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I
FIORETTI DI SAN FRANCESCO
CAPITOLO PRIMO
Al nome del nostro Signore Gesù Cristo crocifisso e della sua Madre
Vergine Maria. In questo libro si contengono certi fioretti miracoli ed
esempi divoti del glorioso poverello di Cristo messer santo Francesco e
d'alquanti suoi santi compagni. A laude di Gesù Cristo. Amen. In prima
è da considerare che 'l glorioso messere santo Francesco in tutti gli
atti della vita sua fu conforme a Cristo benedetto: ché come Cristo nel
principio della sua predicazione elesse dodici Apostoli a dispregiare
ogni cosa mondana, a seguitare lui in povertà e nell'altre virtù; così
santo Francesco elesse dal principio del fondamento dell'Ordine dodici
compagni possessori dell'altissima povertà. E come un de' dodici
Apostoli, il quale si chiamò Iuda Scariotto, apostatò dello
apostolato, tradendo Cristo, e impiccossi se medesimo per la gola: così
uno de' dodici compagni di santo Francesco, ch'ebbe nome frate Giovanni
dalla Cappella, apostatò e finalmente s'impiccò se medesimo per la
gola. E questo agli eletti è grande esempio e materia di umiltà e di
timore, considerando che nessuno è certo perseverare infino alla fine
nella grazia di Dio. E come que' santi Apostoli furono a tutto il mondo
maravigliosi di santità e d'umiltà, e pieni dello Spirito Santo; così
que' santi compagni di santo Francesco furono uomini di tanta santità,
che dal tempo degli Apostoli in qua il mondo non ebbe così maravigliosi
e santi uomini: imperò ch'alcuno di loro fu ratto infino al terzo Cielo
come Santo Paulo, e questo fu frate Egidio; alcuno di loro, cioè fra
Filippo Lungo, fu toccato le labbra dall'Agnolo col carbone del fuoco
come Isaia profeta, alcuno di loro, ciò fu frate Silvestro, che parlava
con Dio come l'uno amico coll'altro, a modo che fece Moisè; alcuno
volava per sottilità d'intelletto infino alla luce della divina
sapienza come l'aquila, cioè Giovanni evangelista, e questo fu frate
Bernardo umilissimo il quale profondissimamente esponea
la Scrittura
santa: alcuno di loro fu santificato da Dio e canonizzato in Cielo
vivendo egli ancora nel mondo, e questo fu frate Ruffino gentile uomo
d'Ascesi; e così furono tutti privilegiari di singolare segno di santità,
siccome nel processo si dichiara.
CAPITOLO SECONDO
Di frate Bernardo da Quintavalle primo compagno di santo Francesco. Il
primo compagno di santo Francesco si fu frate Bernardo d'Ascesi, il
quale si convertì a questo modo: che essendo Francesco ancora in abito
secolare, benché già esso avesse disprezzato il mondo e andando tutto
dispetto e mortificato per la penitenza intanto che da molti era
reputato stolto, e come era schernito e scacciato con pietre e con
fastidio fangoso dalli parenti e dalli strani ed egli in ogni ingiuria e
ischerno passandosi paziente come sordo e muto; messere Bernardo
d'Ascesi, il quale era de' più nobili e de' più savi della città,
cominciò a considerare saviamente in santo Francesco il così eccessivo
dispregio del mondo, la grande pazienza nelle ingiurie, che già per due
anni così abbominato e disprezzato da ogni persona sempre parea più
costante e paziente, cominciò a pensare e a dire fra sé medesimo: Per
nessuno modo puote che questo Francesco non abbia grande grazia di Dio.
E sì lo invitò la sera a cena e albergo; e santo Francesco accettò e
cenò la sera con lui e albergò. E allora, cioè messere Bernardo, si
puose in cuore di contemplare la sua santità: ond'egli gli fece
apparecchiare un letto nella sua camera propria nella quale di notte
sempre ardea una lampana. E santo Francesco, per celare la santità sua
immantanente come fu entrato in camera si gittò in sul letto e fece
vista di dormire, e messere Bernardo similmente, dopo alcuno spazio, si
puose a giaciere, e incominciò a russare forte a modo come se dormisse
molto profondamente. Di che santo Francesco, credendo veramente che
messere Bernardo dormisse, in sul primo sonno si levò dal letto e
puosesi in orazione, levando gli occhi e le mani al cielo, e con
grandissima divozione e fervore diceva: "Iddio mio, Iddio
mio", e così dicendo e forte lagrimando istette infino al
mattutino, sempre ripetendo: "Iddio mio, Iddio mio", e non
altro. E questo dicea santo Francesco contemplando e ammirando la
eccellenza della divina Maestà, la quale degnava di condescendere al
mondo che periva, e per lo suo Francesco poverello disponea di porre
rimedio di salute dell'anima sua e degli altri; e però alluminato di
Spirito Santo, ovvero di spirito profetico, prevedendo le grandi cose
che Iddio doveva fare mediante lui e l'Ordine suo, e considerando la sua
insufficienza e poca virtù, chiamava e pregava Iddio, che colla sua
pietà e onnipotenza, senza la quale niente può l'umana fragilità,
supplesse, aiutasse e compiesse quello per sé non potea. Veggendo
messere Bernardo per lo lume della lampana gli atti divotissimi di santo
Francesco, e considerando divotamente le parole che dicea, fu toccato e
ispirato dallo Spirito Santo a mutare la vita sua. Di che, fatta la
mattina, chiamò santo Francesco e disse così: "Frate Francesco,
io ho al tutto disposto nel cuore mio d'abbandonare il mondo e seguitare
te in ciò che tu mi comanderai". Udendo questo, santo Francesco si
rallegrò in ispirito e disse così: "Messere Bernardo, questo che
voi dite è opera sì grande e malagevole, che di ciò si vuole
richiedere consiglio al nostro Signore Gesù Cristo e pregarlo che gli
piaccia di mostrarci sopra a ciò la sua volontà ed insegnarci come
questo noi possiamo mettere in esecuzione. E però andiamo insieme al
vescovado dov'è un buono prete, e faremo dire la messa e poi staremo in
orazione infino a terza, pregando Iddio che 'nfino alle tre apriture del
messale ci dimostri la via ch'a lui piace che noi eleggiamo".
Rispuose messere Bernardo che questo molto gli piacea; di che allora si
mossono e andarono al vescovado. E poi ch'ebbono udita la messa e istati
in orazione insino a terza, il prete a' preghi di santo Francesco, preso
il messale e fatto il segno della santissima croce, si lo aperse nel
nome del nostro Signore Gesù Cristo tre volte: e nella prima apritura
occorse quella parola che disse Cristo nel Vangelo al giovane che domandò
della via della perfezione: Se tu vuogli essere perfetto, va' e vendi ciò
che tu hai e da' a' poveri e seguita me. Nella seconda apritura occorse
quella parola che disse Cristo agli Apostoli, quando li mandò a
predicare: Non portate nessuna cosa per via, né bastone né tasca, né
calzamenti né danari; volendo per questo ammaestrarii che tutta la loro
isperanza del vivere dovessono portare in Dio, ed avere tutta la loro
intenzione a predicare il santo Vangelo. Nella terza apritura del
messale occorse quella parola che Cristo disse: Chi vuole venire dopo
me, abbandoni se medesimo, e tolga la croce sua e seguiti me. Allora
disse santo Francesco a messere Bernardo: "Ecco il consiglio che
Cristo ci dà: va' adunque e fa' compiutamente quello che tu hai udito;
e sia benedetto il nostro Signore Gesù Cristo, il quale ha degnato di
mostrarci la sua vita evangelica". Udito questo, si partì messere
Bernardo, e vendé ciò ch'egli avea (ed era molto ricco), e con grande
allegrezza distribuì ogni cosa a' poveri, a vedove; a orfani, a
prigioni, a monisterii e a spedali; e in ogni cosa santo Francesco
fedelmente e providamente l'aiutava. E vedendo uno, ch'avea nome messere
Salvestro, che santo Francesco dava tanti danari a poveri e facea dare,
stretto d'avarizia disse a santo Francesco: "Tu non mi pagasti
interamente di quelle pietre che tu comperasti da me per racconciare la
chiesa, e però, ora che tu hai danari, pagami". Allora santo
Francesco, maravigliandosi della sua avarizia e non volendo contendere
con lui, siccome vero osservatore del santo Vangelo, mise le mani in
grembo di messere Bernardo, e piene le mani di danari, li mise in grembo
di messere Salvestro, dicendo che se più ne volesse, più gliene
darebbe. Contento messere Salvestro di quelli, si partì e tornossi a
casa; e la sera, ripensando di quello ch'egli aveva fatto il dì, e
riprendendosi della sua avarizia, considerando il fervore di messere
Bernardo e la santità di santo Francesco, la notte seguente e due altre
notti ebbe da Dio una cotale visione, che della bocca di santo Francesco
usciva una croce d'oro, la cui sommità toccava il cielo, e le braccia
si distendevano dall'oriente infino all'occidente. Per questa visione
egli diede per Dio ciò ch'egli avea, e fecesi frate Minore, e fu
nell'Ordine di tanta santità e grazia, che parlava con Dio, come fa
l'uno amico con l'altro, secondo che santo Francesco più volte provò,
e più giù si dichiarerà. Messere Bernardo similmente si ebbe tanta
grazia di Dio, ch'egli spesso era ratto in contemplazione a Dio; e santo
Francesco dicea di lui ch'egli era degno di ogni reverenza e ch'egli
avea fondato quest'Ordine; imperò ch'egli era il primo che avea
abbandonato il mondo, non riserbandosi nulla, ma dando ogni cosa a'
poveri di Cristo, e cominciata la povertà evangelica, offerendo sé
ignudo nelle braccia del Crocifisso. Il quale sia da noi benedetto in
saecula saeculorum. Amen.
CAPITOLO TERZO.
Come per mala cogitazione che santo Francesco ebbe contro a frate
Bernardo, comandò al detto frate Bernardo che tre volte gli andasse co'
piedi in sulla gola e in sulla bocca. Il devotissimo servo del
Crocifisso messer santo Francesco, per l'asprezza della penitenza e
continuo piagnere, era diventato quasi cieco e poco vedea. Una volta tra
l'altre si partì del luogo dov'egli era e andò ad un luogo dov'era
frate Bernardo, per parlare con lui delle cose divine; e giungendo al
luogo, trovò ch'egli era nella selva in orazione tutto elevato e
congiunto con Dio. Allora santo Francesco andò nella selva e chiamollo:
"Vieni - disse - e parla a questo cieco". E frate Bernardo non
gli rispuose niente imperò che essendo uomo di grande contemplazione
avea la mente sospesa e levata a Dio; e però ch'egli avea singolare
grazia in parlare di Dio, siccome santo Francesco più volte avea
provato e pertanto desiderava di parlare con lui. Fatto alcuno
intervallo, sì lo chiamò la seconda e la terza volta in quello
medesimo modo: e nessuna volta frate Bernardo l'udì, e però non gli
rispuose, né andò a lui. Di che santo Francesco si partì un poco
isconsolato e maravigliandosi e rammaricandosi in se medesimo, che Frate
Bernardo, chiamato tre volte, non era andato a lui. Partendosi con
questo pensiero, santo Francesco, quando fu un poco dilungato, disse al
suo compagno: "Aspettami qui"; ed egli se ne andò ivi presso
in uno luogo solitario, e gittossi in orazione pregando Iddio che gli
rivelasse il perché frate Bernardo non gli rispuose. E stando così.
gli venne una voce da Dio che disse così: "O povero omicciuolo, di
che se' tu turbato? debbe l'uomo lasciare Iddio per la creatura? Frate
Bernardo, quando tu lo chiamavi, era congiunto meco; e però non potea
venire a te, né risponderti. Adunque non ti maravigliare, se non ti poté
rispondere; però ch'egli era lì fuori di sé, che delle tue parole non
udiva nulla". Avendo santo Francesco questa risposta da Dio,
immantanente con grande fretta ritornò inverso frate Bernardo, per
accusarglisi umilmente del pensiero ch'egli avea avuto inverso di lui. E
veggendolo venire inverso di sé, frate Bernardo gli si fece incontro e
gittoglisi a piedi; e allora santo Francesco li fece levare suso e
narrogli con grande umiltà il pensiero e la turbazione ch'avea avuto
inverso di lui, e come di ciò Iddio gli avea risposto. Onde conchiuse
così: · lo ti comando per santa ubbidienza, che tu faccia ciò ch'io
ti comanderò". Temendo frate Bernardo che santo Francesco non gli
comandasse qualche cosa eccessiva, come solea fare, volle onestamente
ischifare a quella obbidienza, ond'egli rispuose così: "Io sono
apparecchiato di fare la vostra ubbidienza, se voi mi promettete di fare
quello ch'io comanderò a voi". E promettendoglielo santo
Francesco, frate Bernardo disse: "Or dite, padre quello che voi
volete ch'io faccia". Allora disse santo Francesco: "Io ti
comando per santa ubbidienza che, per punire la mia prosunzione e
l'ardire del mio cuore, ora ch'io mi gitterò in terra supino, mi ponga
l'uno piede in sulla gola e l'altro in sulla bocca, e così mi passi tre
volte e dall'uno lato all'altro, dicendomi vergogna e vitupero, e
specialmente mi di': "Giaci, villano figliuolo di Pietro Bernardoni,
onde ti viene tanta superbia, che se' vilissima creatura?". Udendo
questo frate Bernardo, e benché molto gli fusse duro a farlo, pure per
la ubbidienza santa, quanto poté il più cortesemente, adempié quello
che santo Francesco gli aveva comandato. E fatto cotesto, disse santo
Francesco: "Ora comanda tu a me ciò che tu vuoi ch'io ti faccia,
però ch'io t'ho promesso obbidienza". Disse frate Bernardo:
"lo ti comando per santa obbidienza ch'ogni volta che noi siamo
insieme, tu mi riprenda e corregga de' miei difetti aspramente". Di
che santo Francesco forte si maravigliò, però che frate Bernardo era
di tanta santità, ch'egli l'avea in grande reverenza e non lo riputava
riprensibile di cosa veruna. E però d'allora innanzi santo Francesco si
guardava di stare molto con lui, per la detta obbidienza, acciò che non
gli venisse detto alcuna parola di correzione verso di lui, il qual egli
conoscea di tanta santità; ma quando avea voglia di vederlo ovvero di
udirlo parlare di Dio, il più tosto che poteva si spacciava da lui e
partivasi. Ed era una grandissima divozione a vedere con quanta carità,
riverenza e umiltà santo Francesco padre si usava e parlava con frate
Bernardo figliuolo primogenito. A laude e gloria di Gesù Cristo e del
poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO QUARTO
Come l'agnolo di Dio propuose una quistione a frat'Elia guardiano d'uno
luogo di Val di Spoleto; e perché frat'Elia li rispuose superbiosamente
si partì e andonne in cammino di santo Jacopo, dove trovò frate
Bernardo e dissegli questa storia. Al principio e fondamento
dell'Ordine, quando erano pochi frati e non erano ancora presi i luoghi,
santo Francesco per sua divozione andò a santo Jacopo di Galizia, e menò
seco alquanti frati, fra li quali fu l'uno frate Bernardo. E andando così
insieme per lo cammino, trovò in una terra un poverello infermo, al
quale avendo compassione, disse a frate Bernardo: "Figliuolo, io
voglio che tu rimanghi qui a servire a questo infermo". E frate
Bernardo, umilmente inginocchiandosi e inchinando il capo, ricevette la
obbidienza del padre santo e rimase in quel luogo; e santo Francesco con
gli altri compagni andarono a santo Jacopo. Essendo giunti là. e stando
la notte in orazione nella chiesa di santo Jacopo, fu da Dio rivelato a
santo Francesco ch'egli dovea prendere di molti luoghi per lo mondo,
imperò che l'Ordine suo si dovea ampliare e crescere in grande
moltitudine di frati. E in cotesta rivelazione cominciò santo Francesco
a prendere luoghi in quelle contrade. E ritornando santo Francesco per
la via di prima, ritrovò frate Bernardo, e lo infermo, con cui l'avea
lasciato. perfettamente guarito; onde santo Francesco concedette l'anno
seguente a frate Bernardo ch'egli andasse a santo Jacopo. E così santo
Francesco si ritornò nella Valle di Spuleto, e istavasi in uno luogo
diserto egli e frate Masseo e frat'Elia e alcuni altri, i quali tutti si
guardavano molto di noiare o storpiare santo Francesco della orazione, e
ciò faceano per la grande reverenza che gli portavano e perché sapeano
che Iddio gli rivelava grandi cose nelle sue orazioni. Avvenne un dì
che, essendo santo Francesco in orazione nella selva, un giovane bello,
apparecchiato a camminare venne alla porta del luogo, e picchiò sì in
fretta e forte e per sì grande spazio, che i frati molto se ne
maravigliarono di così disusato modo di picchiare. Andò frate Masseo e
aperse la porta e disse a quello giovane: "Onde vieni tu,
figliuolo, che non pare che tu ci fossi mai più, sì hai picchiato
disusatamente?". Rispuose il giovane: "E come si dee
picchiare?". Disse frate Masseo: "Picchia tre volte l'una dopo
l'altra, di rado, poi t'aspetta tanto che 'l frate abbia detto il
paternostro e vegna a te, e se in questo intervallo non viene, picchia
un'altra volta". Rispuose il giovane: "Io ho gran fretta, e
però picchio così forte, perciò ch'io ho a fare lungo viaggio, e qua
son venuto per parlare a frate Francesco, ma egli sta ora nella selva in
contemplazione, e però non lo voglio storpiare ma va', e mandami frat'Elia,
che gli vo' fare una quistione, però ch'io intendo ch'egli è molto
savio". Va frate Masseo, e dice a frat'Elia che vada a quello
giovane. E frat'Elia se ne iscandalizza e non vi vuole andare; di che
frate Masseo non sa che si fare, né che si rispondere a colui; imperò
che se dicesse: frate Elia non può venire, mentiva; se dicea come era
turbato e non vuol venire, si temea di dargli male esempio. E però che
intanto frate Masseo penava a tornare, il giovane picchiò un'altra
volta come in prima; e poco stante tornò frate Masseo alla porta e
disse al giovine: "Tu non hai osservato la mia dottrina nel
picchiare". Rispuose il giovane: "Frate Elia non vuole venire
a me; ma va' e di' a frate Francesco ch'io son venuto per parlare con
lui; ma però ch'io non voglio impedire lui della orazione, digli che
mandi a me frat'Elia". E allora frate Masseo, n'andò a santo
Francesco il quale orava nella selva colla faccia levata al cielo, e
dissegli tutta la imbasciata del giovane e la risposta di frat'Elia. E
quel giovane era l'Agnolo di Dio in forma umana. Allora santo Francesco,
non mutandosi del luogo né abbassando la faccia, disse a frate Masseo:
"Va' e di' a frat'Elia che per obbidienza immantanente vada a
quello giovane". Udendo frat'Elia l'ubbidienza di santo Francesco,
andò alla porta molto turbato, e con grande empito e romore gli aperse
e disse al giovane: "Che vuo' tu?". Rispuose il giovane:
"Guarda, frate, che tu non sia turbato, come pari, però che l'ira
impedisce l'animo e non lascia discernere il vero". Disse frat'Elia:
"Dimmi quello che tu vuoi da me". Rispuose il giovane:
"Io ti domando, se agli osservatori del santo Vangelo è licito di
mangiare di ciò che gli è posto innanzi, secondo che Cristo disse a'
suoi discepoli. E domandoti ancora, se a nessuno uomo è lecito di porre
dinanzi alcuna cosa contraria alla libertà evangelica". Rispuose
frat'Elia superbamente: "Io so bene questo, ma non ti voglio
rispondere: va' per li fatti tuoi". Disse il giovane: "Io
saprei meglio rispondere a questa quistione che tu". Allora frat'Elia
turbato e con furia chiuse l'uscio e partissi. Poi cominciò a pensare
della detta quistione e dubitarne fra sé medesimo; e non la sapea
solvere. Imperò ch'egli era Vicario dell'Ordine, e avea ordinato e
fatto costituzione, oltr'al Vangelo ed oltr'alla Regola di santo
Francesco, che nessuno frate nell'Ordine mangiasse carne; sicché la
detta quistione era espressamente contra di lui. Di che non sapendo
dichiarare se medesimo, e considerando la modestia del giovane e che gli
avea detto ch'e' saprebbe rispondere a quella quistione meglio di lui,
ritorna alla porta e aprilla per domandare il giovane della predetta
quistione, ma egli s'era già partito; imperò che la superbia di frat'Elia
non era degna di parlare con l'Agnolo. Fatto questo, santo Francesco, al
quale ogni cosa da Dio era stata rivelata, tornò dalla selva, e
fortemente con alte voci riprese frat'Elia, dicendo: "Male fate,
frat'Elia superbo, che cacciate da noi gli Agnoli santi, li quali ci
vengono ammaestrare; io ti dico ch'io temo forte che la tua superbia non
ti faccia finire fuori di quest'Ordine". E così gli addivenne poi,
come santo Francesco gli predisse, però che e' morì fuori dell'Ordine.
Il dì medesimo, in quell'ora che quello Agnolo si partì, si apparì
egli in quella medesima forma a frate Bernardo, il quale tornava da
santo Jacopo ed era alla riva d'un grande fiume; e salutollo in suo
linguaggio dicendo: "Iddio ti dia pace, o buono frate". E
maravigliandosi forte il buono frate Bernardo e considerando la bellezza
del giovane e la loquela della sua patria, colla salutazione pacifica e
colla faccia lieta sì 'l dimandò: "Donde vieni tu, buono
giovane?". Rispuose l'Agnolo: "Io vengo di cotale luogo dove
dimora santo Francesco, e andai per parlare con lui e non ho potuto però
ch'egli era nella selva a contemplare le cose divine, e io non l'ho
voluto storpiare. E in quel luogo dimorano frate Masseo e frate Egidio e
frat'Elia; e frate Masseo m'ha insegnato picchiare la porta a modo di
frate. Ma frat'Elia, però che non mi volle rispondere della quistione
ch'io gli propuosi, poi se ne pentì; e volle udirmi e vedermi, e non
potè". Dopo queste parole disse l'Agnolo a frate Bernardo:
"Perchè non passi tu di là?". Rispuose frate Bernardo:
"Però ch'io temo del pericolo per la profondità dell'acqua ch'io
veggio". Disse l'Agnolo: "Passiamo insieme; non
dubitare". E prese la sua mano, e in uno batter d'occhio il puose
dall'altra parte del fiume. Allora frate Bernardo conobbe ch'egli era l'Agnolo
di Dio, e con grande reverenza e gaudio ad alta voce disse: "O
Agnolo benedetto di Dio, dimmi qual è il nome tuo". Rispuose l'Agnolo:
"Perché domandi tu del nome mio, il quale è maraviglioso?".
E detto questo, l'Agnolo disparve e lasciò frate Bernardo molto
consolato, in tanto che tutto quel cammino e' fece con allegrezza. E
considerò il dì e l'ora che l'Agnolo gli era apparito; e giungendo al
luogo dove era santo Francesco con li predetti compagni, recitò loro
ordinatamente ogni cosa. E conobbono certamente che quel medesimo Agnolo,
in quel dì e in quell'ora, era apparito a loro e a lui. E ringraziarono
Iddio. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO QUINTO
Come il santo frate Bernardo d'Ascesi fu da santo Francesco mandato a
Bologna, e là pres'egli luogo. Imperò che santo Francesco e li suoi
compagni erano da Dio chiamati ed eletti a portare col cuore e con
l'operazioni, e a predicare con la lingua la croce di Cristo, egli
pareano ed erano uomini crocifissi, quanto all'abito e quanto alla vita
austera, e quanto agli atti e operazioni loro; e però disideravano più
di sostenere vergogne e obbrobri per l'amore di Cristo, che onori del
mondo o riverenze o lode vane; anzi delle ingiurie si rallegravano, e
degli onori si contristavano. E così s'andavano per lo mondo come
pellegrini e forestieri, non portando seco altro che Cristo crocifisso;
e però ch'egli erano della vera vite, cioè Cristo, produceano grandi e
buoni frutti delle anime, le quali guadagnavano a Dio. Addivenne, nel
principio della religione, che santo Francesco mandò frate Bernardo a
Bologna, acciò che ivi, secondo la grazia che Iddio gli avea data,
facesse frutto a Dio, e frate Bernardo facendosi il segno della
santissima croce per la santa obbidienza, si partì e pervenne a
Bologna. E vedendolo li fanciulli in abito disusato e vile, sì gli
faceano molti scherni e molte ingiurie, come si farebbe a uno pazzo; e
frate Bernardo pazientemente e allegramente sostenea ogni cosa per amore
di Cristo. Anzi, acciò che meglio e' fusse istraziato, si puose
istudiosamente nella piazza della città; onde sedendo ivi sì gli si
radunarono d'intorno molti fanciulli e uomini, e chi gli tirava il
cappuccio dirietro e chi dinanzi, chi gli gittava polvere e chi pietre,
chi 'l sospingeva di qua e chi di là: e frate Bernardo, sempre d'uno
modo e d'una pazienza, col volto lieto, non si rammaricava e non si
mutava. E per più dì ritornò a quello medesimo luogo, pure per
sostenere simiglianti cose. E però che la pazienza è opera di
perfezione e pruova di virtù, uno savio dottore di legge, vedendo e
considerando tanta costanza e virtù di frate Bernardo non potersi
turbare in tanti dì per niuna molestia o ingiuria, disse fra se
medesimo: "Impossibile è che costui non sia santo uomo". E
appressandosi a lui sì 'l domandò: "Chi sei tu, e perché se'
venuto qua?". E frate Bernardo per risposta si mise la mano in seno
e trasse fuori la regola di santo Francesco, e diegliela che la
leggesse. E letta ch'e' l'ebbe, considerando il suo altissimo stato di
perfezione, con grandissimo stupore e ammirazione si rivolse a' compagni
e disse: "Veramente questo è il più alto stato di religione ch'io
udissi mai; e però costui co' suoi compagni sono de' più santi uomini
di questo mondo, e fa grandissimo peccato chi gli fa ingiuria, il quale
sì si vorrebbe sommamente onorare, conciò sia cosa ch'e' sia amico di
Dio". E disse a frate Bernardo: "Se voi volete prendere luogo
nel quale voi poteste acconciamente servire a Dio, io per salute
dell'anima mia volentieri vel darei". Rispuose frate Bernardo:
"Signore, io credo che questo v'abbia ispirato il nostro Signore
Gesù Cristo, e però la vostra profferta io l'accetto volentieri a
onore di Cristo". Allora il detto giudice con grande allegrezza e
carità menò frate Bernardo a casa sua; e poi gli diede il luogo
promesso, e tutto l'acconciò e compiette alle sue ispese; e d'allora
innanzi diventò padre e speziale difensore di frate Bernardo e de' suoi
compagni. E frate Bernardo, per la sua santa conversazione, cominciò ad
essere molto onorato dalle genti, in tanto che beato si tenea chi 'l
potea toccare o vedere. Ma egli come vero discepolo di Cristo e dello
umile Francesco, temendo che l'onore del mondo non impedisse la pace e
la salute dell'anima sua, sì si partì un dì e tornò a santo
Francesco e dissegli così: "Padre, il luogo è preso nella città
di Bologna; mandavi de' frati che 'l mantegnino e che vi stieno, però
ch'io non vi facevo più guadagno, anzi per lo troppo onore che mi vi
era fatto, io temo non perdessi più ch'io non vi guadagnerei".
Allora santo Francesco udendo ogni cosa per ordine, siccome Iddio avea
adoperato per frate Bernardo, ringraziò Iddio, il quale così
incominciava a dilatare i poverelli discepoli della croce; e allora mandò
de' suoi compagni a Bologna e in Lombardia, li quali presono di molti
luoghi in diverse partì. A laude di Gesù Cristo e del poverello
Francesco. Amen.
CAPITOLO SESTO
Come santo Francesco benedisse il santo frate Bernardo e lasciollo suo
Vicario, quando egli venne a passare di questa vita. Era frate Bernardo
di tanta santità, che santo Francesco gli portava grande reverenza e
spesse volte lo lodava. Essendo un dì santo Francesco e stando
divotamente in orazione, sì gli fu rivelato da Dio che frate Bernardo
per divina permissione doveva sostenere molte e diverse e pugnenti
battaglie dalli demoni; di che santo Francesco, avendo grande
compassione al detto frate Bernardo, il quale amava come suo figliuolo,
molti dì orava con lagrime, pregando Iddio per lui e raccomandandolo a
Gesù Cristo, che gli dovesse dare vittoria del demonio. E orando così
santo Francesco divotamente, Iddio un dì sì gli rispuose:
"Francesco, non temere, però che tutte le tentazioni dalle quali
frate Bernardo deve essere combattuto, gli sono da Dio permesse a
esercizio di virtù e corona di merito, e finalmente di tutti li nimici
averà vittoria, però ch'egli è uno de' commensali del reame del
Cielo". Della quale risposta santo Francesco ebbe grandissima
allegrezza e ringraziò Iddio. E da quell'ora innanzi gli portò sempre
maggiore amore e riverenza. E bene glielo mostrò non solamente in via
sua, ma eziandio nella morte. Imperò che vegnendo santo Francesco a
morte, a modo di quel santo patriarca Jacob, standogli d'intorno li
divoti figliuoli addolorati e lagrimosi della partenza di così amabile
padre, domandò: "Dov'è il mio primogenito? Vieni a me, figliuolo,
acciò che ti benedica l'anima mia, prima ch'io muoia". Allora
frate Bernardo dice a frat'Elia in segreto (il quale era Vicario
dell'Ordine): "Padre, va' dalla mano diritta del santo, acciò che
ti benedica". E ponendosi frate Elia dalla mano diritta, santo
Francesco, il quale avea perduto il vedere per le troppe lagrime, puose
la mano ritta sopra il capo di frat'Elia e disse: "Questo non è il
capo del primogenito frate Bernardo". Allora frate Bernardo andò a
lui dalla mano sinistra, e santo Francesco allora cancellò le braccia a
modo di croce, e poi puose la mano diritta sopra 'l capo di frate
Bernardo, e la manca sopra 'l capo del detto frat'Elia e disse:
"Frate Bernardo, benedicati il Padre del nostro Signore Gesù
Cristo in ogni benedizione spirituale e celestiale in Cristo, siccome tu
se' il primogenito eletto in quest'Ordine santo a dare esempio
evangelico, a seguitare Cristo nella evangelica povertà: imperò che
non solamente tu desti il tuo e distribuisti interamente e liberamente
alli poveri per lo amore di Cristo, ma eziandio te medesimo offeristi a
Dio in quest'Ordine in sacrifizio di soavità. Benedetto sia tu adunque
dal nostro Signore Gesù Cristo e da me poverello servo suo di
benedizioni eterne, andando, stando, vegghiando e dormendo, e vivendo e
morendo; e chi ti benedirà sia ripieno di benedizioni, chi ti
maledicesse non rimarrà senza punizione. Sia il principale de' tuoi
fratelli, e al tuo comandamento tutti li frati obbidiscano, abbi licenza
di ricevere a questo Ordine chiunque tu vorrai, e nessuno frate abbia
signoria sopra di te, e siati licito d'andare e di stare dovunque ti
piace". E dopo la morte di santo Francesco, i frati amavano e
riverivano frate Bernardo come venerabile padre. E vegnendo egli a
morte, vennono a lui molti frati di diverse partì del mondo; fra li
quali venne quello ierarchico e divino frate Egidio, il quale veggendo
frate Bernardo, con grande allegrezza disse: "Sursum corda, frate
Bernardo, sursum corda". E frate Bernardo santo disse a uno frate
segretamente che apparecchiasse a frate Egidio uno luogo atto a
contemplazione, e così fu fatto.- Essendo frate Bernardo nella ultima
ora della morte, si fece rizzare, e parlò a' frati che gli erano
dinanzi, dicendo: "Carissimi fratelli, io non vi vo' dire molte
parole, ma voi dovete considerare che lo stato della Religione ch'io ho
avuto, voi avete, e questo ch'io ho ora, voi averete ancora. E truovo
questo nell'anima mia, che per mille mondi eguali a questo io non vorrei
non avere servito altro signore che nostro Signore Gesù Cristo. E
d'ogni offesa che io ho fatta, m'accuso e rendo in colpa al mio
Salvatore Gesù Cristo e a voi. Priegovi, fratelli miei carissimi, che
voi v'amiate insieme". E dopo queste parole e altri buoni
ammaestramenti riponendosi in sul letto, diventò la faccia sua
isplendida e lieta oltremodo, di che tutti i frati forte si
maravigliarono; e in quella letizia la sua anima santissima, coronata di
gloria, passa della presente vita alla beata degli Agnoli. A laude di
Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO SETTIMO
Come santo Francesco fece una Quaresima in una isola del lago di Perugia,
dove digiunò quaranta dì e quaranta notti e non mangiò più che un
mezzo pane. Il verace servo di Cristo santo Francesco, però che in
certe cose fu quasi un altro Cristo, dato al mondo per salute della
gente, Iddio Padre il volle fare in molti atti conforme e simile al suo
figliuolo Gesù Cristo, siccome ci dimostra nel venerabile collegio de'
dodici compagni e nel mirabile misterio delle sacrate Istimmate e nel
continuato digiuno della santa Quaresima, la qual'egli si fece in questo
modo. Essendo una volta santo Francesco il dì del carnasciale allato al
lago di Perugia, in casa d'un suo divoto col quale era la notte
albergato fu ispirato da Dio ch'egli andasse a fare quella Quaresima in
una isola del lago. Di che santo Francesco pregò questo suo divoto, che
per amor di Cristo lo portasse colla sua navicella in una isola del lago
dove non abitasse persona, e questo facesse la notte del dì della
Cenere, sì che persona non se ne avvedesse. E costui, per l'amore della
grande divozione ch'aveva a santo Francesco, sollecitamente adempiette
il suo priego e portollo alla detta isola; e santo Francesco non portò
seco se non due panetti. Ed essendo giunto nell'isola, e l'amico
partendosi per tornare a casa, santo Francesco il pregò caramente che
non rivelasse a persona come fosse ivi, ed egli non venisse per lui se
non il Giovedì santo. E così si partì colui, e santo Francesco rimase
solo. E non essendovi nessuna abitazione nella quale si potesse riducere,
entrò in una siepe molto folta, la quale molti pruni e arbuscelli
aveano acconcio a modo d'uno covacciolo ovvero d'una capannetta, e in
questo cotale luogo si puose in orazione e a contemplare le cose
celestiali. E ivi stette tutta
la Quaresima
senza mangiare e senza bere, altro che la metà d'un di quelli panetti,
secondo che trovò il suo divoto il Giovedì santo, quando tornò a lui;
il quale trovò di due panetti uno intero e mezzo, e l'altro mezzo si
crede che santo Francesco mangiasse per reverenza del digiuno di Cristo
benedetto, il quale digiunò quaranta dì e quaranta notti senza
pigliare nessuno cibo materiale. E così con quel mezzo pane cacciò da
sé il veleno della vanagloria, e ad esempio di Cristo digiunò quaranta
di e quaranta notti. Poi in quello luogo, ove santo Francesco avea fatta
così maravigliosa astinenza, fece Iddio molti miracoli per li suoi
meriti; per la qual cosa cominciarono gli uomini a edificarvi delle case
e abitarvi; e in poco tempo si fece un castello buono e grande, ed èvvi
il luogo de' frati, che si chiama il luogo dell'Isola; e ancora gli
uomini e le donne di quello castello hanno grande reverenza e devozione
in quello luogo dove santo Francesco fece la detta Quaresima. A laude di
Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO OTTAVO
Come andando per cammino santo Francesco e frate Leone, gli spuose
quelle cose che sono perfetta letizia. Venendo una volta santo Francesco
da Perugia a Santa Maria degli Angioli con frate Lione a tempo di verno,
e 'l freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Lione il
quale andava innanzi, e disse così: "Frate Lione, avvegnadioché
li frati Minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e di
buona edificazione nientedimeno scrivi e nota diligentemente che non è
quivi perfetta letizia". E andando più oltre santo Francesco, il
chiamò la seconda volta: "O frate Lione, benché il frate Minore
allumini li ciechi e distenda gli attratti, iscacci le dimonia, renda
l'udir alli sordi e l'andare alli zoppi, il parlare alli mutoli e, ch'è
maggior cosa, risusciti li morti di quattro dì; iscrivi che non è in
ciò perfetta letizia". E andando un poco, santo Francesco grida
forte: "O frate Lione, se 'l frate Minore sapesse tutte le lingue e
tutte le scienze e tutte le scritture, sì che sapesse profetare e
rivelare, non solamente le cose future, ma eziandio li segreti delle
coscienze e delli uomini; iscrivi che non è in ciò perfetta
letizia". Andando un poco più oltre, santo Francesco chiamava
ancora forte: "O frate Lione, pecorella di Dio, benché il frate
Minore parli con lingua d'Agnolo, e sappia i corsi delle istelle e le
virtù delle erbe, e fussongli rivelati tutti li tesori della terra, e
conoscesse le virtù degli uccelli e de' pesci e di tutti gli animali e
delle pietre e delle acque; iscrivi che non è in ciò perfetta
letizia". E andando ancora un pezzo, santo Francesco chiamò forte:
"O frate Lione, benché 'l frate Minore sapesse sì bene predicare
che convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo; iscrivi che non
è ivi perfetta letizia". E durando questo modo di parlare bene di
due miglia, frate Lione, con grande ammirazione il domandò e disse:
"Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è
perfetta letizia". E santo Francesco sì gli rispuose: "Quando
noi saremo a santa Maria degli Agnoli, così bagnati per la piova e
agghiacciati per lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e
picchieremo la porta dello luogo, e 'l portinaio verrà adirato e dirà:
Chi siete voi? e noi diremo: Noi siamo due de' vostri frati; e colui dirà:
Voi non dite vero, anzi siete due ribaldi ch'andate ingannando il mondo
e rubando le limosine de' poveri; andate via; e non ci aprirà, e
faracci stare di fuori alla neve e all'acqua, col freddo e colla fame
infino alla notte; allora se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e
tanti commiati sosterremo pazientemente sanza turbarcene e sanza
mormorare di lui, e penseremo umilmente che quello portinaio veramente
ci conosca, che Iddio il fa parlare contra a noi; o frate Lione, iscrivi
che qui è perfetta letizia. E se anzi perseverassimo picchiando, ed
egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con
villanie e con gotate dicendo: Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi,
andate allo spedale, ché qui non mangerete voi, né albergherete; se
noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore;
o frate Lione, iscrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi pur
costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e
chiameremo e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto che ci apra
e mettaci pure dentro, e quelli più scandolezzato dirà: Costoro sono
gaglioffi importuni, io li pagherò bene come son degni; e uscirà fuori
con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci
in terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello
bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con
allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo
sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è
perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Lione. Sopra tutte
le grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici
suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo
sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli
altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, però che non sono
nostri, ma di Dio, onde dice l'Apostolo: Che hai tu, che tu non abbi da
Dio? e se tu l'hai avuto da lui perché te ne glorii come se tu l'avessi
da te? Ma nella croce della tribolazione e dell'afflizione ci possiamo
gloriare, però che dice l'Apostolo: Io non mi voglio gloriare se non
nella croce del nostro Signore Gesù Cristo". A laude di Gesù
Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO NONO
Come santo Francesco insegnava rispondere a frate Lione, e non poté mai
dire se non contrario di quello Francesco volea. Essendo santo Francesco
una volta nel principio dell'Ordine con fra Lione in un luogo dove non
aveano libri da dire l'Ufficio divino quando venne l'ora del mattutino sì
disse santo Francesco a frate Lione: "Carissimo, noi non abbiamo
breviario, col quale noi possiamo dire il mattutino, ma acciò che noi
ispendiamo il tempo a laudare Iddio, io dirò e tu mi risponderai com'io
t'insegnerò: e guarda che tu non muti le parole altrimenti ch'io
t'insegnerò. Io dirò così: O frate Francesco, tu facesti tanti mali e
tanti peccati nel secolo, che tu se' degno dello 'nferno; e tu, frate
Lione, risponderai: Vera cosa è che tu meriti lo 'nferno
profondissimo". E frate Lione con semplicità colombina rispuose:
"Volentieri, padre; incomincia al nome di Dio". Allora santo
Francesco cominciò a dire: "O frate Francesco, tu facesti tanti
mali e tanti peccati nel secolo, che tu se' degno dello 'nferno". E
frate Lione risponde: "Iddio farà per te tanti beni, che tu ne
andrai in Paradiso". Disse santo Francesco: "Non dire così,
frate Lione, ma quando io dirò: Frate Francesco, tu che hai fatte tante
cose inique contro Dio, che tu se' degno d'esser maladetto da Dio; e tu
rispondi così: Veramente tu se' degno d'essere messo tra'
maladetti". E frate Lione risponde: "Volentieri padre".
Allora santo Francesco, con molte lagrime e sospiri e picchiare di
petto, dice ad alta voce: "O Signore mio del cielo e della terra,
io ho commesso contro a te tante iniquità e tanti peccati, che al tutto
son degno d'esser da te maledetto". E frate Lione risponde: "O
frate Francesco, Iddio ti farà tale, che tra li benedetti tu sarai
singolarmente benedetto". E santo Francesco maravigliandosi che
frate Lione rispondea per lo contrario di quello che 'mposto gli avea, sì
lo riprese dicendo "Perché non rispondi come io t'insegno? Io ti
comando per santa ubbidienza che tu rispondi come io t'insegnerò. Io
dirò così: O frate Francesco cattivello, pensi tu che Dio arà
misericordia di te? con ciò sia cosa che tu abbi commessi tanti peccati
contra 'l Padre della misericordia e Dio d'ogni consolazione, che tu non
se' degno di trovare misericordia. E tu, frate Lione pecorella,
risponderai: Per nessun modo se' degno di trovare misericordia". Ma
poi quando santo Francesco disse: "O frate Francesco
cattivello" etc.; frate Lione si rispuose: "Iddio Padre, la
cui misericordia è infinita più che il peccato tuo, farà teco grande
misericordia e sopra essa t'aggiugnerà molte grazie". A questa
risposta santo Francesco, dolcemente adirato e pazientemente turbato,
disse a frate Lione: "E perché hai tu avuto presunzione di fare
contr'all'ubbidienza, e già cotante volte hai risposto il contrario di
quello ch'io t'ho imposto?". Risponde frate Lione molto umilmente e
riverentemente: "Iddio il sa, padre mio, ch'ogni volta io m'ho
posto in cuore di rispondere come tu m'hai comandato; ma Iddio mi fa
parlare secondo che gli piace non secondo piace a me". Di che santo
Francesco si maravigliò, e disse a frate Lione: "Io ti priego
carissimamente che tu mi risponda questa volta com'io t'ho detto".
Risponde frate Lione: "Di' al nome di Dio, che per certo io
risponderò questa volta come tu vuogli". E santo Francesco
lagrimando disse: "O frate Francesco cattivello, pensi tu che Iddio
abbia misericordia di te?". Risponde frate Lione: "Anzi grazia
grande riceverai da Dio, ed esalteratti e glorificheratti in eterno,
imperò che chi sé umilia sarà esaltato. E io non posso altro dire,
imperò che Iddio parla per la bocca mia". E così in questa umile
contenzione, con molte lagrime e con molta consolazione ispirituale, si
vegghiarono infino a dì. A laude di Gesù Cristo e del poverello
Francesco. Amen.
CAPITOLO DECIMO
Come frate Masseo quasi proverbiando, disse a santo Francesco che a lui
tutto il mondo andava dirieto; ed egli rispuose che ciò era a
confusione del mondo e grazia di Dio; perch'io sono il più vile del
mondo. Dimorando una volta santo Francesco nel luogo della Porziuncola
con frate Masseo da Marignano, uomo di grande santità, discrezione e
grazia nel parlare di Dio, per la qual cosa santo Francesco molto
l'amava; uno dì tornando santo Francesco dalla selva e dalla orazione,
e sendo allo uscire della selva, il detto frate Masseo volle provare sì
com'egli fusse umile, e fecieglisi incontra, e quasi proverbiando disse:
"Perché a te, perché a te, perché a te?". Santo Francesco
risponde: "Che è quello che tu vuoi dire?". Disse frate
Masseo: "Dico, perché a te tutto il mondo viene dirieto, e ogni
persona pare che desideri di vederti e d'udirti e d'ubbidirti? Tu non
se' bello uomo del corpo, tu non se' di grande scienza, tu non se'
nobile onde dunque a te che tutto il mondo ti venga dietro?".
Udendo questo santo Francesco, tutto rallegrato in ispirito, rizzando la
faccia al cielo, per grande spazio istette colla mente levata in Dio, e
poi ritornando in sé, s'inginocchiò e rendette laude e grazia a Dio, e
poi con grande fervore di spirito si rivolse a frate Masseo e disse:
"Vuoi sapere perché a me? vuoi sapere perché a me? vuoi sapere
perché a me tutto 'l mondo mi venga dietro? Questo io ho da quelli
occhi dello altissimo Iddio, li quali in ogni luogo contemplano i buoni
e li rei: imperciò che quelli occhi santissimi non hanno veduto fra li
peccatori nessuno più vile, né più insufficiente, né più grande
peccatore di me; e però a fare quell'operazione maravigliosa, la quale
egli intende di fare, non ha trovato più vile creatura sopra la terra,
e perciò ha eletto me per confondere la nobilità e la grandigia e la
fortezza e bellezza e sapienza del mondo, acciò che si conosca ch'ogni
virtù e ogni bene è da lui, e non dalla creatura, e nessuna persona si
possa gloriare nel cospetto suo; ma chi si gloria, si glorii nel
Signore, a cui è ogni onore e gloria in eterno". Allora frate
Masseo a così umile risposta, detta con fervore, sì si spaventò e
conobbe certamente che santo Francesco era veramente fondato in umiltà.
A laude di Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO UNDICESIMO
Come santo Francesco fece aggirare intorno intorno più volte frate
Masseo, e poi n'andò a Siena. Andando un dì santo Francesco per
cammino con frate Masseo, il detto frate Masseo andava un po' innanzi, e
giungendo a un trivio di via, per lo quale si potea andare a Firenze, a
Siena e Arezzo, disse frate Masseo: "Padre, per quale via dobbiamo
noi andare?". Risponde santo Francesco: "Per quella che Iddio
vorrà". Disse frate Masseo: "E come potremo noi sapere la
volontà di Dio?". Risponde santo Francesco: "Al segnale ch'io
ti mostrerò, onde io ti comando per lo merito della santa obbidienza,
che in questo trivio nello luogo ove tu tieni i piedi, t'aggiri intorno,
intorno, come fanno i fanciulli, e non ristare di volgerti s'io non tel
dico". Allora frate Masseo incominciò a volgersi in giro, e tanto
si volse, che per la vertigine del capo, la quale si suole generare per
cotale girare, egli cadde più volte in terra; ma non dicendogli santo
Francesco che ristesse ed egli volendo fedelmente ubbidire, si rizzava.
Alla fine, quando si volgeva forte, disse santo Francesco: "Sta'
fermo e non ti muovere". Ed egli stette; e santo Francesco il
domanda: "Inverso che parte tieni la faccia?". Risponde frate
Masseo: "Inverso Siena". Disse santo Francesco: "Quella
è la via per la quale Iddio vuole che noi andiamo". Andando per
quella via, frate Masseo fortemente si maravigliò di quello che santo
Francesco gli avea fatto fare, come fanciulli, dinanzi a' secolari che
passavano; nondimeno per riverenza non ardiva di dire niente al padre
santo. Appressandosi a Siena, il popolo della città udì dello
avvenimento del santo, e fecionglisi incontro e per divozione il
portarono lui e 'l compagno insino al vescovado, che non toccò niente
terra co' piedi. In quell'ora alquanti uomini di Siena combatteano
insieme, e già n'erano morti due di loro; giungendo ivi, santo
Francesco predicò loro sì divotamente e sì santamente, che li ridusse
tutti quanti a pace e grande umiltà e concordia insieme. Per la qual
cosa, udendo il Vescovo di Siena quella santa operazione ch'avea fatta
santo Francesco, lo 'nvitò a casa, e ricevettelo con grandissimo onore
quel dì e anche la notte. E la mattina seguente santo Francesco, vero
umile, il quale nelle sue operazioni non cercava se non la gloria di
Dio, si levò per tempo col suo compagno, e partissi sanza saputa del
Vescovo. Di che il detto frate Masseo andava mormorando tra se medesimo,
per la via, dicendo: "Che è quello ch'ha fatto questo buono uomo?
Me fece aggirare come uno fanciullo, e al vescovo, che gli ha fatto
tanto onore, non ha detto pure una buona parola, né
ringraziatolo.". E parea a frate Masseo che santo Francesco si
fusse portato così indiscretamente. Ma poi per divina ispirazione,
ritornando in se medesimo e riprendendosi, disse fra suo cuore:
"Frate Masseo, tu se' troppo superbo, il quale giudichi l'opere
divine, e se' degno dello 'nferno per la tua indiscreta superbia: imperò
che nel dì di ieri frate Francesco si fece sì tante operazioni, che se
le avesse fatte l'Agnolo di Dio, non sarebbono state più maravigliose.
Onde se ti comandasse che gittassi le pietre, sì lo doveresti fare e
ubbidirlo, che ciò ch'egli ha fatto in questa via è proceduto
dall'operazione divina, siccome si dimostra nel buono fine ch'è
seguito; però che s'e' non avesse rappacificati coloro che combattevano
insieme, non solamente molti corpi, come già aveano cominciato,
sarebbero istati morti di coltello, ma eziandio molte anime il diavolo
arebbe tratte allo 'nferno. E però tu se' stoltissimo e superbo, che
mormori di quello che manifestamente procede dalla volontà di
Dio". E tutte queste cose che dicea frate Masseo nel cuore suo,
andando innanzi, furono da Dio rivelate a santo Francesco. Onde
appressandosi santo Francesco a lui disse così: "A quelle cose che
tu pensi ora t'attieni, però ch'elle sono buone e utili e da Dio
spirate: ma la prima mormorazione che tu facevi era cieca e vana e
superba e futti messa nell'animo dal demonio". Allora frate Masseo
chiaramente s'avvide che santo Francesco sapea li secreti del suo cuore,
e certamente comprese che lo spirito della divina Sapienza dirizzava in
tutti i suoi atti il padre santo. A laude di Gesù Cristo e del
poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO DODICESIMO
Come santo Francesco puose frate Masseo allo ufficio della porta, della
limosina e della cucina; poi a priego degli altri frati ne lo levò.
Santo Francesco, volendo aumiliare frate Masseo, acciò che per molti
doni e grazie che Iddio gli dava non si levasse in vanagloria, ma per
virtù della umiltà crescesse con essi di virtù in virtù, una volta
ch'egli dimorava in luogo solitario con que' primi suoi compagni
veramente santi, de' quali era il detto frate Masseo, disse un dì a
frate Masseo dinanzi a tutti i compagni: "O frate Masseo, tutti
questi tuoi compagni hanno la grazia della contemplazione e della
orazione: ma tu hai la grazia della predicazione della parola di Dio a
soddisfare al popolo. E però io voglio, acciò che costoro possano
intendere alla contemplazione, che tu faccia l'ufficio della porta e
della limosina e della cucina: e quando gli altri frati mangeranno, e tu
mangerai fuori della porta del luogo, sicché a quelli che verranno al
luogo, innanzi che picchino, tu soddisfaccia loro di qualche buone
parole di Dio, sicché non bisogni niuno andare fuori allora altri che
tu. E questo fa per lo merito di santa obbidienza". Allora frate
Masseo si trasse il cappaccio e inchinò il capo, e umilemente ricevette
e perseguitò questa obbedienza per più dì, facendo l'ufficio della
porta, della limosina e della cucina. Di che li compagni, come uomini
alluminati da Dio, cominciarono a sentire ne' cuori loro grande
rimordimento, considerando che frate Masseo era uomo di grande
perfezione com'eglino o più, e a lui era posto tutto il peso del luogo
e non a loro. Per la qual cosa eglino si mossono tutti di uno volere, e
andarono a pregare il padre santo che gli piacesse distribuire fra loro
quelli uffici, imperò che le loro coscienze per nessuno mondo poteano
sostenere che frate Masseo portasse tante fatiche. Udendo cotesto, santo
Francesco sì credette a' loro consigli e acconsenti alle loro volontà.
E chiamato frate Masseo, sì gli disse: "Frate Masseo, li tuoi
compagni vogliono fare parte degli uffici ch'io t'ho dati; e però io
voglio che li detti uffici si dovidano". Dice frate Masseo con
grande umiltà e pazienza: "Padre, ciò che m'imponi, o di tutto o
di parte, io il reputo fatto da Dio tutto". Allora santo Francesco,
vedendo la carità di coloro e la umiltà di frate Masseo, fece loro una
predica maravigliosa e grande della santissima umiltà, ammaestrandoli
che quanto maggiori doni e grazie ci dà Iddio, tanto noi dobbiamo esser
più umili; imperò che sanza l'umiltà nessuna virtù è accettabile a
Dio. E fatta la predica, distribuì gli uffici con grandissima carità.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO TREDICESIMO
Come santo Francesco e frate Masseo il pane che aveano accattato puosono
in su una pietra allato a una fonte, e santo Francesco lodò molto la
povertà. Poi pregò Iddio e santo Pietro e santo Paulo che gli mettesse
in amore la santa povertà, e come gli apparve santo Pietro e santo
Paulo. Il maraviglioso servo e seguitatore di Cristo, cioè messere
santo Francesco, per conformarsi perfettamente a Cristo in ogni cosa, il
quale, secondo che dice il Vangelo, mandò li suoi discepoli a due a due
a tutte quelle città e luoghi dov'elli dovea andare; da poi che ad
esempio di Cristo egli ebbe radunati dodici compagni, sì li mandò per
lo mondo a predicare a due a due. E per dare loro esempio di vera
obbidienza, egli in prima incominciò a fare, che 'nsegnare. Onde avendo
assegnato a' compagni l'altre partì del mondo, egli prendendo frate
Masseo per compagno prese il cammino verso la provincia di Francia. E
pervenendo un dì a una villa assai affamati, andarono, secondo
la Regola
, mendicando del pane per l'amore di Dio; e santo Francesco andò per
una contrada, e frate Masseo per un'altra. Ma imperò che santo
Francesco era uomo troppo disprezzato e piccolo di corpo, e perciò era
riputato un vile poverello da chi non lo conosceva, non accattò se non
parecchi bocconi e pezzuoli di pane secco, ma frate Masseo, imperò che
era uomo grande e bello del corpo, sì gli furono dati buoni pezzi e
grandi e assai e del pane intero. Accattato ch'egli ebbono, si si
raccolsono insieme fuori della villa in uno luogo per mangiare, dov'era
una bella fonte, e allato avea una bella pietra larga, sopra la quale
ciascuno puose tutte le limosme ch'avea accattate. E vedendo santo
Francesco che li pezzi del pane di frate Masseo erano più e più belli
e più grandi che li suoi fece grandissima allegrezza e disse così:
"O frate Masseo, noi non siamo degni di così grande tesoro".
E ripetendo queste parole più volte, rispose frate Masseo: "Padre,
come si può chiamare tesoro, dov'è tanta povertà e mancamento di
quelle cose che bisognano? Qui non è tovaglia, né coltello, né
taglieri, né scodelle, né casa, né mensa, né fante, né fancella".
Disse santo Francesco: "E questo è quello che io riputo grande
tesoro, dove non è cosa veruna apparecchiata per industria umana; ma ciò
che ci è, è apparecchiato dalla provvidenza divina, siccome si vede
manifestamente nel pane accattato, nella mensa della pietra così bella,
e nella fonte così chiara. E però io voglio che 'l tesoro della santa
povertà così nobile il quale ha per servidore Iddio, ci faccia amare
con tutto il cuore". E dette queste parole, e fatta orazione e
presa la refezione corporale di questi pezzi del pane e di quella acqua,
si levarono per camminare in Francia. E giungendo ad una chiesa, disse
santo Francesco al compagno: "Entriamo in questa chiesa ad
orare". E vassene santo Francesco dietro all'altare, e puosesi in
orazione, e in quella orazione ricevette dalla divina visitazione sì
eccessivo fervore, il quale infiammò sì fattamente l'anima sua ad
amore della santa povertà, che tra per lo colore della faccia e per lo
nuovo isbadigliare della bocca parea che gittasse fiamme d'amore. E
venendo così infocato al compagno gli disse: "A, A, A, frate
Masseo, dammi te medesimo". E così disse tre volte, e nella terza
volta santo Francesco levò col fiato frate Masseo in aria, e gittollo
dinanzi a sé per ispazio d'una grande asta di che esso frate Masseo
ebbe grandissimo stupore. Recitò poi alli compagni che in quello levare
e sospignere col fiato il quale gli fece santo Francesco, egli sentì
tanta dolcezza d'animo e consolazione dello Spirito Santo, che mai in
vita sua non ne sentì tanta. E fatto questo disse santo Francesco:
"Compagno mio carissimo, andiamo a santo Pietro e a santo Paulo, e
preghiamoli ch'eglino c'insegnino e aiutino a possedere il tesoro
ismisurato della santissima povertà imperò ch'ella è tesoro sì
degnissimo e sì divino, che noi non siamo degni di possederlo nelli
nostri vasi vilissimi, con ciò sia cosa che questa sia quella virtù
celestiale, per la quale tutte le cose terrene e transitorie si calcano,
e per la quale ogni impaccio si toglie dinanzi all'anima, acciò ch'ella
si possa liberamente congiungere con Dio eterno. Questa è quella virtù
la quale fa l'anima, ancor posta in terra, conversare in cielo con gli
Agnoli. Questa è quella ch'accompagnò Cristo in sulla croce; con
Cristo fu soppellita, con Cristo resuscitò, con Cristo salì in cielo;
la quale eziandio in questa vita concede all'anime, che di lei
innamorano, agevolezza di volare in cielo; con ciò sia cosa ch'ella
guardi l'armi della vera umiltà e carità. E però preghiamo li
santissimi Apostoli di Cristo, li quali furono perfetti amatori di
questa perla evangelica, che ci accattino questa grazia dal nostro
Signore Gesù Cristo, che per la sua santissima misericordia ci conceda
di meritare d'essere veri amatori, osservatori ed umili discepoli della
preziosissima, amatissima ed evangelica povertà". E in questo
parlare giunsono a Roma, ed entrarono nella chiesa di santo Pietro; e
santo Francesco si puose in orazione in uno cantuccio della chiesa, e
frate Masseo nell'altro. E stando lungamente in orazione con molte
lagrime e divozione, apparvono a santo Francesco li santissimi apostoli
Pietro e Paulo con grande splendore, e dissono: "Imperò che tu
addimandi e disideri di osservare quello che Cristo e li santi Apostoli
osservarono, il nostro Signore Gesù Cristo ci manda a te annunziarti
che la tua orazione è esaudita, ed ètti conceduto da Dio a te e a'
tuoi seguaci perfettissimamente il tesoro della santissima povertà. E
ancora da sua parte ti diciamo, che qualunque a tuo esempio seguiterà
perfettamente questo disiderio, egli è sicuro della beatitudine di vita
eterna; e tu e tutti i tuoi seguaci sarete da Dio benedetti". E
dette queste parole disparvono, lasciando santo Francesco pieno di
consolazione. Il quale si levò dalla orazione e ritornò al suo
compagno e domandollo se Iddio gli avea rivelato nulla, ed egli rispuose
che no. Allora santo Francesco sì gli disse come li santi Apostoli gli
erano appariti e quello che gli aveano rivelato. Di che ciascuno pieno
di letizia diterminarono di tornare nella valle di Spulito, lasciando
l'andare in Francia. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.
Amen.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
Come istando santo Francesco con suoi frati a parlare di Dio, Iddio
apparve in mezzo di loro. Essendo santo Francesco in un luogo, nel
cominciamento della religione, raccolto co' suoi compagni a parlare di
Cristo, egli in fervore di spirito comandò a uno di loro che nel nome
di Dio aprisse la sua bocca e parlasse di Dio ciò che lo Spirito Santo
gli spirasse. Adempiendo il frate il comandamento e parlando di Dio
maravigliosamente, sì gl'impose santo Francesco silenzio, e comanda il
simigliante a un altro frate. Ubbidendo colui e parlando di Dio
sottilmente, e santo Francesco simigliantemente sì gli impuose
silenzio; e comandò al terzo che parli di Dio. Il quale
simigliantemente cominciò a parlare sì profondamente delle cose
segrete di Dio, che certamente santo Francesco conobbe ch'egli, siccome
gli altri due, parlava per Ispirito Santo. E questo anche sì si dimostrò
per esempio e per espresso segnale; imperò che istando in questo
parlare, apparve Cristo benedetto nel mezzo di loro in ispezie e 'n
forma di un giovane bellissimo, e benedicendoli tutti li riempi di tanta
grazia e dolcezza, che tutti furono ratti fuori di se medesimi, e
giacevano come morti, non sentendo niente di questo mondo. E poi
tornando in se medesimi, disse loro santo Francesco: "Fratelli miei
carissimi, ringraziate Iddio, il quale ha voluto per le bocche de'
semplici rivelare i tesori della divina sapienza; imperò che Iddio è
colui il quale apre la bocca ai mutoli, e le lingue delli semplici fa
parlare sapientissimamente". A laude di Gesù Cristo e del
poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO QUINDICESIMO
Come santa Chiara mangiò con santo Francesco e co' suoi compagni frati
in Santa Maria degli Agnoli. Santo Francesco, quando stava a Sciesi,
ispesse volte visitava Santa Chiara dandole santi ammaestramenti. Ed
avendo ella grandissimi desideri di mangiare una volta con lui, e di ciò
pregandolo molte volte, egli non le volle mai fare questa consolazione.
Onde vedendo li suoi compagni il desiderio di santa Chiara, dissono a
santo Francesco: "Padre, a noi non pare che questa rigidità sia
secondo la carità divina, che suora Chiara, vergine così santa, a Dio
diletta tu non esaudisca in così piccola cosa, come è mangiare teco e
spezialmente considerando ch'ella per le tue predicazioni abbandonò le
ricchezze e le pompe del mondo. E di vero, s'ella ti domandasse maggiore
grazia che questa non è, sì la doveresti fare alla tua pianta
spirituale". Allora santo Francesco rispuose: "Pare a voi
ch'io la debba esaudire?". Rispondono li compagni: "Padre, si
degna cosa è che tu le faccia questa grazia e consolazione". Disse
allora santo Francesco: "Da poi che pare a voi, pare anche a me. Ma
acciò ch'ella sia più consolata, io voglio che questo mangiare si
faccia in Santa Maria degli Agnoli, imperò ch'ella è stata lungo tempo
rinchiusa in santo Damiano, sicché le gioverà di vedere il luogo di
santa Maria, dov'ella fu tonduta e fatta isposa di Gesù Cristo; ed ivi
mangeremo insieme al nome di Dio". Venendo adunque il dì ordinato
a ciò, santa Chiara escì del monistero con una compagna, accompagnata
di compagni di santo Francesco, e venne a Santa Maria degli Agnoli. E
salutata divotamente
la Vergine Maria
dinanzi al suo altare, dov'ella era stata tonduta e velata, sì la
menorono vedendo il luogo, infino a tanto che fu ora da desinare. E in
questo mezzo santo Francesco fece apparecchiare la mensa in sulla piana
terra, siccome era usato di fare. E fatta l'ora di desinare si pongono a
sedere insieme santo Francesco e santa Chiara, e uno delli compagni di
santo Francesco e la compagna di santa Chiara, e poi tutti gli altri
compagni s'acconciarono alla mensa umilmente. E per la prima vivanda
santo Francesco cominciò a parlare di Dio sì soavemente, sì
altamente, maravigliosamente, che discendendo sopra di loro l'abbondanza
della divina grazia, tutti furono in Dio ratti. E stando così ratti con
gli occhi e con le mani levate in cielo, gli uomini da Sciesi e da
Bettona e que' della contrada dintorno, vedeano che Santa Maria degli
Agnoli e tutto il luogo e la selva ch'era allora allato al luogo,
ardeano fortemente, e parea che fosse un fuoco grande che occupava la
chiesa e 'l luogo e la selva insieme. Per la qual cosa gli Ascesani con
gran fretta corsono laggiù per ispegnere il fuoco, credendo veramente
ch'ogni cosa ardesse. Ma giugnendo al luogo e non trovando ardere nulla,
entrarono dentro e trovarono santo Francesco con santa Chiara con tutta
la loro compagnia ratti in Dio per contemplazione e sedere intorno a
quella mensa umile. Di che essi certamente compresono che, quello era
stato fuoco divino e non materiale, il quale Iddio avea fatto apparire
miracolosamente, a dimostrare e significare il fuoco de divino amore,
del quale ardeano le anime di questi santi frati e sante monache; onde
si partirono con grande consolazione nel cuore loro e con santa
edificazione. Poi, dopo grande spazio tornando in sé santo Francesco e
santa Chiara insieme con li altri, e sentendosi bene confortati del cibo
spirituale, poco si curarono del cibo corporale. E così compiuto quel
benedetto disinare, santa Chiara bene accompagnata si ritornò a Santo
Damiano. Di che le suore veggendola ebbono grande allegrezza; però
ch'elle temeano che santo Francesco non l'avesse mandata a reggere
qualche altro monisterio, siccome egli avea già mandata suora Agnese,
santa sua sirocchia, abbadessa a reggere il monisterio di Monticelli di
Firenze; e santo Francesco alcuna volta avea detto a santa Chiara:
"Apparecchiati, se bisognasse ch'io ti mandassi in alcuno
luogo"; ed ella come figliuola di santa obbidienza avea risposto:
"Padre, io sono sempre apparecchiata ad andare dovunque voi mi
manderete". E però le suore sì si rallegrarono fortemente, quando
la riebbono; e santa Chiara rimase d'allora innanzi molto consolata. A
laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO SEDICESIMO
Come santo Francesco ricevuto il consiglio di santa Chiara e del santo
frate Silvestro, che dovesse predicando convertire molta gente, e' fece
il terzo Ordine e predicò agli uccelli e fece stare quete le rondini.
L'umile servo di Cristo santo Francesco, poco tempo dopo la sua
conversione, avendo già radunati molti compagni e ricevuti all'Ordine,
entrò in grande pensiero e in grande dubitazione di quello che dovesse
fare: ovvero d'intendere solamente ad orare, ovvero alcuna volta a
predicare, e sopra ciò disiderava molto di sapere la volontà di Dio. E
però che la santa umiltà, ch'era in lui, non lo lasciava presumere di
sé né di sue orazioni, pensò di cercarne la divina volontà con le
orazioni altrui. Onde egli chiamò frate Masseo e dissegli così:
"Va' a suora Chiara e dille da mia parte ch'ella con alcune delle
più spirituali compagne divotamente preghino Iddio, che gli piaccia
dimostrarmi qual sia il meglio; ch'io intenda a predicare o solamente
all'orazione. E poi va' a frate Silvestro e digli il simigliante".
Quello era stato nel secolo messere Silvestro, il quale avea veduto una
croce d'oro procedere dalla bocca di santo Francesco, la quale era lunga
insino al cielo e larga insino alla stremità del mondo; ed era questo
frate Silvestro di tanta divozione e di tanta santità, che di ciò che
chiedeva a Dio, e' impetrava ed era esaudito, e spesse volte parlava con
Dio, e però santo Francesco avea in lui grande divozione. Andonne frate
Masseo e, secondo il comandamento di santo Francesco, fece l'ambasciata
prima a santa Chiara e poi a frate Silvestro. Il quale, ricevuta che
l'ebbe, immantenente si gittò in orazione e orando ebbe la divina
risposta, e tornò frate Masseo e disse così: "Questo dice Iddio
che tu dica a frate Francesco: che Iddio non l'ha chiamato in questo
stato solamente per sé, ma acciò che faccia frutto delle anime e molti
per lui sieno salvati". Avuta questa risposta, frate Masseo tornò
a santa Chiara a sapere quello ch'ella avea impetrato da Dio. Ed ella
rispuose ch'ella e l'altre compagne aveano avuta da Dio quella medesima
risposta, la quale avea avuto frate Silvestro. Con questo ritorna frate
Masseo a santo Francesco, e santo Francesco il riceve con grandissima
carità, lavandogli li piedi e apparecchiandogli desinare. E dopo 'l
mangiare, santo Francesco chiamò frate Masseo nella selva e quivi
dinanzi a lui s'inginocchia e trassesi il cappuccio, facendo croce delle
braccia, e domandollo: "Che comanda ch'io faccia il mio Signore Gesù
Cristo?". Risponde frate Masseo: "Sì a frate Silvestro e sì
a suora Chiara colle suore, che Cristo avea risposto e rivelato che la
sua volontà si è che tu vada per lo mondo a predicare, però ch'egli
non t'ha eletto pure per te solo ma eziandio per salute degli
altri". E allora santo Francesco, udito ch'egli ebbe questa
risposta e conosciuta per essa la volontà di Cristo, si levò su con
grandissimo fervore e disse: "Andiamo al nome di Dio". E
prende per compagno frate Masseo e frate Agnolo, uomini santi. E andando
con empito di spirito, sanza considerare via o semita, giunsono a uno
castello che si chiamava Savurniano. E santo Francesco si puose a
predicare, e comandò prima alle rondini che tenessino silenzio infino a
tanto ch'egli avesse predicato. E le rondini l'ubbidirono. Ed ivi predicò
in tanto fervore che tutti gli uomini e le donne di quel castello per
divozione gli volsono andare dietro e abbandonare il castello; ma santo
Francesco non lasciò, dicendo loro: "Non abbiate fretta e non vi
partite, ed io ordinerò quello che vo' dobbiate fare per salute
dell'anime vostre". E allora pensò di fare il terzo ordine per
universale salute di tutti. E così lasciandoli molto consolati bene
disposti a penitenza, si partì quindi e venne tra Cannaio e Bevagno. E
passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti
arbori allato alla via, in su' quali era quasi infinita moltitudine
d'uccelli; di che santo Francesco si maravigliò e disse a' compagni:
"Voi m'aspetterete qui nella via, e io andrò a predicare alle mie
sirocchie uccelli". E entrò nel campo e cominciò a predicare alli
uccelli ch'erano in terra; e subitamente quelli ch'erano in su gli
arbori se ne vennono a lui insieme tutti quanti e stettono fermi, mentre
che santo Francesco compiè di predicare, e poi anche non si partivano
infino a tanto ch'egli diè loro la benedizione sua. E secondo che recitò
poi frate Masseo a frate Jacopo da Massa, andando santo Francesco fra
loro, toccandole colla cappa, nessuna perciò si movea. La sustanza
della predica di santo Francesco fu questa: "Sirocchie mie uccelli,
voi siete molto tenute a Dio vostro creatore, e sempre e in ogni luogo
il dovete laudare, imperò che v'ha dato la libertà di volare in ogni
luogo; anche v'ha dato il vestimento duplicato e triplicato; appresso,
perché elli riserbò il seme di voi in nell'arca di Noè, acciò che la
spezie vostra non venisse meno nel mondo; ancora gli siete tenute per lo
elemento dell'aria che egli ha deputato a voi. Oltre a questo, voi non
seminate e non mietete, e Iddio vi pasce e davvi li fiumi e le fonti per
vostro bere, e davvi li monti e le valli per vostro refugio, e gli
alberi alti per fare li vostri nidi. E con ciò sia cosa che voi non
sappiate filare né cucire, Iddio vi veste, voi e' vostri figliuoli.
Onde molto v'ama il vostro Creatore, poi ch'egli vi dà tanti benefici,
e però guardatevi, sirocchie mie, del peccato della ingratitudine, e
sempre vi studiate di lodare Iddio". Dicendo loro santo Francesco
queste parole, tutti quanti quelli uccelli cominciarono ad aprire i
becchi e distendere i colli e aprire l'alie e riverentemente inchinare
li capi infino in terra, e con atti e con canti dimostrare che 'l padre
santo dava loro grandissimo diletto. E santo Francesco con loro insieme
si rallegrava e dilettava, e maravigliavasi molto di tanta moltitudine
d'uccelli e della loro bellissima varietà e della loro attenzione e
famigliarità; per la qual cosa egli in loro divotamente lodava il
Creatore. Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro
il segno della Croce e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti
quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo
la Croce
ch'avea fatta loro santo Francesco si divisono in quattro partì; e
l'una parte volò inverso l'oriente e l'altra parte verso occidente, e
l'altra parte verso lo meriggio, e la quarta parte verso l'aquilone, e
ciascuna schiera n'andava cantando maravigliosi canti; in questo
significando che come da santo Francesco gonfaloniere della Croce di
Cristo era stato a loro predicato e sopra loro fatto il segno della
Croce, secondo il quale egli si divisono in quattro partì del mondo;
così la predicazione della Croce di Cristo rinnovata per santo
Francesco si dovea per lui e per li suoi frati portare per tutto il
mondo; li quali frati, a modo che gli uccelli, non possedendo nessuna
cosa propria in questo mondo, alla sola provvidenza di Dio commettono la
lor vita. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
Come uno fanciullo fraticino, orando santo Francesco di notte, vide
Cristo e
la Vergine Maria
e molti altri santi parlare con lui. Uno fanciullo molto puro e
innocente fu ricevuto nell'Ordine, vivendo santo Francesco; e stava in
uno luogo piccolo, nel quale i frati per necessità dormivano in
campoletti. Venne santo Francesco una volta al detto luogo; e la sera,
detta Compieta, s'andò a dormire per potersi levare la notte ad orare,
quando gli altri frati dormissono, come egli era usato di fare. Il detto
fanciullo si puose in cuore di spiare sollecitamente le vie di santo
Francesco, per potere conoscere la sua santità e spezialmente di potere
sapere quello che facea la notte quando si levava. E acciò che 'l sonno
non lo ingannasse, sì si puose quello fanciullo a dormire allato a
santo Francesco e legò la corda sua con quella di santo Francesco, per
sentirlo quando egli si levasse e di questo santo Francesco non sentì
niente. Ma la notte in sul primo sonno, quando tutti gli altri frati
dormivano, si levò e trovò la corda sua così legata e sciolsela.
Pianamente, perché il fanciullo non si sentisse, e andossene santo
Francesco solo nella selva ch'era presso al luogo, ed entra in una
celluzza che v'era e puosesi in orazione. E dopo alcuno spazio si desta
il fanciullo e trovando la corda isciolta e santo Francesco levato,
levossi su egli e andò cercando di lui; e trovando aperto l'uscio donde
s'andava nella selva, pensò che santo Francesco fusse ito là, ed entra
nella selva. E giungendo presso al luogo dove santo Francesco orava,
cominciò a udire un grande favellare; e appressandosi più, per vedere
e per intendere quello ch'egli udiva, gli venne veduta una luce mirabile
la quale attorniava santo Francesco, e in essa vide Cristo e
la Vergine Maria
e santo Giovanni Battista e l'Evangelista e grandissima moltitudine d'Agnoli,
li quali parlavano con santo Francesco. Vedendo questo il fanciullo e
udendo, cadde in terra tramortito. Poi, compiuto il misterio di quella
santa apparizione e tornando santo Francesco al luogo, trovò il detto
fanciullo, col piè, giacere nella via come morto, e per compassione si
lo levò e arrecollosi in braccia e portollo come fa il buono pastore
alle sue pecorelle. E poi sapendo da lui com'egli avea veduta la detta
visione, sì gli comandò che non lo dicesse mai a persona, cioè mentre
che egli fosse vivo. Il fanciullo poi, crescendo in grazia di Dio e
divozione di santo Francesco, fu uno valente uomo in nello Ordine, ed
esso dopo la morte di santo Francesco, rivelò alli frati la detta
visione. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
Del maraviglioso Capitolo che tenne santo Francesco a Santa Maria degli
Agnoli dove furono oltre a cinquemila frati. Il fedele servo di Cristo
santo Francesco tenne una volta un Capitolo generale a Santa Maria degli
Agnoli, al quale Capitolo si raunò oltre cinquemila frati; e vennevi
santo Domenico, capo e fondamento dell'Ordine de' frati Predicatori, il
quale allora andava di Borgogna a Roma, e udendo la congregazione del
Capitolo che santo Francesco facea in nel piano di Santa Maria degli
Agnoli, si lo andò a vedere con sette frati dell'Ordine suo. Fu ancora
al detto Capitolo uno Cardinale divotissimo di santo Francesco, al quale
egli avea profetato ch'egli dovea essere Papa, e così fu, il quale
Cardinale era venuto istudiosamente da Perugia, dov'era la corte ad
Ascesi; e ogni dì veniva a vedere santo Francesco e' suoi frati, e
alcuna volta cantava la messa, alcuna volta faceva il sermone a' frati
in Capitolo; e prendea il detto Cardinale grandissimo diletto e
divozione, quando venia a visitare quel santo collegio. E veggendo
sedere in quella pianura intorno a Santa Maria i frati a schiera a
schiera, qui quaranta, ove cento, dove ottanta insieme, tutti occupati
nel ragionare di Dio, in orazioni, in lagrime, in esercizi di carità, e
stavano con tanto silenzio e con tanta modestia, che ivi non si sentia
uno romore, nessuno stropiccìo e maravigliandosi di tanta moltitudine
in uno così ordinata, con lagrime e con grande devozione diceva:
"Veramente questo si è il campo e lo esercito de' cavalieri di
Dio!". Non si udiva in tanta moltitudine niuno parlare favole o
bugie, ma dovunque si raunava ischiera di frati, quelli oravano, o
eglino diceano ufficio, o piagneano i peccati loro o dei loro
benefattori, o l'ragionavano della salute delle anime. Erano in quel
campo tetti di graticci e di stuoie, e distinti per torme, secondo i
frati di diverse Provincie; e però si chiamava quel Capitolo, il
Capitolo di graticci ovvero di stuoie. I letti loro si era la piana
terra e chi avea un poco di paglia; i capezzali si erano o pietre o
legni. Per la qual ragione si era tanta divozione di loro, a chiunque li
udiva o vedeva, e tanto la fama della loro santità, che della corte del
Papa, ch'era allora a Perugia, e delle altre terre della Valle di
Spulito veniano a vedere molti conti, baroni e cavalieri ed altri
gentili uomini e molti popolani e cardinali e vescovi e abati e con
molti altri cherici, per vedere quella così santa e grande
congregazione e umile, la quale il mondo non ebbe mai, di tanti santi
uomini insieme; e principalmente veniano a vedere il capo e padre
santissimo di quella santa gente, il quale avea rubato al mondo così
bella preda e raunato così bello e divoto gregge a seguitare l'orme del
vero pastore Gesù Cristo. Essendo dunque raunato tutto il Capitolo
generale, il santo padre di tutti e generale ministro santo Francesco in
fervore di spirito propone la parola di Dio, e predica loro in alta voce
quello che lo Spirito Santo gli facea parlare; e per tema del sermone
propuose queste parole: "Figliuoli miei, gran cose abbiamo promesse
a Dio, troppo maggiori sono da Dio promesse a noi se osserviamo quelle
che noi abbiamo promesse a lui; e aspettiamo di certo quelle che sono
promesse a noi. Brieve è il diletto del mondo, ma la pena che seguita
ad esso è perpetua. Piccola è la pena di questa vita, ma la gloria
dell'altra vita è infinita". E sopra queste parole predicando
divotissimamente, confortava e induceva tutti i frati a obbidienza e a
riverenza della santa madre Chiesa e alla canta fraternale, e ad orare
per tutto il popolo Iddio, ad avere pazienza nelle avversità del mondo
e temperanza nelle prosperità, e tenere mondizia e castità angelica, e
ad avere concordia e pace con Dio e con gli uomini e con la propria
coscienza, e amore e osservanza della santissima povertà. E quivi disse
egli: "lo comando, per merito della santa obbedienza, che tutti voi
che siete congregati che nessuno di voi abbia cura né sollecitudine di
veruna cosa di mangiare o di bere o di cose necessarie al corpo, ma
solamente intendere a orare e laudare Iddio; e tutta la sollecitudine
del corpo vostro lasciate a lui, imperò ch'egli ha spezialmente cura di
voi". E tutti quanti ricevettono questo comandamento con allegro
cuore e lieta faccia. E compiuto il sermone di santo Francesco, tutti si
gettarono in orazione. Di che santo Domenico, il quale era presente a
tutte queste cose, fortemente si maravigliò del comandamento di santo
Francesco e riputavalo indiscreto, non potendo pensare come tanta
moltitudine si potesse reggere, sanza avere nessuna cura e sollocitudine
e cose necessarie al corpo. Ma 'l principale pastore Cristo benedetto,
volendo mostrare com'egli ha cura delle sue pecore e singulare amore a'
poveri suoi, immantanente ispirò alle genti di Perugia, di di Spulito e
di Foligno, di Spello e d'Ascesi e delle altre terre intorno, che
portassono da mangiare e da bere a quella santa congregazione. Ed eccoti
subitamente venire delle predette terre uomini con somieri, cavalli,
carri, carichi di pane e di vino, di fave, di cacio e d'altre buone cose
da mangiare, secondo ch'a' poveri di Cristo era di bisogno. Oltre a
questo, recavano tovaglie, orciuli, ciotole, bicchieri e altri vasi che
faceano mestieri a tanta moltitudine. E beato si riputava chi più cose
potesse portare, o più sollecitamente servire, in tanto ch'eziandio i
cavalieri e li baroni e altri gentili uomini che veniano a vedere, con
grande umiltà e divozione servirono loro innanzi. Per la qual cosa
santo Domenico, vedendo queste cose e conoscendo veramente che la
provvidenza divina si adoperava in loro, umilmente si riconobbe ch'avea
falsamente giudicato santo Francesco di comandamento indiscreto, e
inginocchiossi andandogli innanzi e umilmente ne disse sua colpa e
aggiunse: "Veramente Iddio ha cura speziale di questi santi
poverelli, e io non lo sapea, e io da ora innanzi prometto d'osservare
la evangelica povertà e santa; e maladico dalla parte di Dio tutti li
frati dell'Ordine mio, li quali nel detto Ordine presumeranno d'avere
proprio". Sicché santo Domenico fu molto edificato della fede del
santissimo Francesco, e della obbidienza e della povertà di così
grande e ordinato collegio, e della provvidenza divina e della copiosa
abbondanza d'ogni bene. In quello medesimo Capitolo fu detto a santo
Francesco che molti frati portavano il cuoretto in sulle carni e cerchi
di ferro, per la qual cosa molti ne infermavano, onde ne morivano, e
molti n'erano impediti dallo orare. Di che santo Francesco, come
discretissimo padre, comandò per la santa obbidienza, che chiunque
avesse o cuoretto o cerchio di ferro, si se lo traesse e ponesselo
dinanzi a lui. E così fecero. E furono annoverati bene cinquecento
cuoretti di ferro e troppo più cerchi tra da braccia e da ventri, in
tanto che feciono un grande monticello e santo Francesco tutti li fece
lasciare ivi. Poi compiuto lo Capitolo, santo Francesco confortandoli
tutti in bene e ammaestrandoli come dovessino iscampare e sanza peccato
di questo mondo malvagio, con la benedizione di Dio e la sua li rimandò
alle loro provincie, tutti consolati di letizia spirituale. A laude di
Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
Come dalla vigna del prete da Rieti in casa di cui orò santo Francesco,
per la molta gente che venia a lui furono tratte e colte l'uve, e poi
miracolosamente fece più vino che mai sì come santo Francesco gli avea
promesso. E come Iddio rivelò a santo Francesco ch'egli arebbe paradiso
alla sua partita. Sendo una volta santo Francesco gravemente infermo
degli occhi messere Ugolino, cardinale protettore dell'Ordine, per
grande tenerezza ch'avea di lui, sì gli iscrisse ch'egli andasse a lui
a Rieti dov'erano ottimi medici d'occhi. Allora santo Francesco ricevuta
la lettera del Cardinale, se ne andò in prima a Santo Damiano, dove era
santa Chiara divotissima isposa di Cristo, per darle alcuna consolazione
e poi andare al Cardinale. Essendo ivi santo Francesco, la notte
seguente peggiorò sì degli occhi ch'e' non vedea punto di lume; di che
non potendosi partire, e santa Chiara gli fece una celluzza di cannucce,
nella quale egli si potesse meglio riposare. Ma santo Francesco tra per
lo dolore della infermità e per la moltitudine de surci che gli faceano
grandissima noia, punto del mondo non si potea posare, né di dì, né
di notte. E sostenendo più dì quella pena e tribulazione, cominciò a
pensare e a conoscere che quello era un flagello di Dio per li suoi
peccati; e incominciò a ringraziare Iddio con tutto il cuore e con la
bocca: e poi gridava ad alte voci e disse: "Signore mio Iddio, io
sono degno di questo e di troppo peggio. Signore mio Gesù Cristo,
pastore buono, il quale a noi peccatori hai posta la tua misericordia in
diverse pene e angoscie corporali, concedi grazia e virtù tu a me tua
pecorella, che per nessuna infermità e angoscia e dolore io mi parta da
te". E fatta questa orazione, gli venne una voce dal cielo che
disse: "Francesco, rispondimi. Se tutta la terra fosse oro, e tutti
li mari e fonti e fiumi fossino balsimo, e tutti li monti, colli e li
sassi fussono pietre preziose, e tu trovassi un altro tesoro più nobile
che queste cose, quanto l'oro è più nobile che la terra, e 'l balsimo
che l'acqua, e le pietre preziose più che i monti o i sassi, e fusseti
dato per questa infermità quello più nobile tesoro, non ne dovresti tu
essere contento e bene allegro?". Risponde santo Francesco:
"Signore, io sono indegno di così prezioso tesoro". E la voce
di Dio dicea a lui: "Rallegrati, Francesco, però che quello è il
tesoro di vita eterna, il quale io ti riserbo e insino a ora io te ne
investisco; e questa infermità e afflizione è arra di quello tesoro
beato". Allora santo Francesco chiamò il compagno con grandissima
allegrezza di così gloriosa promessa, e disse: "Andiamo al
Cardinale". E consolando in prima santa Chiara con sante parole e
da lei umilmente accomiatandosi, prese il cammino verso Rieti. E quando
vi giunse presso, tanta moltitudine di popolo gli si feciono incontro,
che perciò egli non volle entrare nella città ma andossene a una
chiesa ch'era presso la città forse a due miglia. Sappiendo li
cittadini ch'egli era alla detta chiesa, correvano tanto intorno a
vederlo, che la vigna della chiesa tutta si guastava e l'uve erano tutte
colte. Di che il prete forte si dolea nel cuore suo, e pentessi ch'egli
avea ricevuto santo Francesco nella sua chiesa. Essendo da Dio rivelato
a santo Francesco il pensiero del prete, sì lo fece chiamare a sé e
dissegli: "Padre carissimo, quante some di vino ti rende questa
vigna l'anno, quand'ella ti rende meglio?". Rispuose, che dodici
some. Dice santo Francesco: "Io ti priego, padre, che tu sostenga
pazientemente il mio dimorare qui alquanti dì, però ch'io ci truovo
molto riposo, e lascia torre a ogni persona dell'uva di questa tua vigna
per lo amore di Dio e di me poverello; e io ti prometto dalla parte del
mio Signore Gesù Cristo, ch'ella te ne renderà uguanno venti
some". E questo faceva santo Francesco dello stare ivi, per lo
grande frutto delle anime che si vedea fare delle genti che vi veniano,
dei quali molti partivano inebriati del divino amore e abbandonavano il
mondo. Confidossi il prete della promessa di santo Francesco e lasciò
liberamente la vigna a coloro che venivano a lui. Maravigliosa cosa! La
vigna fu al tutto guasta, sicché appena vi rimasono alcuni racimoli
d'uve. Viene il tempo della vendemmia, e 'l prete raccoglie cotali
racimoli e metteli nel tino e pigia, e secondo la promessa di santo
Francesco, ricoglie venti some d'ottimo vino. Nel quale miracolo
manifestamente si diè ad intendere che, come per merito di santo
Francesco la vigna spogliata d'uve era abbondata in vino, così il
popolo cristiano sterile di virtù per lo peccato, per li meriti e
dottrina di santo Francesco spesse volte abbondava di buoni frutti di
penitenza. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO VENTESIMO
D'una molto bella visione che vide uno frate giovane, a quale avea in
tanta abbominazione la cappa, ch'era disposto di lasciare l'abito e
uscire dell'Ordine. Un giovane molto nobile e delicato venne all'Ordine
di santo Francesco; il quale dopo alquanti dì, per istigazione del
demonio, cominciò ad avere in tanta abbominazione l'abito che portava,
che gli parea portare un sacco vilissimo; avea orrore delle maniche e
abbominava il cappuccio, e la lunghezza e la asprezza gli parea una soma
incomportabile. E crescendo pure il dispiacere della religione, egli
finalmente si diliberò di lasciare l'abito e tornare al mondo. Avea
costui già preso per usanza, secondo che gli avea insegnato il suo
maestro, qualunque ora egli passava dinanzi all'altare del convento, nel
quale si conservava il corpo di Cristo, d'inginocchiarsi con gran
riverenza e trarsi il cappuccio e colle braccia cancellate inchinarsi.
Addivenne che la notte, nella quale si dovea partire e uscire
dell'Ordine, convenne ch' e' passasse dinanzi all'altare del convento; e
passandovi secondo l'usanza s'inginocchiò e fece riverenza. E
subitamente fu ratto in ispirito, e fugli mostrata da Dio maravigliosa
visione; imperò che vide dinanzi a sé quasi moltitudine infinita di
santi a modo di processione a due a due, vestiti di bellissimi e
preziosi vestimenti di drappi, e la faccia loro e le mani risplendeano
come il sole, e andavano con canti e con suoni d'agnoli; fra' quali
santi erano due più nobilemente vestiti e adorni che tutti gli altri,
ed erano attorniati di tanta chiarezza, che grandissimo stupore davano a
chi li riguardava; e quasi nel fine della processione, vide uno adornato
di tanta gloria, che parea cavaliere novello, più onorato che gli
altri. Vedendo questo giovane la detta visione, si maravigliava e non
sapea che quella processione si volesse dire, e non era ardito di
domandarne e istava stupefatto per dolcezza. Essendo nientedimento
passata tutta la processione, costui pure prende ardire e corre dritto
agli ultimi e con grande timore li domanda dicendo: "O carissimi,
io vi priego che vi piaccia di dirmi chi sono quelli così maravigliosi,
i quali sono in questa processione così venerabile". Rispondono
costoro: "Sappi, figliuolo, che noi siamo tutti frati Minori, li
quali veniamo ora della gloria di paradiso". E così costui
domanda: "Chi sono quelli due che risplendono più che gli
altri?". Rispondono costoro: "Questi sono santo Francesco e
santo Antonio, e quello ultimo che tu vedesti così onorato, è uno
santo frate che morì nuovamente; il quale però che valentemente
conbattette contro alle tentazioni e perseverò insino alla fine, noi il
meniamo con trionfo alla gloria di paradiso. E questi vestimenti di
drappi così belli che noi portiamo, ci sono dati da Dio in iscambio
delle aspre toniche le quali noi pazientemente portavamo nella
religione, e la gloriosa chiarità che tu vedi in noi, ci è data da Dio
per la umiltà e pazienza e per la santa povertà e obbedienza e castità,
le quali noi servammo insino alla fine. E però, figliuolo, non ti sia
duro portare il sacco della religione così fruttuoso, però che se col
sacco di santo Francesco per lo amore di Cristo tu disprezzerai il mondo
e mortificherai la carne e contro al demonio combatterai valentemente,
tu avrai insieme con noi simile vestimento e chiarità di gloria".
E dette queste parole, il giovane tornò in se medesimo, e confortato
della visione, cacciò da sé ogni tentazione. Riconobbe la colpa sua
dinanzi al guardiano e alli frati; e da indi innanzi desiderò
l'asprezza della penitenza e de' vestimenti, e finì la vita sua
nell'Ordine in grande santità. A laude di Gesù Cristo e del poverello
Francesco. Amen.
CAPITOLO VENTUNESIMO
Del santissimo miracolo che fece santo Francesco, quando convertì il
ferocissirno lupo d'Agobbio. Al tempo che santo Francesco dimorava nella
città di Agobbio nel contado di Agobbio appari un lupo grandissimo,
terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali ma
eziandio gli uomini, in tanto che tutti i cittadini stavano in gran
paura, però che spesse volte s'appressava alla città, e tutti andavano
armati quando uscivano della città, come s'eglino andassono a
combattere; e con tutto ciò non si poteano difendere da lui, chi in lui
si scontrava solo. E per paura di questo lupo e' vennono a tanto, che
nessuno era ardito d'uscire fuori della terra. Per la qual cosa avendo
compassione santo Francesco agli uomini della terra, sì volle uscire
fuori a questo lupo, bene che li cittadini al tutto non gliel
consigliavano; e facendosi il segno della santissima croce, uscì fuori
della terra egli co' suoi compagni, tutta la sua confidanza ponendo in
Dio. E dubitando gli altri di andare più oltre, santo Francesco prese
il cammino inverso il luogo dove era il lupo. Ed ecco che, vedendo molti
cittadini li quali erano venuti a vedere cotesto miracolo, il detto lupo
si fa incontro a santo Francesco, con la bocca aperta; ed appressandosi
a lui, santo Francesco gli fa il segno della croce, e chiamollo a sé e
disse così: "Vieni qui, frate lupo, io ti comando dalla parte di
Cristo che tu non facci male né a me né a persona". Mirabile cosa
a dire! Immantanente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo
terribile chiuse la bocca e ristette di correre: e fatto il
comandamento, venne mansuetamente come agnello, e gittossi alli piedi di
santo Francesco a giacere. E santo Francesco gli parlò così:
"Frate lupo, tu fai molti danni in queste partì, e hai fatti
grandi malifici, guastando e uccidendo le creature di Dio sanza sua
licenza; e non solamente hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto
ardire d'uccidere uomini fatti alla immagine di Dio; per la qual cosa tu
se' degno delle forche come ladro e omicida pessimo, e ogni gente grida
e mormora di te, e tutta questa terra t'è nemica. Ma io voglio, frate
lupo, far la pace fra te e costoro, sicché tu non gli offenda più, ed
eglino ti perdonino ogni passata offesa, e né li omini né li canti ti
perseguitino più". E dette queste parole, il lupo con atti di
corpo e di coda e di orecchi e con inchinare il capo mostrava
d'accettare ciò che santo Francesco dicea e di volerlo osservare.
Allora santo Francesco disse: "Frate lupo, poiché ti piace di fare
e di tenere questa pace, io ti prometto ch'io ti farò dare le spese
continuamente, mentre tu viverai, dagli uomini di questa terra, sicché
tu non patirai più fame; imperò che io so bene che per la fame tu hai
fatto ogni male. Ma poich'io t'accatto questa grazia, io voglio, frate
lupo, che tu mi imprometta che tu non nocerai a nessuna persona umana né
ad animale, promettimi tu questo?". E il lupo, con inchinate di
capo, fece evidente segnale che 'l prometteva. E santo Francesco sì
dice: "Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa
promessa, acciò ch'io me ne possa bene fidare". E distendendo la
mano santo Francesco per ricevere la sua fede, il lupo levò su il piè
ritto dinanzi, e dimesticamente lo puose sopra la mano di santo
Francesco, dandogli quello segnale ch'egli potea di fede. E allora disse
santo Francesco: "Frate lupo, io ti comando nel nome di Gesù
Cristo, che tu venga ora meco sanza dubitare di nulla, e andiamo a
fermare questa pace al nome di Dio". E il lupo ubbidiente se ne va
con lui a modo d'uno agnello mansueto, di che li cittadini, vedendo
questo, fortemente si maravigliavano. E subitamente questa novità si
seppe per tutta la città, di che ogni gente maschi e femmine, grandi e
piccoli, giovani e vecchi, traggono alla piazza a vedere il lupo con
santo Francesco. Ed essendo ivi bene raunato tutto 'l popolo, levasi su
santo Francesco e predica loro dicendo, tra l'altre cose, come per li
peccati Iddio permette cotali cose e pestilenze, e troppo è più
pericolosa la fiamma dello inferno la quale ci ha a durare eternalemente
alli dannati, che non è la rabbia dello lupo, il quale non può
uccidere se non il corpo: "quanto è dunque da temere la bocca
dello inferno, quando tanta moltitudine tiene in paura e in tremore la
bocca d'un piccolo animale. Tornate dunque, carissimi, a Dio e fate
degna penitenza de' vostri peccati, e Iddio vi libererà del lupo nel
presente e nel futuro dal fuoco infernale". E fatta la predica,
disse santo Francesco: "Udite, fratelli miei: frate lupo, che è
qui dinanzi da voi, sì m'ha promesso, e fattomene fede, di far pace con
voi e di non offendervi mai in cosa nessuna, e voi gli promettete di
dargli ogni dì le cose necessarie; ed io v'entro mallevadore per lui
che 'l patto della pace egli osserverà fermamente". Allora tutto
il popolo a una voce promise di nutricarlo continuamente. E santo
Francesco, dinanzi a tutti, disse al lupo: "E tu, frate lupo,
prometti d'osservare a costoro il patto della pace, che tu non offenda né
gli uomini, né gli animali né nessuna creatura?". E il lupo
inginocchiasi e inchina il capo e con atti mansueti di corpo e di coda e
d'orecchi dimostrava, quanto è possibile, di volere servare loro ogni
patto. Dice santo Francesco: "Frate lupo, io voglio che come tu mi
desti fede di questa promessa fuori della porta, così dinanzi a tutto
il popolo mi dia fede della tua promessa, che tu non mi ingannerai della
mia promessa e malleveria ch'io ho fatta per te". Allora il lupo
levando il piè ritto, sì 'l puose in mano di santo Francesco. Onde tra
questo atto e gli altri detti di sopra fu tanta allegrezza e ammirazione
in tutto il popolo, sì per la divozione del Santo e sì per la novità
del miracolo e sì per la pace del lupo, che tutti incominciarono a
gridare al cielo, laudando e benedicendo Iddio, il quale si avea loro
mandato santo Francesco, che per li suoi meriti gli avea liberati dalla
bocca della crudele bestia. E poi il detto lupo vivette due anni in
Agobbio, ed entravasi dimesticamente per le case a uscio a uscio, sanza
fare male a persona e sanza esserne fatto a lui; e fu nutricato
cortesemente dalla gente, e andandosi così per la terra e per le case,
giammai nessuno cane gli abbaiava drieto. Finalmente dopo due anni frate
lupo sì si morì di vecchiaia, di che li cittadini molto si dolsono,
imperò che veggendolo andare così mansueto per la città, si
raccordavano meglio della virtù e santità di santo Francesco. A laude
di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO VENTIDUESIMO
Come santo Francesco dimesticò le tortole salvatiche. Un giovane aveva
preso un dì molte tortole, e portavale a vendere. Iscontrandosi in lui
santo Francesco, il quale sempre avea singolare pietà agli animali
mansueti, riguardando quelle tortole con l'occhio pietoso, disse al
giovane: "O buono giovane, io ti priego che tu me le dia, e che
uccelli così innocenti le quali nella Scrittura sono assomigliate
all'anime caste e umili e fedeli, non vengano alle mani de' crudeli che
gli uccidano". Di subito colui, ispirato da Dio, tutte le diede a
santo Francesco: ed egli ricevendole in grembo, cominciò a parlare loro
dolcemente: "O sirocchie mie, tortole semplici, innocenti, caste,
perché vi lasciate voi pigliare? Or ecco io vi voglio scampare da morte
e farvi i nidi, acciò che voi facciate frutto e multiplichiate secondo
i comandamenti del nostro Creatore". E va santo Francesco e a tutte
fece nido. Ed ellenò, usandosi cominciarono a fare uova e figliare
dinanzi alli frati, e così dimesticamente si stavano e usavano con
santo Francesco e con gli altri frati, come se fussono state galline
sempre nutricate da loro. E mai non si partirono, insino che santo
Francesco con la sua benedizione diede loro licenza di partirsi. E al
giovane, che gliele aveva date, disse santo Francesco: "Figliuolo,
tu sarai ancora frate in questo Ordine e servirai graziosamente a Gesù
Cristo". E così fu, imperò che 'l detto giovane si fece frate e
vivette nel detto Ordine con grande santità. A laude di Gesù Cristo e
del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO VENTITREESIMO
Come santo Francesco liberò un frate ch'era in peccato col demonio.
Stando santo Francesco una volta in orazione nel luogo della Porziuncola,
vide per divina revelazione tutto il luogo attorniato e assediato dalli
demoni a modo che di grande esercito; ma nessuno loro potea entrare
dentro nel luogo, imperò che questi frati erano di tanta santità, che
li demonii non aveano a cui entrare dentro. Ma perseverando così, un di
uno di que' frati si scandalezzò con un altro e pensava nel cuor suo
come lo potesse accusare e vendicarsi di lui. Per la qual cosa, istando
costui in questo mal pensiero, il demonio, avendo l'entrata aperta entrò
nel luogo, e ponsi in sul collo di quello frate. Veggendo ciò io
pietoso e sollecito pastore, lo quale vegghiava sempre sopra le sue
greggie, che il lupo si era entrato a divorare la pecorella sua, fece
subitamente chiamare a sé quel frate, e comandògli che di presente e'
dovesse iscoprire lo veleno dell'odio conceputo contro al prossimo, per
lo quale egli era nelle mani del nimico. Di che colui impaurito, che si
vedea compreso dal padre santo, si scoperse ogni veleno e rancore e
riconobbe la colpa sua, e domandonne umilmente la penitenza con
misericordia. E fatto ciò, assoluto che fu dal peccato e ricevuto la
penitenza, subito dinanzi a santo Francesco il demonio si partì, e 'l
frate così liberato delle mani della bestia crudele, per la bontà del
buono pastore, sì ringraziò Iddio, e ritornando corretto e ammaestrato
alla gregge del santo pastore, esso vivette poi in grande santità. A
laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO
Come santo Francesco convertì alla fede il Soldano di Babilonia e la
meretrice che lo richiese di peccato. Santo Francesco istigato dallo
zelo della fede di Cristo e dal desiderio del martirio, andò una volta
oltremare con dodici suoi compagni santissimi, ritti per andare al
Soldano di Babilonia. E giugnendo in alcuna contrada di Saracini, ove si
guardavano i passi da certi sì crudeli uomini, che nessuno de'
cristiani, che vi passasse, potea iscampare che non fosse morto: e come
piacque a Dio non furono morti, ma presi, battuti e legati furono e
menati dinanzi al Soldano. Ed essendo dinanzi a lui santo Francesco,
ammaestrato dallo Spirito Santo predicò sì divinamente della fede di
Cristo, che eziandio per essa fede egli voleano entrare nel fuoco. Di
che il Soldano cominciò avere grandissima divozione in lui, sì per la
costanza della fede sua, sì per lo dispregio del mondo che vedea in
lui, imperò che nessuno dono volea da lui ricevere, essendo
poverissimo, e sì eziandio per lo fervore del martirio, il quale in lui
vedeva. Da quel punto innanzi il Soldano l'udiva volentieri, e pregollo
che spesse volte tornasse a lui, concedendo liberamente a lui e a'
compagni ch'eglino potessono predicare dovunque e' piacesse a loro. E
diede loro un segnale, per lo quale egli non potessono essere offesi da
persona. Avuta adunque questa licenza così libera, santo Francesco mandò
quelli suoi eletti compagni a due a due in diverse partì di Saracini a
predicare la fede di Cristo; ed egli con uno di loro elesse una
contrada, alla quale giugnendo entrò in uno albergo per posarsi. Ed ivi
si era una femmina bellissima del corpo ma sozza dell'anima, la quale
femmina maldetta richiese santo Francesco di peccato. E dicendole santo
Francesco: "Io accetto, andiamo a letto"; ed ella lo menava in
camera. E disse santo Francesco: "Vieni con meco, io ti menerò a
uno letto bellissimo". E menolla a uno grandissimo fuoco che si
facea in quella casa; e in fervore di spirito si spoglia ignudo, e
gittasi allato a questo fuoco in su lo spazzo affocato, e invita costei
che ella si spogli e vada a giacersi con lui in quello letto
ispiumacciato e bello. E istandosi così santo Francesco per grande
ispazio con allegro viso, e non ardendo né punto abbronzando, quella
femmina per tale miracolo ispaventata e compunta nel cuor suo, non
solamente sì si penté del peccato e della mala intenzione, ma eziandio
si convertì perfettamente alla fede di Cristo, e diventò di tanta
santità, che per lei molte anime si salvarono in quelle contrade. Alla
perfine, veggendosi santo Francesco non potere fare più frutto in
quelle contrade, per divina revelazione sì dispuose con tutti li suoi
compagni di ritornare tra i fedeli; e raunatili tutti insieme, ritornò
al Soldano e prendette commiato da lui. E allora gli disse il Soldano:
"Frate Francesco, io volentieri mi convertirei alla fede di Cristo,
ma io temo di farlo ora: imperò che, se costoro il sentissino, eglino
ucciderebbono te e me con tutti li tuoi compagni, e conciò sia cosa che
tu possa ancora fare molto bene, e io abbia a spacciare certe cose di
molto grande peso, non voglio ora inducere la morte tua e la mia; ma
insegnami com'io mi possa salvare: io sono apparecchiato a fare ciò che
tu m'imponi". Disse allora santo Francesco: "Signore, io mi
parto ora da voi, ma poi ch'io sarò tornato in mio paese e ito in
cielo, per la grazia di Dio, dopo la morte mia, secondo che piacerà a
Dio, ti manderò due de' miei frati da' quali tu riceverai il santo
battesimo di Cristo, e sarai salvo, siccome m'ha rivelato il mio Signore
Gesù Cristo. E tu in questo mezzo ti sciogli d'ogni impaccio, acciò
che quando verrà a te la grazia di Dio, ti muovi apparecchiato a fede e
divozione". E così promise di fare e fece. Fatto questo, santo
Francesco torna con quello venerabile collegio de' suoi compagni santi;
e dopo alquanti anni santo Francesco per morte corporale rendé l'anima
a Dio. E 'l Soldano infermando si aspetta la promessa di santo
Francesco, e fa istare guardie a certi passi, e comanda che se due frati
v'apparissono in abito di santo Francesco, di subito fussino menati a
lui. In quel tempo apparve santo Francesco a due frati e comandò loro
che sanza indugio andassono al Soldano e procurino la sua salute,
secondo che gli avea promesso. Li quali frati subito si mossono, e
passando il mare, dalle dette guardie furono menati al Soldano. E,
veggendoli, il Soldano ebbe grandissima allegrezza e disse: "Ora so
io veramente che Iddio ha mandato a me li servi suoi per la mia salute,
secondo la promessa che mi fece santo Francesco per revelazione
divina". Ricevendo adunque informazione della fede di Cristo e 'l
santo battesimo dalli detti frati, così ringenerato in Cristo sì morì
in quella infermità e fu salva l'anima sua per meriti e per orazioni di
santo Francesco. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.
Amen.
CAPITOLO VENTICINQUESIMO
Come santo Francesco miracolosamente sanò il lebbroso dell'anima e del
corpo, e quel che l'anima gli disse andando in cielo. Il vero discepolo
di Cristo messer santo Francesco, vivendo in questa miserabile vita, con
tutto il suo isforzo s'ingegnava di seguitare Cristo perfetto maestro:
onde addivenia ispesse volte per divina operazione, che a cui egli
sanava il corpo, Iddio gli sanava l'anima a una medesima ora, siccome si
legge di Cristo. E però ch'egli non solamente servia alli lebbrosi
volentieri, ma oltre a questo avea ordinato che li frati del suo Ordine,
andando o stando per lo mondo, servissono alli lebbrosi per lo amore di
Cristo, il quale volle per noi essere riputato lebbroso; addivenne una
volta, in uno luogo presso a quello dove dimorava allora santo
Francesco, li frati servivano in uno ispedale a' lebbrosi infermi: nel
quale era uno lebbroso sì impaziente e sì incomportabile e protervo,
ch'ogni uno credeva di certo e così era, che fusse invasato del dimonio,
imperò ch'egli isvillaneggiava di parole e di battiture sì
sconciamente chiunque lo serviva, e, ch'è peggio, ch'egli
vituperosamente bestemmiava Cristo benedetto e la sua santissima madre
Vergine Maria, che per nessuno modo si trovava chi lo potesse o volesse
servire. E avvegna che le ingiurie e villanie proprie i frati
studiassono di portare pazientemente per accrescere il merito della
pazienza; nientedimeno quelle di Cristo e della sua Madre non potendo
sostenere le coscienze loro, al tutto diterminarono d'abbandonare il
detto lebbroso: ma non lo vollono fare insino a tanto ch'eglino il
significarono ordinatamente a santo Francesco, il quale dimorava allora
in uno luogo quivi presso. E significato che gliel'ebbono, e santo
Francesco se ne viene a questo lebbroso perverso; e giugnendo a lui, sì
lo saluta dicendo: "Iddio ti dia pace, fratello mio
carissimo". Risponde il lebbroso: "Che pace posso io avere da
Dio, che m'ha tolto pace e ogni bene, e hammi fatto tutto fracido e
putente?". E santo Francesco disse: "Figliuolo, abbi pazienza,
imperò che le infermità de' corpi ci sono date da Dio in questo mondo
per salute dell'anima, però ch'elle sono di grande merito, quand'elle
sono portate pazientemente". Risponde lo infermo: "E come
poss'io portare pazientemente la pena continova che m'affligge il di e
la notte? E non solamente io sono afflitto dalla infermità mia, ma
peggio mi fanno i frati che tu mi desti perché mi servissono, e non mi
servono come debbono". Allora santo Francesco, conoscendo per
rivelazione che questo lebbroso era posseduto da maligno spirito, andò
e posesi in orazione e pregò Iddio divotamente per lui. E fatta
l'orazione, ritorna a lui e dice così: "Figliuolo, io ti voglio
servire io, da poi che tu non ti contenti degli altri". "Piacemi,
dice lo 'nfermo: ma che mi potrai tu fare più che gli altri?"
Risponde santo Francesco: "Ciò che tu vorrai, io farò". Dice
il lebbroso: "Io voglio che tu mi lavi tutto quanto, imperò ch'io
puto si fortemente' ch'io medesimo non mi posso patire". Allora
santo Francesco di subito fece iscaldare dell'acqua con molte erbe
odorifere, poi sì spoglia costui e comincia a lavarlo colle sue mani, e
un altro frate metteva su l'acqua. E per divino miracolo, dove santo
Francesco toccava con le sue mani, si partiva la lebbra e rimaneva la
carne perfettamente sanata. E come s'incominciò la carne a sanicare,
così s'incominciò a sanicare l'anima: onde veggendosi il lebbroso
cominciare a guarire, cominciò ad avere grande compunzione e pentimento
de' suoi peccati, e cominciò a piagnere amarissimamente; sicché mentre
che 'l corpo si mondava di fuori della lebbra per lo lavamento
dell'acqua, l'anima si mondava dentro del peccato per contrizione e per
le lagrime. Ed essendo compiutamente sanato quanto al corpo e quanto
all'anima, umilmente si rendette in colpa e dicea piagnendo ad alta
voce: "Guai a me, ch'io sono degno dello inferno per le villanie e
ingiurie ch'io ho fatte e dette a' frati, e per la impazienza e
bestemmie ch'io ho avute contro a Dio". Onde per quindici dì
perseverò in amaro pianto de' suoi peccati e in chiedere misericordia a
Dio, confessandosi al prete interamente. E santo Francesco veggendo così
espresso miracolo, il quale Iddio avea adoperato per le sue mani,
ringraziò Iddio e partissi indi, andando in paesi assai di lunge; imperò
che per umiltà volea fuggire ogni gloria e in tutte le sue operazioni
solo cercava l'onore e la gloria di Dio e non la propria. Poi com'a Dio
piacque, il detto lebbroso sanato del corpo e dell'anima, dopo quindici
dì della sua penitenza, infermò d'altra infermità: e armato delli
Sacramenti ecclesiastici sì si morì santamente. E la sua anima,
andando in paradiso, apparve in aria a santo Francesco che si stava in
una selva in orazione, e dissegli: "Riconoscimi tu?".
"Qual se' tu?", disse santo Francesco. "Io sono il
lebbroso il quale Cristo benedetto sanò per li tuoi meriti, e oggi me
ne vo a vita eterna; di che io rendo grazie a Dio e a te. Benedetta sia
l'anima e 'l corpo tuo, e benedette le tue sante parole e operazioni,
imperò che per te molte anime si salveranno nel mondo. E sappi che non
è dì nel mondo, nel quale li santi Agnoli e gli altri santi non
ringrazino Iddio de' santi frutti che tu e l'Ordine tuo fate in diverse
partì del mondo; e però confortati e ringrazia Iddio, e sta' con la
sua benedizione". E dette queste parole, se n'andò in cielo; e
santo Francesco rimase molto consolato. A laude di Gesù Cristo e del
poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO VENTISEIESIMO
Come santo Francesco convertì tre ladroni micidiali e fecionsi frati; e
della nobilissima visione che vide l'uno di loro, il quale fu santissimo
frate. Santo Francesco andò una volta per lo diserto del Borgo a Santo
Sipolcro e passando per uno castello che si chiama Monte Casale, venne a
lui un giovane nobile e delicato e dissegli: "Padre, io vorrei
molto volentieri essere de' vostri frati". Risponde santo
Francesco: "Figliuolo tu se' giovane e delicato e nobile; forse tu
non potresti sostenere la povertà e l'asprezza nostra". Ed egli
disse: "Padre, non siete voi uomini com'io? Dunque come la
sostenete voi, così potrò io con la grazia di Cristo". Piacque
molto a santo Francesco quella risposta; di che benedicendolo,
immantanente lo ricevette all'Ordine e puosegli nome frate Agnolo. E
portossi questo giovane così graziosamente, che ivi a poco tempo santo
Francesco il fece guardiano nel luogo detto di Monte Casale. In quello
tempo usavano nella contrada tre nominati ladroni, li quali faceano
molti mali nella contrada, li quali vennono un dì al detto luogo de'
frati e pregavano il detto frate Agnolo guardiano che desse loro da
mangiare. E 'l guardiano rispuose loro in questo modo, riprendendoli
aspramente: "Voi, ladroni e crudeli e omicidi, non vi vergognate di
rubare le fatiche altrui; ma eziandio, come presuntuosi e isfacciati,
volete divorare le limosine che sono mandate alli servi di Dio, che non
siete pure degni che la terra vi sostenga, però che voi non avete
nessuna reverenza né a uomini né a Dio che vi creò: andate adunque
per li fatti vostri, e qui non apparite più". Di che coloro
turbati, partirono con grande sdegno. Ed ecco santo Francesco tornare di
fuori con la tasca del pane e con un vaselletto di vino ch'egli e 'l
compagno aveano accattato, e recitandogli il guardiano com'egli avea
cacciato coloro, santo Francesco fortemente lo riprese, dicendo che
s'era portato crudelmente, "impero ch'elli meglio si riducono a Dio
con dolcezza che con crudeli riprensioni; onde il nostro maestro Gesù
Cristo, il cui evangelo noi abbiamo promesso d'osservare, dice che non
è bisogno a' sani il medico ma agli infermi, e che non era venuto a
chiamare li giusti ma li peccatori a penitenze, e però ispesse volte
egli mangiava con loro. Conciò sia cosa adunque che tu abbi fatto
contra alla carità e contro al santo evangelo di Cristo, io ti comando
per santa obbedienza, che immantanente tu sì prenda questa tasca del
pane ch'io ho accattato e questo vasello del vino, e va' loro dietro
sollecitamente per monti e per valli tanto che tu li truovi, e presenta
loro tutto questo pane e questo vino per mia parte; e poi t'inginocchia
loro dinanzi e di' loro umilmente tua colpa della crudeltà tua, e poi
li priega da mia parte che non facciano più male, ma temano Iddio e non
offendano il prossimo; e s'egli faranno questo, io prometto di
provvederli nelli loro bisogni e di dare loro continuamente e da
mangiare e da bere. E quando tu arai detto loro questo, ritornati in qua
umilmente." Mentre che il detto guardiano andò a fare il
comandamento di santo Francesco, ed egli si puose in orazione e pregava
Iddio ch'ammorbidasse i cuori di quelli ladroni e convertisseli a
penitenza. Giugne loro l'ubbidiente guardiano ed appresenta loro il pane
e 'l vino, e fa e dice ciò che santo Francesco gli ha imposto. E, come
piacque a Dio, mangiando que' ladroni la limosina di santo Francesco,
cominciarono a dire insieme: "Guai a noi miseri isventurati! E come
dure pene dello inferno ci aspettiamo, i quali andiamo non solamente
rubando li prossimi e battendo e ferendo, ma eziandio uccidendo; e
nientedimeno di tanti mali e così scellerate cose, come noi facciamo,
noi non abbiamo nessuno rimordimento di coscienza né timore di Dio. Ed
ecco questo frate santo, ch'è venuto a noi per parecchie parole che ci
disse giustamente per la nostra malizia, ci ha detto umilemente sua
colpa e oltre a ciò ci ha recato il pane e lo vino e così liberale
promessa del santo padre. Veramente questi si sono frati santi di Dio li
quali meritano paradiso di Dio, e noi siamo figliuoli della eternale
perdizione, li quali meritiamo le pene dello inferno, e ogni indì
accresciamo alla nostra perdizione, e non sappiamo se de' peccati che
abbiamo fatti insino qui noi potremo tornare alla misericordia di
Dio". Queste e somiglianti parole dicendo l'uno di loro, dissono
gli altri due: "Per certo tu di' il vero; ma ecco che dobbiamo noi
fare?". "Andiamo, disse costui, a santo Francesco, e s'egli ci
dà speranza che noi possiamo tornare a misericordia di Dio de' nostri
peccati, facciamo ciò ch'e' ci comanda, e possiamo liberare le nostre
anime dalle pene dello inferno." Piacque questo consiglio agli
altri; e così tutti e tre accordati se ne vengono in fretta a santo
Francesco e dicongli: "Padre, noi per molti iscellerati peccati che
noi abbiamo fatti, noi non crediamo potere tornare alla misericordia di
Dio; ma se tu hai nessuna isperanza che Iddio ci riceva a misericordia,
ecco che noi siamo apparecchiati a fare ciò che tu ci dirai e di fare
penitenza teco". Allora santo Francesco ricevendoli caritativamente
e con benignità, sì li confortò con molti esempi e, rendendoli certi
della misericordia di Dio, promise loro di certo d'accattarla loro da
Dio e mostrando loro la misericordia di Dio essere infinita: "e se
noi avessimo infiniti peccati, ancora la misericordia divina è maggiore
ch'e' nostri peccati, secondo il Vangelo, e lo apostolo santo Paulo
disse: Cristo benedetto venne in questo mondo per ricomperare li
peccatori. Per quali parole e simiglianti ammaestramenti, li detti tre
ladroni renunziarono al dimonio e alle sue opere, e santo Francesco li
ricevette all'Ordine, e cominciarono a fare grande penitenza; e due di
loro poco vissono dopo la loro conversione e andaronsi a Paradiso. Ma il
terzo sopravvivendo e ripensando alli suoi peccati, si diede a fare tale
penitenza, che per quindici anni continovi, eccetto le quaresime comuni,
le quali egli facea con gli altri frati, d'altro tempo sempre tre dì la
settimana digiunava in pane e in acqua, e andando sempre scalzo e con
una sola tonica indosso, e mai non dormia dopo Mattutino. Fra questo
tempo santo Francesco passò di questa misera vita. E avendo dunque
costui per molti anni continovato cotale penitenza, ecco ch'una notte
dopo 'l Mattutino, gli venne tanta tentazione di sonno, che per nessuno
modo egli potea resistere al sonno e vegghiare come soleva. Finalmente,
non potendo egli resistere al sonno né orare, andossene in sul letto
per dormire; e subito com'egli ebbe posto giù il capo, fu ratto e
menato in ispirito in su uno monte altissimo, al quale era una ripa
profondissima, e di qua e di là sassi ispezzati e ischeggiosi e iscogli
disuguali ch'uscivano fuori de' sassi; di che infra questa ripa era
pauroso aspetto a riguardare. E l'Agnolo che menava questo frate sì lo
sospinse e gittollo giù per quella ripa; il quale trabalzando e
percotendo di scoglio in iscoglio e di sasso in sasso, alla perfine
giunse al fondo di questa ripa, tutto smembrato e minuzzato, secondo che
a lui parea. E giacendosi così male acconcio in terra, dicea colui che
'l menava: "Lieva su, che ti conviene fare ancora grande
viaggio". Rispuose il frate: "Tu mi pari molto indiscreto e
crudele uomo, che mi vedi per morire della caduta, che m'ha così
ispezzato, e dimmi; lieva su!". E l'Agnolo s'accosta a lui e
toccandolo gli salda perfettamente tutti li membri e sanalo. E poi gli
mostra una grande pianura di pietre aguzzate e taglienti, e di spine e
di triboli, e dicegli che per tutto questo piano gli conviene correre e
passare a piedi ignudi infino che giunga al fine, nel quale e' vedea una
fornace ardente nella quale gli convenia entrare. E avendo il frate
passato tutta la pianura con grande angoscia e pena, e l'Agnolo gli
dice: "Entra in questa fornace, però che così ti conviene
fare". Risponde costui: "Oime, quanto sei crudele guidatore,
che mi vedi esser presso che morto per questa angosciosa pianura, e ora
per riposo mi di' che io entri in questa fornace ardente". E
ragguardando costui, vide intorno alla fornace molti demoni con le
forche di ferro in mano, con le quali costui, perché indugiava
d'entrare, sospinsono dentro subitamente. Entrato che fu nella fornace,
ragguarda e vide uno ch'era stato suo compare, il quale ardeva tutto
quanto. E costui il domanda: "O compare sventurato, e come venisti
tu qua?". Ed egli risponde: "Va' un poco più innanzi e
troverai la moglie mia, tua comare, la quale ti dirà la cagione della
nostra dannazione". Andando il frate più oltre, eccoti apparire la
detta comare tutta affocata, rinchiusa in una misura di grano tutta di
fuoco; ed egli la domanda: "O comare isventurata e misera, perché
venisti tu in così crudele tormento". Ed ella rispuose:
"Imperò che al tempo della grande fame, la quale santo Francesco
predisse dinanzi, il marito mio e io falsavamo il grano e la biada che
noi vendevamo nella misura, e però io ardo stretta in questa
misura". E dette queste parole, l'Agnolo che menava il frate sì lo
sospinse fuore della fornace, e poi gli disse: "Apparecchiati a
fare uno orribile viaggio, il quale tu hai a passare". E costui
rammaricandosi dicea: "O durissimo conduttore, il quale non m'hai
nessuna compassione, tu vedi ch'io sono quasi tutto arso in questa
fornace, e anche mi vuoi menare in viaggio pericoloso e orribile?".
E allora l'Agnolo il toccò, e fecelo sano e forte; poi il menò ad uno
ponte, il quale non si potea passare sanza grande pericolo, imperò
ch'egli era molto sottile e stretto e molto isdrucciolente e sanza
sponde d'allato, e di sotto passava un fiume terribile, pieno di
serpenti e di dragoni e di scarpioni, e gittava uno grandissimo puzzo. E
dissegli l'Agnolo: "Passa questo ponte, e al tutto te lo conviene
passare" Risponde costui: "E come lo potrò io passare, ch'io
non caggia in quello pericoloso fiume?". Dice l'Agnolo: "Vieni
dopo me e poni il tuo piè dove tu vedrai ch'io porrò il mio, e così
passerai bene" Passa questo frate dietro all'Agnolo, come gli avea
insegnato, tanto che giunge a mezzo il ponte; ed essendo così in sul
mezzo l'Agnolo si volò via e, partendosi da lui, se ne andò in su uno
monte altissimo di là assai dal ponte. E costui considera bene il luogo
dov'era volato l'Agnolo, ma rimanendo egli sanza guidatore e riguardando
in giù vedea quegli animali tanto terribili istare con li capi fuori
dell'acqua e con le bocche aperte, apparecchiati a divorarlo s'e'
eadesse; ed era in tanto tremore, che per nessuno modo non sapea che si
fare né che si dire, però che non potea tornare addietro né andare
innanzi. Onde veggendosi in tanta tribolazione e che non avea altro
refugio che solo in Dio, sì si inchinò e abbracciò il ponte e con
tutto il cuore e con lagrime si raccomanda a Dio, che per la sua
santissima misericordia il dovesse soccorrere. E fatta l'orazione, gli
parve cominciare a mettere ale; di che egli con grande allegrezza
aspettava ch'elle crescessono per potere volare di là dal ponte dov'era
volato l'Agnolo. Ma dopo alcuno tempo, per la grande voglia ch'egli avea
di passare questo ponte, si mise a volare; e perché l'alie non gli
erano tanto cresciute, egli cadde in sul ponte e le penne gli caddono:
di che costui da capo abbraccia il ponte e come prima raccomandasi a
Dio. E fatta l'orazione, e anche gli parve di mettere ale; ma come in
prima non aspettò ch'elle crescessono perfettamente, onde mettendosi a
volare innanzi tempo, ricadde dal capo in sul ponte, e le penne gli
caddono. Per la qual cosa, veggendo che per la fretta ch'egli avea di
volare innanzi al tempo cadeva, così incominciò a dire fra se
medesimo: "Per certo che se io metto alie la terza volta, ch'io
aspetterò tanto ch'elle saranno sì grandi ch'io potrò volare senza
ricadere". E stando in questi pensieri, ed egli Si vide la terza
volta mettere ali; e aspetta grande tempo, tanto ch'ell'erano bene
grandi; e pareali, per lo primo e secondo e terzo mettere ali, avere
aspettato bene cento cinquanta anni o più. Alla perfine si lieva questa
terza volta, con tutto il suo isforzo a volito, e volò insino al luogo
dov'era volato l'Agnolo. E bussando alla porta del palagio nel quale
egli era, il portinaio il domanda: "Chi se' tu che se' venuto
qua?". Rispuose: "Io son frate Minore". Dice il
portinaio: "Aspettami ch'io sì ci voglio menare santo Francesco a
vedere se ti conosce. Andando colui per santo Francesco, e questi
comincia a sguardare le mura maravigliose di questo palagio; ed eccoti
queste mura pareano tanto lucenti e di tanta chiarità, che vedea
chiaramente li cori de' santi e ciò che dentro si faceva. E istando
costui istupefatto in questo ragguardare, ecco venire santo Francesco e
frate Bernardo e frate Egidio, e dopo santo Francesco tanta moltitudine
di santi e di sante ch'aveano seguitato la via sua, che quasi pareano
innumerabili. E giugnendo santo Francesco, disse al portinaio:
"Lascialo entrare, imperò ch'egli è de' miei frati". E sì
tosto come e' vi fu entrato, e' sentì tanta consolazione e tanta
dolcezza, che egli dimenticò tutte le tribulazioni ch'avea avute, come
mai non fussino state. E allora santo Francesco menandolo per dentro sì
gli mostrò molte cose maravigliose, e poi sì gli disse:
"Figliuolo, e' ti conviene ritornare al mondo e starai sette dì,
ne' quali tu sì ti apparecchi diligentemente con grande divozione,
imperò che dopo li sette dì, io verrò per te, e allora tu ne verrai
meco a questo luogo di beati". Ed era santo Francesco ammantato
d'uno mantello maraviglioso, adornato di stelle bellissime, e le sue
cinque stimate erano siccome cinque stelle bellissime e di tanto
splendore, che tutto il palagio alluminavano con li loro raggi. E frate
Bernardo avea in capo una corona di stelle bellissime, e frate Egidio
era adornato di maraviglioso lume; e molti altri santi fra' tra loro
conobbe, li quali al mondo non avea mai veduti Licenziato dunque da
santo Francesco, sì si ritornò, benché mal volentieri, a mondo.
Destandosi e ritornando in sé e risentendosi, li frati suonavano a
Prima, sicché non era stato in quella se non da Mattutino a Prima benché
a lui fusse paruto istare molti anni. E recitando al guardiano suo
questa visione per ordine, infra li sette dì si incominciò a
febbricitare, e l'ottavo di venne per lui santo Francesco, secondo la
promessa, con grandissima moltitudine di gloriosi santi, e menonne
l'anima sua al regno de' beati, a vita eterna. A laude di Gesù Cristo e
del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO VENTISETTESIMO
Come santo Francesco convertì a Bologna due scolari, e fecionsi frati;
e poi all'uno di loro levò una grande tentazione da dosso. Giugnendo
una volta santo Francesco alla città di Bologna, tutto il popolo della
città correa per vederlo; ed era sì grande la calca della gente, che a
grande pena potea giugnere alla piazza. Ed essendo tutta la piazza piena
d'uomini e di donne e di scolari, e santo Francesco si leva suso nel
mezzo del luogo, alto, e comincia a predicare quello che lo Spirito
Santo gli toccava. E predicava sì maravigliosamente, che parea
piuttosto che predicasse Agnolo che uomo, e pareano le sue parole
celestiali a modo che saette acute, le quali trapassavano sì il cuore
di coloro che lo udivano, che in quella predica grande moltitudine di
uomini e di donne si convertirono a penitenza. Fra li quali si furono
due nobili studianti della Marca d'Ancona; e l'uno avea nome Pellegrino
e l'altro Rinieri; i quali due per la detta predica toccati nel cuore
dalla divina ispirazione, vennono a santo Francesco, dicendo ch'al tutto
voleano abbandonare il mondo ed essere de' suoi frati. Allora santo
Francesco, conoscendo per nvelazione che costoro erano mandati da Dio e
che nello Ordine doveano tenere santa vita e considerando il loro grande
fervore, li ricevette allegramente, dicendo a loro: "Tu,
Pellegrino, tieni nell'Ordine la via dell'umiltà; e tu, frate Rinieri,
servi a' frati". E così fu: imperò che frate Pellegrino mai non
volle andare come chierico, ma come laico, benché fosse molto litterato
e grande decretalista; per la quale umiltà pervenne in grande
perfezione di virtù, in tanto che frate Bernardo, primogenito di santo
Francesco, disse di lui ch'egli era uno de' più perfetti frati di
questo mondo. E finalmente il detto frate Pellegrino, pieno di virtù
passò di questa vita alla vita beata, con molti miracoli innanzi alla
morte e dopo. E detto frate Rinieri divotamente e fedelmente serviva a'
frati, vivendo in grande santità e umiltà; e diventò molto famigliare
di san Francesco, e molti secreti gli rivelava santo Francesco. Essendo
fatto ministro della Marca d'Ancona, ressela grande tempo in grandissima
pace e discrezione. Dopo alcuno tempo, Iddio gli permise una grandissima
tentazione nell'anima sua; di che egli tribolato e angosciato,
fortemente s'affligea con digiuni, con discipline e con lagrime e
orazioni il dì e la notte, e non potea però cacciare quella
tentazione; ma ispesse volte era in grande disperazione, imperò che per
essa si riputava abbandonato da Dio. Istando in questa disperazione, per
ultimo rimedio si determinò d'andare a santo Francesco, pensando così:
Se santo Francesco mi mostrerà buono viso, e mostrerammi famigliarità,
sì come si suole, io credo che Iddio m'averà ancor pietà, ma se non,
sarà segnale ch'io sarò abbandonato da Dio". Muovesi adunque
costui e va a santo Francesco. Il quale in quel tempo era nel pelagio
del vescovo d'Ascesi, gravemente infermo; e Iddio gli rivelò tutto il
modo della tentazione e della disperazione del detto frate Rinieri e 'l
suo proponimento e 'l suo venire. E immantanente santo Francesco chiama
frate Lione e frate Masseo, e dice loro: "Andate tosto incontro al
mio figliuolo carissimo frate Rinieri, e abbracciatelo da mia parte, e
salutatelo e ditegli che tra tutti i frati che sono nel mondo io amo lui
singolarmente". Vanno costoro e trovano per la via frate Rinieri e
abbraccianlo, dicendogli ciò che santo Francesco aveva loro imposto.
Onde tanta consolazione e dolcezza gli fu nell'anima, che quasi egli
usci di sé; e ringraziando Iddio con tutto il cuore, andò e giunse al
luogo dove santo Francesco giaceva infermo. E benché santo Francesco
fusse gravemente infermo, nientedimeno sentendo venire frate Rinieri si
levò e feceglisi incontro e abbracciollo dolcissimamente e sì gli
disse: "Figliuolo mio carissimo, frate Rinieri, tra tutti i frati
che sono nel mondo io amo te singularmente". E detto questo, gli
fece il segno della santissima croce nella sua fronte e ivi il baciò e
poi gli disse: "Figliuolo carissimo, questa tentazione t'ha
permesso Iddio per tuo grande guadagno di merito; ma se tu non vuogli più
questo guadagno, non l'abbi". E maravigliosa cosa! sì tosto come
santo Francesco ebbe dette queste parole, subitamente si partì da lui
ogni tentazione, come se mai in vita sua non l'avesse sentita, e rimase
tutto consolato. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.
Amen.
CAPITOLO VENTOTTESIMO
D'uno rapimento che venne a frate Bernardo, ond'egli stette dalla
mattina insino a nona ch'egli non si sentì. Quanta grazia Iddio facea
ispesse volte a' poveri evangelici i quali abbandonavano il mondo per lo
amore di Cristo, si dimostrò in frate Bernardo da Quintavalle, il
quale, poi ch'ebbe preso l'abito di santo Francesco, sì era ratto
ispessissime volte in Dio per contemplazione delle cose celestiali. Tra
l'altre avvenne che una volta, essendo egli in chiesa ad udire la messa
e stando con tutta la mente sospesa in Dio, diventò si assorto e ratto
in contemplazione che, levandosi il Corpo di Cristo, non se ne avvide
niente, né si inginocchiò, né si trasse il cappuccio, come facevano
gli altri che v'erano, ma senza battere gli occhi, così fisso guatando,
stette, dalla mattina insino a nona insensibile. E dopo nona ritornando
in sé, sì andava per lo luogo gridando con voce ammirativa: "O
frati! o frati! o frati! non è uomo in questa contrada sì grande né sì
nobile, al quale si gli fosse promesso uno palagio bellissimo pieno
d'oro, non gli fosse agevole di portare un sacco pieno di letame per
guadagnare quello tesoro così nobile". A questo tesoro celestiale,
promesso agli amadori di Dio, fu frate Bernardo predetto sì elevato con
la mente, che per quindici anni continovi sempre andò con la mente e
con la faccia levata in cielo. E in quel tempo mai non si tolse fame
alla mensa, benché mangiasse, di ciò che gli era posto innanzi, un
poco; imperò ch'e' dicea che di quello che l'uomo non gusta, non fa
perfetta astinenza ma la vera astinenza è temperarsi dalle cose che
sanno buone alla bocca. E con questo venne ancora a tanta chiarità e
lume d'intelligenza, che eziandio li grandi chierici ricorreano a lui
per soluzioni di fortissime quistioni e di malagevoli passi della
Scrittura; ed egli d'ogni difficoltà li dichiarava. E imperò che la
mente sua sì era al tutto sciolta e astratta delle cose terrene, egli a
modo di rondine volava molto in alto per contemplazlone; onde alcuna
volta venti dì, e alcuna volta trenta dì si stava solo in sulle cime
de' monti altissimi contemplando le cose celestiali. Per la qual cosa
diceva di lui frate Egidio che non era dato agli altri uomini questo
dono ch'era dato a frate Bernardo di Quintavalle, cioè che volando si
pascesse come la rondine. E per questa eccellente grazia ch'egli avea da
Dio, santo Francesco volentieri e spesse volte sì parlava con lui di dì
e di notte; onde alcuna volta furono trovati insieme, per tutta la
notte, ratti in Dio nella selva, ove s'erano amendue raccolti a parlare
con Dio. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO VENTINOVESIMO
Come il demonio in forma di Crocifisso apparve più volte a frate
Ruffino, dicendogli che perdea il bene che facea, però ch'egli non era
degli eletti di vita eterna. Di che santo Francesco per rivelazione di
Dio il seppe, e fece riconoscere a frate Ruffino il suo errore e ch'egli
avea creduto. Frate Ruffino, uno de' più nobili uomini d'Ascesi,
compagno di santo Francesco, uomo di grande santità, fu uno tempo
fortissimamente combattuto e tentato nell'anima dallo demonio della
predestinazione, di che egli stava tutto malinconioso e tristo; imperò
che l'demonio gli metteva pure in cuore ch'egli era dannato, e non era
delli predestinati a vita eterna, e che sì perdeva ciò ch'egli faceva
nell'Ordine. E durando questa tentazione più e più dì ed egli per
vergogna non rivelandolo a santo Francesco, nientedimeno egli non
lasciava l'orazioni e le astinenze usate; di che il nimico gli cominciò
aggiugnere tristizia sopra tristizia; oltra alla battaglia dentro, di
fuori combattendolo anche con false apparizioni Onde una volta gli
apparve in forma di Crocifisso e dissegli: "O frate Ruffino, perché
t'affliggi in penitenza e in orazione, con ciò sia cosa che tu non sia
delli predestinati a vita eterna? E credimi, che io so ciò io ho eletto
e predestinato, e non credere al figliuolo di Pietro Bernardoni, s'egli
ti dicesse il contrario, e anche non lo domandare di cotesta materia,
però che né egli né altri il sa, se non io che sono figliuolo di Dio;
e però credimi per certo che tu se' del numero delli dannati; e 'l
figliuolo di Pietro Bernardoni, tuo padre, e anche il padre suo sono
dannati, e chiunque il seguita è ingannato". E dette queste
parole, frate Ruffino comincia a essere sì ottenebrato dal principe
delle tenebre, che già perdeva ogni fede e amore ch'egli avea avuto a
santo Francesco, e non si curava di dirgliene nulla. Ma quello ch'al
padre santo non disse frate Ruffino, rivelò lo Spirito Santo. Onde
veggendo in ispirito santo Francesco tanto pericolo del detto frate,
mandò frate Masseo per lui, al quale frate Ruffino rispuose
rimbrottando: "Che ho io a fare con frate Francesco?". E
allora frate Masseo tutto ripieno di sapienza divina, conoscendo la
fallanza del dimonio, disse: "O frate Ruffino, non sai tu che frate
Francesco è come uno agnolo di Dio, il quale ha illuminate tante anime
nel mondo e dal quale noi abbiamo avuto la grazia di Dio? Ond'io voglio
ch'a ogni partito tu venga con meco a lui, imperò ch'io ti veggio
chiaramente esser ingannato dal dimonio". E detto questo, frate
Ruffino si mosse e andò a santo Francesco. E veggendolo dalla lunga
santo Francesco venire, cominciò a gridare: "O frate Ruffino
cattivello, a cui hai tu creduto?". E giugnendo a lui frate
Ruffino, egli sì gli disse per ordine tutta la tentazione ch'egli avea
avuta dal demonio dentro e di fuori, e mostrandogli chiaramente che
colui che gli era apparito era il demonio e non Cristo, e che per
nessuno modo ei dovea acconsentire alle suggestioni: "ma quando il
demonio ti dicesse più: Tu se' dannato, si gli rispondi: Apri la bocca;
mo' vi ti caco. E questo ti sia segnale, ch'egli è il demonio e non
Cristo, ché dato tu gli arai tale risposta, immantanente fuggirà.
Anche a questo cotale dovevi tu ancora conoscere ch'egli era il demonio,
imperò che t'indurò il cuore a ogni bene; la qual cosa è proprio suo
ufficio: ma Cristo benedetto non indura mai il cuore dell'uomo fedele,
anzi l'ammorbida secondo che dice per la bocca del profeta: lo vi torrò
il cuore di pietra e darovvi il cuore di carne". Allora frate
Ruffino, veggendo che frate Francesco gli diceva per ordine tutt'l modo
della sua tentazione, compunto per le sue parole, cominciò a lagrimare
fortissimamente e adorare santo Francesco e umilemente riconoscere la
colpa sua in avergli celato la sua tentazione. E così rimase tutto
consolato e confortato per gli ammonimenti del padre santo e tutto
mutato in meglio. Poi finalmente gli disse santo Francesco: "Va'
figliuolo, e confessati e non lasciare lo studio della orazione usata, e
sappi per certo che questa tentazione ti sarà grande utilità e
consolazione, e in breve il proverai". Tornasi frate Ruffino alla
cella sua nella selva, e standosi con molte lagrime in orazione, eccoti
venire il nemico in persona di Cristo, secondo l'apparenza di fuori, e
dicegli: "O frate Ruffino, non t'ho io detto che tu non gli creda
al figliuolo di Pietro Bernardoni, e che tu non ti affatichi in lagrime
e in orazioni, però che tu se' dannato? Che ti giova affligerti mentre
tu se' vivo, e poi quando tu morrai sarai dannato?". E subitamente
frate Ruffino risponde: "Apri la bocca; mo' vi ti caco". Di
che il demonio isdegnato, immantanente si partì con tanta tempesta e
commozione di pietre di monte Subasio ch'era in alto, che per grande
spazio bastò il rovinio delle pietre che caddono giuso; ed era sì
grande il percuotere che faceano insieme nel rotolare, che sfavillavano
fuoco orribile per la valle; e al romore terribile ch'elle faceano,
santo Francesco con li compagni con grande ammirazione uscirono fuori
del luogo a vedere che novità fosse quella; e ancora vi si vede quella
ruina grandissima di pietre. Allora frate Ruffino manifestamente
s'avvide che colui era stato il demonio, il quale l'avea ingannato. E
tornato a santo Francesco anche da capo, si gitta in terra e riconosce
la colpa sua. Santo Francesco il riconforta con dolci parole e mandanelo
tutto consolato alla cella Nella quale standos'egli in orazione
divotissimamente, Cristo benedetto gli apparve, e tutta l'anima sua gli
riscaldò del divino amore, e disse: "Bene facesti, figliuolo che
credesti a frate Francesco, però che colui che ti aveva contristato era
il demonio. ma io sono Cristo tuo maestro, e per rendertene ben certo io
ti do questo segnale, che mentre che tu viverai, non sentirai mai
tristizia veruna né malinconia". E detto questo, si partì Cristo,
lasciandolo con tanta allegrezza e dolcezza di spirito ed allevazione di
mente, che 'l di e la notte era assorto e ratto in Dio E d'allora
innanzi fu sì confermato in grazia e in sicurtà della sua salute, che
tutto diventò mutato in altro uomo, e sarebbesi stato il dì e la notte
in orazione a contemplare le cose divine s'altri l'avesse lasciato
stare. Onde dicea santo Francesco di lui, che frate Ruffino era in
questa vita canonizzato da Cristo, e che, fuori che dinanzi da lui, egli
non dubiterebbe di dire santo Ruffino, benché fusse ancora vivo in
terra. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO TRENTESIMO
Della bella predica che feceno in Ascesi santo Francesco e frate
Ruffino, quando eglino predicarono ignudi. Era il detto frate Ruffino,
per continova contemplazione, sì assorto in Dio, che quasi insensibile
e mutolo diventò, radissime volte parlava, e appresso non aveva la
grazia né lo ardire né la facundia del predicare. E nientedimeno santo
Francesco gli comandò una volta che egli andasse a Sciesi, e predicasse
al popolo ciò che Iddio gli spirasse. Di che Frate Ruffino rispuose:
"Padre reverendo, io ti priego che tu mi perdoni e non mi mandi;
imperò che, come tu sai lo non ho la grazia del predicare e sono
semplice e idiota" E allora disse santo Francesco: "Però che
tu non hai ubbidito prestamente ti comando per santa obbidienza che
ignudo come nascesti, colle sole brache, tu vada a Sciesi, ed entri in
una chiesa così ignudo e predichi al popolo". A questo
comandamento il detto frate Ruffino si spoglia, e vanne a Sciesi, ed
entra in una chiesa, e fatta la riverenza allo altare, salette in sul
pergamo e comincia a predicare. Della qual cosa li fanciulli e gli
uomini cominciarono a ridere e diceano: "Or ecco che costoro fanno
tanta penitenza, che diventano istolti e fuori di sé". In questo
mezzo santo Francesco, ripensando della pronta obbedienza di frate
Ruffino, il quale era dei più gentili uomini d'Ascesi, ed al
comandamento duro che gli avea fatto, cominciò a riprendere se medesimo
dicendo: "Onde a te tanta prosunzione, figliuolo di Pietro
Bernardoni, vile omicciuolo, a comandare a frate Ruffino, il quale è
de' più gentili uomini d'Ascesi, che vada ignudo a predicare al popolo
siccome pazzo? Per Dio, che tu proverai in te quello che tu comandi ad
altri". E di subito in fervore di spirito si spoglia egli ignudo
simigliantemente e vassene ad Ascesi, e mena seco frate Leone, che
recasse l'abito suo e quello di frate Ruffino. E veggendolo similemente
gli Ascesani, sì lo ischernirono, riputando ch'egli e frate Ruffino
fussono impazzati per la troppa penitenza. Entra santo Francesco nella
chiesa dove frate Ruffino predicava queste parole: "Carissimi,
fuggite il mondo e lasciate il peccato; rendete l'altrui, se voi volete
schifare lo 'nferno; servate li comandamenti di Dio, amando Iddio e 'l
prossimo, se voi volete andare al cielo; fate penitenza, se voi volete
possedere il reame del cielo" E allora santo Francesco monta in sul
pergamo, ignudo, e cominciò a predicare così maravigliosamente dello
dispregio del mondo, della penitenza santa, della povertà volontaria,
del desiderio del reame celestiale e della ignudità e obbrobrio della
passione del nostro Signore Gesù Cristo, che tutti quelli ch'erano alla
predica, maschi e femmine in grande moltitudine, cominciarono a piagnere
fortissimamente con mirabile divozione e compunzione di cuore; e non
solamente ivi, ma per tutto Ascesi fu in quel dì tanto pianto della
passione di Cristo, che mai non v'era stato somigliante. E così
edificato e consolato il popolo dello atto di santo Francesco e di frate
Ruffino, santo Francesco rivestì frate Ruffino e sé, e così rivestiti
si ritornarono al luogo della Porziuncola, lodando e glorificando Iddio
ch'aveva loro data grazia di vincere se medesimi per dispregio di sé e
edificare le pecorelle di Cristo con buono esempio, e dimostrare quanto
è da dispregiare il mondo. E in quel dì crebbe tanto la divozione del
popolo inverso di loro, che beato si reputava chi potea toccare loro
l'orlo dell'abito. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.
Amen.
CAPITOLO TRENTUNESIMO
Come santo Francesco conosceva li segreti delle coscienze di tutti i
suoi frati ordinatamente. Siccome il nostro Signore Gesù Cristo dice
nell'Evangelico: lo conosco le mie pecorelle ed elleno conoscono me
ecc.; così il beato padre santo Francesco, come buono pastore, tutti li
meriti e le virtù delli suoi compagni, per divina rivelazione sapea, e
così conoscea i loro difetti; per la qual cosa egli sapea a tutti
provvedere d'ottimo rimedio, cioè umiliando li superbi, esaltando gli
umili, vituperando i vizi e laudando le virtù; siccome si legge nelle
mirabili rivelazioni le quali egli avea di quella sua famiglia
primitiva. Fra le quali si truova ch'una volta, essendo santo Francesco
con la detta famiglia in uno luogo in ragionamento di Dio, e frate
Ruffino non essendo con loro in quello ragionamento ma era nella selva
in contemplazione, procedendo in quello ragionare di Dio ecco frate
Ruffino esce della selva e passò alquanto di lungi a costoro. Allora
santo Francesco, veggendolo, si rivolse alli compagni e domandolli
dicendo: "Ditemi, quale credete voi che sia la più santa anima, la
quale Iddio abbia nel mondo?". E rispondendogli costoro, dissono
che credeano che fusse la sua. E santo Francesco disse loro:
"Carissimi frati, i' sono da me il più indegno e il più vile uomo
che Iddio abbia in questo mondo ma vedete voi quel frate Ruffino il
quale esce ora della selva? Iddio m'ha rivelato che l'anima sua è l'una
delle tre più sante anime del mondo, e fermamente io vi dico che io non
dubiterei di chiamarlo santo Ruffino in vita sua, con ciò sia cosa che
l'anima sua sia confermata in grazia e santificata e canonizzata in
cielo dal nostro Signore Gesù Cristo" E queste parole non diceva
mai santo Francesco in presenza del detto frate Ruffino. Similemente,
come santo Francesco conoscesse li difetti de' frati suoi, sì si
comprendé chiaramente in frate Elia, il quale spesse volte riprendea
della sua superbia; e in frate Giovanni della Cappella al quale egli
predisse che si dovea impiccare per la gola se medesimo e in quello
frate al quale il demonio tenea stretta la gola quando era corretto
della sua disubbidienza; e in molti altri frati, i cui difetti segreti e
le virtù chiaramente conosceva per rivelazione di Cristo. A laude di
Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO TRENTADUESIMO
Come frate Masseo impetrò da Cristo la virtù della santa umiltà. I
primi compagni di santo Francesco con tutto isforzo s'ingegnavano
d'essere poveri delle cose terrene e ricchi di virtù, per le quali si
perviene alle vere ricchezze celestiali ed eterne Addivenne un dì che,
essendo eglino raccolti insieme a parlare di Dio, l'uno di loro disse
quest'esempio: "E' fu uno il quale era grande amico di Dio, e avea
grande grazia di vita attiva e di vita contemplativa, e con questo avea
sì eccessiva umiltà ch'egli si riputava grandissimo peccatore: la
quale umiltà il santificava e confermava in grazia e facevalo
continuamente crescere in virtù e doni di Dio, e mai non lo lasciava
cadere in peccato". Udendo frate Masseo così maravigliose cose
della umiltà e conoscendo ch'ella era un tesoro di vita eterna, cominciò
ad essere sì infiammato d'amore e di desiderio di questa virtù della
umiltà, che in grande fervore levando la faccia in cielo, fece voto e
proponimento fermissimo di non si rallegrare mai in questo mondo, insino
a tanto che la detta virtù sentisse perfettamente nell'anima sua. E
d'allora innanzi si stava quasi di continuo rinchiuso in cella,
macerandosi con digiuni, vigilie, orazioni, e pianti grandissimi dinanzi
a Dio, per impetrare da lui questa virtù, sanza la quale egli si
reputava degno dello inferno e della quale quello amico di Dio, ch'egli
avea udito, era così dotato. E standosi frate Masseo per molti dì in
questo disiderio, addivenne ch'un dì egli entrò nella selva e in
fervore di spirito andava per essa gittando lagrime, sospiri e voci,
domandando con fervente desiderio a Dio questa virtù divina. E però
che Iddio esaudisce volentieri le orazioni degli umili e contriti,
istando così frate Masseo, venne una voce dal cielo la quale il chiamò
due volte: "Frate Masseo, frate Masseo!". Ed egli conoscendo
per ispirito che quella era voce di Cristo, sì rispuose: "Signore
mio!". E Cristo a lui: "E che vuoi tu dare per avere questa
grazia che tu domandi.". Risponde frate Masseo: "Signore,
voglio dare gli occhi del capo mio". E Cristo a lui: "E io
voglio che tu abbi la grazia e anche gli occhi". E detto questo, la
voce disparve; e frate Masseo rimase pieno di tanta grazia della
disiderata virtù della umiltà e del lume di Dio, che d'allora innanzi
egli era sempre in giubilo; e spesse volte quand'egli orava, faceva
sempre un giubilo informe e con suono a modo di colomba ottuso: U U U, e
con faccia lieta e cuore giocondo istava così in contemplazione. E con
questo, essendo divenuto umilissimo, si riputava minore di tutti gli
uomini del mondo. Domandato da frate Iacopo da Fallerone, perché nel
suo giubilo egli non mutava verso, rispuose con grande letizia che,
quando in una cosa si truova ogni bene, non bisogna mutare verso. A
laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO TRENTATREESIMO
Come santa Chiara, per comandamento del Papa, benedisse il pane il quale
era in tavola; di che in ogni pane apparve il segno della santa croce.
Santa Chiara, divotissima discepola della croce di Cristo e nobile
pianta di messer santo Francesco, era di tanta santità che non
solamente i Vescovi e' Cardinali, ma eziandio il Papa disiderava con
grande affetto di vederla e di udirla e ispesse volte la visitava
personalmente. Infra l'altre volte andò il Padre santo una volta al
munistero a lei per udirla parlare delle cose celestiali e divine; ed
essendo così insieme in diversi ragionamenti, santa Chiara fece intanto
apparecchiare le mense e porvi suso il pane, acciò che il Padre santo
il benedicesse. Onde, compiuto il ragionamento ispirituale, santa Chiara
inginocchiandosi con grande reverenza sì lo priega che gli piaccia
benedire il pane posto a mensa. Risponde il santo Padre: "Suora
Chiara fedelissima, io voglio che tu benedica cotesto pane tu e faccia
sopra ad essi il segno della santissima croce di Cristo, al quale tu ti
se' tutta data". E santa Chiara dice: "Santissimo Padre,
perdonatemi, ch'io sarei degna di troppo grande riprensione, se innanzi
al Vicario di Cristo io, che sono una vile femminella, presumessi di
fare cotale benedizione". E 'l Papa rispuose: "Acciò che
questo non sia imputato a presunzione, ma a merito d'ubbidienza, io ti
comando per santa obbidienza che sopra questo pane tu faccia il segno
della santissima croce e benedicalo nel nome di Dio". Allora santa
Chiara, siccome vera figliuola della obbidienza, que' pani
divotissimamente benedisse col segno della santissima croce di Cristo.
Mirabile cosa! subitamente in tutti quelli pani apparve il segno della
croce intagliato bellissimo. E allora di que' pani parte ne fu mangiato
e parte per lo miracolo riserbati. E il Padre santo veduto ch'ebbe il
miracolo, prendendo del detto pane e ringraziando Iddio si partì,
lasciando santa Chiara colla sua benedizione. In quel tempo dimorava in
quel monastero suora Ortulana madre di santa Chiara, e suora Agnese sua
sirocchia, amendue insieme con santa Chiara piene di virtù e di Spirito
Santo, e con molte altre sante monache. Alle quali santo Francesco
mandava di molti infermi; ed elleno con le loro orazioni e col segno
della santissima croce a tutti rendevano sanità. A laude di Gesù
Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO
Come santo Lodovico re di Francia personalmente, in forma di pellegrino,
andò a Perugia a visitare il santo frate Egidio. Andò santo Lodovico
re di Francia in peregrinaggio a visitare li Santuari per lo mondo, e
udendo la fama grandissima della santità. di frate Egidio, il quale era
stato de' primi compagni di santo Francesco, si puose in cuore e
diterminò al tutto di visitarlo personalmente. Per la qual cosa egli
venne a Perugia, ove dimorava allora il detto frate Egidio. E giugnendo
alla porta del luogo de' frati, come un povero pellegrino e sconosciuto,
con pochi compagni, domanda con grande istanza frate Egidio, non dicendo
niente al portinaio chi egli fussi che 'l domandava. Va adunque il
portinaio a frate Egidio e dice che alla porta è uno pellegrino che n'addimanda,
e da Dio gli fu ispirato e rivelato in ispirito ch'egli era il re di
Francia; di che subitamente con grande fervore esce di cella e corre
alla porta, e senza altro domandare, o che mai eglino s'avessino veduti,
insieme con grandissima divozione inginocchiandosi, s'abbracciarono
insieme e baciaronsi con tanta dimestichezza, come se per lungo tempo
avessino tenuta grande amistà insieme, ma per tutto questo non
parlavano nulla l'uno all'altro, ma stavano così abbracciati con quelli
segni d'amore caritativo in silenzio. Ed istati che furono per grande
spazio nel detto modo senza dirsi parola insieme, si partirono l'uno
dall'altro; e santo Lodovico se n'andò al suo viaggio, e frate Egidio
si tornò alla cella. Partendosi il re, un frate domandò alcuno de'
suoi compagni chi era colui che s'era cotanto abbracciato con santo
Egidio; e colui rispuose ch'egli era Lodovico re di Francia, lo quale
era venuto per vedere frate Egidio. Di che dicendolo costui agli altri
frati, eglino n'ebbono grandissima malinconia che frate Egidio non gli
avea parlato parola; e rammaricandosene, sì gli dissono: "O frate
Egidio, perché se' tu stato tanto villano, che uno così fatto re, il
quale è venuto di Francia per vederti e per udire da te qualche buona
parola, e tu non gli hai parlato niente?". Rispuose frate Egidio:
"O carissimi frati, non vi maravigliate di ciò; imperò che né
egli a me né io a lui pote' dire parola, però che sì tosto come noi
ci abbracciammo insieme, la luce della divina sapienza rivelò e
manifestò a me il cuore suo e a lui il mio; e così per divina
operazione ragguardandoci ne' cuori, ciò ch'io volea dire a lui ed egli
a me troppo meglio conoscemmo che se noi ci avessimo parlato con la
bocca, e con maggiore consolazione, e se noi avessimo voluto esplicare
con voce quello che noi sentivamo nel cuore, per lo difetto della lingua
umana, la quale non può chiaramente esprimere li misteri segreti di
Dio, ci sarebbe stato piuttosto a sconsolazione che a consolazione. E
però sappiate di certo che il re si partì mirabilmente
consolato". A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.
Amen.
CAPITOLO TRENTACINQUESIMO
Come essendo inferma santa Chiara, fu miracolosamente portata la notte
della pasqua di Natale alla chiesa di santo Francesco, ed ivi udì
l'ufficio. Essendo una volta santa Chiara gravemente inferma, sicché
ella non potea punto andare a dire l'ufficio in chiesa con l'altre
monache, vegnendo la solennità della natività di Cristo, tutte l'altre
andarono al mattutino; ed ella si rimase nel letto, mal contenta ch'ella
insieme con l'altre non potea andare ad avere quella consolazione
ispirituale. Ma Gesù Cristo suo sposo, non volendola lasciare così
sconsolata, sì la fece miracolosamente portare alla chiesa di santo
Francesco ed essere a tutto l'ufficio del mattutino e della messa della
notte, e oltre a questo ricevere la santa comunione, e poi riportarla al
letto suo. Tornando le monache a santa Chiara, compiuto l'ufficio in
santo Damiano, sì le dissono: "O madre nostra suora Chiara, come
grande consolazione abbiamo avuta in questa santa natività! Or fusse
piaciuto a Dio, che voi fossi stata con noi!". E santa Chiara
risponde: "Grazie e laude ne rendo al nostro Signore Gesù Cristo
benedetto, sirocchie mie e figliuole carissime, imperò che ad ogni
solennità di questa santa notte, e maggiori che voi non siate state,
sono stata io con molta consolazione dell'anima mia; però che, per
procurazione del padre mio santo Francesco e per la grazia del nostro
Signore Gesù Cristo, io sono stata presente nella chiesa del venerabile
padre mio santo Francesco, e con li miei orecchi corporali e mentali ho
udito tutto l'ufficio e il sonare degli organi ch'ivi s'è fatto, ed ivi
medesimo ho presa la santissima comunione. Onde di tanta grazia a me
fatta rallegratevi e ringraziate Iddio". A laude di Gesù Cristo e
del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO TRENTASEIESIMO
Come santo Francesco dispuose a frate Lione una bella visione ch'avea
veduta. Una volta che santo Francesco era gravemente infermo e frate
Lione gli servia, il detto frate Lione, stando in orazione presso a
santo Francesco, fu ratto in estasi e menato in ispirito ad uno fiume
grandissimo, largo e impetuoso. E istando egli a guatare chi passava,
egli vide alquanti frati incaricati entrare in questo fiume, li quali
subitamente erano abbattuti dallo empito del fiume ed affogavano,
alquanti altri s'andavano insino al terzo del fiume, alquanti insino al
mezzo del fiume, alquanti insino appresso alla proda, i quali tutti, per
l'empito del fiume e per li pesi che portavano addosso, finalmente
cadevano e annegavano. Veggendo ciò, frate Lione avea loro grandissima
compassione; e subitamente, stando così, eccoti venire una grande
moltitudine di frati e sanza nessuno incarico o peso di cosa nessuna,
ne' quali rilucea la santa povertà ed entrano in questo fiume e passano
di là sanza nessun pericolo. E veduto questo, frate Lione ritornò in sé.
E allora santo Francesco, sentendo in ispirito che frate Lione avea
veduta alcuna visione, sì lo chiamò a sé e domandollo di quello
ch'egli avea veduto; e detto che gli ebbe frate Lione predetto tutta la
visione per ordine, disse santo Francesco: "Ciò che tu hai veduto
è vero. Il grande fiume è questo mondo, i frati ch'affogavano nel
fiume sì son quelli che non seguitano la evangelica professione e
spezialmente quanto all'altissima povertà, ma coloro che sanza pericolo
passavano, sono que' frati li quali nessuna cosa terrena né carnale
cercano né posseggono in questo mondo, ma avendo solamente il temperato
vivere e vestire, sono contenti seguitando Cristo ignudo in croce, e il
peso e il giogo soave di Cristo e della santissima obbidienza portano
allegramente e volentieri; e però agevolmente della vita temporale
passano a vita eterna" A laude di Gesù Cristo e del poverello
Francesco. Amen.
CAPITOLO TRENTASETTESIMO
Come Gesù Cristo benedetto, a priego di santo Francesco, fece
convertire uno ricco e gentile cavaliere e farsi frate, il quale avea
fatto grande onore e profferta a santo Francesco. Santo Francesco servo
di Cristo, giugnendo una sera al tardi a casa d'un grande gentile uomo e
potente, fu da lui ricevuto ad albergo, egli e 'l compagno, come agnoli
di Dio, con grandissima cortesia e divozione. Per la qual cosa santo
Francesco gli puose grande amore, considerando che nello entrare della
casa egli sì lo avea abbracciato e baciato amichevolmente, e poi gli
avea lavati i piedi e rasciutti e baciati umilemente, e racceso un
grande fuoco e apparecchiata la mensa di molti buoni cibi, e mentre
costui manglava, con allegra faccia serviva continovamente. Or, mangiato
ch'ebbe santo Francesco e 'l compagno, sì disse questo gentile uomo:
"Ecco, padre mio, io vi proffero me e le mie cose, quandunque avete
bisogno di tonica o di mantello o di cosa veruna, comperate e io pagherò;
e vedete che io sono apparecchiato di provvedervi in tutti i vostri
bisogni, però che per la grazia di Dio io posso, con ciò sia così che
io abbondi in ogni bene temporale, e però per amore di Dio, che me l'ha
dato, io ne fo volentieri beni alli poveri suoi". Di che veggendo
santo Francesco tanta cortesia e amorevolezza in lui e le larghe
profferte, concedettegli tanto amore, che poi partendosi egli andava
dicendo col compagno suo: "Veramente questo gentile uomo sarebbe
buono per la nostra religione e compagnia, il quale è così grato e
conoscente inverso Iddio e così amorevole e cortese allo prossimo e
alli poveri. Sappi, frate carissimo, che la cortesia è una delle
proprietà di Dio, il quale dà il suo sole e la sua piova alli giusti e
agli ingiusti per cortesia; e la cortesia si è sirocchia della carità,
la quale spegne l'odio e conserva l'amore. E perché io ho conosciuto in
questo buono uomo tanta virtù divina, volentieri lo vorrei per
compagno; e però io voglio che noi torniamo un dì a lui, se forse
Iddio gli toccasse il cuore a volersi accompagnare con noi nel servigio
di Dio; e in questo mezzo noi pregheremo Iddio che gli metta in cuore
questo desiderio e diagli grazia di metterlo in effetto". Mirabile
cosa! ivi a pochi dì, fatto ch'ebbe santo Francesco l'orazione, Iddio
mise questo desiderio nel cuore di questo gentile uomo; e disse santo
Francesco al compagno: "Andiamo, fratello mio, all'uomo cortese,
imperò ch'io ho certa speranza in Dio ch'egli con la cortesia delle
cose temporali, donerà se medesimo e sarà nostro compagno". E
andarono. Vegnendo appresso alla casa sua, disse santo Francesco al
compagno: "Aspettami un poco, imperò che io voglio in prima
pregare a Dio che faccia prospero il nostro cammino, che la nobile
preda, la quale noi pensiamo di torre al mondo, piaccia a Cristo di
concedere a noi poverelli e deboli, per la virtù della sua santissima
passione". E detto questo, si puose in orazione in luogo ch'e'
poteva essere veduto dal detto uomo cortese; onde, come piacque a Dio,
guatando colui in là e in qua, ebbe veduto santo Francesco stare in
orazione divotissimamente dinanzi a Cristo, il quale con grande chiarità
gli era apparito nella detta orazione e stava dinanzi a lui; e in questo
istare così, vedea santo Francesco essere per buono spazio levato da
terra corporalmente. Per la qual cosa egli fu sì toccato da Dio e
ispirato a lasciare il mondo, che di presente egli uscì fuori dal
palagio suo e in fervore di spirito corre verso santo Francesco, e
giugnendo a lui, il quale stava in orazione, gli si inginocchiò a'
piedi e con grandissima istanza e divozione il pregò che gli piacesse
di riceverlo e fare penitenza insieme con seco. Allora santo Francesco,
veggendo che la sua orazione era esaudita da Dio - e che quello ch'e'
disiderava, quello gentile uomo addomandava con grande istanza, lievasi
suso in fervore e in letizia di spirito e abbraccia e bacia costui,
divotissimamente ringraziando Iddio, il quale uno così fatto cavaliere
avea accresciuto alla sua compagnia. E dicea quello gentile uomo a santo
Francesco: "Che comandi tu, che io faccia, padre mio? Ecco ch'io
sono apparecchiato al tuo comandamento, dare a' poveri ciò ch'io
posseggo, e teco seguitare Cristo, così iscaricato d'ogni cosa
temporale". E così fece, secondo il consiglio di santo Francesco,
ch'egli distribuì il suo a' poveri ed entrò nell'Ordine, e vivette in
grande penitenza e santità di vita e conversazione onesta. A laude di
Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO TRENTOTTESIMO
Come santo Francesco conobbe in ispirito che frate Elia era dannato e
dovea morire fuori dell'Ordine; il perché a' prieghi di frate Elia fece
orazione a Cristo per lui e fu esaudito. Dimorando una volta in un luogo
insieme di famiglia santo Francesco e frat'Elia, fu rivelato da Dio a
santo Francesco che frate Elia era dannato e dovea apostolare
dall'Ordine e finalmente morire fuori dell'Ordine. Per la qual cosa
santo Francesco concepette una cotale displicenza inverso di lui, in
tanto che non gli parlava né conversava con lui; e se avvenia alcuna
volta che frate Elia andasse inverso di lui egli torcea la via e andava
dall'altra parte per non si scontrare con lui. Di che frate Elia si
cominciò ad avvedere e comprendere che santo Francesco avea dispiacere
di lui; onde volendo sapere la cagione, un di s'accostò a santo
Francesco per parlargli; e ischifando santo Francesco, frate Elia sì lo
ritenne cortesemente per forza e cominciollo a pregare discretamente che
gli piacesse di significargli la cagione per la quale egli ischifava così
la sua compagnia e 'l parlare con seco. E santo Francesco gli risponde:
"La cagione si è questa, imperò che a me è suto rivelato da Dio
che tu per li tuoi peccati apostaterai dell'Ordine e morrai fuori
dell'Ordine, e anche m'ha Iddio rivelato che tu sei dannato".
Udendo questo, frate Elia si dice così: "Padre mio reverendo, io
ti priego per lo amore di Cristo, che per questo tu non mi ischifi né
iscacci da te; ma come buono pastore, ad esempio di Cristo, ritruova e
ricevi la pecora che perisce, se tu non l'aiuti; e priega Iddio per me
che, se può essere, e' rivochi la sentenza della mia dannazione; imperò
che si truova scritto che Iddio sa mutare la sentenza, se il peccatore
ammenda il suo peccato; e io ho tanta fede nelle tue orazioni, che se io
fossi nel mezzo dello inferno, e tu facessi per me orazione a Dio, io
sentirei alcun rifrigerio; onde ancora io ti priego che me peccatore tu
raccomandi a Dio, il quale si venne per salvare i peccatori, che mi
riceva alla sua misericordia". E questo dicea frate Elia con grande
divozione e lagrime; di che santo Francesco come pietoso padre, gli
promise di pregare Iddio per lui; e così fece. E pregando Iddio
divotissimamente per lui, intese per rivelazione che la sua orazione era
da Dio esaudita quanto alla revocazione della sentenza della dannazione
di frate Elia, che finalmente l'anima sua non sarebbe dannata, ma che
per certo egli s'uscirebbe dell'Ordine e fuori dell'Ordine morrebbe. E
così addivenne; imperò che, ribellandosi dalla Chiesa Federigo re di
Cicilia ed essendo iscomunicato dal Papa egli e chiunque gli dava aiuto
o consiglio; il detto frate Elia, il quale era reputato uno de' più
savi uomini del mondo, richiesto dal detto re Federigo, s'accostò a lui
e diventò ribelle della Chiesa e apostata dell'Ordine; per la quale
cosa fu iscomunicato dal Papa e privato dell'abito di santo Francesco. E
stando così iscomunicato, infermò gravemente; la cui infermità udendo
uno suo fratello frate laico, il quale era rimasto nell'Ordine ed era
uomo di buona vita e onesta, sì lo andò a visitare, e tra l'altre cose
si gli disse: "Fratello mio carissimo, molto mi dolgo che tu se'
iscomunicato e fuori dell'Ordine tuo, e così ti morrai; ma se tu
vedessi o via o modo per lo quale io ti potessi trarre di questo
pericolo, volentieri ne prenderei per te ogni fatica". Risponde
frate Elia: "Fratello mio, non ci veggo altro modo se non che tu
vadi al Papa, e priegalo che per lo amore di Dio e di santo Francesco
suo servo, per li cui ammaestramenti io abbandonai il mondo, m'assolva
della sua iscomunicazione e restituiscami l'abito della Religione".
Dice questo suo fratello che volentieri s'affaticherà per la sua
salute: e partendosi da lui, se ne andò alli piè del santo Papa,
pregandolo umilemente che faccia grazia al suo fratello per lo amore di
Cristo e di san Francesco suo servo. E come piacque a Dio, il Papa gliel
concedette: che tornasse e, se e' ritrovasse vivo frate Elia, si lo
assolvesse dalla sua parte della iscomunicazione e ristituissegli
l'abito. Di che costui si parte lieto e con grande fretta ritorna a
frate Elia, e trovalo vivo, ma quasi in su la morte, e si lo assolvette
della scomunicazione; e rimettendogli l'abito, frate Elia passò di
questa vita, e l'anima sua fu salva per li meriti di santo Francesco e
per la sua orazione, nella quale frate Elia avea avuta sì grande
isperanza. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO TRENTANOVESIMO
Della maravigliosa predica la quale fece santo Antonio da Padova frate
minore in consistorio. Il maraviglioso vasello dello Spirito Santo
messer santo Antonio da Padova, uno degli eletti discipoli e compagni di
santo Francesco, il quale santo Francesco chiamava suo vescovo, una
volta predicando in consistorio dinanzi al Papa e a' Cardinali, nel
quale consistorio erano uomini di diverse nazioni, cioè greca, latina,
francesca, tedesca, ischiavi e inghilesi e d'altre diverse lingue del
mondo, infiammato dallo Spirito Santo, sì effcacemente, sì divotamente,
sì sottilemente, sì dolcemente, sì chiaramente e sì intendevolmente
propuose la parola di Dio, che tutti quelli che erano in consistorio,
quantunque fossino di diversi linguaggi, chiaramente intendeano tutte le
sue parole distintamente, siccome egli avesse parlato in linguaggio di
ciascuno di loro; e tutti stavano istupefatti, e parea che fusse
rinnovato quello antico miracolo degli Apostoli al tempo della
Pentecoste, li quali parlavano per la virtù dello Spirito Santo in ogni
lingua. E diceano insieme l'uno coll'altro con ammirazione: "Non è
di Spagna costui che predica? e come udiamo tutti noi in suo parlare il
nostro linguaggio delle nostre terre?". Il Papa simigliantemente,
considerando e maravigliandosi della profondità delle sue parole,
disse: "Veramente costui è arca del Testamento e armario della
Iscrittura divina". A laude di Gesù Cristo e del poverello
Francesco. Amen.
CAPITOLO QUARANTESIMO
Del miracolo che Iddio fece quando santo Antonio, essendo a Rimino,
predicò a' pesci del mare. Volendo Cristo benedetto dimostrare la
grande santità del suo fedelissimo servo messere santo Antonio, e come
divotamente era da udire la sua predicazione e la sua dottrina santa;
per gli animali non ragionevoli una volta tra l'altre, cioè per li
pesci, riprese la sciocchezza degli infedeli eretici, a modo come
anticamente nel vecchio Testamento per la bocca dell'asina avea ripresa
la ignoranza di Balaam. Onde essendo una volta santo Antonio a Rimino,
ove era grande moltitudine d'eretici, volendoli riducere al lume della
vera fede e alla via della verità, per molti dì predicò loro e disputò
della fede di Cristo e della santa Scrittura, ma eglino, non solamente
non acconsentendo alli suoi santi parlari, ma eziandio come indurati e
ostinati non volendolo udire, santo Antonio un dì per divina
ispirazione sì se ne andò alla riva del fiume allato al mare; e
standosi così alla riva tra 'l mare e 'l fiume, cominciò a dire a modo
di predica, dalla parte di Dio alli pesci: "Udite la parola di Dio
voi, pesci del mare e del fiume, dappoi che gl'infedeli eretici la
schifano d'udire". E detto ch'egli ebbe così, subitamente venne
alla riva a lui tanta moltitudine di pesci grandi, piccoli e mezzani,
che mai in quel mare né in quel fiume non ne fu veduta sì grande
moltitudine; e tutti teneano i capi fuori dell'acqua e tutti stavano
attenti verso la faccia di santo Antonio, e tutti in grandissima pace e
mansuetudine e ordine: imperò che dinanzi e più presso alla riva
istavano i pesciolini minori, e dopo loro istavano i pesci mezzani, poi
di dietro, dov'era l'acqua più profonda, istavano i pesci maggiori.
Essendo dunque in cotale ordine e disposizione allogati li pesci, santo
Antonio cominciò a predicare solennemente e dice così: "Fratelli
miei pesci, molto siete tenuti, secondo la vostra possibilità, di
ringraziare il Creatore che v'ha dato così nobile elemento per vostra
abitazione, sicché, come vi piace, avete l'acque dolci e salse e havvi
dati molti refugi a schifare le tempeste, havvi ancora dato elemento
chiaro e trasparente e cibo per lo quale voi possiate vivere. Iddio
vostro creatore cortese e benigno quando vi creò, sì vi diede
comandamento di crescere e di multiplicare, e diedevi la sua
benedizione. Poi quando fu il diluvio generalmente, tutti quanti gli
altri animali morendo, voi soli riserbò Iddio senza danno. Appresso
v'ha date l'ali per potere discorrere dovunque vi piace. A voi fu
conceduto, per comandamento di Dio, di serbare Giona profeta e dopo il
terzo dì gittarlo a terra sano e salvo. Voi offeriste lo censo al
nostro Signore Gesù Cristo, il quale egli come poverello non aveva di
che pagare. Voi fusti cibo dello eterno re Gesù Cristo innanzi
resurrezione e dopo, per singolare mistero. Per le quali tutte cose
molto siete tenuti di lodare e di benedire Iddio, che v'ha dati e tanti
e tali benefici più che all'altre creature". A queste e
simiglianti parole e ammaestramenti di santo Antonio, cominciarono li
pesci aprire la bocca e inchinaron li capi, e con questi e altri segnali
di reverenza, secondo li modi a loro possibili, laudarono Iddio. Allora
santo Antonio vedendo tanta reverenza de' pesci inverso di Dio creatore,
rallegrandosi in ispirito, in alta voce disse: "Benedetto sia Iddio
eterno, però che più l'onorano i pesci acquatici che non fanno gli
uomini eretici, e meglio odono la sua parola gli animali non ragionevoli
che li uomini infedeli". E quanto santo Antonio più predicava,
tanto la moltitudine de' pesci più crescea, e nessuno si partia del
luogo ch'avea preso. A questo miracolo cominciò a correre il popolo
della città fra li quali vi trassono eziandio gli eretici sopraddetti;
i quali vedendo lo miracolo così maraviglioso e manifesto, compunti ne'
cuori, tutti si gittavano a' piedi di santo Antonio per udire la sua
predica. E allora santo Antonio cominciò a predicare della fede
cattolica, e sì nobilemente ne predicò, che tutti quegli eretici
convertì e tornarono alla vera fede di Cristo, e tutti li fedeli ne
rimasono con grandissima allegrezza confortati e fortificati nella fede.
E fatto questo, santo Antonio licenziò li pesci colla benedizione di
Dio, e tutti si partirono con maravigliosi atti d'allegrezza, e
similemente il popolo. E poi santo Antonio stette in Arimino per molti dì,
predicando e facendo molto frutto spirituale d'anime. A laude di Gesù
Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO QUARANTUNESIMO
Come il venerabile frate Simone liberò di una grande tentazione un
frate, il quale per questa cagione voleva uscire fuori dell'Ordine.
Intorno al principio dell'Ordine, vivendo santo Francesco, venne
all'Ordine uno giovane d'Ascesi, il quale fu chiamato frate Simone, il
quale Iddio adornò e dotò di tanta grazia e di tanta contemplazione e
elevazione di mente, che tutta la sua vita era specchio di santità,
secondo ch'io udii da coloro che lungo tempo furono con lui. Costui
rarissime volte era veduto fuori di cella e, se alcuna volta stava co'
frati, sempre parlava di Dio. Costui non avea mai apparato grammatica, e
nientedimeno sì profondamente e sì altamente parlava di Dio e
dell'amore di Cristo, che le sue parole pareano parole soprannaturali.
Onde una sera egli essendo ito nella selva con frate Iacopo da Massa per
parlare di Dio e parlando dolcissimamente del divino amore, istettono
tutta la notte in quel parlare, e la mattina parea loro essere stato
pochissimo ispazio di tempo, secondo che mi recitò il detto frate
Iacopo. E 'l detto frate Simone sì aveva in tanta soavità e dolcezza
di spirito le divine illuminazioni e visitazioni amorose di Dio, che
ispesse volte, quando le sentiva venire, si ponea in sul letto; imperò
che la tranquilla soavità dello Ispirito Santo richiedeva in lui non
solo riposo dell'anima, ma eziandio del corpo. E in quelle cotali
visitazioni divine egli era molte volte ratto in Dio e diventava tutto
insensibile alle cose corporali. Onde una volta ch'egli era così ratto
in Dio e insensibile al mondo, ardea dentro del divino amore e non
sentia niente di fuori con sentimenti corporali, un frate vogliendo
avere isperienza di ciò, a vedere se fusse come parea, andò e prese
uno carbone di fuoco, e si gliel puose in sul piede ignudo: e frate
Simone non ne sentì niente, e non gli fece nessuno segnale in sul
piede, benché vi stesse su per grande spazio, tanto che si spense da se
medesimo. Il detto frate Simone quando si ponea a mensa, innanzi che
prendesse cibo corporale, prendeva per sé e dava il cibo ispirituale
parlando di Dio. Per lo cui divoto parlare, si convertì una volta un
giovane da San Severino, il quale era nel secolo un giovane vanissimo e
mondano, ed era nobile di sangue e molto dilicato del suo corpo. E frate
Simone ricevendo il detto giovane all'Ordine, si serbò li suoi
vestimenti secolari appo sé, ed esso istava con frate Simone per essere
informato da lui nelle osservanze regolari. Di che il demonio, il quale
s'ingegnava di storpiare ogni bene, gli mise addosso sì forte stimolo e
sì ardente tentazione di carne, che per nessuno modo costui potea
resistere. Per la qual cosa egli se ne andò a frate Simone e dissegli:
"Rendimi li miei panni ch'io ci recai del secolo imperò ch'io non
posso più sostenere la tentazione carnale". E frate Simone,
avendogli grande compassione, gli dicea: "Siedi qui, figliuolo, un
poco con meco". E cominciava a parlargli di Dio, permodo ch'ogni
tentazione sì si partia, e poi a tempo ritornando la tentazione, ed
egli richiedea li panni, e frate Simone la cacciava con parlare di Dio.
E fatto così più volte, finalmente una notte l'assalì sì forte la
detta tentazione più ch'ella non solea, che per cosa del mondo non
potendo resistere, andò a frate Simone raddomandandogli al tutto li
panni suoi secolari, che per nessuno partito egli ci potea più stare.
Allora frate Simone, secondo ch'egli avea usato di fare, li fece sedere
allato a sé; e parlandogli di Dio, il giovane inchinò il capo in
grembo a frate Simone per malinconia e per tristizia. Allora frate
Simone, per grande compassione che gli aveva, levò gli occhi in cielo e
pregando Iddio divotissimamente per lui, fu ratto e esaudito da Dio;
onde ritornando egli in sé, il giovane si sentì al tutto liberato di
quella tentazione, come se mai non l'avesse punto sentita. Anzi
essendosi mutato l'ardore della tentazione in ardore di Spirito Santo,
però che s'era accostato al carbone affocato, cioè a frate Simone,
tutto diventò infiammato di Dio e del prossimo, intanto ch'essendo
preso una volta uno malfattore, a cui doveano essere tratti amenduni gli
occhi, costui, per compassione se ne andò arditamente al rettore in
pieno Consiglio, e con molte lagrime e prieghi divoti addomandò che a sé
fusse tratto un occhio, e al malfattore un altro, acciò ch'e' non
rimanesse privato d'amenduni. Ma veggendo il Rettore e il Consiglio il
grande fervore della carità di questo frate, si perdonarono all'uno e
all'altro. Standosi un dì il sopradetto frate Simone nella selva in
orazione e sentendo grande consolazione nell'anima sua, una schiera di
cornacchie con loro gridare gl'incominciarono a fare noia, di che egli
comandò loro nel nome di Gesù Cristo ch'elle si dovessono partire e
non tornarvi più. E partendosi allora li detti uccelli, da indi innanzi
non vi furono mai più veduti né uditi, né ivi né in tutta la
contrada d'intorno. E questo miracolo fu manifesto a tutta la custodia
di Fermo, nella quale era il detto luogo. A laude di Gesù Cristo e del
poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO QUARANTADUESIMO
Di belli miracoli che fece Iddio per li santi frati frate Bentivoglia,
frate Pietro da Monticello, frate Currado da Offida e come frate
Bentivoglia portò un lebbroso quindici miglia in pochissimo tempo, e
all'altro parlò santo Michele, e all'altro venne
la Vergine Maria
e puosegli il figliuolo in braccio. La provincia della Marca d'Ancona fu
anticamente, a modo che 'l cielo di stelle, adornata di santi ed
esemplari frati, li quali, a modo che luminari di cielo, hanno
alluminato e adornato l'Ordine di santo Francesco e il mondo con esempi
e con dottrina. Tra gli altri furono in prima frate Lucido Antico, lo
quale fu veramente lucente per santità e ardente per carità divina; la
cui gloriosa lingua, informata dallo Spirito Santo, facea maravigliosi
frutti in predicazione. Un altro fu frate Bentivoglia da Santo Severino,
il quale fu veduto da frate Masseo da San Severino essere levato in aria
per grande spazio istando egli in orazione nella selva; per lo quale
miracolo il devoto frate Masseo, essendo allora piovano, lasciato il
piovanato, fecesi frate Minore; e fu di tanta santità, che fece molti
miracoli in vita e in morte, ed è riposto il corpo suo a Murro. Il
sopraddetto frate Bentivoglia, dimorando una volta a Trave Bonanti solo,
a guardare e a servire a uno lebbroso, essendogli in comandamento del
Prelato di partirsi indi e andare a un altro luogo, lo quale era di
lungi quindici miglia, non volendo abbandonare quello lebbroso, con
grande fervore di carità sì lo prese e puoselosi in sulla ispalla e
portollo dall'aurora insino al levare del sole tutta quella via delle
quindici miglia infino al detto luogo, dov'egli era mandato, che si
chiamava Monte Sancino. Il quale viaggio, se fusse istato aquila, non
avrebbe potuto in così poco tempo volare: e di questo divino miracolo
fu grande istupore e ammirazione in tutto quello paese. Un altro fu
frate Pietro da Monticello, il quale fu veduto da frate Servodio da
Urbino (allora essendo guardiano nel luogo vecchio d'Ancona) levato da
terra corporalmente cinque ovvero sei braccia insino appiè dello
Crocifisso della chiesa, dinanzi al quale stava in orazione. E questo
frate Pietro, digiunando una volta la quaresima di santo Michele
Arcagnolo con grande divozione, e l'ultimo dì di quella quaresima
istandosi in chiesa in orazione, fu udito da un frate giovane, il quale
istudiosamente stava nascosto sotto l'altare maggiore per vedere qualche
atto della sua santità, e udito parlare con santo Michele Arcagnolo, e
le parole che diceano erano queste. Dicea santo Michele: "Frate
Pietro, tu ti se' affaticato fedelemente per me, e in molti modi hai
afflitto il tuo corpo; ecco io sono venuto a consolarti acciò che tu
domandi qualunque grazia tu vuogli, e io te la voglio impetrare da
Dio". Rispondea frate Pietro: "Santissimo Prencipe della
milizia celestiale e fedelissimo zelatore dello amore divino e pietoso
protettore delle anime, io t'addomando questa grazia, che tu mi impetri
da Dio la perdonanza delle miei peccati". Rispuose santo Michele:
"Chiedi altra grazia, ché questa t'accatterò io
agevolissimamente". E frate Pietro non domandando nessuna altra
cosa, l'Arcagnolo conchiuse: "Io, per la fede e divozione la quale
tu hai in me, ti procaccio cotesta grazia che tu addimandi e molte
altre". E compiuto il loro parlare, il quale durò per grande
spazio, l'Arcagnolo santo Michele si partì, lasciandolo sommamente
consolato. Al tempo di questo santo frate Pietro, fu il santo frate
Currado da Offida, il quale essendo insieme di famiglia nel luogo di
Forano della custodia d'Ancona, il detto frate Currado se ne andò un dì
nella selva a contemplare di Dio, e frate Pietro segretamente andò
dirietro a lui per vedere ciò che gli addivenisse. E frate Currado
cominciò a stare in orazione e pregare divotissimamente
la Vergine Maria
con grande pietà ch'ella gli accattasse questa grazia dal suo benedetto
Figliuolo, ch'egli sentisse un poco di quella dolcezza la quale sentì
santo Simeone il dì della Purificazione quand'egli portò in braccio
Gesù Salvatore benedetto. E fatta questa orazione, la misericordiosa
Vergine Maria lo esaudì: eccoti ch'apparve
la Reina
del cielo col suo Figliuolo benedetto in braccio, con grandissima
chiarità di lume; e appressandosi a frate Currado, sì gli puose in
braccio quello benedetto Figliuolo, il quale egli ricevendo,
divotissimamente abbracciandolo e baciandolo e strignendolosi al petto,
tutto si struggeva e risolveva in amore divino e inesplicabile
consolazione. E frate Pietro simigliantemente, il quale di nascosto
vedea ogni cosa, sentì nell'anima sua una grandissima dolcezza e
consolazione. E partendo
la Vergine Maria
da frate Currado, frate Pietro in fretta si ritornò al luogo, per non
essere veduto da lui; ma poiché quando frate Currado tornava tutto
allegro e giocondo, gli disse frate Pietro: "O cielico, grande
consolazione hai avuta oggi"; dicea frate Currado: "Che è
quello che tu dici, frate Pietro, e che sai tu quello che io m'abbia
avuto?". "Ben so io, ben so, dicea frate Pietro, come
la Vergine Maria
col suo benedetto figliuolo t'ha visitato". Allora frate Currado,
il quale come veramente umile desiderava d'essere segreto nelle grazie
di Dio, sì lo pregò che non lo dicesse a persona. E fu sì grande
l'amore d'allora innanzi tra loro due, che un cuore e una anima parea
che fusse infra loro in ogni cosa. E 'l detto frate Currado una volta,
nello luogo di Siruolo, con le sue orazioni liberò una femmina
indemoniata orando per lei tutta la notte e apparendo alla madre sua; e
la mattina si fuggì per non essere trovato e onorato dal popolo. A
laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO QUARANTATREESIMO
Come frate Currado da Offida convertì un frate giovane, molestando egli
gli altri frati. E come il detto frate giovane morendo, egli apparve al
detto frate Currado, pregandolo che orasse per lui. E come lo liberò
per la sua orazione delle pene grandissime del purgatorio. Il detto
frate Currado da Offida, mirabile zelatore della evangelica povertà e
della regola di santo Francesco, fu di sì religiosa vita e di sì
grande merito appo Iddio, che Cristo benedetto l'onorò, nella vita e
nella morte, di molti miracoli. Tra' quali una volta, essendo venuto al
luogo d'Offida forestiere, li frati il pregarono per l'amore di Dio e
della carità, ch'egli ammonisse uno frate giovane che era in quello
luogo, lo quale si portava sì fanciullescamente e disordinatamente e
dissolutamente, che li vecchi e li giovani di quella famiglia turbava
dello ufficio divino, e delle altre regolari osservanze o niente o poco
si curava. Di che frate Currado per compassione di quello giovane e per
li prieghi de' frati, chiamò un dì a sparte il detto giovane e in
fervore di carità gli disse sì efficaci e divote parole
d'ammaestramento che con la operazione della divina grazia colui
subitamente diventò, di fanciullo, vecchio di costumi e sì obbediente
e benigno e sollecito e divoto, e appresso sì pacifico e servente e a
ogni cosa virtuosa sì studioso, che come prima tutta la famiglia era
turbata per lui, così per lui tutti n'erano contenti e consolati e
fortemente l'amavano. Addivenne, come piacque a Dio, che pochi di poi
dopo questa sua conversione, il detto giovane si morì, di che li detti
frati si dolsono, e pochi di poi dopo la sua morte, l'anima sua apparve
a frate Currado, istandosi egli divotamente in orazione dinanzi allo
altare del detto convento, e sì lo saluta divotamente come padre; e
frate Currado il dimanda: "Chi se' tu?". Risponde: "Io
sono l'anima di quel frate giovane che morì in questi dì". E
frate Currado: "O figliuolo mio carissimo, che è di te?".
Risponde: "Padre carissimo, per la grazia di Dio e per la vostra
dottrina, ènne bene, però ch'io non sono dannato, ma per certi miei
peccati, li quali io non ebbi tempo di purgare sofficientemente,
sostegno grandissime pene di purgatorio; ma io priego te, padre, che,
come per la tua pietà mi soccorresti, quand'io ero vivo, così ora ti
piaccia di soccorrermi nelle mie pene, dicendo per me alcuno
paternostro, ché la tua orazione è molto accettevole nel cospetto di
Dio". Allora frate Currado, consentendo benignamente alle sue
preghiere e dicendo una volta il paternostro con requiem aeternam, disse
quella anima: "O padre carissimo, quanto bene e quanto refrigerio
io sento! Ora io ti priego, che tu lo dica un'altra volta". E frate
Currado il dice un'altra volta; e detto che l'ebbe, dice l'anima:
"Santo padre, quando tu ori per me, tutto mi sento alleviare; onde
io ti priego che tu non resti di orare per me". Allora frate
Currado, veggendo che quella anima era così aiutata con le sue
orazioni, si disse per lui cento paternostri, e compiuti che gli ebbe,
disse quell'anima: "Io ti ringrazio, padre carissimo, dalla parte
di Dio della carità che hai avuto verso di me, imperò che per la tua
orazione io sono liberato da tutte le pene e sì me ne vo al regno
celestiale". E detto questo, si part' quella anima. Allora frate
Currado, per dare allegrezza e conforto alli frati, loro recitò per
ordine tutta questa visione. A laude di Gesù Cristo e del poverello
Francesco. Amen.
CAPITOLO QUARANTAQUATTRESIMO
Come a frate Currado apparve la madre di Cristo e santo Giovanni
Vangelista e santo Francesco; e dissegli quale di loro portò più
dolore della passione di Cristo. Al tempo che dimoravano insieme nella
custodia d'Ancona, nel luogo di Forano, frate Currado e frate Pietro
sopraddetti (li quali erano due stelle lucenti nella provincia della
Marca e due uomini celestiali); imperciò che tra loro era tanto amore e
tanta carità che uno medesimo cuore e una medesima anima parea in loro
due, e' si legarono insieme a questo patto, che ogni consolazione, la
quale la misericordia di Dio facesse loro, eglino se la dovessino
insieme rivelare l'uno all'altro in carità. Fermato insieme questo
patto, addivenne che un dì istando frate Pietro in orazione e pensando
divotissimamente la passione di Cristo; e come
la Madre
di Cristo beatissima e Giovanni Evangelista dilettissimo discepolo e
santo Francesco erano dipinti appiè della croce, per dolore mentale
crocifissi con Cristo, gli venne desiderio di sapere quale di quelli tre
avea avuto maggior dolore della passione di Cristo, o
la Madre
la quale l'avea generato, o il discepolo il quale gli avea dormito sopra
il petto o santo Francesco il quale era con Cristo crocifisso. E stando
in questo divoto pensiero, gli apparve la vergine Maria con santo
Giovanni Vangelista e con santo Francesco, vestiti di nobilissimi
vestimenti di Gloria beata: ma già santo Francesco parea vestito di più
bella vista che santo Giovanni. E istando frate Pietro tutto ispaventato
di questa visione, santo Giovanni il confortò e dissegli: "Non
temere, carissimo frate, imperò che noi siamo venuti a consolarti e a
dichiararti del tuo dubbio. Sappi adunque che
la Madre
di Cristo ed io sopra ogni creatura ci dolemmo della passione di Cristo,
ma dopo noi santo Francesco n'ebbe maggiore dolore che nessuno altro, e
però tu lo vedi in tanta gloria". E frate Pietro il domanda:
"Santissimo Apostolo di Cristo, perché pare il vestimento di santo
Francesco più bello che'l tuo?". Risponde santo Giovanni: "La
cagione si è questa: imperò che, quando egli era nel mondo, egli portò
indosso più vili vestimenti che io". E dette queste parole, santo
Giovanni diede a frate Pietro uno vestimento glorioso il quale egli
portava in mano e dissegli: "Prendi questo vestimento, il quale io
sì ho arrecato per darloti". E volendo santo Giovanni vestirlo di
quello vestimento, e frate Pietro cadde in terra istupefatto e cominciò
a gridare: "Frate Currado, frate Currado carissimo, soccorrimi
tosto, vieni a vedere cose maravigliose!". E in queste parole,
questa santa visione sparve. Poi venendo frate Currado, sì gli disse
ogni cosa per ordine, e ringraziarono Iddio. A laude di Gesù Cristo e
del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO
Della conversione e vita e miracoli e morte del santo frate Giovanni
della Penna. Frate Giovanni dalla Penna essendo fanciullo e scolare
nella provincia della Marca, una notte gli apparve uno fanciullo
bellissimo e chiamollo dicendo: "Giovanni, va' a santo Stefano dove
predica uno de' miei frati, alla cui dottrina credi e alle sue parole
attendi, imperò che io ve l'ho mandato; e fatto ciò, tu hai a fare uno
grande viaggio e poi verrai a me". Di che costui immantenente si
levò su e sentì grande mutazione nell'anima sua. E andando a santo
Stefano, e' trovovvi una grande moltitudine di uomini e di donne che vi
stavano per udire la predica. E colui che vi dovea predicare era un
frate ch'avea nome frate Filippo, il quale era uno delli primi frati
ch'era venuto nella Marca d'Ancona, e ancora pochi luoghi erano presi
nella Marca. Monta su questo frate Filippo a predicare, e predica
divotissimamente non parole di sapienza umana, ma in virtù di spirito
santo di Cristo, annunziando il reame di vita eterna. E finita la
predica, il detto fanciullo se ne andò al detto frate Filippo, e
dissegli: "Padre, se vi piacesse di ricevermi all'Ordine, io
volentieri farei penitenza e servirei al nostro Signore Gesù
Cristo". Veggendo frate Filippo e conoscendo nel detto fanciullo
una maravigliosa innocenza e pronta volontà a servire a Dio, sì gli
disse: "Verrai a me cotale dì a Ricanati, e io ti farò
ricevere". Nel quale luogo si dovea fare Capitolo provinciale. Di
che il fanciullo, il quale era purissimo, si pensò che questo fusse il
grande viaggio che dovea fare, secondo la rivelazione ch'egli avea
avuto, e poi andarsene a paradiso; così credea fare, immantanente che
fusse ricevuto all'Ordine. Andò dunque e fu ricevuto, e veggendo che li
suoi pensieri non si adempievano allora, dicendo il ministro in Capitolo
che chiunque volesse andare nella provincia di Provenza, per lo merito
della santa obbidienza, egli gli darebbe la licenza; vennegli grande
desiderio di andarvi, pensando nel cuore suo che quello fusse il grande
viaggio che dovea fare inanzi ch'egli andasse a paradiso. Ma
vergognandosi di dirlo, finalmente confidandosi di frate Filippo
predetto, il quale l'avea fatto ricevere all'Ordine, sì lo pregò
caramente che gli accattasse quella grazia d'andare nella provincia di
Provenza. Allora frate Filippo veggendo la sua purità e la sua santa
intenzione, sì gli accattò quella licenza onde frate Giovanni con
grande letizia si mosse a andare, avendo questa opinione per certo che,
compiuta quella via, se ne andrebbe in paradiso. Ma come piacque a Dio,
egli stette nella detta provincia venticinque anni in questa
espettazione e disiderio, vivendo in grandissima onestà e santità ed
esemplarità, crescendo sempre in virtù e grazia di Dio e del popolo,
ed era sommamente amato da' frati e da' secolari. Istandosi un dì frate
Giovanni divotamente in orazione e piangendo e lamentandosi, perché il
suo desiderio non si adempieva e che 'l suo pellegrinaggio di cotesta
vita troppo si prolungava: gli apparve Cristo benedetto, al cui aspetto
l'anima sua fu tutta liquefatta, e dissegli Cristo: "Figliuolo
frate Giovanni, addomandami ciò che tu vuogli". Ed egli risponde:
"Signore mio, io non so che mi ti addimandare altro che te, però
ch'io non disidero nessuna altra cosa, ma di questo solo ti priego, che
tu mi perdoni tutti li miei peccati e diami grazia che' io ti veggia
un'altra volta quando n'arò maggiore bisogno". Disse Cristo:
"Esaudita è la tua orazione". E detto cotesto si partì, e
frate Giovanni rimase tutto consolato. Alla perfine, udendo li frati
della Marca la fama di sua santità, feciono tanto col Generale, che gli
mandò la obbedienza di tornare nella Marca, la quale obbedienza
ricevendo egli lietamente, sì si mise in cammino, pensando che,
compiuta quella via, se ne dovesse andare in cielo, secondo la promessa
di Cristo. Ma tornato ch'egli fu alla provincia della Marca, vivette in
essa trenta anni, e non era riconosciuto da nessuno suo parente, ed ogni
dì aspettava la misericordia di Dio, ch'egli gli adempiesse la
promessa. E in questo tempo fece più volte l'ufficio della guardiania
con grande discrezione, e Iddio per lui adoperò molti miracoli. E tra
gli altri doni, ch'egli ebbe da Dio, ebbe spirito di profezia; onde una
volta, andando egli fuori del luogo, uno suo novizio fu combattuto dal
demonio e sì forte tentato, che egli acconsentendo alla tentazione,
diliberò in se medesimo d'uscire dell'Ordine, sì tosto come frate
Giovanni fusse tornato di fuori: la quale tentazione e deliberazione
conoscendo frate Giovanni per ispirito di profezia, immantanente ritorna
a casa e chiama a sé il detto novizio, e dice che vuole che si
confessi. Ma in prima ch'egli si confessi, sì gli recitò per ordine
tutta la sua tentazione, secondo che Iddio gli aveva rivelato, e
conchiuse: "Figliuolo, imperò che tu m'aspettasti e non ti volesti
partire sanza la mia benedizione, Iddio t'ha fatta questa grazia, che
giammai di questo Ordine tu non uscirai ma morrai nell'Ordine, colla
divina grazia". Allora il detto novizio fu confermato in buona
volontà e rimanendo nell'Ordine diventò uno santo frate. E tutte
queste cose recitò a me frate Ugolino. Il detto frate Giovanni, il
quale era uomo con animo allegro e riposato e rade volte parlava, ed era
uomo di grande orazione e divozione e spezialmente dopo il mattutino mai
non tornava alla cella, ma istava in chiesa per insino a dì in
orazione; stando egli una notte dopo il mattutino in orazione, sì gli
apparve l'Agnolo di Dio e dissegli: "Frate Giovanni, egli è
compiuta la via tua, la quale tu hai tanto tempo aspettata; e però io
t'annunzio dalla parte di Dio che tu addimandi qual grazia tu vuogli. Ed
anche t'annunzio che tu elegga quale tu vuogli, o uno dì in purgatorio,
o vuogli sette dì di pene in questo mondo". Ed eleggendo piuttosto
frate Giovanni li sette dì di pene di questo mondo, subitamente egli
infermò di diverse infermità, ché gli prese la febbre forte, e le
gotte nelle mani e nelli piedi, e 'l mal del fianco e molti altri mali:
ma quello che peggio gli facea si era ch'uno demonio gli stava dinanzi e
tenea in mano una grande carta iscritta di tutti li peccati ch'egli avea
mai fatti o pensati e diceagli: "Per questi peccati che tu hai
fatti col pensiero e con la lingua e con le operazioni, tu se' dannato
nel profondo dello inferno". Ed egli non si ricordava di nessuno
bene ch'egli avesse mai fatto, né che fusse nell'Ordine, né che mai vi
fosse stato, ma così si pensava d'essere dannato, come il demonio gli
dicea. Onde quando egli era domandato com'egli stesse, rispondea:
"Male, però che io sono dannato". Veggendo questo i frati, sì
mandarono per uno frate antico ch'avea nome frate Matteo da Monte
Robbiano, il quale era uno santo uomo e molto amico di questo frate
Giovanni. E giunto il detto frate Matteo a costui il settimo dì della
sua tribulazione, salutollo o domandollo com'egli stava. Rispuose, ched
egli stava male, perch'egli era dannato. Allora disse frate Matteo:
"Non ti ricordi tu, che tu ti se' molte volte confessato da me, ed
io t'ho interamente assolto di tutti i tuoi peccati? Non ti ricordi tu
ancora che tu hai servito sempre a Dio in questo santo Ordine molti
anni? Appresso, non ti ricordi tu che la misericordia di Dio eccede
tutti i peccati del mondo, e che Cristo benedetto nostro Salvatore pagò,
per noi ricomperare infinito prezzo? E però abbi buona isperanza, ché
per certo tu se' salvo". E in questo dire, imperò ch'egli era
compiuto il termine della sua purgazione, si partì la tentazione e
venne la consolazione. E con grande letizia disse frate Giovanni a frate
Matteo: "Imperò che tu se' affaticato e l'ora è tarda, io ti
priego che tu vada a posarti". E frate Matteo non lo volea
lasciare; ma pure finalmente, a grande sua istanza, si partì da lui ed
andossi a posare. E frate Giovanni rimase solo col frate che 'l serviva.
Ed ecco Cristo benedetto viene con grandissimo splendore e con eccessiva
soavità d'odore, secondo ch'egli gli avea promesso d'apparirgli
un'altra volta, cioè quando n'avesse maggior bisogno e sì lo sanò
perfettamente da ogni sua infermità. Allora frate Giovanni con le mani
giunte, ringraziando Iddio, che con ottimo fine avea terminato il suo
grande viaggio della presente misera vita, e nelle mani di Cristo
raccomandò e rendette l'anima sua a Dio, passando di questa vita
mortale a vita eterna con Cristo benedetto, il quale egli con si lungo
tempo avea disiderato e aspettato di vedere. Ed è riposto il detto
frate Giovanni nel luogo della Penna di Santo Giovanni. A laude di Gesù
Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO QUARANTASEIESIMO
Come frate Pacifico, istando in orazione, vide l'ariima di frate Umile
suo fratello andare in cielo. Nella detta provincia della Marca, dopo la
morte di santo Francesco, furono due fratelli nell'Ordine, l'uno ebbe
nome frate Umile e l'altro ebbe nome frate Pacifico; li quali furono
uomini di grandissima santità e perfezione: e l'uno, cioè frate Umile,
stava in nel luogo di Soffiano ed ivi si morì, e l'altro istava di
famiglia in uno altro luogo assai lungi da lui. Come piacque a Dio, un dì
frate Pacifico, istando in orazione in luogo solitario, fu ratto in
estasi e vide l'anima del suo fratello Umile andare in cielo diritta,
sanza altra ritenzione o impedimento; la quale allora si partia del
corpo. Avvenne che poi, dopo molti anni questo frate Pacifico che
rimase, fu posto di famiglia nel detto luogo di Soffiano, dove il suo
fratello era morto. In questo tempo li frati, a petizione de' signori di
Bruforte, mutarono il detto luogo in un altro; di che, tra l'altre cose,
eglino traslatarono le reliquie de' santi frati ch'erano morti in quello
luogo. E venendo dalla sepoltura di frate Umile, il suo fratello frate
Pacifico sì prese l'ossa sue e sì le lavò con buono vino e poi le
rinvolse in una tovaglia bianca e con grande reverenza e divozione le
baciava e piagneva; di che gli altri frati si maravigliavano e non
aveano di lui buono esempio, imperò che essendo egli uomo di grande
santità, parea che per amore sensuale e secolare egli piagnesse il suo
fratello, e che più divozione egli mostrasse alle sue reliquie che a
quelle degli altri frati ch'erano stati non di minore santità che frate
Umile, ed erano degne di reverenza quanto le sue. E conoscendo frate
Pacifico la sinistra immaginazione de' frati soddisfece loro umilmente e
disse: "Frati miei carissimi, non vi maravigliate se alle ossa del
mio fratello io ho fatto quello che non ho fatto alle altre; imperò
che, benedetto sia Iddio, e' non mi ha tratto, come voi credete, amore
carnale; ma ho fatto così, però che quando il mio fratello passò di
questa vita, orando io in luogo diserto e remoto da lui, vidi l'anima
sua per diritta via salire in cielo; e però io son certo che le sue
ossa sono sante e debbono essere in paradiso. E se Iddio m'avesse
conceduta tanta certezza degli altri frati, quella medesima reverenza
avrei fatta alle ossa loro". Per la quale cosa li frati, veggendo
la sua santa e divota intenzione, furono da lui bene edificati e
laudarono Iddio, il quale fa così maravigliose cose a' santi suoi
frati. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO QUARANTASETTESIMO
Di quello santo frate a cui
la Madre
di Cristo apparve, quando era infermo, ed arrecogli tre bossoli di
lattovaro. Nel soprannominato luogo di Soffiano fu anticamente un frate
Minore di sì grande santità e grazia, che tutto parea divino e spesse
volte era ratto in Dio. Istando alcuna volta questo frate tutto assorto
in Dio ed elevato, però ch'avea notabilmente la grazia della
contemplazione, veniano a lui uccelli di diverse maniere e
dimesticamente si posavano sopra le sue spalle e sopra il capo e in
sulle mani, e cantavano meravigliosamente. Era costui molto solitario e
rade volte parlava, ma quando era domandato di cosa veruna, rispondea sì
graziosamente e sì saviamente che parea piuttosto agnolo che uomo, ed
era di grandissima orazione e contemplazione, e li frati l'aveano in
grande reverenza. Compiendo questo frate il corso della sua virtuosa
vita, secondo la divina disposizione infermò a morte, intanto che
nessuna cosa potea prendere, e con questo non volea ricevere medicina
nessuna carnale, ma tutta la sua confidenza era nel medico celestiale
Gesù Cristo benedetto e nella sua benedetta Madre; dalla quale egli
meritò per divina clemenza d'essere misericordiosamente visitato e
medicato. Onde standos'egli una volta in sul letto disponendosi alla
morte con tutto il cuore e con tutta la divozione, gli apparve la
gloriosa vergine Maria madre di Cristo, con grandissima moltitudine
d'agnoli e di sante vergini, con maraviglioso splendore, e appressossi
al letto suo. Ond'egli ragguardandola prese grandissimo conforto e
allegrezza, quanto all'anima e quanto al corpo, e cominciolla a pregare
umilmente ched ella prieghi il suo diletto Figliuolo che per li suoi
meriti il tragga della prigione della misera carne. E perseverando in
questo priego con molte lagrime, la vergine Maria gli rispuose
chiamandolo per nome: "Non dubitare, figliuolo, imperò ch'egli è
esaudito il tuo priego, e io sono venuta per confortarti un poco,
innanzi che tu ti parta di questa vita". Erano allato alla vergine
Maria tre sante vergini, le quali portavano in mano tre bossoli di
lattovaro di smisurato odore e suavità. Allora
la Vergine
gloriosa prese e aperse uno di quelli bossoli, e tutta la casa fu
ripiena d'odore; e prendendo con uno cucchiaio di quello lattovaro, il
diede allo infermo, il quale sì tosto come l'ebbe assaggiato, lo
infermo sentì tanto conforto e tanta dolcezza, che l'anima sua non
parea che potesse stare nel corpo; ond'egli incominciò a dire:
"Non più, o santissima Madre vergine benedetta, o medica benedetta
e salvatrice della umana generazione; non più, ch'io non posso
sostenere tanta suavità". Ma la pietosa e benigna Madre pure
porgendo ispesso di quello lattovaro allo infermo e facendogliene
prendere, votò tutto il bossolo. Poi, votato il primo bossolo,
la Vergine
beata prende il secondo e mettevi dentro il cucchiaio per dargliene; di
che costui dolcemente si rammarica dicendo: "O beatissima Madre di
Dio, o se l'anima mia è quasi tutta liquefatta per l'odore e suavità
del primo lattovaro, come potrò io sostenere il secondo? Io ti priego,
benedetta sopra tutti li santi e sopra tutti gli agnoli, che tu non me
ne vogli più dare". Risponde la gloriosa donna: "Assaggia,
figliuolo, pure un poco di questo secondo bossolo". E dandogliene
un poco dissegli: "Oggimai, figliuolo, tu ne hai tanto che ti può
bastare. Confortati, figliuolo, che tosto verrò per te e menerotti al
reame del mio Figliuolo, il quale tu hai sempre desiderato e
cercato". E detto questo, accomiatandosi da lui si partì, ed egli
rimase sì consolato e confortato per la dolcezza di questo confetto,
che per più dì sopravvivette sazio e forte senza cibo nessuno
corporale. E dopo alquanti dì, allegramente parlando co' frati, con
grande letizia e giubilo passò di questa misera vita. A laude di Gesù
Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO QUARANTOTTESIMO
Come frate Iacopo dalla Massa vide in visione tutti i frati Minori del
mondo, in visione di uno arbore, e conobbe la virtù e li meriti e li
vizi di ciascuno. Frate Iacopo della Massa, al quale Iddio aperse
l'uscio delli suoi segreti e diedegli perfetta scienza e intelligenza
della divina Scrittura e delle cose future, fu di tanta santità, che
frate Egidio da Sciesi e frate Marco da Montino e frate Ginepro e frate
Lucido dissono di lui che non ne conoscieno nessuno nel mondo appo Dio
maggiore che questo frate Iacopo. Io gli ebbi grande desiderio di
vederlo, imperò che pregando io certe cose di spirito, egli mi disse:
"Se tu vuogli essere bene informato nella vita spirituale,
procaccia di parlare con frate Iacopo della Massa, imperò che frate
Egidio disiderava di essere alluminato da lui, e alle sue parole non si
può aggiugnere né scemare; imperò che la mente sua è passata a'
segreti celestiali e le parole sue sono parole dello Spirito Santo, e
non è uomo sopra la terra ch'io tanto disideri di vedere". Questo
frate Iacopo, nel principio del ministero di frate Giovanni da Parma
orando una volta fu ratto in Dio e stette tre dì in questo ratto in
estasi, sospeso da ogni sentimento corporale, e istette sì insensibile,
che i frati dubitavano che non fusse morto. E in questo ratto gli fu
rivelato da Dio ciò che dovea essere e addivenire intorno alla nostra
religione; per la qual cosa, quando l'udii, mi crebbe il disiderio di
udirlo e di parlare con lui. E quando piacque a Dio ch'io avessi agio di
parlargli, io il priegai in cotesto modo: "Se vero è questo ch'io
ho udito dire di te, io ti priego che tu non me lo tenga celato. Io ho
udito che, quando tu istesti tre dì quasi morto, tra l'altre cose che
Dio ti rivelò fu ciò che dovea addivenire in questa nostra religione,
e questo ha avuto a dire frate Matteo ministro della Marca, al quale tu
lo rivelasti per obbedienza". Allora frate Iacopo con grande umiltà
gli concedette che quello che dicea frate Matteo era vero. Il dire suo,
cioè del detto frate Matteo ministro della Marca, era questo: "Io
so di frate Iacopo al quale Iddio ha rivelato ciò che addiverrà nella
nostra religione, imperò che frate Iacopo dalla Massa m'ha manifestato
e detto che, dopo molte cose che Iddio gli rivelò nello stato della
Chiesa militante, egli vide in visione un arbore bello e grande molto,
la cui radice era d'oro, li frutti suoi erano uomini e tutti erano frati
Minori. Li rami suoi principali erano distinti secondo il numero delle
provincie dell'Ordine, e ciascuno ramo avea tanti frati, quanti v'erano
nella provincia improntata in quello ramo: e allora egli seppe il numero
di tutti li frati dell'Ordine e di ciascuna provincia, e anche li nomi
loro e l'età e le condizioni e gli uffici grandi e le dignità e le
grazie di tutti e le colpe. E vide frate Giovanni da Parma nel più alto
luogo del ramo di mezzo di questo arbore; e nelle vette de' rami,
ch'erano d'intorno a questo ramo di mezzo istavano li ministri di tutte
le provincie. E dopo questo vide Cristo sedere su in uno trono
grandissimo e candido, il quale Cristo chiamava santo Francesco, e
davagli uno calice pieno di spirito di vita e mandavalo dicendo:
"Va' e visita li frati tuoi, e da' loro bere di questo calice dello
spirito della vita, imperò che lo ispirito di Satana si leverà contro
a loro e percoteragli, e molti di loro cadranno e non si
rileveranno". E diede Cristo a santo Francesco due Agnoli che lo
accompagnassono. E allora venne santo Francesco a porgere il calice
della vita alli suoi frati, e cominciò a porgerlo a frate Giovanni, il
quale prendendolo il bevette tutto quanto in fretta e divotamente, e
subitamente diventò tutto luminoso come il sole. E dopo lui
seguentemente santo Francesco il porgeva a tutti gli altri, e pochi ve
n'erano di questi che con debita reverenza e divozione il prendessino e
bevessino tutto. Quelli che 'l prendeano divotamente e beveanlo tutto,
di subito diventavano isplendidi come il sole; e questi che tutto il
versavano e non lo prendeano con divozione diventavano neri e oscuri e
isformati a vedere e orribili, quelli che parte ne beveano e parte ne
versavano, diventavano parte luminosi e parte tenebrosi, e più e meno
secondo la misura del bere e del versare. Ma sopra tutti gli altri, il
sopradetto frate Giovanni era risplendente, il quale più compiutamente
avea bevuto il calice della vita, per lo quale egli avea più
profondamente contemplato l'abisso della infinita luce divina, e in essa
avea inteso l'avversità e la tempesta la quale si dovea levare contra
la detta arbore, e crollare e commuovere i suoi rami. Per la qual cosa
il detto frate Giovanni si parte dalla cima del ramo nel quale egli
stava e, discendendo di sotto a tutti li rami, si nascose in sul sodo
dello stipite dello arbore e stavasi tutto pensoso. E frate Bonaventura,
il quale avea parte preso del calice e parte n'avea versato, salì in
quello ramo e in quello luogo onde era disceso frate Giovanni. E stando
nel detto luogo, sì gli diventarono l'unghie delle mani unghie di ferro
aguzzate e taglienti come rasoi: di che egli si mosse di quello luogo
dov'egli era salito, e con empito e furore volea gittarsi contro al
detto frate Giovanni per nuocergli. Ma frate Giovanni, veggendo questo,
gridò forte e raccomandossi a Cristo, il quale sedea nel trono: e
Cristo al grido suo chiamò santo Francesco e diegli una pietra focaia
tagliente e dissegli: "Va' con questa pietra e taglia l'unghie di
frate Bonaventura, con le quali egli sì vuole graffiare frate Giovanni,
sicché egli non gli possa nuocere". Allora santo Francesco venne e
fece siccome Cristo gli avea comandato. E fatto questo, sì venne una
tempesta di vento e percosse nello arbore così forte, che li frati ne
cadeano a terra, e prima ne cadeano quelli che aveano versato tutto il
calice dello spirito della vita, ed erano portati dalli demoni in luoghi
tenebrosi e penosi. Ma il detto frate Giovanni, insieme con gli altri
che aveano bevuto tutto il calice, furono traslatati dagli Agnoli in
luogo di vita e di lume eterno e di splendore beato. E sì intendea e
discernea il sopradetto frate Iacopo, che vedea la visione,
particolarmente e distintamente ciò che vedea, quanto a' nomi e
condizioni e stati di ciascheduno chiaramente. E tanto bastò quella
tempesta contro allo arbore, ch'ella cadde e il vento ne la portò. E
poi, immantanente che cessò la tempesta, della radice di questo arbore,
ch'era d'oro, uscì un altro arbore tutto d'oro, lo quale produsse
foglie e fiori e frutti orati. Del quale arbore e della sua dilatazione,
profondità, bellezza e odore e virtù, è meglio a tacere che di ciò
dire al presente. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.
Amen.
CAPITOLO QUARANTANOVESIMO
Come Cristo apparve a frate Giovanni della Vernia. Fra gli altri frati e
santi frati e figliuoli di santo Francesco, i quali, secondo che dice
Salomone, sono la gloria del padre, fu a' nostri tempi nella detta
provincia della Marca il venerabile e santo frate Giovanni da Fermo, il
quale, per lo grande tempo che dimorò nel santo luogo della Vernia ed
ivi passò di questa vita, si chiamava pure frate Giovanni della Vernia;
però che fu uomo di singulare vita e di grande santità. Questo frate
Giovanni, essendo fanciullo secolare, disiderava con tutto il cuore la
via della penitenza, la quale mantiene la mondizia del corpo e
dell'anima; onde, essendo ben piccolo fanciullo, egli cominciò a
portare il coretto di maglia e 'l cerchio di ferro alle carni e fare
grande astinenza; e spezialmente quando dimorava con li canonici di
santo Pietro di Fermo, li quali viveano splendidamente, egli fuggia le
dilizie corporali e macerava lo corpo suo con grande rigidità
d'astinenza. Ma avendo in ciò i compagni molto contrari, li quali gli
spogliavano il coretto e la sua astinenza in diversi modi impedivano; ed
egli inspirato da Dio pensò di lasciare il mondo con li suoi amadori, e
offerire sé tutto nelle braccia del Crocifisso, coll'abito del
crocifisso santo Francesco. E così fece. Ed essendo ricevuto all'Ordine
così fanciullo e commesso alla cura del maestro delli novizi, egli
diventò sì ispirituale e divoto, che alcuna volta udendo il detto
maestro parlare di Dio, il cuore suo si struggea siccome la cera presso
al fuoco; e con così grande suavità di grazia sì si riscaldava nello
amore divino, ched egli, non potendo istare fermo a sostenere tanta
suavità, si levava e come ebbro di spirito si scorrea ora per l'orto,
or per la selva or per la chiesa secondo che la fiamma e l'empito dello
spirito il sospignea. Poi in processo di tempo la divina grazia
continovamente fece questo angelico uomo crescere di virtù in virtù e
in doni celestiali e divine elevazioni e ratti, in tanto che alcuna
volta la mente era levata agli splendori de' Cherubini, alcuna volta
agli ardori de' Serafini, alcuna volta a' gaudii de' Beati, alcuna volta
ad amorosi ed eccessivi abbracciamenti di Cristo, non solamente per
gusti ispirituali dentro ma eziandio per espressi segni di fuori e gusti
corporali. E singularmente per eccessivo modo una volta accese il suo
cuore la fiamma del divino amore, e durò in lui cotesta fiamma ben tre
anni; nel quale tempo egli ricevea maravigliose consolazioni e
visitazioni divine e ispesse volte era ratto in Dio, e brievemente nel
detto tempo egli parea tutto affocato e acceso dello amore di Cristo. E
questo fu in sul monte santo della Vernia. Ma imperò che Iddio ha
singolare cura de' suoi figliuoli, dando loro, secondo i diversi tempi,
ora consolazione, ora tribolazione ora prosperità, ora avversità,
siccome e' vede ch'abbisogna loro a mantenersi in umiltà, ovvero per
accendere più il loro desiderio alle cose celestiali; piacque alla
divina bontà, dopo li tre anni, sottrarre dello detto frate Giovanni
questo raggio e questa fiamma del divino amore, e privollo d'ogni
consolazione spirituale: di che frate Giovanni rimase sanza lume e sanza
amore di Dio e tutto sconsolato e afflitto e addolorato. Per la qual
cosa egli così angoscioso se ne andava per la selva discorrendo in qua
e in là, chiamando con voce e con pianti e con sospiri il diletto
isposo dell'anima sua, il quale s'era nascosto e partito da lui, e sanza
la cui presenza l'anima sua non trovava requie né riposo; ma in nessun
luogo né in nessun modo egli potea ritrovare il dolce Gesù, né
rabbattersi a quelli soavissimi gusti ispirituali dello amore di Cristo,
come gli era usato. E durogli questa cotale tribulazione per molti dì,
nelli quali egli perseverò in continovo piagnere e in sospirare e in
pregare Iddio che gli rendesse per la sua pietà il diletto isposo
dell'anima sua. Alla perfine, quando piacque a Dio d'avere provato assai
la sua pazienza e acceso il suo desiderio, un dì che frate Giovanni,
s'andava per la detta selva così afflitto e tribolato, per lassezza si
puose a sedere accostandosi ad uno faggio, e stava colla faccia tutta
bagnata di lagrime guatando inverso il cielo, ecco subitamente apparve
Gesù Cristo presso a lui nel viottolo onde esso frate Giovanni era
venuto ma non dicea nulla. Veggendolo frate Giovanni e riconoscendolo
bene che egli era Cristo, subitamente se gli gittò a' piedi e con
ismisurato pianto il pregava umilissimamente e dicea: "Soccorrimi,
Signore mio, ché sanza te, salvatore mio dolcissimo, io sto in tenebre
e in pianto; e sanza te, Agnello mansuetissimo, io sto in angoscie e in
pene e in paura; sanza te, Figliuolo di Dio altissimo, io sto in
confusione e in vergogna; sanza te io sono ispogliato d'ogni bene ed
accecato, imperò che tu se' Gesù Cristo, vera luce delle anime; sanza
te io sono perduto e dannato, imperò che tu se' vita delle anime e vita
delle vite, sanza te io sono sterile e arido, però che tu se' fontana
d'ogni dono e d'ogni grazia; e sanza te io sono al tutto isconsolato;
però che tu se' Gesù nostra redenzione, amore e disiderio, pane
confortativo e vino che rallegri i cuori degli Agnoli e i cuori di tutti
i Santi. Allumina me, maestro graziosissimo e pastore piatosissimo imperò
ch'io sono tua pecorella, benché indegna sia". Ma perché il
desiderio dei santi uomini, il quale Iddio indugia ad esaudire, sì li
accende a maggiore amore e merito, Cristo benedetto si parte sanza
esaudirlo e sanza parlargli niente, e vassene per lo detto viottolo.
Allora frate Giovanni si leva suso e corregli dietro e da capo gli si
gitta a' piedi, e con una santa importunità sì lo ritiene e con
divotissime lagrime il priega e dice: "O Gesù Cristo dolcissimo,
abbi misericordia di me tribolato. Esaudiscimi per la moltitudine della
tua misericordia e per la verità della tua salute, e rendimi la letizia
della faccia tua e del tuo piatoso sguardo, imperò che della tua
misericordia è piena tutta la terra". E Cristo ancora si parte e
non gli parla niente, nè gli dà veruna consolazione; e fa a modo che
la madre al fanciullo quando lo fa bramare la poppa, e fasselo venire
dietro piangendo, acciò ch'egli la prenda poi più volentieri. Di che
frate Giovanni ancora con maggiore fervore e disiderio seguita Cristo; e
giunto che egli fu a lui, Cristo benedetto si rivolge a lui e
riguardollo col viso allegro e grazioso, e aprendo le sue santissime e
misericordiosissime braccia sì lo abbracciò dolcissimamente: e in
quello aprire delle braccia vide frate Giovanni uscire dal sacratissimo
petto del Salvatore raggi di luce isplendenti, i quali alluminavano
tutta la selva ed eziandio lui nell'anima e nel corpo. Allora frate
Giovanni s'inginocchiò a' piedi di Cristo; e Gesù benedetto a modo che
alla Maddalena, gli porse il piede benignamente a baciare, e frate
Giovanni, prendendolo con somma riverenza, il bagnò di tante lagrime
che veramente egli parea un'altra Maddalena, e sì dicea divotamente:
"Io ti priego, Signore mio, che tu non ragguardi alli miei peccati,
ma per la tua santissima passione e per la isparsione del tuo santissimo
sangue prezioso, resuscita l'anima mia nella grazia del tuo amore, con
ciò sia cosa che questo sia il tuo comandamento, che noi ti amiamo con
tutto il cuore e con tutto l'affetto; il quale comandamento nessuno può
adempiere sanza il tuo aiuto. Aiutami dunque, amantissimo Figliuolo di
Dio, sì ch'io ami te con tutto il mio cuore e con tutte le mie
forze". E stando così frate Giovanni in questo parlare ai pie' di
Cristo, fu da lui esaudito e riebbe da lui la prima grazia, cioè della
fiamma del divino amore, e tutto si sentì rinnovato e consolato; e
conoscendo il dono della divina grazia essere ritornato in lui, Sì
cominciò a ringraziare Cristo benedetto e a baciare divotamente li suoi
piedi. E poi rizzandosi per riguardare Cristo in faccia, Gesù gli stese
e porse le sue mani santissime a baciare, e baciate che frate Giovanni
l'ebbe, sì si appressò e accostò al petto di Gesù e abbracciollo e
baciollo, e Cristo similemente abbracciò e baciò lui. E in questo
abbracciare e baciare, frate Giovanni sentì tanto odore divino, che se
tutte le spezie odorifere e tutte le cose odorose del mondo fossono
istate raunate insieme, sarebbono parute uno puzzo a comparazione di
quello odore; e in esso frate Giovanni fu ratto e consolato e
illuminato, e durogli quell'odore nell'anima sua molti mesi. E d'allora
innanzi della sua bocca, abbeverata alla fonte della divina sapienza nel
sacrato petto del Salvatore, uscivano parole maravigliose e celestiali,
le quali mutavano li cuori, che 'n chi l'udiva facevano grande frutto
all'anima. E nel viottolo della selva, nel quale stettono i benedetti
piedi di Cristo, e per buono spazio d'intorno, sentia frate Giovanni
quello odore e vedea quello isplendore sempre, quando v'andava ivi a
grande tempo poi. Ritornando in sé poi frate Giovanni dopo quel ratto e
disparendo la presenza corporale di Cristo, egli rimase così illuminato
nell'anima, nello abisso della sua divinità, che bene che non fosse
uomo litterato per umano studio, nientedimeno egli maravigliosamente
solvea e dichiarava le sottilissime quistioni ed alte della Trinità
divina e li profondi misteri della santa Iscrittura. E molte volte poi
parlando dinanzi al Papa e i cardinali e re e baroni e a' maestri e
dottori, tutti li mettea in grande stupore per le alte parole e
profondissime sentenze che dicea. A laude di Gesù Cristo e del
poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO CINQUANTESIMO
Come dicendo messa il dì de' morti, frate Giovanni della Vernia vide
molte anime liberate del purgatorio. Dicendo una volta il detto frate
Giovanni la messa il dì dopo Ognissanti per tutte l'anime de' morti,
secondo che
la Chiesa
ha ordinato, offerse con tanto affetto di carità e con tanta piatà di
compassione quello altissimo Sacramento (che per la sua efficacia
l'anime de' morti desiderano sopra tutti gli altri beni che sopra tutto
a loro si possono fare) ch'egli parea tutto che si struggesse per
dolcezza di pietà e carità fraterna. Per la qual cosa in quella messa
levando divotamente il corpo di Cristo e offerendolo a Dio Padre e
pregandolo che per amore del suo benedetto figliuolo Gesù Cristo, il
quale per ricomperare le anime era penduto in croce, gli piacesse
liberare delle pene del purgatorio l'anime de' morti da lui create e
ricomperate; immantanente egli vide quasi infinite anime uscire di
purgatorio, a modo che faville di fuoco innumerabili ch'uscissono d'una
fornace accesa, e videle salire in cielo per li meriti della passione di
Cristo, il quale ognindì è offerto per li vivi e per li morti in
quella sacratissima ostia, degna d'essere adorata in secula seculorum. A
laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO CINQUANTUNESIMO
Del santo frate Iacopo da Fallerone; e come, poi che morì apparve a
frate Giovanni della Vernia. Al tempo che frate Iacopo da Fallerone,
uomo di grande santità, era gravemente infermo nel luogo di Molliano
nella custodia di Fermo; frate Giovanni della Vernia, il quale dimorava
allora al luogo della Massa, udendo della sua infermità, imperò che lo
amava come suo caro padre, si puose in orazione per lui pregando Iddio
divotamente con orazione mentale ch'al detto frate Iacopo rendesse sanità
del corpo, se fusse il meglio dell'anima. E istando in questa divota
orazione, fu ratto in estasi e vide in aria un grande esercito d'Agnoli
e Santi sopra la cella sua, ch'era nella selva, con tanto splendore, che
tutta la contrada dintorno n'era illuminata. E fra questi Agnoli vide
questo frate Iacopo infermo, per cui egli pregava, istare in vestimenti
candidi tutto risplendiente. Vide ancora tra loro il padre beato santo
Francesco adornato delle sacre Istimate di Cristo e di molta gloria.
Videvi ancora e riconobbevi frate Lucido santo, e frate Matteo antico
dal monte Rubbiano e più altri frati, li quali non avea mai veduti né
conosciuti in questa vita. E ragguardando così frate Giovanni con
grande diletto quella beata schiera di Santi, sì gli fu rivelata di
certo la salvazione dell'anima del detto frate infermo, e che di quella
infermità dovea morire, ma non così di subito, e dopo la morte dovea
andare a paradiso, però che convenia un poco purgarsi in purgatorio.
Della quale rivelazione il detto frate Giovanni aveva tanta allegrezza
per la salute della anima, che della morte del corpo non si sentia
niente, ma con grande dolcezza di spirito il chiamava tra se medesimo
dicendo: "Frate Iacopo, dolce padre mio; frate Iacopo, dolce mio
fratello; frate Iacopo, fedelissimo servo e amico di Dio; frate Iacopo,
compagno degli Agnoli e consorto de' Beati". E così in questa
certezza e gaudio ritornò in sé, e incontanente si partì dal luogo e
andò a visitare il detto frate Iacopo a Molliano. E trovandolo sì
gravato che appena potea parlare, sì gli annunziò la morte del corpo e
la salute e gloria dell'anima, secondo la certezza che ne aveva per la
divina rivelazione, di che frate Iacopo tutto rallegrato nello animo e
nella faccia, lo ricevette con grande letizia e con giocondo riso,
ringraziandolo delle buone novelle che gli apportava e raccomandandosi a
lui divotamente. Allora frate Giovanni il pregò caramente che dopo la
morte sua dovesse tornare a lui a parlargli del suo stato; e frate
Iacopo glielo promise, se piacesse a Dio. E dette queste parole,
appressandosi l'ora del suo passamento, frate Iacopo cominciò a dire
divotamente quello verso del salmo: In pace in idipsum dormiam et
requiescam, cioè a dire: "In pace in vita eterna m'addormenterò e
riposerò"; e detto questo verso, con gioconda e lieta faccia passò
di questa vita. E poi che fu soppellito, frate Giovanni si tornò al
luogo della Massa e aspettava la promessa di frate Iacopo, che tornasse
a lui il di ch'avea detto. Ma il detto dì orando egli, gli apparve
Cristo con grande compagnia d'Agnoli e Santi, tra li quali non era frate
Iacopo; onde frate Giovanni, maravigliandosi molto, raccomandollo a
Cristo divotamente. Poi il dì seguente, orando frate Giovanni nella
selva, gli apparve frate Iacopo accompagnato dagli Agnoli, tutto
glorioso e tutto lieto, e dissegli frate Giovanni: "O padre
carissimo, perché non se' tu tornato a me il dì che tu mi
promettesti?". Rispuose frate Iacopo: "Però ch'io avevo
bisogno d'alcuna purgazione; ma in quella medesima ora che Cristo
t'apparve e tu me gli raccomandasti, Cristo te esaudì e me liberò
d'ogni pena. E allora io apparii a frate Iacopo della Massa, laico
santo, il quale serviva messa e vide l'ostia consecrata, quando il prete
la levò, convertita e mutata in forma d'uno fanciullo vivo bellissimo,
e dissigli: "Oggi con quello fanciullo me ne vo al reame di vita
eterna, al quale nessuno puote andare sanza lui". E dette queste
parole, frate Iacopo sparì e andossene in cielo con tutta quella beata
compagnia degli Agnoli; e frate Giovanni rimase molto consolato. Morì
il detto frate Iacopo da Fallerone la vigilia di santo Iacopo apostolo
nel mese di luglio, nel sopradetto luogo di Molliano, nel quale per li
suoi meriti la divina bontà adoperò dopo la sua morte molti miracoli.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO CINQUANTADUESIMO
Della visione di frate Giovanni della Vernia, dove egli conobbe tutto
l'ordine della santa Trinità. Il sopraddetto frate Giovanni della
Vernia, imperò che perfettamente aveva annegato ogni diletto e
consolazione mondana e temporale, e in Dio aveva posto tutto il suo
diletto e tutta la sua speranza, la divina bontà gli donava
maravigliose consolazioni e revelazioni, e spezialmente nelle solennità
di Cristo, onde appressandosi una volta la solennità della Natività di
Cristo, nella quale di certo egli aspettava consolazione da Dio della
dolce umanità di Gesù, lo Spirito santo gli mise nell'animo suo così
grande ed eccessivo amore e fervore della carità di Cristo, per la
quale egli s'era aumiliato a prendere la nostra umanità, che veramente
gli parea che l'anima gli fusse tratta del corpo e ch'ella ardesse come
una fornace. Lo quale ardore non potendo sofferire, s'angosciava e
struggevasi tutto quanto e gridava ad alta voce, imperò che per lo
impeto dello Spirito santo e per lo troppo fervore dello amore non si
potea contenere del gridare. E in quell'ora che quello smisurato
fervore, gli venia con esso sì forte e certa la speranza della sua
salute, che punto del mondo non credea che, se allora fusse morto
dovesse passare per lo purgatorio. E questo amore gli durò bene da sei
mesi, benché quello eccessivo fervore non avesse così di continovo, ma
gli venia a certe ore del dì. E in questo tempo poi ricevette
maravigliose visitazioni e consolazioni da Dio; e più volte fu ratto,
siccome vide quel frate il quale da prima iscrisse queste cose. Tra le
quali, una notte fu sì elevato e ratto in Dio, che vide in lui creatore
tutte le cose create e celestiali e terrene e tutte le loro perfezioni e
gradi e ordini distinti. E allora conobbe chiaramente come ogni cosa
creata si presentava al suo Creatore, e come Iddio è sopra e dentro e
di fuori e dallato a tutte le cose create. Appresso conobbe uno Iddio in
tre persone e tre persone in un Iddio, e la infinita carità la quale
fece il Figliuolo di Dio incarnare per obbidienza del Padre. E
finalmente conobbe in quella visione siccome nessuna altra via era, per
la quale l'anima possa andare a Dio e avere vita eterna, se non per
Cristo benedetto, il quale è via e verità e vita dell'anima. A laude
di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
CAPITOLO CINQUANTATREESIMO
Come, dicendo messa, frate Giovanni della Vernia cadde come fosse morto.
Al detto frate Giovanni in nel sopraddetto luogo di Molliano, secondo
che recitarono li frati che vi erano presenti, addivenne una volta
questo mirabile caso, che la prima notte dopo l'ottava di santo Lorenzo
e infra l'ottava dell'Assunzione della Donna, avendo detto mattutino in
chiesa con gli altri frati, e sopravvenendo in lui l'unzione della
divina grazia, e' se ne andò nell'orto a contemplare la passione di
Cristo e a disporsi con tutta la sua devozione a celebrare la messa, la
quale gli toccava la mattina a cantare. Ed essendo in contemplazione
della parola della consacrazione del corpo di Cristo, cioè: Hoc est
corpus meum e considerando la infinita carità di Cristo, per la quale
egli ci volle non solamente comperare col suo sangue prezioso, ma
eziandio lasciarci per cibo delle anime il suo corpo e sangue
degnissimo; gli cominciò a crescere in tanto fervore e in tanta soavità
l'amore del dolce Gesù, che già non potea più sostenere l'anima sua
tanta dolcezza, ma gridava forte e come ebbro di spirito tra se medesimo
non ristava di dire: Hoc est corpas meum: però che dicendo queste
parole, gli parea vedere Cristo benedetto con la vergine Maria e con
moltitudine d'Agnoli. E in questo dire era alluminato dallo Spirito
santo di tutti i profondi e alti misteri di quello altissimo Sacramento.
E fatta che fu l'aurora egli entrò in chiesa con quel fervore di
spirito e con quella ansietà e con quello dire, non credendo essere
udito né veduto da persona, ma in coro era alcuno frate in orazione il
quale udiva e vedeva tutto. E non potendo in quello fervore contenersi
per l'abbondanza della divina grazia, gridava ad alta voce; e tanto
stette in questo modo, che fu ora di dire messa; onde egli s'andò a
parare allo altare e cominciò la messa. E quanto più procedeva oltre,
tanto più gli cresceva l'amore di Cristo e quello fervore della
divozione, col quale e' gli era dato un sentimento di Dio ineffabile, il
quale egli medesimo non sapea né potea poi esprimere con la lingua. Di
che temendo egli che quello fervore e sentimento di Dio crescesse tanto
che gli convenisse lasciare la messa, fu in grande perplessità e non
sapea che parte si prendere, o di procedere oltre nella messa o di stare
a aspettare. Ma imperò che altra volta gli era addivenuto simile caso,
e 'l Signore avea sì temperato quello fervore che non gli era convenuto
lasciare la messa; confidandosi di potere così fare questa volta, con
grande timore si mise a procedere oltre nella messa; e pervenendo insino
al Prefazio della Donna, gli cominciò tanto a crescere la divina
illuminazione e la graziosa soavità dello amore di Dio, che vegnendo a
Qui pridie quam, appena potea sostenere tanta soavità e dolcezza.
Finalmente giugnendo all'atto della consecrazione, e detto la metà
delle parole sopra l'ostia, cioè <I>Hoc est enim, </I>per
nessuno modo potea procedere più oltre, ma pure repetia queste medesime
parole, cioè <I>Hoc est enim; </I>e la cagione perché non
potea procedere più oltre, si era che e' sentia e vedea la presenza di
Cristo con moltitudine di Agnoli, la cui maestà non potea sofferire; e
vedea che Cristo non entrava nella ostia, né ovvero che l'ostia non si
transustanziava nel corpo di Cristo se egli non proferia l'altra metà
delle parole, cioè <I>corpus meum. </I>Di che stando egli
in questa ansietà e non procedendo più oltre, il guardiano e gli altri
frati ed eziandio molti secolari ch'erano in chiesa ad udire la messa,
s'appressarono allo altare e stavano ispaventati a vedere e a
considerare gli atti di frate Giovanni; e molti di loro piagnevano per
divozione. Alla perfine, dopo grande spazio, cioè quando piacque a Dio,
frate Giovanni proferì <I>Corpus meam </I>ad alta voce; e
di subito la forma del pane isvanì, e nell'ostia apparì Gesù Cristo
benedetto incarnato e glorificato, e dimostrogli la umiltà e carità la
quale il fece incarnare della vergine Maria e la quale il fa venire
ognindì nelle mani del sacerdote quando consacra l'ostia. Per la qual
cosa egli fu più elevato in dolcezza di contemplazione. Onde levato
ch'egli ebbe l'ostia e il calice consacrato, egli fu ratto fuori di se
medesimo; ed essendo l'anima sospesa dalli sentimenti corporali, il
corpo suo cadde indietro, e se non che fu sostenuto dal guardiano, il
quale gli stava dietro, cadea supino in terra. Di che, accorrendovi li
frati e li secolari ch'erano in chiesa, uomini e donne, ne fu portato in
sagrestia come morto, imperò che il corpo suo era raffreddato come
corpo morto, e le dita delle mani si erano rattrappate sì forte che non
si poteano appena distendere punto o muovere. In questo modo giacque così
tramortito ovvero ratto insino a terza; ed era di state. E però ch'io,
il quale fui a questo presente, disiderava molto di sapere quello che
Iddio avea adoperato inverso lui, immantanente che egli fu ritornato in
sé, andai a lui e priega 'lo per la carità di Dio ch'egli mi dovesse
dire ogni cosa. Onde egli, perché si fidava molto di me, mi innarrò
ogni cosa molto per ordine; e tra l'altre cose egli mi disse che,
considerando egli il corpo e 'l sangue di Gesù Cristo anche innanzi, il
suo cuore era liquido come una cera molto istemperata, e la carne sua
gli parea che fosse sanza ossa per tale modo, che questi non potea
levare le braccia né le mani a fare il segno della croce sopra l'ostia
né sopra il calice. Anche sì mi disse che, innanzi che si facesse
prete, gli era stato rivelato da Dio ch'egli dovea venire meno nella
messa; ma, però che già avea detto molte messe e non gli era quello
addivenuto, pensava che la rivelazione non fosse stata da Dio. E
nientedimeno cinque anni innanzi all'Assunzione della Donna, nella quale
il sopraddetto caso gli addivenne, anco gli era da Dio istato rivelato
che in quel caso gli avea a divenire intorno alla detta festa
dell'Assunzione, ma poi non se ne ricordava della detta rivelazione. A
laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
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