sangue del Signore come al
solito, facendo in modo che nel calice rimanga una quantità sufficiente
per coloro che riceveranno la comunione; asterge poi l’esterno del
calice con il purificatoio.
b) Quindi il sacerdote si porta dove può dare più comodamente la
comunione e distribuisce nel modo consueto il Corpo del Signore a ognuno
dei fedeli che si comunicano sotto le due specie; questi si avvicinano
e, facendo la debita riverenza, vanno davanti al sacerdote, dal quale
ricevono il Corpo del Signore, poi si spostano alquanto.
c) Dopo che i singoli comunicandi hanno ricevuto il Corpo del Signore,
il sacerdote depone la pisside sopra l’altare e prende il calice con
il purificatoio. Quelli che devono comunicarsi al calice, a uno a uno si
portano di nuovo davanti al sacerdote, il quale dice: Il Sangue di
Cristo (Sanguis Christi); il comunicando risponde: Amen, e, per comodità,
egli stesso con le sue mani accosta alle labbra il calice, che gli viene
presentato dal sacerdote; beve e restituisce al sacerdote, che asterge
con il purificatoio il labbro esterno del calice.
d) Terminata la comunione al calice, il sacerdote depone il calice
sull’altare e, se vi fossero altri fedeli da comunicare sotto una sola
specie, dà loro la comunione nella forma consueta; ritorna poi
all’altare, beve il resto del vino consacrato e fa le purificazioni
come di consueto.
2. Rito della comunione sotto le due specie per intinzione
246. Se
è presente il diacono o un altro sacerdote o un accolito:
a) Il sacerdote celebrante gli consegna il calice e il purificatoio,
egli invece prende la patena o la pisside con le ostie; quindi il
sacerdote con il ministro del calice si porta al luogo dove più
comodamente può distribuire la comunione.
b) I comunicandi si avvicinano a uno a uno, fanno la debita riverenza, e
si portano davanti al sacerdote; questi intinge parte dell’ostia nel
calice e presentandola a ciascuno dice: Il Corpo e il Sangue di Cristo
(Corpus et Sanguis Christi). Il comunicando, tenendo la patena sotto il
mento, risponde: Amen, e riceve dal sacerdote l’Eucaristia; ritorna
poi al suo posto.
c) Si distribuisce poi la comunione a coloro che ricevono l’Eucaristia
sotto una sola specie, si consuma il resto del vino consacrato e si
fanno le purificazioni nel modo detto sopra.
247. Se
non è presente il diacono, né un altro sacerdote, né un accolito:
a) Il sacerdote, dopo che si è comunicato al Sangue del Signore, prende
il calice tra il pollice e l’indice della mano sinistra, e, tenendo la
patena o la pisside con le ostie tra l’indice e il medio della stessa
mano, si porta dove più comodamente può distribuire la comunione.
b) I comunicandi si avvicinano a uno a uno, fanno la debita riverenza, e
si portano davanti al sacerdote; questi intinge parte dell’ostia nel
calice e, presentandola a ciascuno, dice: Il Corpo e il Sangue di Cristo
(Corpus et Sanguis Christi). Il comunicando, tenendo la patena sotto il
mento, risponde: Amen, e riceve dal sacerdote l’Eucaristia; ritorna
poi al suo posto.
c) Si può anche collocare in un luogo adatto un piccolo tavolo con
tovaglia e corporale, su cui il celebrante depone il calice o la pisside
per rendere più facile la distribuzione della comunione.
d) Si distribuisce poi la comunione a coloro che ricevono l’Eucaristia
sotto una sola specie, si consuma il resto del vino consacrato e si
fanno le purificazioni nel modo detto sopra.
3. Rito della comunione sotto le due specie con la cannuccia
248.
Anche il sacerdote si serve della cannuccia per comunicarsi al Sangue
del Signore.
249. Se
è presente il diacono o un altro sacerdote o un accolito:
a) Per la comunione al Corpo e al Sangue del Signore ci si attiene a
quanto è stato detto sopra al n. 244, comma b) e c).
b) Successivamente il comunicando si porta davanti al ministro del
calice, il quale dice: Il Sangue di Cristo (Sanguis Christi); il
comunicando risponde: Amen, e con la cannuccia che il ministro gli
presenta, beve dal calice il Sangue del Signore. Quindi, facendo
attenzione a non lasciarne cadere qualche goccia, con la medesima
cannuccia sorseggia un po’ d’acqua dal recipiente che un ministro
tiene in mano: poi depone la cannuccia in un altro recipiente, che gli
viene presentato dallo stesso ministro.
250. Se
non è presente il diacono, né un altro sacerdote, né un accolito, il
sacerdote celebrante medesimo presenta il calice a ciascuno dei
comunicandi, secondo il rito descritto sopra per la comunione al calice
(n. 245), e un ministro accanto a lui tiene il recipiente con l’acqua
per purificare la cannuccia.
4. Rito della comunione sotto le due specie con il cucchiaino
251. Se
è presente il diacono o un altro sacerdote o un accolito, questi tiene
nella mano sinistra il calice, e a ogni comunicando che gli si accosta
reggendo il piattello sotto il mento, distribuisce con il cucchiaino il
Sangue del Signore, dicendo: Il Sangue di Cristo (Sanguis Christi), e
badando a non toccare con il cucchiaino le labbra o la lingua dei
comunicandi.
252. Se
non c’è il diacono, né un altro sacerdote, né un accolito, il
sacerdote celebrante stesso, dopo che i comunicandi sotto le due specie
hanno ricevuto il Corpo del Signore, distribuisce loro anche il Sangue.
Note
56.
Cf SC 41.
57. Cf SC 42; EM 26; LG 28; PO 5.
58. Cf EM 47; 5. CONGR.
PER IL CULTO DIVINO, Dich. In celebratione Missae, 7.8.1972: EV
IV. 1742 ss.
59.
Cf EM 26; MS 16, 27.
60.
Cf S. CONGR. PER IL CULTO DIVINO, Decr. Cum de nomine Episcopi,
9.10.1972: EV: IV, 1794 ss.
61.
MQ VI.
62.
Cf SC 57; CIC, c. 902.
63. Cf EM 47.
64. Cf Ritus servandus in
concelebratione Missae, n. 3.
65. Cf ibid. n. 8.
66. Cf S. CONGR. DEI
RITI, Decr. gen. Ecclesiae semper, 7.3.1965: EV 11,
384-388; EM 47.
67. Cf RItus servandus in
concelebratione Missae, n. 9.
68. Cf EM 32.
69. Cf CONC. TRID., sess. XXI. Doctrina de communione sub utraque specie et parvulorum, cap.
1-3: DS 1725-1729.
70. Cf ibid. cap. 2: DS 1728.
71. Cf S. CONGR. PER
IL CULTO DIVINO, Istr. Sacramentali Communione, 29.6.1970: EV III,
2629 ss.
253. Per
la celebrazione dell’Eucaristia, il popolo di Dio si riunisce di
solito nella chiesa oppure, in mancanza di questa, in un altro luogo
decoroso che sia degno di un così grande mistero. Quindi le chiese o
gli altri luoghi, si prestino alla celebrazione delle azioni sacre e
all'attiva partecipazione dei fedeli. Inoltre i luoghi sacri e le cose
che servono al culto siano davvero degne, belle, segni e simboli delle
realtà celesti (72)
254.
Pertanto
la Chiesa
non cessa di fare appello al nobile servizio delle arti, e ammette le
forme artistiche di tutti i popoli e di tutti i paesi (73). Anzi, come
si sforza di conservare le opere d’arte e i tesori che i secoli
passati hanno trasmesso (74) e, per quanto è possibile, cerca di
adattarli alle nuove esigenze, cerca pure di promuovere nuove forme
corrispondenti all’indole di ogni epoca (75).
Perciò
nella formazione degli artisti come pure nella scelta delle opere da
ammettere nella chiesa, si ricerchino gli autentici valori dell’arte,
che alimentino la fede e la devozione e corrispondano alla verità del
loro significato e al fine cui sono destinate (76)
255.
Tutte le chiese siano solennemente dedicate o almeno benedette. Le
chiese cattedrali e parrocchiali siano sempre dedicate. I fedeli, poi,
tengano nel dovuto onore la chiesa cattedrale della loro diocesi e la
propria chiesa parrocchiale; e considerino l’una e l’altra segno di
quella Chiesa spirituale alla cui edificazione e sviluppo sono chiamati
dalla loro professione cristiana.
256.
Tutti coloro che sono interessati alla costruzione, al restauro e al
riordinamento delle chiese, consultino
la Commissione
diocesana di Liturgia e Arte sacra. L’Ordinario del luogo, poi, si
serva del consiglio e dell’aiuto della stessa Commissione quando si
tratta di dare norme in questa materia o di approvare progetti di nuove
chiese, o di definire questioni di una certa importanza (77).
257. Il
popolo di Dio, che si raduna per
la Messa
, ha una struttura organica e gerarchica, che si esprime nei vari
compiti (o ministeri) e nel diverso comportamento secondo le singole
parti della celebrazione. Pertanto è necessario che la disposizione
generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo modo
l’immagine dell’assemblea riunita, consentire l’ordinata e
organica partecipazione di tutti e favorire il regolare svolgimento dei
compiti di ciascuno.
I fedeli
e la schola avranno un posto che renda più facile la loro
partecipazione attiva (78).
Il
sacerdote invece e i suoi ministri prenderanno posto nel presbiterio,
ossia in quella parte della chiesa che manifesta il loro ministero, e in
cui ognuno rispettivamente presiede all’orazione, annuncia la parola
di Dio e serve all’altare.
Queste
disposizioni servono a esprimere la struttura gerarchica e la diversità
dei compiti (o ministeri), ma devono anche assicurare una più profonda
e organica unità, attraverso la quale si manifesti chiaramente l’unità
di tutto il popolo santo. La natura poi e la bellezza del luogo e di
tutta la suppellettile devono favorire la pietà e manifestare la santità
dei misteri che vengono celebrati.
258. Il
presbiterio si deve opportunamente distinguere dalla navata della chiesa
per mezzo di una elevazione, o mediante strutture e ornamenti
particolari. Sia inoltre di tale ampiezza da consentire un comodo
svolgimento dei sacri riti (79)
259.
L’altare, sul quale si rende presente nei segni sacramentali il
sacrificio della croce, è anche la mensa del Signore, alla quale il
popolo di Dio è chiamato a partecipare quando è convocato per
la Messa
; l’altare è il centro dell’azione di grazie che si compie con
l'Eucaristia (80).
260. La
celebrazione dell’Eucaristia in un luogo sacro si deve compiere sopra
un altare fisso o mobile; fuori del luogo sacro, invece, specie se vi si
fa ad modum actus, si può compiere anche sopra un tavolo
adatto, purché vi siano sempre una tovaglia e il corporale.
261.
L’altare si dice "fisso " se è costruito in modo da aderire
al pavimento e non poter quindi venir rimosso; si dice invece "
mobile" se lo si può trasportare.
262.
Nella chiesa vi sia di norma l’altare fisso e dedicato. Sia costruito
staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare
rivolti verso il popolo. Sia poi collocato in modo da costituire
realmente il centro verso il quale spontaneamente converga
l’attenzione di tutta l’assemblea (81).
263.
Secondo un uso e un simbolismo tradizionali nella Chiesa, la mensa
dell’altare fisso sia di pietra, e più precisamente di pietra
naturale. Tuttavia, a giudizio della Conferenza Episcopale, si può
adoperare anche un’altra materia degna, solida e ben lavorata.
Gli
stipiti però e la base per sostenere la mensa possono essere di
qualsiasi materiale, purché conveniente e solido.
264.
L’altare mobile può essere costruito con qualsiasi materiale di un
certo pregio e solido, confacente all’uso liturgico, secondo lo stile
e gli usi locali delle diverse regioni.
265. Gli
altari, sia fissi che mobili, si dedicano secondo il rito descritto nei
libri liturgici; tuttavia gli altari mobili possono essere soltanto
benedetti. Non vi è alcun obbligo di inserire la pietra consacrata
nell’altare mobile o nel tavolo sul quale si compie la celebrazione
fuori del luogo sacro (cfr n. 260).
266. Si
mantenga l’uso di collocare sotto l’altare da dedicare le reliquie
dei santi, anche se non martiri. Però si curi di verificare
l’autenticità di tali reliquie.
267. Gli
altri altari siano pochi e, nelle nuove chiese, siano collocati in
cappelle, separate in qualche modo dalla navata della chiesa (82)
V.
LA SUPPELLETTILE DELL
’ALTARE
268. Per
rispetto verso la celebrazione del memoriale del Signore e verso il
convito nel quale vengono presentati il Corpo ed il Sangue di Cristo, si
distenda sopra l’altare almeno una tovaglia, che sia adatta alla
struttura dell’altare per la forma, la misura e l’ornamento.
269. I
candelieri, richiesti per le singole azioni liturgiche, in segno di
venerazione e di celebrazione gioiosa, siano collocati o sopra
l’altare, oppure accanto ad esso, tenuta presente la struttura sia
dell’altare che del presbiterio, in modo da formare un tutto armonico;
e non impediscano ai fedeli di vedere comodamente ciò che si compie o
viene collocato sull’altare.
270.
Inoltre vi sia sopra l’altare, o accanto ad esso, una croce, ben
visibile allo sguardo dell’assemblea riunita.
VI.
LA SEDE PER
IL SACERDOTE CELEBRANTE E PER I
MINISTRI, OSSIA IL LUOGO DELLA PRESIDENZA
271. La
sede del sacerdote celebrante deve mostrare il compito che egli ha di
presiedere l’assemblea e di guidare la preghiera. Perciò la
collocazione più adatta è quella rivolta al popolo, al fondo del
presbiterio, a meno che non vi si oppongano la struttura dell’edificio
e altri elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile
la comunicazione tra il sacerdote e l’assemblea. Si eviti ogni forma
di trono. Le sedi per i ministri, invece, siano collocate in presbiterio
nel posto più adatto perché essi possano compiere con facilità il
proprio ufficio (83)
272.
L’importanza della parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un
luogo adatto dal quale essa venga annunciata, e verso il quale, durante
la Liturgia
della Parola, spontaneamente si rivolga l’attenzione dei fedeli (84).
Conviene
che tale luogo generalmente sia un ambone fisso e non un semplice leggio
mobile. L’ambone, secondo la struttura di ogni chiesa, deve essere
disposto in modo tale che i ministri possano essere comodamente visti e
ascoltati dai fedeli.
Dall’ambone
si proclamano le letture, il salmo responsoriale e il preconio pasquale;
ivi inoltre si può tenere l’omelia e la preghiera universale o
preghiera dei fedeli. Non conviene pero che all’ambone salga il
commentatore, il cantore o l’animatore del coro.
273. Si
curi in modo particolare la collocazione dei posti dei fedeli, perché
possano debitamente partecipare, con lo sguardo e con lo spirito, alle
sacre celebrazioni. È bene mettere a loro disposizione banchi e sedie.
Si deve però riprovare l’uso di riservare dei posti a persone private
(85)
Le sedie
o i banchi si dispongano in modo che i fedeli possano assumere
comodamente i diversi atteggiamenti del corpo richiesti dalle diverse
parti della celebrazione, e recarsi senza difficoltà a ricevere la
santa comunione.
Si abbia
cura che i fedeli possano non soltanto vedere, ma anche, con i mezzi
tecnici moderni, ascoltare comodamente sia il sacerdote sia gli altri
ministri.
274.
La Schola
cantorum, tenuto conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata
in modo da mettere chiaramente in risalto la sua natura: che essa cioè
fa parte dell’assemblea dei fedeli e svolge un suo particolare
ufficio, ne sia agevolato il compimento del suo ministero liturgico e
sia facilitata a ciascuno dei suoi membri la partecipazione piena alla
Messa, cioè la partecipazione sacramentale (86).
275.
L’organo e gli altri strumenti legittimamente ammessi siano collocati
in luogo adatto, in modo da poter essere di appoggio sia alla schola sia
al popolo che canta e, se vengono suonati da soli, possano essere
facilmente ascoltati da tutti.
276. Si
raccomanda vivamente che il luogo in cui si conserva
la Santissima Eucaristia
sia situato in una cappella adatta alla preghiera privata e alla
adorazione dei fedeli (87). Se poi questo non si può attuare,
l’Eucaristia sia collocata in un altare, o anche fuori dell’altare,
in un luogo della chiesa molto visibile e debitamente ornato, tenuta
presente la struttura di ciascuna chiesa e le legittime consuetudini di
ogni luogo (88).
277. Si
custodisca
la Santissima Eucaristia
in un unico tabernacolo, inamovibile e solido, non trasparente, e chiuso
in modo da evitare il più possibile il pericolo di una profanazione.
Pertanto in ogni chiesa normalmente vi sia un solo tabernacolo (89).
278.
Secondo un’antichissima tradizione della Chiesa, nei luoghi sacri
legittimamente si espongano alla venerazione dei fedeli le immagini del
Signore, della beata Vergine e dei santi.
Si abbia
cura tuttavia che il loro numero non sia eccessivo, e che la loro
disposizione non distolga l’attenzione dei fedeli dalla celebrazione
(90). Di un medesimo santo poi non si abbia che una sola immagine. In
generale, nell’ornamento e nella disposizione della chiesa, per quanto
riguarda le immagini si cerchi di favorire la pietà della comunità.
XII.
LA DISPOSIZIONE GENERALE
DEL LUOGO SACRO
279.
L’arredamento della chiesa abbia di mira una nobile semplicità,
piuttosto che il fasto. Nella scelta degli elementi per l’arredamento,
si curi la verità delle cose e si tenda all’educazione dei fedeli e
alla dignità di tutto il luogo sacro.
280. Una
conveniente disposizione della chiesa e dei suoi accessori, che
rispondano opportunamente alle esigenze del nostro tempo, richiede che
non si curino solo le cose più direttamente pertinenti alla
celebrazione delle azioni sacre, ma che si preveda anche ciò che
contribuisce alla comodità dei fedeli, e che abitualmente si trova nei
luoghi di riunione.
Note
72. Cfr Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum
Concilium, on. 122-124; Decreto sul ministero e la vita sacerdotale,
Presbyterorum ordinis, n. 5; sacra Congregazione dei Riti,
Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 90: A.A.S. 56
(1964) p. 897; Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio
1967, n. 24: A.A.S. 59 (1967) p. 554.
73. Cfr Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia,
Sacrosanctum Concilium, n. 123.
74. Cfr sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum
Mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: A.A.S. 59 (1967) p. 554.
75. Cfr Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum
Concilium, nn. 123, 129; sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter
Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 13c: A.A.S. 56 (1964) p. 880.
76. Cfr Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum
Concilium, n. 123.
77. Cfr ibidem, n. 126.
78. Cfr sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici,
26 settembre 1964, nn. 97-98: A.A.S. 56 (1964) p. 899.
79. Cfr ibidem, n. 91: A.A.S. 56 (1964) p. 898.
80. Cfr sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum
Mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: A.A.S. 59 (1967) p. 554.
81. Cfr sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter
Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 91: A.A.S. 56 (1964) p. 898.
82. Cfr ibidem, n. 93: A.A.S. 56 (1964) p. 989.
83. Cfr ibidem, n. 92: A.A.S. 56 (1964) p. 898.
84. Cfr ibidem, n. 96: A.A.S. 56 (1964) p. 899.
85. Cfr Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum
Concilium, n. 32; sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter
Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 98: A.A.S. 56 (1964) p. 899.
86. Cfr sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram,
5 maggio 1967, n. 23: A.A.S. 59 (1967) p. 307.
87. Cfr sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum
Mysterium, 25 maggio 1967, n. 53: A.A.S. 59 (1967) p. 568, Rituale
Romanum, De sacra Communione et de cultu mysterii eucharistici extra
Missam, ed. typ. 1973, o. 9.
88. Cfr ibidem, o. 54: A.A.S. 67 (1959) p. 568; Istruzione Inter
Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 95: A.A.S. 56 (1964) p. 898.
89. Cfr sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum
Mysterium, 25 maggio 1967, n. 52: A.A.S. 59 (1967) p. 568;
Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 95: A.A.S. 56
(1964) p. 898; sacra Congregazione dei Sacramenti, Istruzione Nullo
umquam tempore, 28 maggio 1938, n. 4: A.A.S. 30 (1938) pp. 199-200,
Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu mysterii
eucharistici extra Missam, ed. typ. 1973, no. 10-11; Codice di
Diritto canonico, can. 938.
90. Cfr Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia,
Sacrosanctum Concilium, n. 125
281.
Fedele all’esempio di Cristo,
la Chiesa
ha sempre usato pane e vino con acqua per celebrare
la Cena
del Signore.
282.
Il pane per la celebrazione dell’Eucaristia deve essere di solo
frumento, confezionato di recente, e azzimo, secondo l’antica
tradizione della Chiesa latina.
283.
La natura di segno esige che la materia della celebrazione eucaristica
si presenti veramente come cibo. Conviene quindi che il pane
eucaristico, sebbene azzimo e confezionato nella forma tradizionale, sia
fatto in modo che il sacerdote nella Messa celebrata con il popolo possa
spezzare davvero l’ostia in più parti e distribuirle almeno ad alcuni
dei fedeli. Le ostie piccole non sono comunque affatto escluse, quando
il numero dei comunicandi, o altre ragioni pastorali lo esigano. Il
gesto della frazione del pane, con cui l’Eucaristia veniva
semplicemente designata nel tempo apostolico, manifesterà sempre più
la forza e l’importanza del segno dell’unità di tutti in un unico
pane, e del segno della carità per il fatto che unico pane è
distribuito tra i fratelli.
284.
Il vino per la celebrazione eucaristica deve essere tratto dal frutto
della vite (cfr Lc 22, 18), naturale e genuino, cioè non misto a
sostanze estranee.
285.
Con la massima cura si conservino in perfetto stato il pane e il vino
destinati all’Eucaristia; cioè si badi che il vino non diventi aceto,
e che il pane non si guasti o sia troppo duro, così che solo con
difficoltà si possa spezzare.
286.
Se dopo la consacrazione, o al momento della comunione, il sacerdote si
accorge di aver usato acqua, anziché vino, metta l’acqua in un
recipiente, versi nel calice vino con acqua e lo consacri, ripetendo la
parte del racconto evangelico che riguarda la consacrazione del calice,
senza dover nuovamente consacrare il pane.
287.
Come per la costruzione di chiese, anche per ogni tipo di suppellettile
sacra
la Chiesa
ammette il genere e lo stile artistico di ogni regione, e accetta quegli
adattamenti che corrispondono alle culture e alle tradizioni dei singoli
popoli, purché ogni cosa sia adatta all’uso per il quale è destinata
(91).
Anche in questo settore si curi quella nobile semplicità che si
accompagna tanto bene con l’arte autentica.
288.
Nello scegliere la materia per la suppellettile sacra, oltre à quella
tradizionalmente in uso, si possono adoperare anche quelle che, secondo
la mentalità del nostro tempo, sono ritenute nobili, durevoli e che si
adattano bene all’uso sacro. In questo settore, il giudizio spetta
alla Conferenza Episcopale delle singole regioni.
289.
Tra le cose richieste per la celebrazione della Messa, sono degni di
particolare rispetto i vasi sacri; tra questi, specialmente il calice e
la patena, nei quali vengono offerti, consacrati e consumati il pane e
il vino.
290.
I vasi sacri siano di materia solida e nobile, secondo la comune
valutazione di ogni regione. La cosa è rimessa al giudizio della
Conferenza Episcopale. Tuttavia si preferiscano materie che non si
rompano né si deteriorino facilmente.
291.
I calici e gli altri vasi destinati a contenere il Sangue del Signore,
abbiano la coppa fatta di una materia che non assorba i liquidi. La base
del calice può essere fatta con materie diverse, solide e decorose.
292.
I vasi sacri che servono a contenere le ostie, come la patena, la
pisside, la teca, l’ostensorio e altri analoghi, si possono fabbricare
anche con altre materie, tra quelle più apprezzate nelle varie regioni,
come ad esempio l’avorio o alcuni legni particolarmente duri, sempre
che siano adatti all’uso sacro.
293.
Per la consacrazione delle ostie, si può convenientemente usare un
‘unica patena grande, sopra la quale si pone il pane sia per il
sacerdote, sia per i ministri e i fedeli.
294.
I vasi sacri di metallo siano abitualmente dorati all’interno, se il
metallo è ossidabile; se invece sono di metallo inossidabile, e più
nobile che l’oro, la doratura non è necessaria.
295.
Per quanto riguarda la forma dei vasi sacri, è compito dell’artista
confezionarli nel modo più conveniente secondo gli usi delle singole
regioni, purché siano adatti all’uso liturgico cui sono destinati.
296.
Per la benedizione dei vasi sacri, si osservino i riti prescritti nei
libri liturgici.
297.
Nella Chiesa, Corpo mistico di Cristo, non tutte le membra svolgono la
stessa mansione. Questa diversità di ministeri nel compimento del culto
sacro, si manifesta all’esterno con la diversità delle vesti sacre,
che perciò devono essere segno dell’ufficio proprio di ogni ministro.
Conviene però che tali vesti contribuiscano anche al decoro
dell’azione sacra.
298.
La veste sacra comune a tutti i ministri di qualsiasi grado è il
camice, stretto ai fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo
da aderire al corpo anche senza cingolo. Se il camice non copre
pienamente, intorno al collo, l’abito comune, prima di indossarlo si
deve mettere l’amitto.
Il camice può essere sostituito dalla cotta; non però quando si
indossano la casula o la dalmatica, né quando si usa la stola al posto
della casula o della dalmatica.
299.
Veste propria del sacerdote celebrante, nella Messa e nelle altre azioni
sacre direttamente collegate con essa, è la casula o pianeta, se non
viene indicato diversamente; la casula s’indossa sopra il camice e la
stola.
300.
Veste propria del diacono è la dalmatica, da indossarsi sopra il camice
e la stola.
301.
I ministri di grado inferiore al diacono possono indossare il camice o
un ‘altra veste legittimamente approvata nella loro regione.
302.
La stola indossata dal sacerdote gira attorno al collo e scende davanti,
diritta. La stola indossata dal diacono poggia sulla spalla sinistra e,
passando trasversalmente davanti al petto, si raccoglie sul fianco
destro.
303.
Il piviale viene indossato dal sacerdote nelle processioni e nelle altre
azioni sacre, secondo le rubriche proprie dei singoli riti.
304.
Riguardo alla forma delle vesti sacre, le Conferenze Episcopali possono
stabilire e proporre alla Sede Apostolica adattamenti richiesti dalle
necessità e dagli usi delle singole regioni (92).
305.
Per la confezione delle vesti sacre, oltre alle stoffe tradizionali, si
possono usare altre fibre naturali proprie delle singole regioni, come
pure fibre artificiali, rispondenti alla dignità dell’azione sacra e
della persona.
In questa materia è giudice
la Conferenza Episcopale
(93).
306.
La bellezza e la nobiltà delle vesti si devono cercare e porre in
risalto più nella forma e nella materia usate, che nella ricchezza
dell’ornato. Gli ornamenti possono presentare figurazioni, o immagini,
o simboli, che indichino l’uso sacro delle vesti, con esclusione di ciò
che non vi si addice.
307.
La differenza dei colori nelle vesti sacre ha lo scopo di esprimere,
anche con mezzi esterni, la caratteristica particolare dei misteri della
fede che vengono celebrati, e il senso della vita cristiana in cammino
lungo il corso dell’anno liturgico.
308.
Riguardo al colore delle sacre vesti, si mantenga l’uso tradizionale,
e cioè:
a) Il colore bianco si usa negli Uffici e nelle Messe del Tempo
pasquale e del Tempo natalizio. Inoltre: nelle feste e nelle «memorie»
del Signore, escluse quelle della Passione; nelle feste e nelle «memorie»
della beata Vergine, degli angeli, dei santi non martiri, nella festa di
tutti i santi (1 novembre), di san Giovanni Battista (24 giugno), di san
Giovanni evangelista (27 dicembre), della Cattedra di san Pietro
(22 febbraio) e della Conversione di san Paolo (25 gennaio).
b) Il colore rosso si usa nella domenica di Passione (o delle Palme)
e nel Venerdì Santo, nella domenica di Pentecoste, nelle celebrazioni
della Passione del Signore, nella festa natalizia degli Apostoli e degli
evangelisti e nelle celebrazioni dei santi martiri.
c) Il colore verde si usa negli Uffici e nelle Messe del Tempo
Ordinario.
d) Il colore viola si usa nel tempo di Avvento e di Quaresima.
Si può usare negli Uffici e nelle Messe per i defunti.
e) Il colore nero si può usare nelle Messe per i defunti.
f) Il colore rosaceo, si può usare nelle domeniche Gaudete (III
di Avvento) e Laetare (IV di Quaresima).
Le Conferenze Episcopali possono però stabilire e proporre alla Sede
Apostolica adattamenti conformi alle necessità e alla cultura dei
singoli popoli.
309.
Nei giorni più solenni si possono usare vesti sacre più preziose,
anche se non sono del colore del giorno.
310.
Le Messe rituali si dicono con il colore ad esse proprio, oppure con
colore bianco o festivo. Le Messe per varie necessità con il colore
proprio del giorno o del Tempo, oppure con colore viola se hanno
carattere penitenziale (ad es. le Messe «In tempo di guerra o di
disordini; in tempo di fame; per la remissione dei peccati»). Le Messe
votive si dicono con il colore adatto alla Messa che si celebra o anche
con il colore proprio del giorno o del Tempo.
311.
Oltre ai vasi sacri e alle vesti liturgiche, per cui viene prescritta
una determinata materia, anche l’altra suppellettile, destinata
direttamente all’uso liturgico, o in qualunque altro modo ammessa
nella chiesa, deve essere degna e rispondere al fine a cui ogni cosa è
destinata.
312.
Si curi in modo particolare che anche nelle cose di minore importanza le
esigenze dell’arte siano opportunamente rispettate, e che una nobile
semplicità sia sempre congiunta con la debita pulizia.
Note
91. Cfr
Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum
Concilium, n. 128; sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum
Mysteriurn, 25 maggio 1967, n. 24: A.A.S. 59 (1967) p. 854.
92. Cfr Concilio Vaticano II,
Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum
Concilium, n. 128.
93. Cfr
Ibidem
CAPITOLO VII:
LA SCELTA DELLE
PARTI DELLA MESSA
313.
L’efficacia pastorale della celebrazione aumenta se il testo
delle letture, delle orazioni e dei canti corrispondono il meglio
possibile alle necessità, alla preparazione spirituale e alle capacità
dei partecipanti. Questo si ottiene usando convenientemente di una
molteplice facoltà di scelta che sarà descritta più avanti.
Nel preparare
la Messa
, il sacerdote, tenga presente più il bene spirituale comune
dell’assemblea che il proprio gusto. Si ricordi anche che la scelta di
queste parti si deve fare insieme con i ministri e con le altre persone
che svolgono qualche ufficio nella celebrazione, senza escludere i
fedeli in ciò che li riguarda direttamente.
Dal momento che è offerta un’ampia possibilità di scegliere le
diverse parti della Messa, è necessario che prima della celebrazione
il diacono, il lettore, il salmista, il cantore, il commentatore, la
schola, ognuno per la sua parte, sappiano bene quali testi spettano a
ciascuno, in modo che nulla si lasci all’improvvisazione. L’armonica
disposizione ed esecuzione dei riti contribuisce moltissimo a disporre
lo spirIto dei fedeli per la partecipazione all’Eucaristia.
I.
LA SCELTA DELLA
MESSA
314. Nelle
solennità il sacerdote è tenuto a seguire il calendario della chiesa
in cui celebra.
315. Nelle domeniche, nelle ferie di Avvento, di Natale, di Quaresima e
di Pasqua, nelle feste e nelle memorie obbligatorie:
a)se
la Messa
si celebra con il popolo, il sacerdote segua il calendario della chiesa
in cui celebra;
b)se
la Messa
si celebra senza il popolo, il sacerdote può scegliere tra il
calendario del luogo e il calendario proprio.
316. Nelle memorie facoltative:
a)
Nelle ferie di Avvento dal 17 al 24 dicembre, tra l’ottava di Natale,
e nelle ferie di Quaresima, fatta eccezione per il mercoledì delle
Ceneri e per le ferie della Settimana Santa, il sacerdote dice
la Messa
del giorno liturgico occorrente; però dalla memoria eventualmente
segnata in quel giorno sul calendario generale può prendere la
colletta, purché non occorra il mercoledì delle Ceneri o una feria
della Settimana Santa.
b)
Nelle ferie di Avvento, prima del 17 dicembre, nelle ferie del Tempo
natalizio dal 2 gennaio e in quelle del Tempo pasquale, il sacerdote
può scegliere o
la Messa
della feria, o
la Messa
del santo o di uno dei santi di cui si fa la memoria, o
la Messa
di un santo ricordato quel giorno nel Martirologio.
c)
Nelle ferie del Tempo Ordinario, il sacerdote può scegliere o
la Messa
della feria o
la Messa
di una eventuale memoria facoltativa, o
la Messa
di qualche santo ricordato in quel giorno nel Martirologio, o una Messa
« per varie necessità » o una Messa votiva.
Se
celebra con partecipazione di popolo, il sacerdote si preoccupi
anzitutto del bene spirituale dei fedeli, evitando di imporre i propri
gusti. Soprattutto cerchi di non omettere troppo spesso e senza motivo
sufficiente le letture assegnate per i singoli giorni dal Lezionario
feriale:
la Chiesa
desidera infatti che venga offerta ai fedeli una mensa sempre più
abbondante della parola di Dio. (94)
Per
lo stesso motivo, non ricorra troppo spesso alle Messe dei defunti:
tutte le Messe sono offerte per i vivi e per i defunti, e dei defunti si
fa memoria in ogni Preghiera eucaristica.
Là
dove le memorie facoltative della beata Vergine, o di un santo, sono
care alla pietà dei fedeli, sia celebrata almeno una Messa in loro
onore per soddisfare alla legittima devozione dei fedeli. Quando poi
c’è possibilità di scelta tra una memoria iscritta nel calendario
generale e una memoria del calendario diocesano o religioso, si dia la
precedenza, a parità di importanza e secondo la tradizione, alla
memoria del calendario particolare.
II.
LA SCELTA DELLE
PARTI DELLA MESSA
317. Nello scegliere i testi delle diverse parti della Messa, sia del
tempo che dei santi si osservino le norme seguenti:
318. Alla domenica e nelle feste vi sono tre letture: il Profeta,
l’Apostolo e il Vangelo; la loro proclamazione educa il popolo
cristiano al senso della continuità nell’opera di salvezza, secondo
la mirabile pedagogia divina.
Si raccomanda quindi molto che le letture siano tre. Tuttavia, per
ragioni di ordine pastorale e in seguito a decreto della Conferenza
Episcopale, può essere consentita in qualche luogo l’uso di due sole
letture. Quando poi c’è da scegliere tra le due prime letture, si
tengano presenti le norme proposte dal Lezionario e l’intento di
condurre i fedeli a una più profonda conoscenza delle Scritture; il
criterio di scelta non sia mai solo quello del testo più breve o più
facile.
319.
Nel Lezionario feriale sono proposte delle letture per ogni giorno della
settimana, lungo tutto il corso dell’anno:
pertanto proprio queste letture si dovranno abitualmente usare nei
giorni a cui sono assegnate, a meno che non ricorra una solennità o una
festa.
Quando la lettura continua venisse interrotta durante la settimana da
una festa o da qualche celebrazione speciale, il sacerdote, tenendo
presente l’ordine delle letture di tutta la settimana, può
aggiungere alle altre letture quella omessa o decidere quale testo
preferire.
Nelle Messe per gruppi particolari, il sacerdote potrà scegliere le
letture più adatte a quella particolare celebrazione, purché tratte
dai testi del Lezionario approvato.
320.
Una scelta speciale di testi della sacra Scrittura è fatta per le Messe
nelle quali è inserita la celebrazione di Sacramenti o di Sacramentali,
o che vengono celebrate in speciali circostanze.
Questi
Lezionari sono stati composti in modo che i fedeli, attraverso
l’ascolto di una lettura più adatta, comprendano meglio il mistero a
cui prendono parte e aumentino il loro amore per la parola di Dio.
Quindi
i testi da leggersi nell’assemblea liturgica si devono scegliere in
base a un’opportuna considerazione pastorale, e tenuta presente la
libertà di scelta prevista per questi casi.
321.
Il
grande numero di prefazi, di cui è arricchito il Messale romano, mira a
presentare sotto angolazioni diverse il tema dell’azione di grazie
proprio della Preghiera eucaristica e a porre maggiormente in luce i
vari aspetti del mistero della salvezza.
322.
La scelta tra le Preghiere eucaristiche è regolata dalle norme
seguenti:
a)
la Preghiera
eucaristica I, o Canone romano, si può sempre usare; il suo uso
tuttavia è più indicato nei giorni ai quali è assegnato un Communicantes
(In comunione) proprio, o nelle Messe con l’Hanc igitur (Accetta con benevolenza) proprio, oltre che nelle
feste degli Apostoli e dei santi di cui si fa menzione nella Preghiera
stessa; così pure nelle domeniche a meno che, per ragioni pastorali,
non si preferisca un’altra Preghiera eucaristica.
b)
La Preghiera
eucaristica Il, per le sue particolari caratteristiche, è più
indicata per i giorni feriali o in circostanze particolari. Quantunque
abbia un prefazio proprio, può essere collegata con altri prefazi,
specialmente con quelli che presentano in sintesi il mistero della
salvezza, come ad esempio i prefazi delle domeniche del Tempo Ordinario
e i prefazi comuni.
Quando si celebra
la Messa
per un defunto, si può inserire la formula particolare proposta a suo
luogo, cioè prima del Ricordati
dei nostri fratelli (Memento etiam).
c)
La Preghiera
eucaristica III si può dire con qualsiasi prefazio. È preferibile
usarla nelle domeniche e nei giorni festivi. In questa preghiera si può
usare la formula particolare per un defunto, inserendola a suo luogo,
cioè dopo le parole Ricongiungi
a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi (Omnes
fllios tuos ubique dispersos).
d)
La Preghiera
eucaristica IV ha un prefazio invariabile e offre un compendio più
completo della storia della salvezza. Si può usare quando
la Messa
manca di un prefazio proprio. In questa Preghiera, in ragione della sua
struttura, non si può inserire una particolare formula per un defunto.
e) Una Preghiera eucaristica che abbia un prefazio proprio si può
usare, con il suo prefazio anche quando le rubriche indicano un
prefazio del Tempo.
323. In
ogni Messa, salvo indicazioni in contrario, si
dicono le orazioni proprie di quella Messa.
Tuttavia nelle Messe delle memorie si dice la colletta propria o quella
del Comune; le orazioni sulle offerte e dopo la comunione, se non sono
proprie, si possono scegliere dal Comune o dalle ferie del tempo
corrente.
Nelle ferie del Tempo Ordinario, oltre all’orazione della domenica
precedente, si possono dire le orazioni di un’altra domenica del
Tempo Ordinario, oppure un'orazione scelta tra i formulari per varie
necessità che si trovano nel messale. Di queste Messe si può comunque
scegliere anche la sola colletta. In tal modo viene proposto un maggior
numero di testi, che non solo permettono di rinnovare di continuo i temi
della preghiera dell’assemblea liturgica, ma anche di adattare la
stessa preghiera alle necessità dei fedeli, della Chiesa e del mondo.
Nei tempi più importanti dell’anno, questo adattamento già avviene
mediante l’orazione propria del tempo che si trova per ogni giorno nel
messale.
324. Nello scegliersi i canti fra le letture, e i canti di ingresso, di
offertorio e di comunione, si osservino le norme stabilite nel capitolo
che ne tratta.
325. Oltre
alle possibilità di cui si è parlato nei numeri precedenti per la
scelta dei testi più adatti, le Conferenze Episcopali hanno la facoltà
di indicare, per particolari circostanze, alcuni adattamenti per le
letture, a condizione che i testi vengano scelti da un Lezionario
debitamente approvato.
Note
94. Cfr Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum
Concilium, n. 51
326.
Poiché la liturgia dei sacramenti e dei sacramentali offre
ai fedeli ben disposti la possibilità di santificare quasi tutti gli
avvenimenti della vita per mezzo della grazia che fluisce dal mistero
pasquale (95),
e poiché l’Eucaristia è il sacramento per eccellenza, il messale
presenta formulari di Messe e di orazioni che si possono usare nelle
diverse circostanze della vita cristiana, per le necessità di tutto il
mondo o della Chiesa universale e locale.
327.
Essendovi una maggiore facoltà di scegliere le letture e le
orazioni, è bene che delle Messe «per
diverse circostanze» si faccia un uso moderato, cioè quando lo esige
l’opportunità pastorale.
328. In
tutte le Messe « per diverse circostanze »,
salvo espresse indicazioni in contrario, si possono usare le letture
feriali con i loro canti responsoriali, se si accordano con la
celebrazione.
329. Le Messe «per diverse
circostanze» sono di tre tipi:
a)
Messe rituali, collegate con la celebrazione di alcuni Sacramenti
o Sacramentali.
b)
Messe per varie necessità, che vengono dette in alcune
occasioni, sia saltuariamente, sia in tempi determinati.
c)
Messe votive o di
devozione, che vengono scelte liberamente secondo la devozione dei
fedeli per commemorare i misteri del Signore, o per onorare la beata
Vergine Maria o qualche santo o tutti i santi.
330.
Le Messe rituali sono proibite nelle domeniche di Avvento,
Quaresima e Pasqua, nelle solennità, nei giorni fra l’ottava di
Pasqua, nella Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nel mercoledì
delle Ceneri e nelle ferie della Settimana Santa; si devono inoltre
osservare le norme indicate nei libri rituali o nei formulari delle
Messe stesse.
331.
Tre le Messe per varie necessità la competente autorità può scegliere
Messe per eventuali suppliche pubbliche, stabilite dalla Conferenza
Episcopale nel corso dell’anno.
332.
Nel caso di una necessità particolarmente grave o di una
utilità pastorale si può celebrare una Messa adatta, per ordine o con
il consenso dell’Ordinario del luogo, in qualsiasi giorno, eccetto le
solennità e le domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, i giorni fra
l’ottava di Pasqua,
la Commemorazione
di tutti i fedeli defunti, il mercoledì delle Ceneri e le ferie della
Settimana Santa.
333.
Nei giorni in cui occorre una memoria obbligatoria o una
feria di Avvento fino al 16 dicembre, del Tempo natalizio a cominciare
dal 2 gennaio, e del Tempo pasquale dopo l’ottava di Pasqua, sono per
sé proibite le Messe per varie necessità e quelle votive. Se però lo
richiede un’autentica necessità o una utilità pastorale, nella Messa
con partecipazione di popolo si può usare il formulano corrispondente a
questa necessità o utilità, a giudizio del rettore della chiesa o
dello stesso sacerdote celebrante.
334. Nelle ferie del Tempo Ordinario nelle
quali occorrono memorie facoltative o si fa l’ufficio della feria, si
può celebrare qualunque Messa o utilizzare qualunque orazione «per
diverse circostanze»,
fatta eccezione per le Messe rituali.
335.
La Chiesa
offre il sacrificio
eucaristico della Pasqua di Cristo per i defunti, in modo che, per la
comunione esistente fra tutte le membra di Cristo, gli uni ricevano un
aiuto spirituale, e gli altri il conforto della speranza.
336. Tra le Messe per i defunti, ha il primo
posto
la Messa
esequiale, che si può celebrare tutti i giorni, eccetto le solennità
di precetto, il Giovedì Santo, il Triduo pasquale e le domeniche di
Avvento, Quaresima e Pasqua.
337.
La Messa
dei defunti alla
notizia della morte di una persona, o nel giorno della sepoltura
definitiva, o nel primo anniversario, si può celebrare anche fra
l’ottava di Natale, nei giorni nei quali occorre una memoria
obbligatoria o una feria, che non sia il mercoledì delle Ceneri o una
feria della Settimana Santa. Le altre Messe per i defunti, o Messe «quotidiane»,
si possono celebrare nelle ferie del Tempo Ordinario, nelle quali
occorrono memorie facoltative o si fa l’ufficio della feria, purché
siano veramente applicate per i defunti.
338. Nella Messa esequiale si tenga normalmente
una breve omelia, escludendo però la forma dell’elogio funebre. Si
raccomanda l’omelia anche nelle altre Messe per i defunti con
partecipazione di popolo.
339.
Si invitino i fedeli, specialmente i familiari del defunto, a
partecipare con la santa comunione al sacrificio eucaristico offerto per
il defunto stesso.
340. Se
la Messa
esequiale è inserita nel rito delle esequie, detta l’orazione dopo la
comunione, si tralasciano i riti di conclusione e si compie l’ultima
raccomandazione o commiato. Questo rito si fa soltanto quando il
cadavere è presente.
341.
Nell’ordinare e scegliere le parti variabili della Messa
per i defunti (come le orazioni, le letture, la preghiera dei fedeli),
specialmente nella Messa esequiale, si tengano presenti, come è giusto,
gli aspetti pastorali che interessano il defunto, la sua famiglia e i
presenti.
Inoltre i pastori d’anime abbiano un riguardo speciale per coloro che
in occasione del funerale sono presenti alla celebrazione liturgica o
ascoltano la lettura del Vangelo, siano essi acattolici o cattolici che
non partecipano mai o quasi mai all’Eucaristia, o che sembrano aver
perduto la fede; i sacerdoti sono per tutti i ministri del Vangelo di
Cristo.
Note
95.
Cfr. Concilio Vaticano Il, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 61.
La Conferenza
Episcopale
Italiana (C.E.I.) ritiene opportuno
precisare alcune indicazioni che la normativa liturgica affida alle
Conferenze Episcopali nazionali e richiamare l’attenzione su alcuni
punti della celebrazione eucaristica (I numeri a fianco dei titoli si
riferiscono a «Principi e norme per l’uso del Messale Romana»).
1.
Gesti e atteggiamenti durante la celebrazione eucaristica (cfr n.
21)
La C.E
.I.
fa proprio quanto indicato in « Principi
e norme per l’uso del Messale Romano » e cioè:
In piedi dal canto d’ingresso fino alla colletta compresa. Seduti
durante la prima e seconda lettura e il salmo responsoriale.
In piedi dall’acclamazione al Vangelo alla fine del Vangelo. Seduti
durante l’omelia e il breve silenzio che segue. In piedi dall’inizio
del Credo, recitato o cantato,
fino alla conclusione della preghiera universale o dei fedeli. Seduti
durante tutto il rito della presentazione dei doni. Ci si alza per l’incensazione
dell’assemblea.
In piedi dall’orazione sulle offerte fino all’epiclesi prima della
consacrazione (gesto dell’imposizione delle mani) esclusa. In
ginocchio, se possibile, dall’inizio dell’epiclesi preconsacratoria
(gesto dell’imposizione delle mani) fino all’elevazione del calice
inclusa.
In piedi da Mistero della fede fino
alla comunione inclusa, fatta la quale si potrà stare in ginocchio o
seduti fino all’orazione dopo la comunione.
Durante il canto o la recita del Padre
nostro, si possono tenere le braccia allargate; questo gesto, purché
opportunamente spiegato, si svolga con dignità in clima fraterno di
preghiera.
In piedi dall’orazione dopo la comunione sino alla fine.
N.B. Durante l’ascolto della Passione del Signore (Domenica delle
palme e Venerdì Santo) si può rimanere seduti per una parte della
lettura.
Anche qualora il canto del Gloria
a Dio comportasse uno sviluppo musicale di una certa ampiezza, in
casi particolari, ci si potrà sedere dopo l’intonazione.
2.
Canti di ingresso, di offertorio e di comunione (cfr. nn. 26, 50
e 56)
In
luogo dei canti inseriti nei libri liturgici si possono usare altri
canti adatti all’azione sacra, al momento e al carattere del giorno o
del tempo, purché siano approvati dalla Conferenza Episcopale nazionale
o regionale o dall’Ordinario del luogo.
Si esortano i musicisti e i cantori a valersi dei testi antifonali del
giorno con qualche eventuale adattamento.
Professione
di fede (cfr. n. 43)
Quando
è prescritta la professione di fede, si potrà alternare il simbolo
niceno-costantinopolitano con quello detto «degli Apostoli »,
proclamando con diverse formule la stessa unica fede. Sarà il
criterio dell’utilità pastorale a suggerire l’uso di questo secondo
simbolo, che pure è patrimonio del popolo di Dio e appartiene alla
veneranda tradizione della Chiesa.
Esso richiama la professione di fede fatta nella celebrazione del
Battesimo e si inserisce opportunamente nel Tempo di Quaresima e di
Pasqua, nel contesto catecumenale e mistagogico dell’iniziazione
cristiana.
Per una più facile memorizzazione nella lettera e nel contenuto, è
opportuno che il simbolo apostolico sia usato per un periodo piuttosto
prolungato.
3.
Preghiera universale (cfr. nn. 45-47)
La
preghiera universale o preghiera dei fedeli è di norma nelle Messe
domenicali e festive. Dato tuttavia il suo rilievo pastorale, anche
perché offre l’occasione di collegare la liturgia della Parola con la
situazione concreta, è evidente l’opportunità di farla
quotidianamente nelle Messe con la partecipazione del popolo.
Perché la preghiera universale sia veramente rispondente al suo spirito
e alla sua struttura, si richiama l’esigenza di disporne
precedentemente l’esatta formulazione e di rispettare la successione
e la sobrietà delle intenzioni, tenendo presenti il momento liturgico,
le emergenze ecclesiali e sociali, e il suffragio per le anime dei
pastori e dei fratelli defunti.
4.
Presentazione dei doni (cfr. nn. 48,3 e 293)
Per
sottolineare la partecipazione all’«unico pane e all’unico calice»
si abbia cura di preparare, per quanto possibile, un’unica patena
e un unico calice.
5.
Dossologia finale della Preghiera eucaristica (cfr. nn. 55h e
135)
La
dossologia conclusiva dell’anafora, Per
Cristo, con Cristo e in Cristo è
proclamata dai soli sacerdoti celebranti. Il sacerdote che presiede
e il diacono ministrante tengano sollevati la patena e il calice fino all’Amen
compreso con il quale il popolo ratifica la grande preghiera
sacerdotale.
6.
Segno di pace (cfr. n. 56b)
Il
segno di pace che i partecipanti alla celebrazione si scambiano con i
fedeli che sono al loro fianco, nello spirito di riconciliazione e di
fraternità cristiana necessario per accostarsi alla comunione
eucaristica, dopo che a tutti l’ha espresso con il gesto e con la
parola il sacerdote celebrante, si può dare in vari modi secondo le
consuetudini e la qualità dei partecipanti.
Scambiandosi il segno di pace si può dire: la pace sia con te.
7.
Frazione del pane (cfr. nn. 56c e 283)
Perché
il segno della partecipazione « all’unico
pane spezzato » abbia
chiara evidenza è bene compiere il gesto della «frazione del pane »
in modo veramente espressivo e visibile a tutti. Conviene quindi che
il pane azzimo, confezionato nella forma tradizionale, sia fatto in modo
che il sacerdote possa davvero spezzare l’ostia in più parti da
distribuire almeno ad alcuni fedeli. Al momento della «frazione», si dispongano, se necessario, le specie consacrate in varie
patene e in vari calici per una più agevole distribuzione, nel rispetto
delle norme liturgiche e dell’opportunità pastorale.
8.
Uffici particolari (cfr. n. 71 e «Codice di Diritto Canonico»,
can. 230 § 2)
I
lettori — uomini e donne — che in mancanza di ministri istituiti
proclamano dall’ambone le letture o propongono le intenzioni della
preghiera universale o dei fedeli, siano ben preparati ed edifichino
l’assemblea con la proprietà dell’atteggiamento e
dell’abito.
9.
Possibilità di comunicarsi due volte nello stesso giorno (vedi
«Codice di Diritto Canonico», can. 917)
La
piena partecipazione alla Messa si attua e si manifesta con la comunione
sacramentale.
Chi pertanto, pur essendosi già accostato alla mensa eucaristica,
parteciperà nello stesso giorno ad un’altra Messa, potrà, anche nel
corso di essa, ricevere nuovamente, cioè una seconda volta
la Comunione.
10.
La Comunione
sotto le due specie (cfr n. 242)
Oltre
ai casi e alle persone di cui al n. 242 di «Principi e norme», e salvo
il giudizio del vescovo di permettere
la Co
munione sotto le due specie,
la Conferenza Episcopale
Italiana ha stabilito di allargare la concessione della Comunione sotto
le due specie ai casi e alle persone qui sotto indicate:
a) a tutti i membri degli istituti religiosi e secolari, maschili e
femminili e a tutti i membri delle case di educazione e formazione
sacerdotale o religiosa, quando partecipano alla Messa della comunità (cfr
«Principi e norme per l’uso del Messale Romano» n. 76);
b) a tutti i partecipanti alla Messa comunitaria in occasione di un
incontro di preghiera o di un convegno pastorale;
c) a tutti i partecipanti a Messe che già comportano, per alcuni dei
presenti, la comunione sotto le due specie, a norma del n. 242 di «
Principi e norme per l’uso del Messale Romano »;
d) in occasione di celebrazioni particolarmente espressive del senso
della comunità cristiana raccolta intorno all’altare.
11.
Rito della comunione sotto le due specie per intinzione (cfr n.
247)
Nella
comunione l’Eucaristia è sempre consegnata dal ministro e non presa
direttamente dai fedeli. Se la comunione viene fatta per intinzione, il
sacerdote celebrante può far sorreggere il calice (o la pisside), da un
accolito o da un ministro straordinario della Comunione o da un fedele
debitamente preparato.
12.
Uso della lingua nella celebrazione dell’Eucaristia
Nelle
Messe celebrate con il popolo si usa la lingua italiana. Si potranno
inserire nel repertorio della Messa celebrata in italiano canti
dell’ordinario ed eventualmente del proprio in lingua latina.
Gli Ordinari del luogo, tenuto presente innanzi tutto il bene del popolo
di Dio, possono stabilire che in alcune chiese frequentate da fedeli
di diverse nazionalità si possa usare o la lingua propria dei presenti,
se appartenenti al medesimo gruppo linguistico, o la lingua latina
avendo cura di proclamare le letture bibliche e formulare la preghiera
dei fedeli nelle varie lingue dei partecipanti.
In altri casi previsti in base ad una vera motivazione vagliata
dall’Ordinario del luogo, si deve comunque usare l’edizione tipica
del «Missale Romanum».
Ogni chiesa abbia a disposizione la forma abbreviata del Messale
latino: «Missale parvum».
13.
I canti e gli strumenti musicali
Nella
scelta e nell’uso di altri canti si tenga presente che essi devono
essere degni della loro adozione nella liturgia, sia per la sicurezza di
fede nel contenuto testuale, sia per il valore musicale ed anche per la
loro opportuna collocazione nei vari momenti celebrativi secondo i tempi
liturgici.
Non si introduca in modo permanente alcun testo nelle celebrazioni
liturgiche senza previa approvazione della competente autorità.
Ogni diocesi abbia cura di segnalare un elenco di canti da eseguire
nelle celebrazioni diocesane tenendo presenti le indicazioni regionali e
nazionali per la formazione di un repertorio comune. Anche per
l’esecuzione dei canti si curi con attenzione l’uso dell’impianto
di diffusione.
Per quanto riguarda il sostegno strumentale si usi preferibilmente
l’organo a canne o con il consenso dell’Ordinario, sentita
la Commissione
di liturgia e musica, anche altri strumenti che siano adatti all’uso
sacro o vi si possano adattare.
La musica registrata, sia strumentale che vocale, non può essere usata
durante la celebrazione liturgica, ma solo fuori di essa per la
preparazione dell’assemblea.
Si tenga presente, come norma, che il canto liturgico è espressione
della viva voce di quel determinato popolo di Dio che è raccolto in
preghiera.
14.
L’altare (cfr o. 262)
L’altare
fisso della celebrazione sia unico e rivolto al popolo. Nel caso di
difficili soluzioni artistiche per l’adattamento di particolari chiese
e presbitèri, si studi, sempre d’intesa con le competenti Commissioni
diocesane, l’opportunità di un altare «mobile» appositamente
progettato e definitivo.
Se l’altare retrostante non può essere rimosso o adattato, non si
copra la sua mensa con la tovaglia.
Si faccia attenzione a non ridurre l’altare a un supporto di oggetti
che nulla hanno a che fare con la liturgia eucaristica. Anche i
candelieri e i fiori siano sobri per numero e dimensione. Il microfono
per la dimensione e la collocazione non sia tanto ingombrante da
sminuire il valore delle suppellettili sacre e dei segni liturgici.
15.
La sede per il sacerdote celebrante e i ministri (cfr n. 271)
La
sede del sacerdote celebrante e dei ministri sia in diretta
comunicazione con l’assemblea.
16.
L’ambone (cfr n. 272)
L’ambone
o luogo della Parola, sia conveniente per dignità e funzionalità; non
sia ridotto a un semplice leggio, né diventi supporto per altri libri
all’infuori dell’Evangelario e del Lezionario.
17.
Materia per la costruzione dell’altare (cfr n. 263),per la
preparazione delle suppellettili (cfr n. 268), dei vasi sacri (cfr n.
294) e delle vesti sacre (cfr n. 305)
Si
possono usare materiali diversi da quelli usati tradizionalmente,
purché convenienti per la qualità e funzionalità all’uso liturgico.
In
particolare, per quanto attiene la coppa del calice è da escludere
l’impiego di metalli facilmente ossidabili (ad es. alpacca, rame,
ottone, ecc.), anche se dorati, da cui, oltre l’alterazione delle
sacre specie, possono derivare effetti nocivi.
Nell’impiego
dei vari materiali si tengano presenti le indicazioni dati in «
Principi e norme per l’uso del Messale Romano », perché rispecchino
quella dignitosa e austera bellezza che si deve sempre ricercare nelle
opere dell’artigianato a servizio del culto.
18.
Colore delle vesti sacre (cfr n. 308)
Si
seguano le indicazioni date in «Principi e norme per l’uso del
Messale Romano».
19.
Numero delle letture nelle domeniche e nelle solennità (cfr n.
318)
La C.E
.I.
dispone nelle domeniche e nelle solennità la proclamazione di tutte e
tre le letture, per. una maggiore organicità e ricchezza della liturgia
della Parola che secondo la tradizione comprende il profeta,
l’apostolo e l’evangelista.
20.
Stazioni quaresimali
In
Quaresima secondo l’antica tradizione romana delle stazioni
quaresimali, si raccomandano nelle Chiese locali le riunioni di
preghiera specialmente intorno al vescovo, almeno in alcuni centri e nei
modi più indicati.
Oltre che in domenica queste assemblee — con celebrazione
dell’Eucaristia o del sacramento della Penitenza o con liturgie della
parola o con altre forme, che richiamino anche il carattere
pellegrinante della Chiesa locale — possono essere celebrate,
evidenziando maggiormente il carattere penitenziale del cammino verso
la Pasqua
, nei giorni più adatti della settimana (in particolare il venerdì o
il mercoledì) o presso il sepolcro di un martire o nelle chiese o
santuari più importanti.
21.
Velazione delle croci e delle immagini (cfr «Missale Romanum»,
p. 215)
Circa
la possibilità di conservare l’uso di velare le croci e le immagini a
cominciare dalla V domenica di Quaresima, ci si attenga ai criteri di
ordine pastorale a giudizio dell’Ordinario del luogo.
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