LETTERA
ENCICLICA
DOMINUM
ET VIVIFICANTEM
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
SULLO SPIRITO SANTO
NELLA VITA DELLA CHIESA E DEL MONDO
Venerati Fratelli,
carissimi Figli e Figlie,
salute e Apostolica Benedizione!
INTRODUZIONE
1. La Chiesa professa la
sua fede nello Spirito Santo come in colui «che è Signore e
dà la vita». Così essa professa nel Simbolo di Fede, detto
niceno-costantinopolitano dal nome dei due Concili -di Nicea (a.
325) e di Costantinopoli (a. 381) -, nei quali fu formulato o
promulgato. Ivi si aggiunge anche che lo Spirito Santo «ha
parlato per mezzo dei profeti». Sono parole che la Chiesa
riceve dalla fonte stessa della sua fede, Gesù Cristo.
Difatti, secondo il Vangelo di Giovanni, lo Spirito Santo è
donato a noi con la nuova vita, come annuncia e promette Gesù
il grande giorno della festa dei Tabernacoli: «Chi ha sete
venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura,
fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno».E
l'evangelista spiega: «Questo egli disse riferendosi allo
Spirito, che avrebbero ricevuto i credenti in lui». È la
stessa similitudine dell'acqua usata da Gesù nel colloquio
con la Samaritana, quando parla della «sorgente di acqua che
zampilla per la vita eterna» e nel colloquio con Nicodemo,
quando annuncia la necessità di una nuova nascita «dall'acqua
e dallo Spirito» per «entrare nel Regno di Dio». La Chiesa,
pertanto, istruita dalla parola di Cristo, attingendo
all'esperienza della Pentecoste ed alla propria storia
apostolica, proclama sin dall'inizio la sua fede nello Spirito
Santo come in colui che dà la vita, colui nel quale
l'imperscrutabile Dio uno e trino si comunica agli uomini
costituendo in essi la sorgente della vita eterna.
2. Questa fede, professata
ininterrottamente dalla Chiesa, deve essere sempre ravvivata
ed approfondita nella coscienza del Popolo di Dio. Nell'ultimo
secolo ciò è avvenuto più volte: da Leone XIII, che pubblicò
l'Epistola Enciclica Divinum illud munus (a. 1897),
interamente dedicata allo Spirito Santo, a Pio XII, che nella
Lettera Enciclica Mystici Corporis (a. 1943) si richiamò allo
Spirito Santo come a principio vitale della Chiesa, nella
quale opera unitamente al capo del Corpo Mistico, Cristo; al
Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha fatto sentire il
bisogno di una rinnovata attenzione alla dottrina sullo
Spirito Santo, come sottolineava Paolo VI «Alla cristologia e
specialmente all'ecclesiologia del Concilio deve succedere uno
studio nuovo ed un culto nuovo sullo Spirito Santo, proprio
come complemento immancabile all'insegnamento conciliare».
Nella nostra epoca, dunque, siamo nuovamente chiamati dalla
sempre antica e sempre nuova fede della Chiesa ad avvicinarci
allo Spirito Santo come a colui che dà la vita. Ci viene qui
in aiuto e ci è di sprone anche la comune eredità con le
Chiese orientali le quali hanno gelosamente custodito le
straordinarie ricchezze dell'insegnamento dei Padri intorno
allo Spirito Santo. Anche per questo possiamo dire che uno dei
più importanti eventi ecclesiali degli ultimi anni è stato
il XVI centenario del I Concilio di Costantinopoli, celebrato
contemporaneamente a Costantinopoli ed a Roma nella solennità
della Pentecoste del 1981. Lo Spirito Santo è meglio apparso
allora, grazie alla meditazione sul mistero della Chiesa, come
colui che indica le vie che portano all'unione dei cristiani,
anzi come la fonte suprema di questa unità, che proviene da
Dio stesso ed alla quale san Paolo ha dato un'espressione
particolare con le parole con cui non di rado inizia la
liturgia eucaristica: «La grazia del Signore nostro Gesù
Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito
Santo sia con tutti voi». Da questa esortazione hanno preso,
in un certo senso avvio e ispirazione le precedenti Encicliche
Redemptor homonis e Dives in misericordia, le quali celebrano
l'evento della nostra salvezza compiutosi nel Figlio, mandato
dal Padre nel mondo, «perché il mondo si salvi per mezzo di
lui» e «ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore
a gloria di Dio Padre». Da questa stessa esortazione nasce
ora la presente Enciclica sullo Spirito Santo, che procede dal
Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e
glorificato: Persona divina, egli è al cuore stesso della
fede cristiana ed è la sorgente e la forza dinamica del
rinnovamento della Chiesa. Essa è stata attinta dal profondo
dell'eredità del Concilio. I testi conciliari, infatti,
grazie al loro insegnamento sulla Chiesa in sé e sulla Chiesa
nel mondo, ci stimolano a penetrare sempre più nel mistero
trinitario di Dio stesso, seguendo l'itinerario evangelico,
patristico e liturgico: al Padre - per Cristo - nello Spirito
Santo. In tal modo la Chiesa risponde anche a certe istanze
profonde, che ritiene di leggere nel cuore degli uomini
d'oggi: una nuova scoperta di Dio nella sua trascendente realtà
di Spirito infinito, come lo presenta Gesù alla Samaritana;
il bisogno di adorarlo «in spirito e verità» la speranza di
trovare in lui il segreto dell'amore e la forza di una «nuova
creazione» sì, proprio colui che dà la vita. Ad una tale
missione di annunciare lo Spirito la Chiesa si sente chiamata,
mentre insieme con la famiglia umana si avvicina al termine
del secondo Millennio dopo Cristo. Sullo sfondo di un cielo e
di una terra che «passano», essa sa bene che acquistano una
particolare eloquenza le «parole che non passeranno». Sono
le parole di Cristo sullo Spirito Santo, sorgente inesauribile
dell'«acqua che zampilla per la vita eterna», quale verità
e grazia salvatrice. Su queste parole essa vuol riflettere, a
queste parole vuol richiamare i credenti e tutti gli uomini,
mentre si prepara a celebrare - come si dirà più avanti - il
grande Giubileo che segnerà il passaggio dal secondo al terzo
Millennio cristiano. Naturalmente, le considerazioni che
seguono non intendono esplorare compiutamente la ricchissima
dottrina sullo Spirito Santo, né privilegiare una qualche
soluzione di questioni ancora aperte. Esse hanno lo scopo
precipuo di sviluppare nella Chiesa la coscienza che «è
spinta dallo Spirito Santo a cooperare, perché sia portato a
compimento il disegno di Dio, il quale ha costituito Cristo
principio di salvezza per il mondo intero».
PARTE
I
LO
SPIRITO DEL PADRE E DEL FIGLIO, DATO ALLA CHIESA
1. Promessa e
rivelazione di Gesù turante la Cena pasquale
3. Quando era ormai
imminente per Gesù Cristo il tempo di lasciare questo mondo,
egli annunciò agli apostoli «un altro consolatore».
L'evangelista Giovanni, che era presente, scrive che, durante
la Cena pasquale precedente il giorno della sua passione e
morte, Gesù si rivolse a loro con queste parole: «Qualunque
cosa chiederete nel nome mio, io la farò, perché il Padre
sia glorificato nel Figlio... Io pregherò il Padre, ed egli
vi darà un altro consolatore, perché rimanga con voi sempre,
lo Spirito di verità». Proprio questo Spirito di verità,
Gesù chiama Paraclito - e parákletos vuol dire «consolatore»,
e anche «intercessore», o «avvocato». E dice che è «un
altro» consolatore, il secondo, perché egli stesso, Gesù,
è il primo consolatore, essendo il primo portatore e donatore
della Buona Novella. Lo Spirito Santo viene dopo di lui e
grazie a lui, per continuare nel mondo, mediante la Chiesa,
l'opera della Buona Novella di salvezza. Di questa
continuazione della sua opera da parte dello Spirito Santo Gesù
parla più di una volta durante lo stesso discorso di addio,
preparando gli apostoli, riuniti nel Cenacolo, alla sua
dipartita, cioè alla sua passione e morte in Croce. Le
parole, alle quali faremo qui riferimento, si trovano nel
Vangelo di Giovanni, Ognuna di esse aggiunge un certo
contenuto nuovo a quell'annuncio e a quella promessa. Al tempo
stesso, esse sono intrecciate intimamente tra di loro non solo
dalla prospettiva dei medesimi eventi, ma anche dalla
prospettiva del mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo, che forse in nessun passo della Sacra Scrittura trova
un'espressione così rilevata come qui.
4. Poco dopo l'annuncio
surriferito Gesù aggiunge: «Ma il consolatore, lo Spirito
Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà
ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto». Lo
Spirito Santo sarà il consolatore degli apostoli e della
Chiesa, sempre presente in mezzo a loro - anche se invisibile
- come maestro della medesima Buona Novella che Cristo annunciò.
Quell'«insegnerà» e «ricorderà» significa non solo che
egli, nel modo a lui proprio, continuerà ad ispirare la
divulgazione del Vangelo di salvezza, ma anche che aiuterà a
comprendere il giusto significato del contenuto del messaggio
di Cristo; che ne assicurerà la continuità ed identità di
comprensione in mezzo alle mutevoli condizioni e circostanze.
Lo Spirito Santo, dunque, farà sì che nella Chiesa perduri
sempre la stessa verità, che gli apostoli hanno udito dal
loro Maestro.
5. Nel trasmettere la
Buona Novella, gli apostoli saranno associati in modo speciale
allo Spirito Santo. Ecco come continua a parlare Gesù: «Quando
verrà il consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo
Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà
testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché
siete stati con me fin dal principio». Gli apostoli sono
stati i testimoni diretti, oculari. Essi «hanno udito» e «hanno
veduto con i propri occhi», «hanno guardato» e perfino «toccato
con le proprie mani» Cristo, come si esprime in un altro
passo lo stesso evangelista Giovanni. Questa loro umana,
oculare e «storica» testimonianza su Cristo si collega alla
testimonianza dello Spirito Santo: «Egli mi renderà
testimonianza». Nella testimonianza dello Spirito di verità
l'umana testimonianza degli apostoli troverà il supremo
sostegno. E in seguito vi troverà anche l'interiore
fondamento della sua continuazione tra le generazioni dei
discepoli e dei confessori di Cristo, che si susseguiranno nei
secoli. Se la suprema e più completa rivelazione di Dio
all'umanità è Gesù Cristo stesso, la testimonianza dello
Spirito ne ispira, garantisce e convalida la fedele
trasmissione nella predicazione e negli scritti apostolici,
mentre la testimonianza degli apostoli ne assicura
l'espressione umana nella Chiesa e nella storia dell'umanità.
6. Ciò si rileva anche
dalla stretta correlazione di contenuto e di intenzione con
l'annuncio e la promessa appena menzionata, che si trova nelle
parole successive del testo di Giovanni: «Molte cose ho
ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di
portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità,
egli vi guiderà alla verità tutta intera; perché non parlerà
da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le
cose future». Nelle precedenti parole Gesù presenta il
consolatore, lo Spirito di verità, come colui che «insegnerà»
e «ricorderà», come colui che gli arenderà testimonianza»;
ora dice: «Egli vi guiderà alla verità tutta intera».
Questo «guidare alla verità tutta intera», in riferimento a
ciò di cui gli apostoli «per il momento non sono capaci di
portare il peso», è in necessario collegamento con lo
spogliamento di Cristo per mezzo della passione e morte di
Croce, che allora, quando pronunciava queste parole, era ormai
imminente. In seguito, tuttavia, diventa chiaro che quel «guidare
alla verità tutta intera» si ricollega, oltre che allo
scandalum Crucis, anche a tutto ciò che Cristo «fece ed
insegnò». Infatti, il mysterium Christi nella sua globalità
esige la fede, poiché è questa che introduce opportunamente
l'uomo nella realtà del mistero rivelato. Il «guidare alla
verità tutta intera» si realizza, dunque, nella fede e
mediante la fede: il che è opera dello Spirito di verità ed
è frutto della sua azione nell'uomo. Lo Spirito Santo deve
essere in questo la suprema guida dell'uomo, la luce dello
spirito umano. Ciò vale per gli apostoli, testimoni oculari,
che devono ormai portare a tutti gli uomini l'annuncio di ciò
che Cristo «fece ed insegnò» e, specialmente, della sua
Croce e della sua Risurrezione. In una prospettiva più
lontana ciò vale anche per tutte le generazioni dei discepoli
e dei confessori del Maestro, poiché dovranno accettare con
fede e confessare con franchezza il mistero di Dio operante
nella storia dell'uomo, il mistero rivelato che di tale storia
spiega il senso definitivo.
7. Tra lo Spirito Santo e
Cristo sussiste, dunque, nell'economia della salvezza, un
intimo legame, per il quale lo Spirito opera nella storia
dell'uomo come «un altro consolatore», assicurando in
maniera duratura la trasmissione e l'irradiazione della Buona
Novella, rivelata da Gesù di Nazareth. Perciò, nello Spirito
Santo Paraclito, che nel mistero e nell'azione della Chiesa
continua incessantemente la presenza storica del Redentore
sulla terra e la sua opera salvifica, risplende la gloria di
Cristo, come attestano le successive parole di Giovanni: «Egli
(cioè lo Spirito) mi glorificherà, perché prenderà del mio
e ve l'annuncerà». Con queste parole viene ancora una volta
confermato tutto ciò che dicevano gli enunciati precedenti:
«Insegnerà..., ricorderà..., renderà testimonianza». La
suprema e completa autorivelazione di Dio, compiutasi in
Cristo, testimoniata dalla predicazione degli apostoli,
continua a manifestarsi nella Chiesa mediante la missione
dell'invisibile consolatore, lo Spirito di verità. Quanto
intimamente questa missione sia collegata con la missione di
Cristo, quanto pienamente essa attinga a questa missione di
Cristo, consolidando e sviluppando nella storia i suoi frutti
salvifici, è espresso dal verbo «prendere»: «Prenderà del
mio e ve l'annuncerà». Quasi a spiegare la parola «prenderà»,
mettendo in chiara evidenza l'unità divina e trinitaria della
fonte, Gesù aggiunge: « Tutto quello che il Padre possiede
è mio; per questo, ho detto che prenderà del mio e ve
l'annuncerà». Prendendo del «mio», per ciò stesso egli
attingerà a «quello che è del Padre». Alla luce di quel «prenderà»,
dunque, si possono spiegare ancora le altre parole sullo
Spirito Santo, pronunciate da Gesù nel Cenacolo prima della
Pasqua, parole significative: «È bene per voi che io me ne
vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il
consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E
quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al
peccato, alla giustizia e al giudizio». Occorrerà ritornare
ancora su queste parole con una riflessione a parte.
2. Padre, Figlio e
Spirito Santo
8. Caratteristica del
testo giovanneo è che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo
vengono nominati chiaramente come Persone, la prima distinta
dalla seconda e dalla terza, e anche queste tra di loro. Gesù
parla dello Spirito consolatore, usando più volte il pronome
personale «egli» e, al tempo stesso, in tutto il discorso di
addio, svela quei legami che uniscono reciprocamente il Padre,
il Figlio e il Paraclito. Pertanto, «lo Spirito... procede
dal Padre» e il Padre «dà» lo Spirito. Il Padre «manda»
lo Spirito nel nome del Figlio, lo Spirito «rende
testimonianza» al Figlio. Il Figlio chiede al Padre di
mandare lo Spirito consolatore, ma afferma e promette, altresì,
in relazione alla sua «dipartita» mediante la Croce: «Quando
me ne sarò andato, ve lo manderò». Dunque il Padre manda lo
Spirito Santo nella potenza della sua paternità, come ha
mandato il Figlio. ma, al tempo stesso, lo manda nella potenza
della redenzione compiuta da Cristo - e in questo senso lo
Spirito Santo viene mandato anche dal Figlio: «Ve lo manderò».
Bisogna qui notare che, se tutte le altre promesse fatte nel
Cenacolo annunciavano la venuta dello Spirito Santo dopo la
partenza di Cristo, quella contenuta nel testo di Giovanni 16,
7 s. include e sottolinea chiaramente anche il rapporto di
interdipendenza, che si direbbe causale tra la manifestazione
dell'uno e dell'altro: «Quando me ne sarò andato, ve lo
manderò». Lo Spirito Santo verrà, in quanto Cristo se ne
andrà mediante la Croce: verrà non solo in seguito, ma a
causa della redenzione compiuta da Cristo, per volontà ed
opera del Padre.
9. Così nel discorso
pasquale di addio si tocca - possiamo dire - l'apice della
rivelazione trinitaria. Al tempo stesso, ci troviamo sulla
soglia di eventi definitivi e di parole supreme, che alla fine
si tradurranno nel grande mandato missionario, rivolto agli
apostoli e, per loro mezzo, alla Chiesa: «Andate, dunque, e
ammaestrate tutte le nazioni», mandato che contiene, in certo
senso, la formula trinitaria del battesimo: «Battezzandole
nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». La
formula rispecchia l'intimo mistero di Dio, della vita divina
che è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, divina unità
della Trinità. Si può leggere il discorso di addio come una
speciale preparazione a questa formula trinitaria, nella quale
si esprime la potenza vivificante del Sacramento, che opera la
partecipazione alla vita di Dio uno e trino, perché dà la
grazia santificante come dono soprannaturale all'uomo. Per
mezzo di essa questi viene chiamato e reso «capace» di
partecipare all'imperscrutabile vita di Dio.
10. Nella sua vita intima
Dio «è amore», amore essenziale, comune alle tre divine
Persone: amore personale è lo Spirito Santo, come Spirito del
Padre e del Figlio. Per questo, egli «scruta le profondità
di Dio», come amore-dono increato. Si può dire che nello
Spirito Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta
dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che
per lo Spirito Santo Dio «esiste» a modo di dono. È lo
Spirito Santo l'espressione personale di un tale donarsi, di
questo essere-amore. È Persona-amore. È Persona-dono.
Abbiamo qui una ricchezza insondabile della realtà e un
approfondimento ineffabile del concetto di persona in Dio, che
solo la Rivelazione ci fa conoscere. Al tempo stesso, lo
Spirito Santo, in quanto consostanziale al Padre e al Figlio
nella divinità, è amore e dono (increato), da cui deriva
come da fonte (fons vivus) ogni elargizione nei riguardi delle
creature (dono creato): la donazione dell'esistenza a tutte le
cose mediante la creazione. la donazione della grazia agli
uomini mediante l'intera economia della salvezza. Come scrive
l'apostolo Paolo: «L'amore di Dio è stato riversato nei
nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato
dato».
3. Il donarsi
salvifico di Dio nello Spirito Santo
11. Il discorso di addio
di Cristo durante la Cena pasquale è in particolare
riferimento a questo «donare» e «donarsi» dello Spirito
Santo. Nel Vangelo di Giovanni si svela quasi la «logica» più
profonda del mistero salvifico contenuto nell'eterno disegno
di Dio, come espansione dell'ineffabile comunione del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo. È la «logica» divina, che
dal mistero della Trinità porta al mistero della redenzione
del mondo in Gesù Cristo. La redenzione compiuta dal Figlio
nelle dimensioni della storia terrena dell'uomo - compiuta
nella sua «dipartita» per mezzo della Croce e della
Risurrezione - viene, al tempo stesso, nella sua intera
potenza salvifica, trasmessa allo Spirito Santo colui che «prenderà
del mio». Le parole del testo giovanneo indicano che, secondo
il disegno divino, la «dipartita» di Cristo è condizione
indispensabile dell'«invio» e della venuta dello Spirito
Santo, ma dicono anche che allora comincia la nuova
comunicazione salvifica di Dio nello Spirito Santo.
12. È un nuovo inizio in
rapporto al primo, originario inizio del donarsi salvifico di
Dio, che si identifica con lo stesso mistero della creazione.
Ecco che cosa leggiamo già nelle prime parole del Libro della
Genesi: «In principio Dio creò il cielo e la terra..., e lo
spirito di Dio (ruah Elohim) aleggiava sulle acque». Questo
concetto biblico di creazione comporta non solo la chiamata
all'esistenza dell'essere stesso del cosmo, cioè il donare
l'esistenza, ma anche la presenza dello Spirito di Dio nella
creazione, cioè l'inizio del comunicarsi salvifico di Dio
alle cose che crea. Il che vale prima di tutto per l'uomo il
quale è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio: «Facciamo
l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza». «Facciamo»:
si può ritenere che il plurale, che il Creatore qui usa
parlando di sé, suggerisca già in qualche modo il mistero
trinitario, la presenza della Trinità nell'opera della
creazione dell'uomo? Il lettore cristiano che conosce già la
rivelazione di questo mistero, può scoprirne il riflesso
anche in quelle parole. In ogni caso, il contesto del Libro
della Genesi ci permette di vedere nella creazione dell'uomo
il primo inizio del donarsi salvifico di Dio a misura dell'«immagine
e somiglianza» di sé, da Lui concessa all'uomo.
13. Sembra, dunque che
anche le parole pronunciate da Gesù nel discorso di addio
debbano essere rilette in riferimento a quell'«inizio» così
lontano, ma fondamentale, che conosciamo dalla Genesi «Se non
me ne vado non verrà a voi il consolatore; ma, quando me ne
sarò andato, ve lo manderò». Descrivendo la sua «dipartita»
come condizione della «venuta» del consolatore, Cristo
collega il nuovo inizio della comunicazione salvifica di Dio
nello Spirito Santo al mistero della redenzione. Questo è un
nuovo inizio, prima di tutto perché tra il primo inizio e
tutta la storia dell'uomo - cominciando dalla caduta originale
- si è frapposto il peccato, che è contraddizione alla
presenza dello Spirito di Dio nella creazione ed è,
soprattutto, contraddizione alla comunicazione salifica di Dio
all'uomo. Scrive san Paolo che, proprio a causa del peccato,
«la creazione... è stata sottomessa alla caducità..., geme
e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» e «attende con
impazienza la rivelazione dei figli di Dio».
14. Perciò, Gesù Cristo
dice nel Cenacolo: «È bene per voi che io me ne vada». «Quando
me ne sarò andato, ve lo manderò». La «dipartita» di
Cristo mediante la Croce ha la potenza della redenzione - e ciò
significa anche una nuova presenza dello Spirito di Dio nella
creazione: il nuovo inizio del comunicarsi di Dio all'uomo
nello Spirito Santo. «E che voi siete figli ne è prova il
fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo
Figlio, che grida: Abbà, Padre!»: scrive l'apostolo Paolo
nella Lettera ai Galati. Lo Spirito Santo è lo Spirito del
Padre, come testimoniano le parole del discorso di addio nel
Cenacolo. Egli è, al tempo stesso, lo Spirito del Figlio: è
lo Spirito di Gesù Cristo, come testimonieranno gli apostoli
e, in particolare, Paolo di Tarso. Nell'invio di questo
Spirito «nei nostri cuori» inizia a compiersi ciò che «la
creazione stessa attende con impazienza», come leggiamo nella
Lettera ai Romani. Lo Spirito Santo viene a prezzo della «dipartita»
di Cristo. Se tale «dipartita» ha causato la tristezza degli
apostoli, e questa doveva raggiungere il suo culmine nella
passione e nella morte del Venerdì Santo, a sua volta «questa
afflizione si cambierà in gioia». Cristo, infatti, inserirà
nella sua «dipartita» redentrice la gloria della
risurrezione e dell'ascensione al Padre. Pertanto, la
tristezza, attraverso la quale traspare la gioia, è la parte
che tocca agli apostoli nel quadro della «dipartita» del
loro Maestro, una dipartita «benefica», perché grazie ad
essa un altro «consolatore» sarebbe venuto. A prezzo della
Croce, operatrice della redenzione, nella potenza di tutto il
mistero pasquale di Gesù Cristo, lo Spirito Santo viene per
rimanere sin dal giorno della Pentecoste con gli apostoli, per
rimanere con la Chiesa e nella Chiesa e, mediante essa, nel
mondo. In questo modo si realizza definitivamente quel nuovo
inizio della comunicazione del Dio uno e trino nello Spirito
Santo per opera di Gesù Cristo, Redentore dell'uomo e del
mondo.
4. Il Messia, unto
con lo Spirito Santo
15. Si realizza anche fino
in fondo la missione del Messia, cioè di colui che ha
ricevuto la pienezza dello Spirito Santo per il Popolo eletto
di Dio e per l'umanità intera. Letteralmente «Messia»
significa «Cristo», cioè «unto» e, nella storia della
salvezza, significa «unto con lo Spirito Santo». Tale era la
tradizione profetica dell'Antico Testamento. Seguendola, Simon
Pietro dirà nella casa di Cornelio: «Voi conoscete ciò che
è accaduto in tutta la Giudea... dopo il battesimo predicato
da Giovanni; cioè, come Dio consacrò in Spirito Santo e
potenza Gesù di Nazareth». Da queste parole di Pietro e da
molte altre simili occorre risalire prima di tutto alla
profezia di Isaia, chiamata a volte «il quinto Vangelo»
oppure «il Vangelo dell'Antico Testamento». Alludendo alla
venuta di un personaggio misterioso, che la rivelazione
neotestamentaria identificherà con Gesù, Isaia ne collega la
persona e la missione con una speciale azione dello Spirito di
Dio Spirito del Signore. Ecco le parole del Profeta:
«Un germoglio spunterà
dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore».
Questo testo è importante
per l'intera pneumatologia dell'Antico Testamento, perché
costituisce quasi un ponte tra l'antico concetto biblico dello
«spirito», inteso prima di tutto come «soffio carismatico»,
e lo «Spirito» come persona e come dono, dono per la
persona. Il Messia della stirpe di Davide («dal tronco di
Iesse») è proprio quella persona, sulla quale «si poserà»
lo Spirito del Signore. È ovvio che in questo caso non si può
ancora parlare della rivelazione del Paraclito: tuttavia, con
quell'accenno velato alla figura del futuro Messia si apre,
per cosi dire, la via sulla quale vien preparata la piena
rivelazione dello Spirito Santo nell'unità del mistero
trinitario, che si manifesterà infine nella Nuova Alleanza.
16. Proprio il Messia
stesso è questa via. Nell'Antica Alleanza l'unzione era
divenuta il simbolo esterno del dono dello Spirito. Il Messia,
ben più di ogni altro personaggio unto nell'Antica Alleanza,
è quell'unico grande Unto da Dio stesso. È l'Unto nel senso
che possiede la pienezza dello Spirito di Dio. Egli stesso sarà
anche il mediatore nel concedere questo Spirito all'intero
Popolo. Ecco, infatti, altre parole del Profeta:
«Lo Spirito del Signore
Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l'anno di misericordia del Signore».
L'Unto è anche mandato «con
lo Spirito del Signore»:
«Ora il Signore Dio ha mandato me insieme col suo spirito».
(Is 48,16)
Secondo il Libro di Isaia
l'Unto e l'Inviato insieme con lo Spirito del Signore è anche
l'eletto Servo del Signore, sul quale si posa lo Spirito di
Dio:
«Ecco il mio servo che io
sostengo,
il mio eletto in cui mi compiaccio;
ho posto il mio spirito su di lui».
Si sa che il Servo del
Signore è rivelato nel Libro di Isaia come il vero uomo dei
dolori: il Messia sofferente per i peccati del mondo. Ed
insieme egli è proprio colui la cui missione porterà per
l'intera umanità veri frutti di salvezza:
«Egli porterà il diritto
alle nazioni...». e diventerà «l'alleanza del popolo e luce
delle nazioni...»; «perché porti la mia salvezza fino
all'estremità della terra».
Poiché:
«Il mio spirito, che è
sopra di te, e le parole, che ti ho messo in bocca, non si
allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca della tua
discendenza né dalla bocca dei discendenti, dice il Signore,
ora e sempre».
I testi profetici, qui
riportati, devono essere letti da noi alla luce del Vangelo -
come, a sua volta, il Nuovo Testamento acquista una
particolare chiarificazione dalla mirabile luce contenuta in
questi testi vetero-testamentari. Il profeta presenta il
Messia come colui che viene nello Spirito Santo, come colui
che possiede la pienezza di questo Spirito in se e, al tempo
stesso, per gli altri per Israele, per tutte le nazioni, per
tutta l'umanità. La pienezza dello Spirito di Dio viene
accompagnata da molteplici doni, i beni della salvezza,
destinati in modo particolare ai poveri e ai sofferenti, a
tutti coloro che a questi doni aprono i loro cuori - a volte
mediante le dolorose esperienze della propria esistenza, ma,
prima di tutto, con quella disponibilità interiore che viene
dalla fede. Ciò intuiva il vecchio Simeone, «uomo giusto e
pio», sul quale «era lo Spirito Santo», al momento della
presentazione di Gesù al Tempio, quando scorgeva in lui la «salvezza
preparata dinanzi a tutti i popoli» a prezzo della grande
sofferenza - la Croce -, che avrebbe dovuto abbracciare
insieme con sua Madre. Ciò intuiva ancor meglio la Vergine
Maria, che «aveva concepito di Spirito Santo», quando
meditava in cuor suo sopra i «misteri» del Messia, a cui era
associata.
17. Occorre quindi
sottolineare che chiaramente lo «spirito del Signore», che
«si posa» sul futuro Messia, è, anzitutto, un dono di Dio
per la persona di quel Servo del Signore. Ma costui non è una
persona isolata e a sé stante, perché opera per volontà del
Signore, in forza della sua decisione o scelta. Anche se alla
luce dei testi di Isaia l'operare salvifico del Messia, Servo
del Signore, include l'azione dello Spirito che si svolge
mediante lui stesso, tuttavia nel contesto veterotestamentario
non è suggerita la distinzione dei soggetti, o delle Persone
divine, quali sussistono nel mistero trinitario e sono poi
rivelate nel Nuovo Testamento. Sia in Isaia sia in tutto
l'Antico Testamento la personalità dello Spirito Santo è
completamente nascosta: nascosta nella rivelazione dell'unico
Dio, come anche nell'annuncio del futuro Messia.
l8. Gesù Cristo si
richiamerà a questo annuncio, contenuto nelle parole di
Isaia, all'inizio della sua attività messianica. Ciò avverrà
nella stessa Nazareth, nella quale aveva trascorso trent'anni
di vita nella casa di Giuseppe, il carpentiere, accanto a
Maria, sua Madre vergine. Quando ebbe occasione di prendere la
parola nella Sinagoga, aperto il Libro di Isaia, egli trovò
il passo in cui era scritto: «Lo spirito del Signore è sopra
di me; per questo, mi ha consacrato con l'unzione» e, dopo
aver letto questo brano, disse ai presenti: «Oggi si è
adempiuta questa Scrittura, che voi avete udito». In questo
modo confessò e proclarnò di esser colui che «è stato unto»
dal Padre, di essere il Messia, cioè colui nel quale dimora
lo Spirito Santo come dono di Dio stesso, colui che possiede
la pienezza di questo Spirito, colui che segna il «nuovo
inizio» del dono che Dio fa all'umanità nello Spirito.
5. Gesù di
Nazareth, «elevato» nello Spirito Santo
19. Anche se nella sua
patria di Nazareth Gesù non è accolto come Messia, tuttavia,
all'inizio dell'attività pubblica la sua missione messianica
nello Spirito Santo viene rivelata al popolo da Giovanni
Battista. Questi, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, annuncia
presso il Giordano la venuta del Messia ed amministra il
battesimo di penitenza. Egli dice: «Io vi battezzo con acqua,
ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son
degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi
battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Giovanni Battista
annuncia il Messia-Cristo non solo come colui che «viene»
nello Spirito Santo, ma anche come colui che «porta» lo
Spirito Santo, come rivelerà meglio Gesù nel Cenacolo.
Giovanni è qui l'eco fedele delle parole di Isaia, le quali
nell'antico Profeta riguardavano il futuro, mentre nel suo
proprio insegnamento lungo le rive del Giordano costituiscono
l'introduzione immediata alla nuova realtà messianica.
Giovanni è non solo un profeta, ma anche un messaggero: è il
precursore di Cristo. Ciò che egli annuncia si realizza
davanti agli occhi di tutti. Gesù di Nazareth viene al
Giordano per ricevere anch'egli il battesimo di penitenza.
Alla vista di colui che arriva, Giovanni proclama: «Ecco
l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo».
Ciò dice per ispirazione dello Spirito Santo, rendendo
testimonianza al compimento della profezia di Isaia. Al tempo
stesso, egli confessa la fede nella missione redentrice di Gesù
di Nazareth. Sulle labbra di Giovanni Battista «Agnello di
Dio» è un'affermazione della verità intorno al Redentore,
non meno significativa di quella usata da Isaia: «Servo del
Signore». Così, con la testimonianza di Giovanni al
Giordano, Gesù di Nazareth, rifiutato dai propri
concittadini, viene elevato agli occhi di Israele come Messia,
cioè «Unto» con lo Spirito Santo. E tale testimonianza
viene corroborata da un'altra testimonianza di ordine
superiore, menzionata dai tre Sinottici. Infatti, quando tutto
il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto il battesimo,
stava in preghiera, «il cielo si aprì e scese su di lui lo
Spirito Santo in apparenza corporea, come una colomba» e,
contemporaneamente, «vi fu una voce dal cielo, che disse:
Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono
compiaciuto ». E una teofania trinitaria, che rende
testimonianza all'esaltazione di Cristo in occasione del
battesimo al Giordano. Essa non solo conferma la testimonianza
di Giovanni Battista, ma svela una dimensione ancora più
profonda della verità su Gesù di Nazareth come Messia. Ecco:
il Messia è il Figlio prediletto del Padre. La sua solenne
esaltazione non si riduce alla missione messianica del «Servo
del Signore». Alla luce della teofania del Giordano, questa
esaltazione raggiunge il mistero della stessa persona del
Messia. Egli è esaltato, perché è il Figlio del divino
compiacimento.
La voce dall'alto dice: «Il
Figlio mio».
20. La teofania del
Giordano rischiara solo fugacemente il mistero di Gesù di
Nazareth, la cui intera attività si svolgerà sotto la
presenza attiva dello Spirito Santo. Tale mistero sarebbe
stato da Gesù stesso svelato e confermato gradualmente
mediante tutto ciò che «fece e insegnò». Sulla linea di
questo insegnamento e dei segni messianici che Gesù compì
prima di giungere al discorso di addio nel Cenacolo, troviamo
eventi e parole che costituiscono momenti particolarmente
importanti di questa progressiva rivelazione. Così
l'evangelista Luca, che ha già presentato Gesù «pieno di
Spirito Santo» e «condotto dallo Spirito nel deserto», ci
fa sapere che, dopo il ritorno dei settantadue discepoli dalla
missione affidata loro dal Maestro, mentre pieni di gioia gli
raccontavano i frutti del loro lavoro, «in quello stesso
istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: - Io ti
rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai
nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate
ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto». Gesù
esulta per la paternità divina; esulta, perché gli è dato
di rivelare questa paternità; esulta, infine, quasi per una
speciale irradiazione di questa paternità divina sui «piccoli».
E l'evangelista qualifica tutto questo come «esultanza nello
Spirito Santo». Una tale esultanza, in un certo senso,
sollecita Gesù a dire ancora di più. Ascoltiamo: «Ogni cosa
mi è stata affidata dal Padre mio, e nessuno sa chi è il
Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e
colui al quale il Figlio lo voglia rivelare».
21. Ciò che durante la
teofania del Giordano è venuto, per così dire, «dall'esterno»,
dall'Alto, qui proviene «dall'interno», cioè dal profondo
di ciò che è Gesù. È un'altra rivelazione del Padre e del
Figlio, uniti nello Spirito Santo, Gesù parla solo della
paternità di Dio e della propria figliolanza - non parla
direttamente dello Spirito che è amore e, per questo, unione
del Padre e del Figlio. Nondimeno, quello che dice del Padre e
di sé-Figlio scaturisce da quella pienezza dello Spirito, che
è in lui e che si riversa nel suo cuore, pervade il suo
stesso «io» ispira e vivifica dal profondo la sua azione. Di
qui quell'«esultare nello Spirito Santo». L'unione di Cristo
con lo Spirito Santo, di cui egli ha perfetta coscienza, si
esprime in quell'«esultanza», che in certo modo rende
percepibile la sua arcana sorgente. Si ha così una speciale
manifestazione ed esaltazione, che è propria del Figlio
dell'uomo, di Cristo-Messia la cui umanità appartiene alla
Persona del Figlio di Dio, sostanzialmente uno con lo Spirito
Santo nella divinità. Nella magnifica confessione della
paternità di Dio Gesù di Nazareth manifesta anche se stesso,
il suo «io» divino: egli, infatti, è il Figlio «della
stessa sostanza» e, perciò, «nessuno sa chi è il Figlio se
non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio», quel
Figlio che «per noi uomini e per la nostra salvezza» si è
fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato da una
vergine, il cui nome era Maria.
6. Cristo risorto
dice: «Ricevete lo Spirito Santo»
22. Grazie alla sua
narrazione Luca ci conduce alla massima vicinanza con la verità
contenuta nel discorso del Cenacolo. Gesù di Nazareth, «elevato»
nello Spirito Santo, durante questo discorso-colloquio, si
manifesta come colui che «porta» lo Spirito, come colui che
lo deve portare e «dare» agli apostoli e alla Chiesa a
prezzo della sua «dipartita» mediante la Croce. Col verbo «portare»
qui si vuol dire, prima di tutto «rivelare». Nell'Antico
Testamento, fin dal Libro della Genesi lo spirito di Dio è
stato in qualche modo fatto conoscere dapprima come «soffio»
di Dio che dà la vita, come «soffio vitale» soprannaturale.
Nel Libro di Isaia è presentato come un «dono» per la
persona del Messia come colui che su di lui si posa, per
guidare dall'interno tutta la sua attività salvifica. Presso
il Giordano l'annuncio di Isaia si è rivestito di una forma
concreta: Gesù di Nazareth è colui che viene nello Spirito
Santo e lo porta come dono proprio della sua stessa persona,
per espanderlo attraverso la sua umanità: «Egli vi battezzerà
in Spirito Santo». Nel Vangelo di Luca è confermata e
arricchita questa rivelazione dello Spirito Santo, come intima
sorgente della vita e dell'azione messianica di Gesù Cristo.
Alla luce di ciò che Gesù dice nel discorso del Cenacolo, lo
Spirito Santo viene rivelato in un modo nuovo e più pieno.
Egli è non solo il dono alla persona (alla persona del
Messia), ma è una Persona-dono. Gesù ne annuncia la venuta
come quella di «un altro consolatore», il quale, essendo lo
Spirito di verità, condurrà gli apostoli e la Chiesa «alla
verità tutta intera». Ciò si compirà in ragione della
speciale comunione tra lo Spirito Santo e Cristo: «Prenderà
del mio e ve l'annuncerà». Questa comunione ha la sua fonte
originaria nel Padre «Tutto quello che il Padre possiede è
mio; per questo, ho detto che prenderà del mio e ve
l'annuncerà». Provenendo dal Padre, lo Spirito Santo è
mandato dal Padre. Lo Spirito Santo prima è stato mandato
come dono per il Figlio che si è fatto uomo, per adempiere
gli annunci messianici. Dopo la «dipartita» di
Cristo-Figlio, secondo il testo giovanneo, lo Spirito Santo «
verrà» direttamente - è la sua nuova missione - a
completare l'opera stessa del Figlio. Così sarà lui a
portare a compimento la nuova èra della storia della
salvezza.
23. Ci troviamo sulla
soglia degli eventi pasquali. La nuova, definitiva rivelazione
dello Spirito Santo come Persona che è il dono, si compie
proprio in questo momento. Gli eventi pasquali - la passione,
la morte e la risurrezione di Cristo - sono anche il tempo
della nuova venuta dello Spirito Santo, come Paraclito e
Spirito di verità. Sono il tempo del «nuovo inizio» della
comunicazione del Dio uno e trino all'umanità nello Spirito
Santo, per opera di Cristo Redentore. Questo nuovo inizio è
la redenzione del mondo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito».
Già nel «dare» il
Figlio, nel dono del Figlio si esprime la più profonda
essenza di Dio, il quale, come amore, è fonte inesauribile
dell'elargizione. Nel dono fatto dal Figlio si completano la
rivelazione e l'elargizione dell'eterno amore: lo Spirito
Santo, che nelle imperscrutabili profondità della divinità
è una Persona-dono, per opera del Figlio, cioè mediante il
mistero pasquale, in modo nuovo viene dato agli apostoli e
alla Chiesa e, per mezzo di essi, all'umanità e al mondo
intero.
24. L'espressione
definitiva di questo mistero si ha nel giorno della
Risurrezione. In questo giorno Gesù di Nazareth, «nato dalla
stirpe di Davide secondo la carne» - come scrive l'apostolo
Paolo - viene «costituito Figlio di Dio con potenza secondo
lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai
morti». Si può dire così che l'«elevazione» messianica di
Cristo nello Spirito Santo raggiunga il suo zenit nella
Risurrezione, nella quale egli si rivela anche come Figlio di
Dio, «pieno di potenza». E questa potenza, le cui fonti
zampillano nell'imperscrutabile comunione trinitaria, si
manifesta, prima di tutto, nel fatto che il Cristo risorto, se
da una parte adempie la promessa di Dio, già espressa per
bocca del Profeta: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro
di voi uno spirito nuovo, ...il mio spirito», dall'altra
compie la sua stessa promessa, fatta agli apostoli con le
parole: «Quando me ne sarò andato, ve lo manderò». È lui:
lo Spirito di verità, il Paraclito, mandato da Cristo risorto
per trasformarci nella sua stessa immagine di risorto. Ecco:
«La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato,
mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i
discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in
mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto questo,
mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al
vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a
voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi".
Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse:
"Ricevete lo Spirito Santo"». Tutti i particolari
di questo testo-chiave del Vangelo di Giovanni hanno una loro
eloquenza, specialmente se li rileggiamo in riferimento alle
parole pronunciate nello stesso Cenacolo all'inizio degli
eventi pasquali. Ormai questi eventi - il triduum sacrum di
Gesù, che il Padre ha consacrato con l'unzione e mandato nel
mondo - raggiungono il loro compimento. Il Cristo, che «aveva
reso lo spirito» sulla Croce», come Figlio dell'uomo e
Agnello di Dio, una volta risorto, va dagli apostoli per «alitare
su di loro» con quella potenza, di cui parla la Lettera ai
Romani. La venuta del Signore riempie di gioia i presenti: «La
loro afflizione si cambia in gioia», come già aveva egli
stesso promesso prima della sua passione. E soprattutto si
avvera il principale annuncio del discorso di addio: il Cristo
risorto, quasi avviando una nuova creazione, «porta» agli
apostoli lo Spirito Santo. Lo porta a prezzo della sua «dipartita»:
dà loro questo Spirito quasi attraverso le ferite della sua
crocifissione: «Mostrò loro le mani e il costato». È in
forza di questa crocifissione che egli dice loro: «Ricevete
lo Spirito Santo». Si stabilisce così uno stretto legame tra
l'invio del Figlio e quello dello Spirito Santo. Non c'è
invio dello Spirito Santo (dopo il peccato originale) senza la
Croce e la Risurrezione: «Se non me ne vado, non verrà a voi
il consolatore». Si stabilisce anche uno stretto legame tra
la missione dello Spirito Santo e quella del Figlio nella
redenzione. La missione del Figlio, in un certo senso, trova
il suo «compimento» nella redenzione. La missione dello
Spirito Santo «attinge» alla redenzione: «Egli prenderà
del mio e ve l'annuncerà». La redenzione viene totalmente
operata dal Figlio come dall'Unto, che è venuto ed ha agito
nella potenza dello Spirito Santo, offrendosi alla fine in
sacrificio sul legno della Croce. E questa redenzione viene,
al tempo stesso, operata costantemente nei cuori e nelle
coscienze umane - nella storia del mondo - dallo Spirito
Santo, che è l'«altro consolatore».
7. Lo Spirito Santo
e il tempo della Chiesa
25. «Compiuta l'opera che
il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (Gv
17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per
santificare di continuo la Chiesa, e i credenti avessero così,
mediante Cristo, accesso al Padre in un solo Spirito». È
questi lo Spirito di vita, la sorgente dell'acqua zampillante
fino alla vita eterna (Gv 4,14); (Gv 7,38),
colui per mezzo del quale il Padre ridona la vita agli uomini,
morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo
i loro corpi mortali (Rm 8,10)». In questo modo il
Concilio Vaticano II parla della nascita della Chiesa nel
giorno della Pentecoste. Questo evento costituisce la
definitiva manifestazione di ciò che si era compiuto nello
stesso Cenacolo già la domenica di Pasqua. Il Cristo risorto
venne e «portò» agli apostoli lo Spirito Santo. Lo diede
loro dicendo: «Ricevete lo Spirito Santo». Ciò che era
avvenuto allora all'interno del Cenacolo, «a porte chiuse, più
tardi, il giorno della Pentecoste si manifesta anche
all'esterno, davanti agli uomini. Si aprono le porte del
Cenacolo, e gli apostoli si dirigono verso gli abitanti e i
pellegrini convenuti a Gerusalemme in occasione della festa,
per rendere testimonianza a Cristo nella potenza dello Spirito
Santo. In questo modo si adempie l'annuncio: «Egli mi renderà
testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché
siete stati con me fin dal principio». Leggiamo in un altro
documento del Vaticano II: «Indubbiamente lo Spirito Santo
operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato.
Ma fu nel giorno della Pentecoste che egli discese sui
discepoli, per rimanere con loro in eterno, e la Chiesa
apparve pubblicamente di fronte alla moltitudine, ed ebbe
inizio mediante la predicazione e la diffusione del Vangelo in
mezzo ai pagani». Il tempo della Chiesa ha avuto inizio con
la «venuta», cioè con la discesa dello Spirito Santo sugli
apostoli riuniti nel Cenacolo di Gerusalemme insieme con
Maria, la Madre del Signore. Il tempo della Chiesa ha avuto
inizio nel momento in cui le promesse e gli annunci, che così
esplicitamente si riferivano al consolatore, allo Spirito di
verità, hanno cominciato ad avverarsi in tutta potenza ed
evidenza sugli apostoli, determinando così la nascita della
Chiesa. Di questo parlano diffusamente e in molti passi gli
Atti degli Apostoli dai quali risulta che, secondo la
coscienza della prima comunità, di cui Luca esprime le
certezze, lo Spirito Santo ha assunto la guida invisibile - ma
in certo modo «percepibile» - di coloro che, dopo la
dipartita del Signore Gesù, sentivano profondamente di essere
rimasti orfani. Con la venuta dello Spirito essi si sono
sentiti idonei a compiere la missione loro affidata. Si sono
sentiti pieni di fortezza. Proprio questo ha operato in loro
lo Spirito Santo, e questo egli opera continuamente nella
Chiesa mediante i loro successori. La grazia dello Spirito
Santo, infatti, che gli apostoli con l'imposizione delle mani
diedero ai loro collaboratori, continua ad essere trasmessa
nell'Ordinazione episcopale. I Vescovi poi col Sacramento
dell'ordine rendono partecipi di tale dono spirituale i sacri
ministri e provvedono a che, mediante il Sacramento della
confermazione, ne siano corroborati tutti i rinati dall'acqua
e dallo Spirito. Così, in certo modo, si perpetua nella
Chiesa la grazia di Pentecoste. Come scrive il Concilio, «lo
Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un
tempio (1Cor 3,16); (1Cor 6,19), e in essi prega
e rende testimonianza della loro adozione a figli (Gal
4,6); (Rm 8,15). Egli introduce la Chiesa in tutta
intera la verità (Gv 16,13), la unifica nella
comunione e nel ministero, la edifica e dirige con i diversi
doni gerarchici e carismatici, la arricchisce dei suoi frutti
(Ef 4,11); (1Cor 12,4); (Gal 5,22). Con
la forza del Vangelo mantiene la Chiesa continuamente giovane,
costantamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col
suo Sposo».
26. I passi riportati
dalla Costituzione conciliare Lumen gentium ci dicono che, con
la venuta dello Spirito Santo, ebbe inizio il tempo della
Chiesa. Essi ci dicono pure che questo tempo, il tempo della
Chiesa, perdura. Perdura attraverso i secoli e le generazioni
Nel nostro secolo, in cui l'umanità si è ormai avvicinata al
termine del secondo Millennio dopo Cristo, questo tempo della
Chiesa si è espresso in modo speciale mediante il Concilio
Vaticano II, come Concilio del nostro secolo. Si sa, infatti,
che questo è stato in maniera speciale un Concilio «ecclesiologico»:
un concilio sul tema della Chiesa. Al tempo stesso,
l'insegnamento di questo Concilio è essenzialmente «pneumatologico»:
permeato della verità sullo Spirito Santo, come anima della
Chiesa. Possiamo dire che nel suo ricco magistero il Concilio
Vaticano II contiene propriamente tutto ciò «che lo Spirito
dice alle Chiese» in ordine alla presente fase della storia
della salvezza. Seguendo la guida dello Spirito di verità e
rendendo testimonianza insieme con lui, il Concilio ha dato
una speciale conferma della presenza dello Spirito Santo
consolatore. In certo senso, esso l'ha reso nuovamente «presente»
nella nostra difficile epoca. Alla luce di questa convinzione
si comprende meglio la grande importanza di tutte le
iniziative miranti alla realizzazione del Vaticano II, del suo
magistero e del suo indirizzo pastorale ed ecumenico. In
questo senso vanno anche ben considerate e valutate le
successive Assemblee del Sinodo dei Vescovi che mirano a far sì
che i frutti della verità e dell'amore - i frutti autentici
dello Spirito Santo - diventino un bene duraturo del Popolo di
Dio nel suo pellegrinare terreno lungo il corso dei secoli. È
indispensabile questo lavoro della Chiesa, mirante alla
verifica ed al consolidamento dei frutti salvifici dello
Spirito, elargiti nel Concilio. A questo scopo bisogna saperli
attentamente «discernere» da tutto ciò che, invece, può
provenire soprattutto dal «principe di questo mondo». Questo
discernimento è tanto più necessario nella realizzazione
dell'opera del Concilio, in quanto questo si è aperto
largamente al mondo contemporaneo, come appare chiaramente
dalle importanti Costituzioni conciliari Gaudium et spes e
Lumen gentium. Leggiamo nella Costituzione pastorale: «La
loro comunità (dei discepoli di Cristo)... è composta di
uomini, i quali, riuniti insieme in Cristo, sono guidati dallo
Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il Regno del
Padre, e hanno ricevuto un messaggio di salvezza da propagare
a tutti. Perciò, essa si sente realmente ed intimamente
solidale con il genere umano e con la sua storia». «La
Chiesa sa bene che soltanto Dio, al cui servizio è
consacrata, dà risposta ai più profondi desideri del cuore
umano, che non può mai essere pienamente saziato dai beni
terreni». «Lo Spirito di Dio... con mirabile provvidenza
dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra».
PARTE
II
LO
SPIRITO CHE CONVINCE IL MONDO QUANTO AL PECCATO
1. Peccato,
giustizia e giudizio
27. Allorché Gesù,
durante il discorso nel Cenacolo, annuncia la venuta dello
Spirito Santo «a prezzo» della propria dipartita e promette:
«Quando me ne sarò andato, ve lo manderò», proprio nello
stesso contesto aggiunge: «E quando sarà venuto, egli
convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al
giudizio». Il medesimo consolatore e Spirito di verità, già
promesso come colui che «insegnerà» e «ricorderà», come
colui che «renderà testimonianza», come colui che «guiderà
alla verità tutta intera», con le parole ora citate viene
annunciato come colui che «convincerà il mondo quanto al
peccato, alla giustizia e al giudizio». Significativo sembra
anche il contesto. Gesù collega questo annuncio dello Spirito
Santo alle parole che indicano la propria «dipartita»
mediante la Croce, ed anzi ne sottolineano la necessità: «E
bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non
verrà a voi il consolatore». Ma ciò che più conta è la
spiegazione che Gesù stesso aggiunge a queste tre parole:
peccato, giustizia, giudizio. Dice infatti così: «Egli
convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al
giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto
alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più;
quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è
stato giudicato». Nel pensiero di Gesù il peccato, la
giustizia, il giudizio hanno un senso ben preciso, diverso da
quello che forse qualcuno sarebbe propenso ad attribuire a
queste parole indipendentemente dalla spiegazione di chi
parla. Questa spiegazione indica, altresì, come sia da
intendere quel «convincere il mondo», che è proprio
dell'azione dello Spirito Santo. Qui è importante sia il
significato delle singole parole, sia il fatto che Gesù le
abbia unite tra loro nella stessa frase. «Il peccato», in
questo passo, significa l'incredulità che Gesù incontrò in
mezzo ai «suoi», cominciando dai concittadini di Nazareth.
Significa il rifiuto della sua missione, che porterà gli
uomini a condannarlo a morte. Quando successivamente parla
della «giustizia», Gesù sembra avere in mente quella
giustizia definitiva, che il Padre gli renderà circondandolo
con la gloria della risurrezione e dell'ascensione al Cielo:
«Vado al Padre». A sua volta, nel contesto del «peccato» e
della «giustizia» così intesi, «il giudizio» significa
che lo Spirito di verità dimostrerà la colpa del «mondo»
nella condanna di Gesù alla morte di Croce. Tuttavia, il
Cristo non è venuto nel mondo solamente per giudicarlo e
condannarlo: egli è venuto per salvarlo. Il convincere del
peccato e della giustizia ha come scopo la salvezza del mondo,
la salvezza degli uomini. Proprio questa verità sembra essere
sottolineata dall'affermazione che «il giudizio» riguarda
solamente il «principe di questo mondo», cioè Satana colui
che sin dall'inizio sfrutta l'opera della creazione contro la
salvezza, contro l'alleanza e l'unione dell'uomo con Dio: egli
è «già giudicato» sin dall'inizio. Se lo Spirito
consolatore deve convincere il mondo proprio quanto al
giudizio, e per continuare in esso l'opera salvifica di
Cristo.
28. Qui vogliamo
concentrare la nostra attenzione principalmente su questa
missione dello Spirito Santo che è di «convincere il mondo
quanto al peccato», ma rispettando al tempo stesso il
contesto generale delle parole di Gesù nel Cenacolo. Lo
Spirito Santo, che assume dal Figlio l'opera della redenzione
del mondo, assume con ciò stesso il compito del salvifico «convincere
del peccato». Questo convincere è in costante riferimento
alla «giustizia», cioè alla definitiva salvezza in Dio, al
compimento dell'economia che ha come centro il Cristo
crocifisso e glorificato. E questa economia salvifca di Dio
sottrae, in certo senso, l'uomo dal «giudizio», cioè dalla
dannazione, con la quale è stato colpito il peccato di
Satana, «principe di questo mondo», colui che a causa del
suo peccato è divenuto «dominatore di questo mondo di
tenebra». Ed ecco che, mediante tale riferimento al «giudizio»,
si schiudono vasti orizzonti per la comprensione del «peccato»,
nonché della «giustizia». Lo Spirito Santo, mostrando sullo
sfondo della Croce di Cristo il peccato nell'economia della
salvezza (si potrebbe dire: «il peccato salvato»), fa
comprendere come sia sua missione «convincere» anche del
peccato che è già stato giudicato definitivamente («il
peccato condannato»).
29. Tutte le parole,
pronunciate dal Redentore nel Cenacolo alla vigilia della sua
passione, si inscrivono nel tempo della Chiesa; prima di
tutto, quelle sullo Spirito Santo come Paraclito e Spirito di
verità. Esse vi si inscrivono in modo sempre nuovo, in ogni
generazione, in ogni epoca. Ciò è confermato, per quanto
riguarda il nostro secolo, dall'insieme dell'insegnamento del
Concilio Vaticano II, specialmente della Costituzione
pastorale «Gaudium et spes». Molti passi di questo documento
indicano chiaramente che il Concilio, aprendosi alla luce
dello Spirito di verità, si presenta come l'autentico
depositario degli annunci e delle promesse fatte da Cristo
agli apostoli ed alla Chiesa nel discorso di addio: in modo
particolare, di quell'annuncio, secondo il quale lo Spirito
Santo deve «convincere il mondo quanto al peccato alla
giustizia e al giudizio». Ciò indica già il testo, nel
quale il Concilio spiega come intende il «mondo»: «Il mondo
che esso (il Concilio stesso) ha presente è perciò quello
degli uomini, ossia l'intera famiglia umana nel contesto di
tutte quelle realtà, entro le quali essa vive. il mondo che
è teatro della storia del genere umano e reca i segni dei
suoi sforzi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il
mondo che i cristiani credono creato e conservato dall'amore
del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del
peccato, ma liberato da Cristo crocifisso e risorto, con la
sconfitta del Maligno, affinché, secondo il disegno di Dio,
sia trasformato e giunga al suo compimento». In riferimento a
questo testo molto sintetico bisogna leggere nella medesima
Costituzione gli altri passi, intesi ad esporre con tutto il
realismo della fede la situazione del peccato nel mondo
contemporaneo, nonché di spiegare la sua essenza, partendo da
diversi punti di vista. Quando Gesù, la vigilia di Pasqua,
parla dello Spirito Santo come di colui che «convincerà il
mondo quanto al peccato», da una parte si deve dare a questa
sua affermazione la portata più vasta possibile, in quanto
comprende tutto l'insieme dei peccati nella storia dell'umanità.
D'altra parte, però, quando Gesù spiega che questo peccato
consiste nel fatto che «non credono in lui», tale portata
sembra restringersi a coloro che hanno rifiutato la missione
messianica del Figlio dell'uomo, condannandolo alla morte di
Croce. Ma è difficile non notare come questa portata più «ridotta»
e storicamente precisata del significato del peccato si dilati
fino ad assumere un'ampiezza universale a motivo
dell'universalità della redenzione, che si è compiuta per
mezzo della Croce. La rivelazione del mistero della redenzione
apre la strada a una comprensione, nella quale ogni peccato,
dovunque ed in qualsiasi momento commesso, viene riferito alla
Croce di Cristo - e, dunque, indirettamente anche al peccato
di coloro che «non hanno creduto in lui» condannando Gesù
Cristo alla morte di Croce. Da questo punto di vista occorre
ritornare all'evento della Pentecoste.
2. La testimonianza
del giorno della Pentecoste
30. Nel giorno della
Pentecoste trovarono la loro più esatta e diretta conferma
gli annunci di Cristo nel discorso di addio e, in particolare,
l'annuncio del quale stiamo trattando: «Il consolatore...
convincerà il mondo quanto al peccato». Quel giorno, sugli
apostoli raccolti in preghiera insieme con Maria, Madre di Gesù,
nello stesso Cenacolo, discese lo Spirito Santo promesso, come
leggiamo negli Atti degli Apostoli: «Ed essi furono tutti
pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre
lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi», «riconducendo
in tal modo all'unità le razze disperse e offrendo al Padre
le primizie di tutte le nazioni». È chiaro il rapporto tra
l'annuncio fatto da Cristo e questo evento. Noi vi scorgiamo
il primo e fondamentale compimento della promessa del
Paraclito. Questi viene mandato dal Padre, «dopo» la
dipartita di Cristo, «a prezzo» di essa. Questa è dapprima
una dipartita mediante la morte in Croce, e poi, quaranta
giorni dopo la risurrezione, mediante l'ascensione al Cielo.
Ancora nel momento dell'ascensione Gesù ordina agli apostoli
«di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si
adempisse la promessa del Padre»; «sarete battezzati in
Spirito Santo, fra non molti giorni»; «riceverete forza
dallo Spirito Santo, che scenderà su di voi, e mi sarete
testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e
fino agli estremi confini della terra»"'. Queste ultime
parole racchiudono un'eco, o un ricordo dell'annuncio fatto
nel Cenacolo. E il giorno della Pentecoste tale annuncio si
avvera in tutta esattezza. Agendo sotto l'influsso dello
Spirito Santo, ricevuto dagli apostoli durante la preghiera
nel Cenacolo, davanti ad una moltitudine di gente di diverse
lingue, radunata per la festa, Pietro si presenta e parla.
Proclama ciò che certamente non avrebbe avuto il coraggio di
dire in precedenza: «Uomini d'Israele, ... Gesù di Nazareth
- uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli,
prodigi e segni, che Dio stesso operò fra voi per opera sua -
dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di
Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce
per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato,
sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era
possibile che questa lo tenesse in suo potere». Gesù aveva
predetto e promesso: «Egli mi renderà testimonianza, ... e
anche voi mi renderete testimonianza». Nel primo discorso di
Pietro a Gerusalemme tale «testimonianza» trova il suo
chiaro inizio: è la testimonianza intorno a Cristo crocifisso
e risorto. Quella dello Spirito-Paraclito e degli apostoli. E
nel contenuto stesso di tale prima testimonianza lo Spirito di
verità per bocca di Pietro «convince il mondo quanto al
peccato»: prima di tutto, quanto a quel peccato che è il
rifiuto del Cristo fino alla condanna a morte, fino alla Croce
sul Golgota. Proclamazioni di analogo contenuto si
ripeteranno, secondo il testo degli Atti degli Apostoli, in
altre occasioni e in diversi luoghi.
31. Fin da questa iniziale
testimonianza della Pentecoste, l'azione dello Spirito di
verità, che «convince il mondo quanto al peccato» del
rifiuto di Cristo, è legata in modo organico con la
testimonianza da rendere al mistero pasquale: al mistero del
Crocifsso e del Risorto. E in questo legame lo stesso «convincere
quanto al peccato» rivela la propria dimensione salvifica. È,
infatti, un «convincere» che ha come scopo non la sola
accusa del mondo, tanto meno la sua condanna. Gesù Cristo non
è venuto nel mondo per giudicarlo e condannarlo, ma per
salvarlo. Ciò viene sottolineato già in questo primo
discorso, quando Pietro esclama: «Sappia, dunque, con
certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore
e Cristo quel Gesù, che voi avete crocifisso». E in seguito,
quando i presenti domandano a Pietro e agli apostoli: «Che
cosa dobbiamo fare, fratelli?», ecco la risposta: «Pentitevi
e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù
Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete
il dono dello Spirito Santo». In questo modo il «convincere
quanto al peccato» diventa insieme un convincere circa la
remissione dei peccati, nella potenza dello Spirito Santo.
Pietro nel suo discorso di Gerusalemme esorta alla
conversione, come Gesù esortava i suoi ascoltatori all'inizio
della sua attività messianica. La conversione richiede la
convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio interiore
della coscienza, e questo, essendo una verifica dell'azione
dello Spirito di verità nell'intimo dell'uomo, diventa nello
stesso tempo il nuovo inizio dell'elargizione della grazia e
dell'amore: «Ricevete lo Spirito Santo». Così in questo «convincere
quanto al peccato» scopriamo una duplice elargizione: il dono
della verità della coscienza e il dono della certezza della
redenzione. Lo Spirito di verità è il consolatore. Il
convincere del peccato, mediante il ministero dell'annuncio
apostolico nella Chiesa nascente, viene riferito - sotto
l'impulso dello Spirito effuso nella Pentecoste - alla potenza
redentrice di Cristo crocifisso e risorto. Così si adempie la
promessa relativa allo Spirito Santo, fatta prima di pasqua:
«Egli prenderà del mio e ve l'annuncerà». Quando dunque,
durante l'evento della Pentecoste, Pietro parla del peccato di
coloro che «non hanno creduto» ed hanno consegnato ad una
morte ignominiosa Gesù di Nazareth, egli rende testimonianza
alla vittoria sul peccato: vittoria che si è compiuta, in
certo senso, mediante il peccato più grande che l'uomo poteva
commettere: l'uccisione di Gesù, Figlio di Dio,
consostanziale al Padre! Similmente, la morte del Figlio di
Dio vince la morte umana: «Ero mors tua, o mors», come il
peccato di aver crocifisso il Figlio di Dio «vince» il
peccato umano! Quel peccato che si consumò a Gerusalemme il
giorno del Venerdì santo - e anche ogni peccato dell'uomo.
Infatti, al più grande peccato da parte dell'uomo
corrisponde, nel cuore del Redentore, l'oblazione del supremo
amore, che supera il male di tutti i peccati degli uomini.
Sulla base di questa certezza la Chiesa nella liturgia romana
non esita a ripetere ogni anno, durante la Veglia pasquale, «Ofelix
culpa!», nell'annuncio della risurrezione dato dal diacono
col canto dell'«Exsultet!».
32. Di questa verità
ineffabile, però, nessuno può «convincere il mondo»,
l'uomo, l'umana coscienza, se non egli stesso, lo Spirito di
verità. Egli è lo Spirito, che «scruta le profondità di
Dio». Di fronte al mistero del peccato bisogna scrutare «le
profondità di Dio» fino in fondo. Non basta scrutare la
coscienza umana, quale intimo mistero dell'uomo, ma bisogna
penetrare nell'intimo mistero di Dio, in quelle «profondità
di Dio» che si riassumono nella sintesi: al Padre - nel
Figlio - per mezzo dello Spirito Santo. È proprio lo Spirito
Santo che le «scruta», e da esse trae la risposta di Dio al
peccato dell'uomo. Con questa risposta si chiude il
procedimento del «convincere quanto al peccato», come mette
in evidenza l'evento della Pentecoste. Convincendo il «mondo»
del peccato del Golgota, della morte dell'Agnello innocente,
come avviene nel giorno della Pentecoste, lo Spirito Santo
convince anche di ogni peccato commesso in ogni luogo ed in
qualsiasi momento nella storia dell'uomo: egli dimostra,
infatti il suo rapporto con la Croce di Cristo. Il «convincere»
è la dimostrazione del male del peccato, di ogni peccato, in
relazione alla Croce di Cristo. Il peccato, mostrato in questa
relazione, viene riconosciuto nell'intera dimensione del male,
che gli è propria, per il «mistero dell'iniquità» , che in
se contiene e nasconde. L'uomo non conosce questa dimensione -
non la conosce in alcun modo al di fuori della Croce di
Cristo. Perciò, non può essere «convinto» di essa se non
dallo Spirito Santo: Spirito di verità, ma anche consolatore.
Infatti, il peccato, mostrato in relazione alla Croce di
Cristo, nello stesso tempo viene identificato nella piena
dimensione del «mistero della pietà», come ha indicato
l'Esortazione Apostolica post-sinodale Reconciliatio et
paenitentia. Anche questa dimensione del peccato l'uomo non la
conosce in alcun modo al di fuori della Croce di Cristo. E
anche di essa egli non può essere «convinto» se non dallo
Spirito Santo: da colui che «scruta le profondità di Dio».
3. La testimonianza
dell'inizio: la realtà originaria del peccato
33. È la dimensione del
peccato che troviamo nella testimonianza dell'inizio, annotata
nel Libro della Genesi. È il peccato che, secondo la Parola
di Dio rivelata, costituisce il principio e la radice di tutti
gli altri Ci troviamo di fronte alla realtà originaria del
peccato nella storia dell'uomo e, al tempo stesso,
nell'insieme dell'economia della salvezza. Si può dire che in
questo peccato ha inizio il «mistero dell'iniquità», ma
anche che è questo il peccato, in ordine al quale la potenza
redentrice del «mistero della pietà» diventa
particolarmente trasparente ed efficace. Ciò esprime san
Paolo, quando alla «disobbedienza» del primo Adamo
contrappone l'«obbedienza» di Cristo, il secondo Adamo: «L'obbedienza
fino alla morte». Stando alla testimonianza dell'inizio, il
peccato nella sua realtà originaria avviene nella volontà -
e nella coscienza - dell'uomo, prima di tutto, come «disobbedienza»,
cioè come opposizione della volontà dell'uomo alla volontà
di Dio. Questa disobbedienza originaria presuppone il rifiuto
o, almeno, l'allontanamento dalla verità contenuta nella
Parola di Dio, che crea il mondo. Questa Parola è lo stesso
Verbo, che era «in principio presso Dio», che «era Dio» e
senza il quale «niente è stato fatto di tutto ciò che
esiste», poiché «il mondo fu fatto per mezzo di lui». È
il Verbo che è anche eterna legge, fonte di ogni legge, che
regola il mondo e specialmente gli atti umani. Quando dunque,
alla vigilia della sua passione, Gesù Cristo parla del
peccato di coloro che «non credono in lui», in queste sue
parole, piene di dolore, vi è quasi un'eco lontana di quel
peccato, che nella sua forma originaria si inscrive
oscuramente nel mistero stesso della creazione. Colui che
parla, infatti, è non solo il Figlio dell'uomo, ma anche
colui che è «il primogenito di fronte ad ogni creatura», «poiché
per mezzo di lui sono state create tutte le cose:.... per
mezzo di lui e in vista di lui». Alla luce di questa verità
si capisce che la «disobbedienza», nel mistero dell'inizio,
presuppone in certo senso la stessa «non-fede», quel
medesimo «non hanno creduto», che si ripeterà nei riguardi
del mistero pasquale. Come abbiamo detto, si tratta del
rifiuto o, almeno, dell'allontanamento dalla verità contenuta
nella Parola del Padre. Il rifiuto si esprime in pratica come
«disobbedienza», in un atto compiuto come effetto della
tentazione, che proviene dal «padre della menzogna». Dunque,
alla radice del peccato umano sta la menzogna come radicale
rifiuto della verità contenuta nel Verbo del Padre, mediante
il quale si esprime l'amorevole onnipotenza del Creatore:
l'onnipotenza ed insieme l'amore «di Dio Padre, creatore del
cielo e della terra».
34. «Lo Spirito di Dio»,
che secondo la descrizione biblica della creazione «aleggiava
sulle acque», indica lo stesso «Spirito, che scruta le
profondità di Dio»; scruta le profondità del Padre e del
Verbo-Figlio nel mistero della creazione. Non solo è il
testimone diretto del loro reciproco amore, dal quale deriva
la creazione, ma è egli stesso questo amore. Egli stesso,
come amore, è l'eterno dono increato. In lui è la fonte e
l'inizio di ogni elargizione alle creature. La testimonianza
dell'inizio, che troviamo in tutta la Rivelazione, a
cominciare dal Libro della Genesi, su questo punto è univoca.
Creare vuol dire chiamare all'esistenza dal nulla; dunque,
creare vuol dire donare l'esistenza. E se il mondo visibile
viene creato per l'uomo, dunque all'uomo viene donato il
mondo. E contemporaneamente lo stesso uomo nella propria
umanità riceve in dono una speciale «immagine e somiglianza»
di Dio. Ciò significa non solo razionalità e libertà come
proprietà costitutiva della natura umana, ma anche, sin
dall'inizio, capacità di un rapporto personale con Dio, come
«io» e «tu» e, dunque, capacità di alleanza che avrà
luogo con la comunicazione salvifica di Dio all'uomo. Sullo
sfondo dell'«immagine e somiglianza» di Dio, «il dono dello
Spirito» significa, infine, chiamata all'amicizia, nella
quale le trascendenti «profondità di Dio» vengono, in
qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell'uomo.
Il Concilio Vaticano II insegna: «Dio invisibile (Col
1,15); (1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli
uomini come ad amici (Es 33,11); (Gv 15,14) e si
intrattiene con loro (Bar 3,38), per invitarli e
ammetterli alla comunione con sé».
35. Pertanto, lo Spirito,
che «scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio», conosce
sin dall'inizio «i segreti dell'uomo». Proprio per questo
egli solo può pienamente «convincere del peccato» che ci fu
all'inizio, di quel peccato che è la radice di tutti gli
altri e il focolaio della peccaminosità dell'uomo sulla
terra, che non si spegne mai. Lo Spirito di verità conosce la
realtà originaria del peccato, causato nella volontà
dell'uomo ad opera del «padre della menzogna» - di colui che
già «è stato giudicato». Lo Spirito Santo convince,
dunque, il mondo del peccato in rapporto a questo «giudizio»,
ma costantemente guidando verso la «giustizia», che è stata
rivelata all'uomo insieme con la Croce di Cristo: mediante l'«obbedienza
fino alla morte». Solo lo Spirito Santo può convincere del
peccato dell'inizio umano, proprio egli che è l'amore del
Padre e del Figlio, egli che è dono, mentre il peccato
dell'inizio umano consiste nella menzogna e nel rifiuto del
dono e dell'amore, i quali decidono dell'inizio del mondo e
dell'uomo.
36. Secondo la
testimonianza dell'inizio, che troviamo nella Scrittura e
nella Tradizione, dopo la prima (ed anche più completa)
descrizione nel Libro della Genesi il peccato nella sua forma
originaria è inteso come «disobbedienza», il che significa
semplicemente e direttamente trasgressione di un divieto posto
da Dio. Ma alla luce di tutto il contesto è pure palese che
le radici di questa disobbedienza vanno ricercate in profondità
nell'intera situazione reale dell'uomo. Chiamato
all'esistenza, l'essere umano - uomo e donna - è una
creatura. L'«immagine di Dio», consistente nella razionalità
e nella libertà, dice la grandezza e la dignità del soggetto
umano, che è persona. Ma questo soggetto personale è pur
sempre una creatura: nella sua esistenza ed essenza dipende
dal Creatore. Secondo la Genesi, «l'albero della conoscenza
del bene e del male» doveva esprimere e costantemente
ricordare all'uomo il «limite» invalicabile per un essere
creato. In questo senso va inteso il divieto da parte di Dio:
il Creatore proibisce all'uomo e alla donna di mangiare i
frutti dell'albero della conoscenza del bene e del male. Le
parole dell'istigazione, cioè della tentazione, come è
formulata nel testo sacro, inducono a trasgredire questo
divieto - cioè a superare quel «limite»: «Quando voi ne
mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come
Dio («come dèi») conoscendo il bene e il male». La «disobbedienza»
significa appunto il superamento di quel limite, che rimane
invalicabile alla volontà e libertà dell'uomo, come essere
creato. Dio creatore è, infatti, l'unica e definitiva fonte
dell'ordine morale nel mondo, da lui creato. L'uomo non può
da se stesso decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo
- non può «conoscere il bene e il male, come Dio». Sì, Dio
nel mondo creato rimane la prima e suprema fonte per decidere
del bene e del male, mediante l'intima verità dell'essere, la
quale è il riflesso del Verbo, l'eterno Figlio,
consostanziale al Padre. All'uomo creato ad immagine di Dio lo
Spirito Santo dà in dono la coscienza, affinché in essa
l'immagine possa rispecchiare fedelmente il suo modello, che
è insieme la sapienza e la legge eterna, fonte dell'ordine
morale nell'uomo e nel mondo. La «disobbedienza», come
dimensione originaria del peccato, significa rifiuto di questa
fonte, per la pretesa dell'uomo di diventare fonte autonoma ed
esclusiva nel decidere del bene e del male. Lo Spirito, che «scruta
le profondità di Dio» e che, al tempo stesso, è per l'uomo
la luce della coscienza e la fonte dell'ordine morale, conosce
in tutta la sua pienezza questa dimensione del peccato, che si
inscrive nel mistero dell'inizio umano. E non cessa di «convincerne
il mondo» in rapporto alla Croce di Cristo sul Golgota.
37. Secondo la
testimonianza dell'inizio, Dio nella creazione ha rivelato se
stesso come onnipotenza, che è amore. Nello stesso tempo ha
rivelato all'uomo che, come «immagine e somiglianza» del suo
Creatore, egli è chiamato a partecipare alla verità e
all'amore. Questa partecipazione significa una vita di unione
con Dio, che è la «vita eterna». Ma l'uomo, sotto
l'influenza del «padre della menzogna», si è distaccato da
questa partecipazione. In quale misura? Certamente non nella
misura del peccato di un puro spirito, nella misura del
peccato di Satana. Lo spirito umano è incapace di raggiungere
una tale misura. Nella stessa descrizione della Genesi è
facile notare la differenza di grado tra «il soffio del male»
da parte di colui che «è peccatore (ossia permane nel
peccato) fin dal principio» e che già «è stato giudicato»,
ed il male della disobbedienza da parte dell'uomo. Questa
disobbedienza, tuttavia, significa pur sempre il voltare le
spalle a Dio e, in un certo senso, il chiudersi della libertà
umana nei suoi riguardi. Significa anche una certa apertura di
questa libertà - della conoscenza e della volontà umana -
verso colui che è il «padre della menzogna». Questo atto di
scelta consapevole non è solo «disobbedienza», ma porta con
sé anche una certa adesione alla motivazione contenuta nella
prima istigazione al peccato e incessantemente rinnovata
durante tutta la storia dell'uomo sulla terra: «Dio sa che,
quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e
diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Ci
troviamo qui al centro stesso di ciò che si potrebbe chiamare
l'«anti-Verbo», cioè l'«anti-verità». Viene, infatti,
falsata la verità dell'uomo: chi è l'uomo e quali sono i
limiti invalicabili del suo essere e della sua libertà.
Questa «anti-verità» è possibile, perché nello stesso
tempo viene falsata completamente la verità su chi è Dio. Il
Dio creatore viene posto in stato di sospetto, anzi
addirittura in stato di accusa, nella coscienza della
creatura. Per la prima volta nella storia dell'uomo appare il
perverso «genio del sospetto». Esso cerca di «falsare» il
Bene stesso, il Bene assoluto, che proprio nell'opera della
creazione si è manifestato come il bene che dona in modo
ineffabile: come bonum diffusivum sui, come amore creativo.
Chi può pienamente «convincere del peccato», ossia di
questa motivazione della disobbedienza originaria dell'uomo,
se non colui che solo è il dono e la fonte di ogni
elargizione, se non lo Spirito, che «scruta le profondità di
Dio» ed è l'amore del Padre e del Figlio?
38. Infatti, malgrado
tutta la testimonianza della creazione e dell'economia
salvifica ad essa inerente, lo spirito delle tenebre è capace
di mostrare Dio come nemico della propria creatura e, prima di
tutto, come nemico dell'uomo, come fonte di pericolo e di
minaccia per l'uomo. In questo modo viene innestato da Satana
nella psicologia dell'uomo il germe dell'opposizione nei
riguardi di colui che «sin dall'inizio» deve essere
considerato come nemico dell'uomo - e non come Padre. L'uomo
viene sfidato a diventare l'avversario di Dio! L'analisi del
peccato nella sua originaria dimensione indica che, ad opera
del «padre della menzogna», vi sarà lungo la storia
dell'umanità una costante pressione al rifiuto di Dio da
parte dell'uomo, fino all'odio: «Amore di sé fino al
disprezzo di Dio», come si esprime sant'Agostino. L'uomo sarà
incline a vedere in Dio prima di tutto una propria
limitazione, e non la fonte della propria liberazione e la
pienezza del bene. Ciò vediamo confermato nell'epoca moderna,
nella quale le ideologie atee tendono a sradicare la religione
in base al presupposto che essa determini una radicale «alienazione»
dell'uomo come se l'uomo venisse espropriato della propria
umanità, quando, accettando l'idea di Dio, attribuisce a lui
ciò che appartiene all'uomo, ed esclusivamente all'uomo! Di
qui un processo di pensiero e di prassi storico-sociologica,
in cui il rifiuto di Dio è pervenuto fino alla dichiarazione
della sua «morte». Un'assurdità, questa, concettuale e
verbale! Ma l'ideologia della «morte di Dio» minaccia
piuttosto l'uomo, come indica il Vaticano II, quando,
sottoponendo ad analisi la questione dell'«autonomia delle
cose temporali», scrive: «La creatura... senza il Creatore
svanisce... Anzi, l'oblio di Dio priva di luce la creatura
stessa». L'ideologia della «morte di Dio» nei suoi effetti
dimostra facilmente di essere, sul piano teoretico e pratico,
l'ideologia della «morte dell'uomo».
4. Lo Spirito, che
trasforma la sofferenza in amore salvifico
39. Lo Spirito, che scruta
le profondità di Dio, è stato chiamato da Gesù nel discorso
del Cenacolo il Paraclito. Infatti, sin dall'inizio «viene
invocato» per «convincere il mondo quanto al peccato». Egli
viene invocato in modo definitivo per mezzo della Croce di
Cristo. Convincere del peccato vuol dire dimostrare il male in
esso contenuto. Il che equivale a rivelare il mistero
dell'iniquità. Non è possibile raggiungere il male del
peccato in tutta la sua dolorosa realtà senza «scrutare le
profondità di Dio». Sin dall'inizio l'oscuro mistero del
peccato è apparso nel mondo sullo sfondo del riferimento al
Creatore della libertà umana. Esso è apparso come un atto di
volontà della creatura-uomo contrario alla volontà di Dio:
alla volontà salvifica di Dio; anzi, è apparso in
opposizione alla verità, sulla base della menzogna ormai
definitivamente «giudicata»: menzogna che ha posto in stato
di accusa, in stato di permanente sospetto, lo stesso amore
creativo e salvifico. L'uomo ha seguito il «padre della
menzogna», ponendosi contro il Padre della vita e lo Spirito
di verità. Il «convincere del peccato» non dovrà, dunque,
significare anche il rivelare la sofferenza? Rivelare il
dolore inconcepibile ed inesprimibile, che, a causa del
peccato, il Libro sacro nella sua visione antropomorfica
sembra intravvedere nelle «profondità di Dio» e, in un
certo senso, nel cuore stesso dell'ineffabile Trinità? La
Chiesa ispirandosi alla Rivelazione, crede e professa che il
peccato è offesa di Dio. Che cosa nell'imperscrutabile
intimità del Padre, del Verbo e dello Spirito Santo
corrisponde a questa «offesa», a questo rifiuto dello
Spirito che è amore e dono? La concezione di Dio, come essere
necessariamente perfettissimo, esclude certamente da Dio ogni
dolore, derivante da carenze o ferite; ma nelle «profondità
di Dio» c'è un amore di Padre che dinanzi al peccato
dell'uomo, secondo il linguaggio biblico, reagisce fino al
punto di dire: «Sono pentito di aver fatto l'uomo». «Il
Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla
terra... E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla
terra e se ne addolorò in cuor suo... Il Signore disse:
"Sono pentito di averli fatti"». Ma più spesso il
Libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per
l'uomo, quasi condividendo il suo dolore. In definitiva,
questo imperscrutabile e indicibile «dolore» di padre
genererà soprattutto la mirabile economia dell'amore
redentivo in Gesù Cristo, affinché, per mezzo del mistero
della pietà, nella storia dell'uomo l'amore possa rivelarsi
più forte del peccato. Perché prevalga il «dono»! Lo
Spirito Santo, che secondo le parole di Gesù «convince del
peccato», è l'amore del Padre e del Figlio e, come tale, è
il dono trinitario e, al tempo stesso, l'eterna fonte di ogni
elargizione divina al creato. Proprio in lui possiamo
concepire come personificata e attuata in modo trascendente
quella misericordia, che la tradizione patristica e teologica,
sulla linea dell'Antico e del Nuovo Testamento, attribuisce a
Dio. Nell'uomo la misericordia include dolore e compassione
per le miserie del prossimo. In Dio lo Spirito-amore traduce
la considerazione del peccato umano in una nuova elargizione
di amore salvifico. Da lui, nell'unità col Padre e col Figlio
nasce l'economia della salvezza, che riempie la storia
dell'uomo con i doni della redenzione. Se il peccato,
rifiutando l'amore, ha generato la «sofferenza» dell'uomo
che in qualche modo si è riversata su tutta la creazione, lo
Spirito Santo entrerà nella sofferenza umana e cosmica con
una nuova elargizione di amore, che redimerà il mondo. E
sulla bocca di Gesù Redentore, nella cui umanità si invera
la «sofferenza» di Dio, risuonerà una parola in cui si
manifesta l'eterno amore, pieno di misericordia: «Misereor».
Così da parte dello Spirito Santo il «convincere del peccato»
diventa un manifestare davanti alla creazione «sottomessa
alla caducità» e, soprattutto, nel profondo delle coscienze
umane, come il peccato viene vinto mediante il sacrificio
dell'Agnello di Dio, il quale è divenuto «fino alla morte»
il servo obbediente che, riparando alla disobbedienza
dell'uomo, opera la redenzione del mondo. In questo modo lo
Spirito di verità, il Paraclito, «convince del peccato».
40. Il valore redentivo
del sacrificio di Cristo è espresso con parole molto
significative dall'autore della Lettera agli Ebrei, il quale,
dopo aver ricordato i sacrifici dell'Antica Alleanza, in cui
«il sangue dei capri e dei vitelli... purifica nella carne»,
soggiunge: «Quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno
Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio,
purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per
servire il Dio vivente»? Pur consapevoli di altre possibili
interpretazioni, le nostre considerazioni sulla presenza dello
Spirito Santo in tutta la vita di Cristo ci portano a
ravvisare in questo testo come un invito a riflettere sulla
presenza del medesimo Spirito anche nel sacrificio redentore
del Verbo Incarnato. Riflettiamo prima sulle parole iniziali
che trattano di questo sacrificio e, in seguito,
separatamente, sulla «purificazione della coscienza», da
esso operata. È, infatti, un sacrificio offerto «con (= per
opera di) uno Spirito eterno», il quale da esso «attinge»
la forza di «convincere del peccato» in ordine alla
salvezza. È lo stesso Spirito Santo che, secondo la promessa
del Cenacolo, Gesù Cristo «porterà» agli apostoli il
giorno della sua risurrezione, presentandosi loro con le
ferite della crocifissione, e che «darà» loro «per la
remissione dei peccati»: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi
rimetterete i peccati saranno rimessi». Sappiamo che «Dio
consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth», come
diceva Simon Pietro nella casa del centurione Cornelio.
Conosciamo il mistero pasquale della sua «dipartita»,
secondo il Vangelo di Giovanni Le parole della lettera agli
Ebrei ora ci spiegano in quale modo Cristo «offrì se stesso
senza macchia a Dio» e come ciò fece «con uno Spirito
eterno». Nel sacrificio del Figlio dell'uomo lo Spirito Santo
è presente ed agisce così come agiva nel suo concepimento,
nella sua venuta al mondo, nella sua vita nascosta e nel suo
ministero pubblico. Secondo la Lettera agli Ebrei, sulla via
della sua «dipartita» attraverso il Getsemani e il Golgota,
lo stesso Cristo Gesù nella propria umanità si è aperto
totalmente a questa azione dello Spirito-Paraclito, che dalla
sofferenza fa emergere l'eterno amore salvifico. Egli è
stato, dunque, «esaudito per la sua pietà. Pur essendo
Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì». In questo
modo tale Lettera dimostra come l'umanità, sottomessa al
peccato nei discendenti del primo Adamo, in Gesù Cristo è
diventata perfettamente sottomessa a Dio ed a lui unita e,
nello stesso tempo, piena di misericordia verso gli uomini. Si
ha così una nuova umanità, che in Gesù Cristo mediante la
sofferenza della Croce è ritornata all'amore, tradito da
Adamo col peccato. Essa si è ritrovata nella stessa fonte
divina dell'elargizione originaria: nello Spirito, che «scruta
le profondità di Dio» ed è amore e dono egli stesso. Il
Figlio di Dio Gesù Cristo, come uomo, nell'ardente preghiera
della sua passione, permise allo Spirito Santo, che già aveva
penetrato fino in fondo la sua umanità, di trasformarla in un
sacrifcio perfetto mediante l'atto della sua morte, come
vittima di amore sulla Croce. Da solo egli fece questa
oblazione. Come unico sacerdote, «offrì se stesso senza
macchia a Dio». Nella sua umanità era degno di divenire un
tale sacrificio, poiché egli solo era «senza macchia». Ma
l'offrì «con uno Spirito eterno»: il che vuol dire che lo
Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta
autodonazione del Figlio dell'uomo, per trasformare la
sofferenza in amore redentivo.
41. Nell'Antico Testamento
più volte si parla del «fuoco dal cielo», che bruciava le
oblazioni presentate dagli uomini. Per analogia si può dire
che lo Spirito Santo è il «fuoco dal cielo», che opera nel
profondo del mistero della Croce. Provenendo dal Padre, egli
indirizza verso il Padre il sacrificio del Figlio,
introducendolo nella divina realtà della comunione
trinitaria. Se il peccato ha generato la sofferenza, ora il
dolore di Dio in Cristo crocifisso acquista per mezzo dello
Spirito Santo la sua piena espressione umana. Si ha così un
paradossale mistero d'amore: in Cristo soffre un Dio rifiutato
dalla propria creatura: «Non credono in me!». ma, nello
stesso tempo dal profondo di questa sofferenza - e,
indirettamente, dal profondo dello stesso peccato «di non
aver creduto» - lo Spirito trae una nuova misura del dono
fatto all'uomo e alla creazione fin dall'inizio. Nel profondo
del mistero della Croce agisce l'amore, che riporta nuovamente
l'uomo a partecipare alla vita, che è in Dio stesso. Lo
Spirito Santo come amore e dono discende, in un certo senso,
nel cuore stesso del sacrifcio che viene offerto sulla Croce.
Riferendoci alla tradizione biblica, possiamo dire: egli
consuma questo sacrifcio col fuoco dell'amore, che unisce il
Figlio col Padre nella comunione trinitaria. E poiché il
sacrificio della Croce è un atto proprio di Cristo, anche in
questo sacrificio «egli riceve lo Spirito Santo». Lo riceve
in modo tale, che poi egli - ed egli solo con Dio Padre - può
«darlo» agli apostoli, alla Chiesa, all'umanità. Egli solo
lo «manda» dal Padre. Egli solo si presenta davanti agli
apostoli riuniti nel Cenacolo, «alita su di loro» e dice: «Ricevete
lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi»,
come aveva preannunciato Giovanni Battista: «Egli vi
battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco». Con quelle
parole di Gesù lo Spirito Santo è rivelato ed insieme è
reso presente come amore che opera nel profondo del mistero
pasquale, come fonte della potenza salvifica della Croce di
Cristo, come dono della vita nuova ed eterna. Questa verità
sullo Spirito Santo trova quotidiana espressione nella
liturgia romana, quando il sacerdote, prima della comunione,
pronuncia quelle significative parole: «Signore Gesù Cristo,
Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera
dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo...». E
nella III Preghiera Eucaristica, riferendosi alla stessa
economia salvifica, il sacerdote chiede a Dio che lo Spirito
Santo «faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito».
5. Il sangue, che
purifica la coscienza
42. Abbiamo detto che, al
culmine del mistero pasquale, lo Spirito Santo è
definitivamente rivelato e reso presente in un mondo nuovo. Il
Cristo risorto dice agli apostoli: «Ricevete lo Spirito Santo».
Viene in questo modo rivelato lo Spirito Santo, perché le
parole di Cristo costituiscono la conferma delle promesse e
degli annunci del discorso nel Cenacolo. E con ciò il
Paraclito viene anche reso presente in un modo nuovo. Egli, in
realtà, operava sin dall'inizio nel mistero della creazione e
lungo tutta la storia dell'antica Alleanza di Dio con l'uomo.
La sua azione è stata pienamente confermata dalla missione
del Figlio dell'uomo come Messia, che è venuto nella potenza
dello Spirito Santo. Al culmine della missione messianica di
Gesù, lo Spirito Santo diventa presente nel mistero pasquale
in tutta la sua soggettività divina: come colui che deve ora
continuare l'opera salvifica, radicata nel sacrificio della
Croce. Senza dubbio quest'opera viene affidata da Gesù ad
uomini: agli apostoli, alla Chiesa. Tuttavia, in questi uomini
e per mezzo di essi, lo Spirito Santo rimane il trascendente
soggetto protagonista della realizzazione di tale opera nello
spirito dell'uomo e nella storia del mondo: l'invisibile e, al
tempo stesso, onnipresente Paraclito! Lo Spirito che «soffia
dove vuole». Le parole, pronunciate da Cristo risorto, il
giorno «primo dopo il sabato», mettono in particolare
rilievo la presenza del Paraclito consolatore, come di colui
che «convince il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al
giudizio». Infatti, solo in questo rapporto, si spiegano le
parole che Gesù pone in diretto riferimento col «dono»
dello Spirito Santo agli apostoli. Egli dice: «Ricevete lo
Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e
a chi non li rimetterete resteranno non rimessi». Gesù
conferisce agli apostoli il potere di rimettere i peccati,
perché lo trasmettano ai loro successori nella Chiesa.
Tuttavia, questo potere, concesso ad uomini, presuppone e
include l'azione salvifica dello Spirito Santo. Divenendo «luce
dei cuori», cioè delle coscienze, lo Spirito Santo «convince
del peccato», ossia fa conoscere all'uomo il suo male e,
nello stesso tempo lo orienta verso il bene. Grazie alla
molteplicità dei suoi doni, per cui è invocato come il «settiforme»,
ogni genere di peccato dell'uomo può essere raggiunto dalla
potenza salvifica di Dio. In realtà - come dice san
Bonaventura - «in virtù dei sette doni dello Spirito Santo
tutti i mali sono distrutti e sono prodotti tutti i beni».
Sotto l'influsso del consolatore si compie, dunque quella
conversione del cuore umano, che è condizione indispensabile
del perdono dei peccati. Senza una vera conversione, che
implica una interiore contrizione e senza un sincero e fermo
proposito di cambiamento, i peccati rimangono «non rimessi»,
come dice Gesù e con lui la Tradizione dell'Antica e della
Nuova Alleanza. Infatti, le prime parole pronunciate da Gesù
all'inizio del suo ministero, secondo il Vangelo di Marco,
sono queste: «Convertitevi e credete al vangelo». La
conferma di questa esortazione è il «convincere quanto al
peccato» che lo Spirito Santo intraprende in modo nuovo in
forza della redenzione, operata dal sangue del Figlio
dell'uomo. Perciò, la Lettera agli Ebrei dice che questo «sangue
purifica la coscienza». Esso, dunque, per così dire, apre
allo Spirito Santo la via verso l'intimo dell'uomo, cioè il
santuario delle coscienze umane.
43. Il Concilio Vaticano
II ha ricordato l'insegnamento cattolico sulla coscienza,
parlando della vocazione dell'uomo e, in particolare, della
dignità della persona umana. Proprio la coscienza decide in
modo specifico di questa dignità. Essa, infatti, è «il
nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo
con Dio, la cui voce risuona nell'intimo». Essa chiaramente
«dice alle orecchie del cuore: Fa' questo, fuggi quest'altro».
Una tale capacità di comandare il bene e di proibire il male,
inserita dal Creatore nell'uomo, è la principale proprietà
del soggetto personale. Ma, al tempo stesso, «nell'intimo
della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a
darsi, ma alla quale deve invece obbedire». La coscienza,
dunque, non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò
che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è
inscritto profondamente un principio di obbedienza nei
riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la
corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti
che sono alla base del comportamento umano, come traspare fin
dalla pagina del Libro della Genesi, già richiamato. Proprio
in questo senso la coscienza è l'«intimo sacrario», in cui
«risuona la voce di Dio». Essa è «la voce di Dio» persino
quando l'uomo riconosce esclusivamente in essa il principio
dell'ordine morale, di cui umanamente non si può dubitare,
anche senza un diretto riferimento al Creatore: proprio in
questo riferimento la coscienza trova sempre il suo fondamento
e la sua giustificazione. L'evangelico «convincere quanto al
peccato» sotto l'influsso dello Spirito di verità non può
realizzarsi nell'uomo per altra via se non per quella della
coscienza. Se la coscienza è retta, allora serve «per
risolvere secondo verità i problemi morali, che sorgono tanto
nella vita dei singoli quanto in quella sociale»; allora «le
persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e
si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità».
Frutto della retta coscienza è, prima di tutto, il chiamare
per nome il bene e il male, come fa ad esempio la stessa
Costituzione pastorale: «Tutto ciò che è contro la vita
stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio l'aborto,
l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che
viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni,
le torture inflitte al corpo e alla mente; gli sforzi di
costrizione psicologica. tutto ciò che offende la dignità
umana, come le condizioni di vita infraumana, le
incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la
prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora
le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori
sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come
persone libere e responsabili»; e, dopo aver chiamato per
nome i molteplici peccati, così frequenti e diffusi nel
nostro tempo, essa aggiunge: «Tutte queste cose e altre
simili sono certamente vergognose e, mentre corrompono la
civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano ben
più di quelli che le subiscono; e offendono al massimo
l'onore del Creatore». Chiamando per nome i peccati che più
disonorano l'uomo, e dimostrando che essi sono un male morale
che grava negativamente su qualsiasi bilancio del progresso
dell'umanità, il Concilio insieme descrive tutto ciò come
una tappa «della lotta drammatica tra il bene e il male, tra
la luce e le tenebre», che caratterizza «tutta la vita
umana, sia individuale che collettiva». L'assemblea del
Sinodo dei Vescovi del 1983 sulla riconciliazione e la
penitenza ha precisato ancor meglio il significato personale e
sociale del peccato dell'uomo.
44. Ebbene, nel Cenacolo,
la vigilia della sua Passione, e poi la sera di Pasqua, Gesù
Cristo si è appellato allo Spirito Santo come a colui, il
quale testimonia che nella storia dell'umanità perdura il
peccato. Tuttavia, il peccato è sottoposto alla potenza
salvifica della redenzione. Il «convincere il mondo del
peccato» non si esaurisce nel fatto che esso viene chiamato
per nome e identificato per quello che è su tutta la scala
che gli è propria. Nel convincere il mondo del peccato, lo
Spirito di verità s'incontra con la voce delle coscienze
umane. Su questa via si giunge alla dimostrazione delle radici
del peccato, che sono nell'intimo dell'uomo, come mette in
rilievo la stessa Costituzione pastorale: «In verità, gli
squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano
con quello squilibrio più fondamentale, radicato nel cuore
dell'uomo. È nell'uomo stesso che molti elementi si
contrastano a vicenda. Da una parte, infatti, come creatura fa
l'esperienza dei suoi molteplici limiti; dall'altra, si sente
illimitato nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita
superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto
sempre a sceglierne qualcuna e a rinunciare alle altre.
Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non
vorrebbe e non fa quello che vorrebbe». Il testo conciliare
fa qui riferimento alle note parole di san Paolo. Il «convincere
quanto al peccato», che accompagna la coscienza umana in ogni
approfondita riflessione su se stessa, porta dunque alla
scoperta delle sue radici nell'uomo, come anche dei
condizionamenti della coscienza stessa nel corso della storia.
Ritroviamo in questo modo quella realtà originaria del
peccato, della quale si è già parlato. Lo Spirito Santo «convince
quanto al peccato» in rapporto al mistero dell'inizio,
indicando il fatto che l'uomo è un essere creato e, dunque,
è in una totale dipendenza ontologica ed etica dal Creatore,
e ricordando, al tempo stesso, l'ereditaria peccaminosità
della natura umana. Ma lo Spirito Santo consolatore «convince
del peccato» sempre in relazione alla Croce di Cristo. In
questa relazione il cristianesimo respinge ogni «fatalità»
del peccato. È «una dura lotta contro le potenze delle
tenebre, lotta che, cominciata fin dall'origine del mondo,
continuerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno» -
insegna il Concilio. «Ma il Signore stesso è venuto a
liberare l'uomo e a dargli forza». L'uomo, dunque, lungi dal
lasciarsi «irretire» nella sua condizione di peccato,
appoggiandosi alla voce della propria coscienza, «deve
combattere senza soste per aderire al bene, né può
conseguire la sua unità interiore se non a prezzo di grandi
fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio». Il Concilio
giustamente vede il peccato come fattore della rottura, che
grava sia sulla vita personale che su quella sociale
dell'uomo; ma, nello stesso tempo, ricorda instancabilmente la
possibilità della vittoria.
45. Lo Spirito di verità,
che «convince il mondo del peccato», s'incontra con quella
fatica della coscienza umana, di cui i testi conciliari
parlano in modo così suggestivo. Tale fatica della coscienza
determina anche le vie delle conversioni umane: il voltare le
spalle al peccato, per ricostruire la verità e l'amore nel
cuore stesso dell'uomo. Si sa che riconoscere il male in se
stessi a volte costa molto. Si sa che la coscienza non solo
comanda o proibisce, ma giudica alla luce degli ordini e
divieti interiori. Essa é anche fonte di rimorsi: l'uomo
soffre interiormente a causa del male commesso. Non è questa
sofferenza quasi un'eco lontana di quel «pentimento di aver
creato l'uomo», che con linguaggio antropomorfico il Libro
sacro attribuisce a Dio? di quella «riprovazione» che,
inscrivendosi nel «cuore» della Trinità, in forza
dell'eterno amore si traduce nel dolore della Croce,
nell'obbedienza di Cristo fino alla morte? Quando lo Spirito
di verità consente alla coscienza umana di partecipare a quel
dolore, allora la sofferenza della coscienza diventa
particolarmente profonda, ma anche particolarmente salvifica.
Allora, mediante un atto di contrizione perfetta, si opera
l'autentica conversione del cuore: è l'evangelica «métanoia».
La fatica del cuore umano, la fatica della coscienza, in cui
si compie questa «métanoia», o conversione, è il riflesso
di quel processo per cui la riprovazione viene trasformata in
amore salvifico, che sa soffrire. Il dispensatore nascosto di
questa forza salvatrice è lo Spirito Santo: egli, che viene
chiamato dalla Chiesa «luce delle coscienze», penetra e
riempie «la profondità dei cuori» umani. Mediante una tale
conversione nello Spirito Santo, l'uomo si apre al perdono,
alla remissione dei peccati E in tutto questo mirabile
dinamismo della conversione-remissione, si conferma la verità
di ciò che scrive sant'Agostino sul mistero dell'uomo,
commentando le parole del Salmo: «L'abisso chiama l'abisso».
Proprio nei riguardi di questa «abissale profondità»
dell'uomo della coscienza umana, si compie la missione del
Figlio e dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo «viene» in
forza della «dipartita» di Cristo nel mistero pasquale:
viene in ogni fatto concreto di conversione-remissione, in
forza del sacrificio della Croce: in esso, infatti, «il
sangue di Cristo... purifica le coscienze dalle opere morte,
per servire il Dio vivente». Si adempiono così di continuo
le parole sullo Spirito Santo come «un altro consolatore»,
le parole rivolte nel Cenacolo agli apostoli e indirettamente
a tutti: «Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi
sarà in voi».
6. Il peccato contro
lo Spirito Santo
46. Sullo sfondo di ciò
che abbiamo detto finora, diventano più comprensibili alcune
altre parole, impressionanti e sconvolgenti, di Gesù. Le
potremmo chiamare le parole del «non-perdono». Esse ci sono
riferite dai Sinottici in rapporto ad un particolare peccato,
che è chiamato «bestemmia contro lo Spirito Santo». Eccole
come sono state riferite nella triplice loro redazione.
Matteo:
«Qualunque peccato e
bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro
lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del
Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo
Spirito non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in
quello futuro».
Marco:
«Tutti i peccati saranno
perdonati ai figli degli uomini, e anche tutte le bestemmie
che diranno, ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo,
non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna».
Luca:
«Chiunque parlerà contro
il Figlio dell'uomo gli sarà perdonato, ma a chi bestemmierà
lo Spirito Santo non sarà perdonato».
Perché la bestemmia
contro lo Spirito Santo è imperdonabile?
Come intendere questa
bestemmia? Risponde san Tommaso d'Aquino che si tratta di un
peccato:
«irremissibile secondo la
sua natura, in quanto esclude quegli elementi, grazie ai quali
avviene la remissione dei peccati». Secondo una tale esegesi
la «bestemmia» non consiste propriamente nell'offendere con
le parole lo Spirito Santo; consiste, invece, nel rifiuto di
accettare la salvezza che Dio offre all'uomo mediante lo
Spirito Santo, operante in virtù del sacrificio della Croce.
Se l'uomo rifiuta quel «convincere quanto al peccato», che
proviene dallo Spirito Santo ed ha carattere salvifico, egli
insieme rifiuta la «venuta» del consolatore - quella «venuta»
che si è attuata nel mistero pasquale, in unità con la
potenza redentrice del sangue di Cristo: il sangue che «purifica
la coscienza dalle opere morte». Sappiamo che frutto di una
tale purificazione è la remissione dei peccati. Pertanto, chi
rifiuta lo Spirito e il sangue rimane nelle «opere morte»,
nel peccato. E la bestemmia contro lo Spirito Santo consiste
proprio nel rifiuto radicale di accettare questa remissione,
di cui egli è l'intimo dispensatore e che presuppone la reale
conversione, da lui operata nella coscienza. Se Gesù dice che
la bestemmia contro lo Spirito Santo non può essere rimessa né
in questa vita né in quella futura, è perché questa «non-remissione»
è legata, come a sua causa, alla «non penitenza», cioè al
radicale rifiuto di convertirsi. Il che significa il rifiuto
di raggiungere le fonti della redenzione, le quali, tuttavia,
rimangono «sempre» aperte nell'economia della salvezza, in
cui si compie la missione dello Spirito Santo. Questi ha
l'infinita potenza di attingere a queste fonti: «Prenderà
del mio», ha detto Gesù. In questo modo egli completa nelle
anime umane l'opera della redenzione, compiuta da Cristo,
dispensandone i frutti. Ora la bestemmia contro lo Spirito
Santo è il peccato commesso dall'uomo, che rivendica un suo
presunto «diritto» di perseverare nel male - in qualsiasi
peccato - e rifiuta così la redenzione. L'uomo resta chiuso
nel peccato, rendendo da parte sua impossibile la sua
conversione e, dunque, anche la remissione dei peccati, che
ritiene non essenziale o non importante per la sua vita. È,
questa, una condizione di rovina spirituale, perché la
bestemmia contro lo Spirito Santo non permette all'uomo di
uscire dalla sua autoprigionia e di aprirsi alle fonti divine
della purificazione delle coscienze e della remissione dei
peccati.
47. L'azione dello Spirito
di verità, che tende al salvifico «convincere quanto al
peccato», incontra nell'uomo che si trova in tale condizione
una resistenza interiore, quasi un'impermeabilità della
coscienza, uno stato d'animo che si direbbe consolidato in
ragione di una libera scelta: è ciò che la Sacra Scrittura
di solito chiama «durezza di cuore». Nella nostra epoca a
questo atteggiamento di mente e di cuore corrisponde forse la
perdita del senso del peccato, alla quale dedica molte pagine
l'Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia. Già il
Papa Pio XII aveva affermato che «il peccato del secolo è la
perdita del senso del peccato», e tale perdita va di pari
passo con la «perdita del senso di Dio». Nell'Esortazione
citata leggiamo: «In realtà, Dio è la radice e il fine
supremo dell'uomo, e questi porta in sé un germe divino.
Perciò, è la realtà di Dio che svela e illumina il mistero
dell'uomo. È vano, quindi, sperare che prenda consistenza un
senso del peccato nei confronti dell'uomo e dei valori umani,
se manca il senso dell'offesa commessa contro Dio, cioè il
senso vero del peccato». La Chiesa, perciò, non cessa di
implorare da Dio la grazia che non venga meno la rettitudine
nelle coscienze umane, che non si attenui la loro sana
sensibilità dinanzi al bene e al male. Questa rettitudine e
sensibilità sono profondamente legate all'intima azione dello
Spirito di verità. In questa luce acquistano particolare
eloquenza le esortazioni dell'Apostolo: «Non spegnete lo
Spirito». «Non vogliate rattristare lo Spirito Santo».
Soprattutto, però, la Chiesa non cessa di implorare con sommo
fervore che non aumenti nel mondo quel peccato chiamato dal
Vangelo «bestemmia contro lo Spirito Santo»; che esso, anzi,
retroceda nelle anime degli uomini - e per riflesso negli
stessi ambienti e nelle varie forme della società -, cedendo
il posto all'apertura delle coscienze, necessaria per l'azione
salvifica dello Spirito Santo. La Chiesa implora che il
pericoloso peccato contro lo Spirito lasci il posto ad una
santa disponibilità ad accettare la sua missione di
consolatore, quando egli viene per «convincere il mondo
quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio».
48. Nel suo discorso di
addio Gesù ha unito questi tre àmbiti del «convincere»
come componenti della missione del Paraclito: il peccato, la
giustizia e il giudizio. Essi segnano lo spazio di quel
mistero della pietà, che nella storia dell'uomo si oppone al
peccato, al mistero dell'iniquità. Da un lato, come si
esprime sant'Agostino, c'è l'«amore di sé fino al disprezzo
di Dio»; dall'altro, c'è l'«amore di Dio fino al disprezzo
di sé». La Chiesa di continuo innalza la sua preghiera e
presta il suo servizio, perché la storia delle coscienze e la
storia delle società nella grande famiglia umana non si
abbassino verso il polo del peccato col rifiuto dei
comandamenti divini «fino al disprezzo di Dio», ma piuttosto
si elevino verso l'amore, in cui si rivela lo Spirito che dà
la vita. Coloro che si lasciano «convincere quanto al peccato»
dallo Spirito Santo, si lasciano anche convincere quanto «alla
giustizia e al giudizio». Lo Spirito di verità, che aiuta
gli uomini, le coscienze umane, a conoscere la verità del
peccato, al tempo stesso fa sì che conoscano la verità di
quella giustizia che entrò nella storia dell'uomo con Gesù
Cristo. In questo modo, coloro che «convinti del peccato» si
convertono sotto l'azione del consolatore, vengono, in un
certo senso, condotti fuori dall'orbita del «giudizio»: di
quel «giudizio», col quale «il principe di questo mondo è
stato giudicato». La conversione, nella profondità del suo
mistero divino-umano, significa la rottura di ogni vincolo col
quale il peccato lega l'uomo nell'insieme del mistero
dell'iniquità. Coloro che si convertono, dunque, vengono
condotti dallo Spirito Santo fuori dall'orbita del «giudizio»,
e introdotti in quella giustizia, che è in Cristo Gesù, e vi
è perché la riceve dal Padre, come un riflesso della santità
trinitaria. Questa è la giustizia del Vangelo e della
redenzione, la giustizia del Discorso della montagna e della
Croce, che opera la purificazione della coscienza mediante il
sangue dell'Agnello. È la giustizia che il Padre rende al
Figlio ed a tutti coloro, che sono uniti a lui nella verità e
nell'amore. In questa giustizia lo Spirito Santo, Spirito del
Padre e del Figlio, che «convince il mondo quanto al peccato»,
si rivela e si rende presente nell'uomo come Spirito di vita
eterna.
PARTE
III
LO
SPIRITO CHE DÀ LA VITA
1. Motivo del
Giubileo del Duemila: Cristo, il quale fu concepito di Spirito
Santo
49. Allo Spirito Santo si
volgono il pensiero e il cuore della Chiesa in questa fine del
ventesimo secolo e nella prospettiva del terzo Millennio dalla
venuta di Gesù Cristo nel mondo, mentre guardiamo verso il
grande Giubileo con cui la Chiesa celebrerà l'evento. Tale
venuta, infatti, si misura, secondo il computo del tempo, come
un evento che appartiene alla storia dell'uomo sulla terra. La
misura del tempo adoperata comunemente definisce gli anni, i
secoli e i millenni secondo che trascorrono prima o dopo la
nascita di Cristo. Ma bisogna anche tener presente che questo
evento significa per noi cristiani, secondo l'Apostolo, la «pienezza
del tempo», perché in esso la storia dell'uomo è stata
completamente penetrata dalla «misura» di Dio stesso: una
trascendente presenza del «nunc» eterno. «Colui che è che
era e che viene». colui che è «l'alfa e l'omega, il primo e
l'ultimo, il principio e la fine». «Dio, infatti, ha tanto
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché
chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». «Quando
venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da
donna..., perché ricevessimo l'adozione a figli». E questa
incarnazione del Figlio-Verbo è avvenuta per opera dello
Spirito Santo. I due evangelisti, ai quali dobbiamo il
racconto della nascita e dell'infanzia di Gesù di Nazareth,
si pronunciano in questa questione allo stesso modo. Secondo
Luca all'annunciazione della nascita di Gesù, Maria domanda
«Come avverrà questo? Non conosco uomo», e riceve questa
risposta: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te
stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che
nascerà sarà, dunque, santo e chiamato Figlio di Dio».
Matteo narra direttamente: «Ecco come avvenne la nascita di
Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di
Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme, si trovò
incinta per opera dello Spirito Santo». Turbato da questo
stato di cose, Giuseppe riceve durante il sonno la seguente
spiegazione: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa,
perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.
Essa partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù: egli,
infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati». Perciò,
la Chiesa sin dall'inizio professa il mistero
dell'incarnazione, questo mistero-chiave della fede,
riferendosi allo Spirito Santo. Recita il Simbolo Apostolico:
«Il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria
Vergine». Non diversamente il Simbolo
niceno-costantinopolitano attesta: «Per opera dello Spirito
Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è
fatto uomo». «Per opera dello Spirito Santo» si è fatto
uomo colui che la Chiesa, con le parole dello stesso Simbolo,
confessa essere Figlio consostanziale al Padre: «Dio da Dio,
Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato». Si
è fatto uomo «incarnandosi nel seno della Vergine Maria».
Ecco che cosa si è compiuto, quando «venne la pienezza del
tempo».
50. Il grande Giubileo,
conclusivo del secondo Millennio, al quale la Chiesa già si
prepara, ha direttamente un profilo cristologico: si tratta,
infatti, di celebrare la nascita di Gesù Cristo. Nello stesso
tempo, esso ha un profilo pneumatologico, poiché il mistero
dell'incarnazione si è compiuto «per opera dello Spirito
Santo». L'ha «operato» quello Spirito che - consostanziale
al Padre e al Figlio - è, nell'assoluto mistero di Dio uno e
trino, la Persona-amore, il dono increato, che è fonte eterna
di ogni elargizione proveniente da Dio nell'ordine della
creazione, il principio diretto e, in certo senso, il soggetto
dell'autocomunicazione di Dio nell'ordine della grazia. Di
questa elargizione, di questa divina autocomunicazione il
mistero dell'incarnazione costituisce il culmine. In effetti,
la concezione e la nascita di Gesù Cristo sono la più grande
opera compiuta dallo Spirito Santo nella storia della
creazione e della salvezza: la suprema grazia - la «grazia
dell'unione», fonte di ogni altra grazia come spiega san
Tommaso. A questa opera si riferisce il grande Giubileo e si
riferisce anche - se penetriamo nel suo profondo -
all'artefice di quest'opera, alla Persona dello Spirito Santo.
Alla «pienezza del tempo» corrisponde, infatti, una
particolare pienezza dell'autocomunicazione di Dio uno e trino
nello Spirito Santo. «Per opera dello Spirito Santo» si
compie il mistero dell'«unione ipostatica», cioè
dell'unione della natura divina e della natura umana della
divinità e dell'umanità nell'unica Persona del Verbo-Figlio.
Quando Maria, al momento dell'annunciazione, pronuncia il suo
«fiat»: «Avvenga di me quello che hai detto», ella
concepisce in modo verginale un uomo, il Figlio dell'uomo, che
è il Figlio di Dio. Mediante una tale «umanizzazione» del
Verbo-Figlio, l'autocomunicazione di Dio raggiunge la sua
pienezza definitiva nella storia della creazione e della
salvezza. Questa pienezza acquista una particolare densità ed
eloquenza espressiva nel testo del Vangelo di Giovanni: «Il
Verbo si fece carne». L'incarnazione di Dio-Figlio significa
l'assunzione all'unità con Dio non solo della natura umana,
ma in essa, in un certo senso, di tutto ciò che è «carne»:
di tutta l'umanità, di tutto il mondo visibile e materiale.
L'incarnazione, dunque, ha anche un suo significato cosmico,
una sua cosmica dimensione. Il «generato prima di ogni
creatura», incarnandosi nell'umanità individuale di Cristo,
si unisce in qualche modo con l'intera realtà dell'uomo, il
quale è anche «carne» - e in essa con ogni «carne», con
tutta la creazione.
51. Tutto ciò si compie
per opera dello Spirito Santo e dunque, appartiene al
contenuto del futuro grande Giubileo. La Chiesa non può
prepararsi ad esso in nessun altro modo, se non nello Spirito
Santo. Ciò che «nella pienezza del tempo» si è compiuto
per opera dello Spirito Santo, solo per opera sua può ora
emergere dalla memoria della Chiesa. Per opera sua può
rendersi presente nella nuova fase della storia dell'uomo
sulla terra: l'anno Duemila dalla nascita di Cristo. Lo
Spirito Santo, che con la sua potenza adombrò il corpo
verginale di Maria, dando in lei inizio alla maternità
divina, nello stesso tempo rese il suo cuore perfettamente
obbediente nei riguardi di quell'autocomunicazione di Dio, che
superava ogni concetto e ogni facoltà dell'uomo. «Beata
colei che ha creduto!»: così viene salutata Maria dalla sua
parente Elisabetta, anche lei «piena di Spirito Santo».
Nelle parole di saluto a colei che «ha creduto» sembra
delinearsi un lontano (ma, in effetti, molto vicino) contrasto
nei riguardi di tutti coloro, dei quali Cristo dirà che «non
hanno creduto». Maria è entrata nella storia della salvezza
del mondo mediante l'obbedienza della fede. E la fede, nella
sua più profonda essenza, é l'apertura del cuore umano
davanti al dono: davanti all'autocomunicazione di Dio nello
Spirito Santo. Scrive san Paolo: «Il Signore è lo Spirito, e
dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà». Quando Dio
uno e trino si apre all'uomo nello Spirito Santo, questa sua
«apertura» rivela ed insieme dona alla creatura-uomo la
pienezza della libertà. Tale pienezza si è manifestata in
modo sublime proprio mediante la fede di Maria, mediante «l'obbedienza
della fede» davvero, «beata colei che ha creduto!».
2. Motivo del
Giubileo: si è manifestata la grazia
52. Nel mistero
dell'incarnazione l'opera dello Spirito, «che dà la vita»,
raggiunge il suo vertice. Non è possibile dare la vita, che
in Dio è in modo pieno, che facendo di essa la vita di un
Uomo, quale è Cristo nella sua umanità personalizzata dal
Verbo nell'unione ipostatica. E, al tempo stesso, col mistero
dell'incarnazione si apre in modo nuovo la fonte di questa
vita divina nella storia dell'umanità: lo Spirito Santo. Il
Verbo, «generato prima di ogni creatura», diventa «il
primogenito tra molti fratelli» e così diventa anche il capo
del corpo che è la Chiesa, la quale nascerà sulla Croce e
sarà rivelata il giorno della Pentecoste - e nella Chiesa, il
capo dell'umanità: degli uomini di ogni nazione, di ogni
razza, di ogni paese e cultura, di ogni lingua e continente,
tutti chiamati alla salvezza. «Il Verbo si fece carne, (quel
Verbo in cui) era la vita e la vita era la luce degli
uomini... A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare
figli di Dio». Ma tutto ciò si è compiuto ed
incessantemente si compie «per opera dello Spirito Santo».
«Figli di Dio», infatti, sono - come insegna l'Apostolo - «tutti
quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio». La figliolanza
dell'adozione divina nasce negli uomini sulla base del mistero
dell'incarnazione, dunque grazie a Cristo, l'eterno Figlio. Ma
la nascita, o rinascita, avviene quando Dio Padre «manda nei
nostri cuori lo Spirito del suo Figlio». Allora, infatti, «riceviamo
uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo:
"Abbà, Padre!"». Pertanto, quella figliolanza di
Dio innestata nell'anima umana con la grazia santificante, è
opera dello Spirito Santo. «Lo Spirito stesso attesta al
nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo
anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo». La grazia
santificante è nell'uomo il principio e la fonte della nuova
vita: vita divina, soprannaturale. L'elargizione di questa
nuova vita è come la risposta definitiva di Dio alle parole
del Salmista, nelle quali in certo modo risuona la voce di
tutte le creature: «Se mandi il tuo Spirito saranno creati e
rinnoverai la faccia della terra». Colui che nel mistero
della creazione dà all'uomo e al cosmo la vita nelle sue
molteplici forme visibili ed invisibili, egli ancora la
rinnova mediante il mistero dell'incarnazione. La creazione
viene così completata dall'incarnazione e permeata fin da
quel momento dalle forze della redenzione, che investono
l'umanità e tutto il creato. Ce lo dice san Paolo, la cui
visione cosmico-teologica sembra riprendere la voce
dell'antico Salmo: la creazione «attende con impazienza la
rivelazione dei figli di Dio», ossia di coloro che Dio,
avendoli «da sempre conosciuti», ha anche «predestinati ad
essere conformi all'immagine del Figlio suo». Si ha così una
soprannaturale «adozione» degli uomini, di cui è origine lo
Spirito Santo, amore e dono. Come tale egli viene elargito
agli uomini E nella sovrabbondanza del dono increato ha
inizio, nel cuore di ogni uomo, quel particolare dono creato,
mediante il quale gli uomini «diventano partecipi della
natura divina». Così la vita umana viene penetrata per
partecipazione dalla vita divina ed acquista anch'essa una
dimensione divina, soprannaturale. Si ha la nuova vita, nella
quale, come partecipi del mistero dell'incarnazione, «gli
uomini nello Spirito Santo hanno accesso al Padre». Vi è,
dunque, una stretta relazione tra lo Spirito, che dà la vita,
e la grazia santificante e quella molteplice vitalità
soprannaturale, che ne deriva nell'uomo: tra lo Spirito
increato e lo spirito umano creato.
53. Si può dire che tutto
ciò rientra nell'ambito del grande Giubileo, sopra
menzionato. Bisogna, infatti, oltrepassare la dimensione
storica del fatto, considerato nella sua superficie. Bisogna
raggiungere, nello stesso contenuto cristologico del fatto, la
dimensione pneumatologica, abbracciando con lo sguardo della
fede i due millenni dell'azione dello Spirito di verità, il
quale, attraverso i secoli, ha attinto dal tesoro della
redenzione di Cristo dando agli uomini la nuova vita, operando
in essi l'adozione nel Figlio unigenito, santificandoli, sicché
essi possono ripetere con san Paolo: «Abbiamo ricevuto lo
Spirito di Dio». Ma, seguendo questo motivo del Giubileo, non
è possibile limitarsi ai duemila anni trascorsi dalla nascita
di Cristo. Bisogna risalire indietro, abbracciare tutta
l'azione dello Spirito Santo anche prima di Cristo--sin dal
principio, in tutto il mondo e, specialmente, nell'economia
dell'Antica Alleanza. Questa azione, infatti, in ogni luogo e
in ogni tempo, anzi in ogni uomo, si è svolta secondo
l'eterno piano di salvezza, per il quale essa è strettamente
unita al mistero dell'incarnazione e della redenzione, che a
sua volta esercitò il suo influsso nei credenti in Cristo
venturo. Ciò è attestato in modo particolare nella Lettera
agli Efesini. La grazia, pertanto, porta congiuntamente in sé
una caratteristica cristologica ed insieme pneumatologica, che
si verifica soprattutto in coloro che espressamente aderiscono
al Cristo: «In lui (in Cristo)... avete ricevuto il suggello
dello Spirito Santo, che era stato promesso, il quale è
caparra della nostra eredità in attesa della completa
redenzione». Ma, sempre nella prospettiva del grande
Giubileo, dobbiamo anche guardare più ampiamente e andare «al
largo», sapendo che «il vento soffia dove vuole», secondo
l'immagine usata da Gesù nel colloquio con Nicodemo. Il
Concilio Vaticano II, concentrato soprattutto sul tema della
Chiesa, ci ricorda l'azione dello Spirito Santo anche «al di
fuori» del corpo visibile della Chiesa. Esso parla appunto di
«tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore opera
invisibilmente la grazia. Cristo infatti, è morto per tutti e
la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola,
quella divina; perciò, dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo
dia a tutti, nel modo che Dio conosce, la possibilità di
essere associati al mistero pasquale».
54. «Dio è spirito, e
quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
Queste parole Gesù le ha dette in un altro suo colloquio:
quello con la Samaritana. Il grande Giubileo, che si celebrerà
al termine di questo Millennio ed all'inizio di quello
successivo, deve costituire un potente appello rivolto a tutti
coloro che «adorano Dio in spirito e verità». Deve essere
per tutti una speciale occasione per meditare il mistero di
Dio uno e trino, il quale in se stesso è completamente
trascendente nei riguardi del mondo, specialmente del mondo
visibile: è infatti, Spirito assoluto, «Dio è spirito» ed
insieme, in modo mirabile, è non solo vicino a questo mondo,
ma vi è presente e, in certo senso, immanente, lo compenetra
e vivifica dall'interno. Ciò vale in modo speciale per
l'uomo: Dio è nell'intimo del suo essere, come pensiero,
coscienza, cuore; e realtà psicologica e ontologica,
considerando la quale sant'Agostino diceva di lui: «È più
intimo del mio intimo». Queste parole ci aiutano a capir
meglio quelle rivolte da Gesù alla Samaritana: «Dio è
spirito». Solo lo Spirito può essere «più intimo del mio
intimo» sia nell'essere, sia nell'esperienza spirituale; solo
lo Spirito può essere tanto immanente nell'uomo e nel mondo,
permanendo inviolabile e immutabile nella sua assoluta
trascendenza. Ma in modo nuovo e in forma visibile la presenza
divina nel mondo e nell'uomo si è manifestata in Gesù
Cristo. In lui davvero «è apparsa la grazia». L'amore di
Dio Padre, dono, grazia infinita, principio di vita, è
divenuto palese in Cristo, e nell'umanità di lui si è fatto
«parte» dell'universo, del genere umano, della storia.
Quell'«apparizione» della grazia nella storia dell'uomo,
mediante Gesù Cristo, si è compiuta per opera dello Spirito
Santo, che è il principio di ogni azione salvifica di Dio nel
mondo: egli, «Dio nascosto», che come amore e dono «riempie
l'universo». Tutta la vita della Chiesa, quale si manifesterà
nel grande Giubileo, significa andare incontro al Dio
nascosto: incontro allo Spirito, che dà la vita.
3. Lo Spirito Santo
nel dissidio interno dell'uomo: la carne ha desideri contrari
allo spirito, e lo spirito ha desideri contrari alla carne.
55. Purtroppo, risulta
dalla storia della salvezza che quel farsi vicino e presente
di Dio all'uomo e al mondo, quella mirabile «condiscendenza»
dello Spirito incontra nella nostra realtà umana resistenza
ed opposizione. Quanto sono eloquenti da questo punto di vista
le parole profetiche del vegliardo di nome Simeone, il quale
«mosso dallo Spirito» si recò al tempio di Gerusalemme, per
annunciare davanti al bambino di Betlemme che «egli è qui
per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di
contraddizione». L'opposizione a Dio, che è Spirito
invisibile, nasce in una certa misura già sul terreno della
radicale diversità del mondo da lui, cioè dalla sua «visibilità»
e «materialità» in rapporto a lui «invisibile» e «assoluto
Spirito»; dalla sua essenziale e inevitabile imperfezione in
rapporto a lui, essere perfettissimo. Ma l'opposizione diventa
conflitto, ribellione sul terreno etico per quel peccato che
prende possesso del cuore umano, nel quale «la carne... ha
desideri contrari allo spirito, e lo spirito ha desideri
contrari alla carne». Di questo peccato lo Spirito Santo deve
«convincere il mondo», come abbiamo detto. San Paolo è
colui che in modo particolarmente eloquente descrive la
tensione e la lotta, che agita il cuore umano. «Vi dico
dunque - leggiamo nella Lettera ai Galati - : camminate
secondo lo spirito, e non sarete portati a soddisfare i
desideri della carne; la carne, infatti, ha desideri contrari
allo spirito, e lo spirito ha desideri contrari alla carne;
queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate
quello che vorreste». Già nell'uomo come essere composto,
spirituale-corporale, esiste una certa tensione, si svolge una
certa lotta di tendenze tra lo «spirito» e la «carne». Ma
essa di fatto appartiene all'eredità del peccato, ne è una
conseguenza e, nello stesso tempo, una conferma. Essa fa parte
dell'esperienza quotidiana. Come scrive l'Apostolo: «Del
resto, le opere della carne sono ben note: fornicazione,
impurità, libertinaggio, ubriachezze, orge e cose del genere».
Sono i peccati che si potrebbero definire «carnali». Ma
l'Apostolo ne aggiunge anche altri: «Inimicizie, discordia,
gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie». Tutto questo
costituisce «le opere della carne». Ma a queste opere, che
sono indubbiamente cattive, Paolo contrappone «il frutto
dello Spirito», come «amore, gioia, pace, pazienza,
benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé». Dal
contesto risulta chiaro che per l'Apostolo non si tratta di
discriminare e di condannare il corpo, che con l'anima
spirituale costituisce la natura dell'uomo e la sua
soggettività personale; egli tratta, invece, delle opere, o
meglio delle stabili disposizioni - virtù e vizi - moralmente
buone o cattive, che sono frutto di sottomissione (nel primo
caso) oppure di resistenza (nel secondo) all'azione salvifca
dello Spirito Santo. Perciò, l'Apostolo scrive: «Se pertanto
viviamo dello spirito, camminiamo anche secondo lo spirito».
E in altri passi: «Coloro infatti che vivono secondo la
carne, pensano alle cose della carne; quelli, invece, che
vivono secondo lo spirito, alle cose dello spirito»; «Viviamo,
infatti, sotto il dominio dello spirito, dal momento che lo
Spirito di Dio abita in noi». La contrapposizione che san
Paolo stabilisce tra la vita «secondo lo spirito» e la vita
«secondo la carne», genera un'ulteriore contrapposizione:
quella della «vita» e della «morte». «I desideri della
carne portano alla morte, mentre i desideri dello spirito
portano alla vita e alla pace»; di qui l'ammonimento: «Se
vivete secondo la carne, voi morirete; se, invece, con l'aiuto
dello Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete». A
ben considerare, questa è un'esortazione a vivere nella verità,
cioè secondo i dettami della retta coscienza e, nello stesso
tempo, è una professione di fede nello Spirito di verità,
come in colui che dà la vita. Il corpo, infatti, «è morto a
causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della
giustificazione»; «Così dunque... siamo debitori, ma non
verso la carne per vivere secondo la carne». Siamo piuttosto
debitori a Cristo, che nel mistero pasquale ha operato la
nostra giustificazione, ottenendo a noi lo Spirito Santo: «Infatti,
siamo stati comprati a caro prezzo». Nei testi di san Paolo
si sovrappongono--e reciprocamente si compenetrano - la
dimensione ontologica (la carne e lo spirito), quella etica
(il bene e il male morale), quella pneumatologica (l'azione
dello Spirito Santo nell'ordine della grazia). Le sue parole
(specialmente nelle Lettere ai Romani e ai Galati ci fanno
conoscere e sentire al vivo la grandezza di quella tensione e
lotta, che si svolge nell'uomo tra l'apertura verso l'azione
dello Spirito Santo e la resistenza e l'opposizione a lui, al
suo dono salvifìco. I termini o poli contrapposti sono, da
parte dell'uomo, la sua limitatezza e peccaminosità, punti
nevralgici della sua realtà psicologica ed etica; e, da parte
di Dio, il mistero del dono, quell'incessante donarsi della
vita divina nello Spirito Santo. Di chi sarà la vittoria? Di
chi avrà saputo accogliere il dono.
56. Purtroppo, la
resistenza allo Spirito Santo, che san Paolo sottolinea nella
dimensione interiore e soggettiva come tensione, lotta,
ribellione che avviene nel cuore umano, trova nelle varie
epoche della storia e, specialmente, nell'epoca moderna la sua
dimensione esteriore, concretizzandosi come contenuto della
cultura e della civiltà, come sistema filosofico, come
ideologia, come programma di azione e di formazione dei
comportamenti umani. Essa trova la sua massima espressione nel
materialismo, sia nella sua forma teorica - come sistema di
pensiero, sia nella sua forma pratica - come metodo di lettura
e di valutazione dei fatti e come programma, altresì, di
condotta corrispondente. Il sistema che ha dato il massimo
sviluppo e ha portato alle estreme conseguenze operative
questa forma di pensiero, di ideologia e di prassi, è il
materialismo dialettico e storico, riconosciuto tuttora come
sostanza vitale del marxismo. In linea di principio e di fatto
il materialismo esclude radicalmente la presenza e l'azione di
Dio, che è spirito nel mondo e, soprattutto, nell'uomo per la
fondamentale ragione che non accetta la sua esistenza, essendo
un sistema essenzialmente e programmaticamente ateo. È il
fenomeno impressionante del nostro tempo, al quale il Concilio
Vaticano II ha dedicato alcune pagine significative:
l'ateismo. Anche se non si può parlare dell'ateismo in modo
univoco né si può ridurlo esclusivamente alla filosofia
materialistica, dato che esistono varie specie di ateismo e
forse si può dire che spesso si usa tale parola in senso
equivoco, tuttavia è certo che un vero e proprio
materialismo, inteso come teoria che spiega la realtà e
assunto come principio-chiave dell'azione personale e sociale,
ha carattere ateo. L'orizzonte dei valori e dei fini
dell'agire, che esso delinea, è strettamente legato
all'interpretazione come «materia» di tutta la realtà. Se
esso parla a volte anche dello «spirito e delle questioni
dello spirito», per esempio nel campo della cultura o della
morale, ciò fa soltanto in quanto considera certi fatti come
derivati (epifenomeni) dalla materia, la quale secondo questo
sistema è l'unica ed esclusiva forma dell'essere. Ne consegue
che, secondo tale interpretazione, la religione può essere
intesa solamente come una specie di «illusione idealistica»,
da combattere nei modi e con i metodi più opportuni secondo i
luoghi e le circostanze storiche, per eliminarla dalla società
e dal cuore stesso dell'uomo. Si può dire, pertanto, che il
materialismo è lo sviluppo sistematico e coerente di quella
«resistenza» e opposizione, denunciate da san Paolo con le
parole: «La carne ha desideri contrari allo spirito». Questa
conflittualità è, però, reciproca, come mette in rilievo
l'Apostolo nella seconda parte del suo aforisma: «Lo spirito
ha desideri contrari alla carne». Chi vuole vivere secondo lo
Spirito nell'accettazione e nella corrispondenza alla sua
azione salvifica, non può non respingere le tendenze e le
pretese, interne ed esterne, della «carne», anche nella sua
espressione ideologica e storica di «materialismo»
antireligioso. Su questo sfondo così caratteristico del
nostro tempo si devono sottolineare i «desideri dello spirito»
nei preparativi al grande Giubileo, come richiami che
risuonano nella notte di un nuovo tempo di avvento, in fondo
al quale, come duemila anni fa, «ogni uomo vedrà la salvezza
di Dio». Questa è una possibilità e una speranza, che la
Chiesa affida agli uomini di oggi. Essa sa che
l'incontro-scontro, tra i «desideri contrari allo spirito»,
che caratterizano tanti aspetti della civiltà contemporanea,
specialmente in alcuni suoi àmbiti, e i «desideri contrari
alla carne», con l'avvicinarsi di Dio, con la sua
incarnazione, con la sua sempre nuova comunicazione nello
Spirito Santo, può presentare in molti casi un carattere
drammatico e forse risolversi in nuove sconfitte umane. Ma
essa crede fermamente che, da parte di Dio, è sempre un
comunicarsi salvifico, una venuta salvifica e, semmai, un
salvifico «convincere del peccato» ad opera dello Spirito.
57. Nella contrapposizione
paolina dello «spirito» e della «carne» è inscritta anche
la contrapposizione della «vita» e della «morte». Grave
problema, questo, circa il quale bisogna dire subito che il
materialismo, come sistema di pensiero, in ogni sua versione,
significa l'accettazione della morte quale definitivo termine
dell'esistenza umana. Tutto ciò che è materiale, è
corruttibile e, perciò, il corpo umano (in quanto «animale»)
è mortale. Se l'uomo nella sua essenza è solo «carne», la
morte rimane per lui un confine e un termine invalicabile.
Allora si capisce come si possa dire che la vita umana è
esclusivamente un «esistere per morire». Bisogna aggiungere
che sull'orizzonte della civiltà contemporanea - specialmente
di quella più sviluppata in senso tecnico-scientifico - i
segni e i segnali di morte sono diventati particolarmente
presenti e frequenti. Basti pensare alla corsa agli armamenti
e al pericolo, in essa insito, di un'autodistruzione nucleare.
D'altra parte, si è rivelata sempre più a tutti la grave
situazione di vaste regioni del nostro pianeta, segnate
dall'indigenza e dalla fame apportatrici di morte. Si tratta
di problemi che non sono solo economici, ma anche e prima di
tutto etici. Senonché, sull'orizzonte della nostra epoca si
addensano «segni di morte» anche più cupi: si è diffuso il
costume - che in alcuni luoghi rischia di diventare quasi
un'istituzione - di togliere la vita agli esseri umani prima
ancora della loro nascita, o anche prima che siano arrivati al
naturale traguardo della morte. E ancora: nonostante tanti
nobili sforzi in favore della pace, sono scoppiate e sono in
corso nuove guerre, che privano della vita o della salute
centinaia di migliaia di uomini. E come non ricordare gli
attentati alla vita umana da parte del terrorismo, organizzato
anche su scala internazionale? Purtroppo, questo è solo un
abbozzo parziale ed incompleto del quadro di morte che si sta
componendo nella nostra epoca, mentre ci avviciniamo sempre di
più alla fine del secondo Millennio cristiano. Dalle tinte
fosche della civiltà materialistica e, in particolare, da
quei segni di morte che si moltiplicano nel quadro
sociologico-Storico, in cui essa si è attuata, non sale forse
una nuova invocazione, più o meno consapevole, allo Spirito
che dà la vita? In ogni caso, anche indipendentemente
dall'ampiezza delle speranze o delle disperazioni umane, come
delle illusioni o degli inganni, derivanti dallo sviluppo dei
sistemi materialistici di pensiero e di vita, rimane la
certezza cristiana che lo Spirito soffia dove vuole e che noi
possediamo «le primizie dello Spirito», e che perciò,
possiamo anche essere soggetti alle sofferenze dei tempo che
passa, ma «gemiamo interiormente aspettando... la redenzione
del nostro corpo», ossia di tutto il nostro essere umano,
corporeo e spirituale. Gemiamo, sì, ma in un'attesa carica di
indefettibile speranza, perché proprio a questo essere umano
si è avvicinato Dio, che è Spirito. Dio Padre ha mandato «il
proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e, in
vista del peccato, ha condannato il peccato». Al culmine del
mistero pasquale, il Figlio di Dio, fatto uomo e crocifisso
per i peccati del mondo, si è presentato in mezzo ai suoi
apostoli dopo la risurrezione, ha alitato su di loro e ha
detto: «Ricevete lo Spirito Santo». Questo «soffio»
continua sempre. Ed ecco, «lo Spirito viene in aiuto alla
nostra debolezza».
4. Lo Spirito Santo
nel rafforzamento dell'«uomo interiore»
58. Il mistero della
Risurrezione e della Pentecoste è annunciato e vissuto dalla
Chiesa, che è l'erede e la continuatrice della testimonianza
degli apostoli circa la risurrezione di Gesù Cristo. Essa è
la testimone perenne di questa vittoria sulla morte, che ha
rivelato la potenza dello Spirito Santo e ha determinato la
sua nuova venuta, la sua nuova presenza negli uomini e nel
mondo. Infatti nella risurrezione di Cristo lo Spirito Santo
Paraclito si è rivelato soprattutto come colui che dà la
vita: «Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la
vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito,
che abita in voi». Nel nome della risurrezione di Cristo la
Chiesa annuncia la vita, che si è manifestata oltre il limite
della morte, la vita che è più forte della morte. Al tempo
stesso, essa annuncia colui che dà questa vita: lo Spirito
vivificatore; lo annuncia e con lui coopera nel dare la vita.
Infatti, se «il corpo è morto a causa del peccato..., lo
spirito è vita a causa della giustificazione», operata da
Cristo crocifisso e risorto. E in nome della risurrezione di
Cristo la Chiesa serve la vita che proviene da Dio stesso, in
stretta unione ed in umile servizio allo Spirito. Proprio per
questo servizio l'uomo diventa in modo sempre nuovo la «via
della Chiesa», come ho già detto nell'Enciclica su Cristo
Redentore ed ora ripeto in questa sullo Spirito Santo. Unita
con lo Spirito, la Chiesa è consapevole più di ogni altro
della realtà dell'uomo interiore, di ciò che nell'uomo è più
profondo ed essenziale, perché spirituale ed incorruttibile.
A questo livello lo Spirito innesta la «radice
dell'immortalità», dalla quale spunta la nuova vita: cioè,
la vita dell'uomo in Dio, che, come frutto della sua
autocomunicazione salvifica nello Spirito Santo, può
svilupparsi e consolidarsi solo sotto l'azione di costui.
Perciò, l'Apostolo si rivolge a Dio in favore dei credenti,
ai quali dichiara: «Piego le ginocchia davanti al Padre...,
perché vi conceda... di essere potentemente rafforzati dal
suo Spirito nell'uomo interiore». Sotto l'influsso dello
Spirito Santo matura e si rafforza quest'uomo interiore, cioè
«spirituale». Grazie alla divina comunicazione lo spirito
umano, che «conosce i segreti dell'uomo», si incontra con lo
«Spirito che scruta le profondità di Dio». In questo
Spirito, che è il dono eterno, Dio uno e trino si apre
all'uomo, allo spirito umano. Il soffio nascosto dello Spirito
divino fa sì che lo spirito umano si apra, a sua volta,
davanti all'aprirsi salvifico e santificante di Dio. Per il
dono della grazia, che viene dallo Spirito, l'uomo entra in «una
vita nuova», viene introdotto nella realtà soprannaturale
della stessa vita divina e diventa «dimora dello Spirito
Santo», «tempio vivente di Dio». Per lo Spirito Santo,
infatti, il Padre e il Figlio vengono a lui e prendono dimora
presso di lui. Nella comunione di grazia con la Trinità si
dilata l'«area vitale» dell'uomo, elevata al livello
soprannaturale della vita divina. L'uomo vive in Dio e di Dio:
vive «secondo lo Spirito» e «pensa alle cose dello Spirito».
59. L'intima relazione con
Dio nello Spirito Santo fa sì che l'uomo comprenda in modo
nuovo anche se stesso la propria umanità. Viene così
realizzata pienamente quell'immagine e somiglianza di Dio, che
è l'uomo sin dall'inizio. Tale intima verità dell'essere
umano deve essere di continuo riscoperta alla luce di Cristo,
che è il prototipo del rapporto con Dio, e, in lui, deve
essere anche riscoperta la ragione del «ritrovarsi pienamente
attraverso un dono sincero di sé» con gli altri uomini, come
scrive il Concilio Vaticano II: proprio in ragione della
somiglianza divina che «manifesta che nella terra l'uomo...
è l'unica creatura che Dio abbia voluto per se stessa»,
nella sua dignità di persona, ma aperta all'integrazione e
alla comunione sociale. La conoscenza efficace e l'attuazione
piena di questa verità dell'essere avvengono solo per opera
dello Spirito Santo. L'uomo impara questa verità da Gesù
Cristo e la attua nella propria vita per opera dello Spirito,
che egli stesso ci ha dato. Su questa via - sulla via di una
tale maturazione interiore, che include la piena scoperta del
senso dell'umanità - Dio si fa intimo all'uomo, penetra
sempre più a fondo in tutto il mondo umano. Dio uno e trino,
che in se stesso «esiste» come trascendente realtà di dono
interpersonale, comunicandosi nello Spirito Santo come dono
all'uomo, trasforma il mondo umano dal di dentro, dall'interno
dei cuori e delle coscienze. Su questa via il mondo, reso
partecipe del dono divino, diventa - come insegna il Concilio
- «sempre più umano, sempre più profondamente umano»,
mentre in esso matura, mediante i cuori e le coscienze degli
uomini, il Regno in cui Dio sarà definitivamente «tutto in
tutti»: come dono e amore. Dono e amore: è questa l'eterna
potenza dell'aprirsi di Dio uno e trino all'uomo e al mondo,
nello Spirito Santo. Nella prospettiva dell'anno Duemila dalla
nascita di Cristo si tratta di ottenere che un numero sempre
più grande di uomini «possa ritrovarsi pienamente...
attraverso un dono sincero di sé», secondo la citata
espressione del Concilio. Che sotto l'azione dello Spirito
Paraclito si realizzi nel nostro mondo quel processo di vera
maturazione nell'umanità, nella vita individuale e in quella
comunitaria, in ordine al quale Gesù stesso, «quando prega
il Padre perché "tutti siano una cosa sola, come io e te
siamo una cosa sola" (Gv 17,21), ci ha suggerito
una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e
l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità». Il
Concilio ribadisce tale verità sull'uomo, e la Chiesa vede in
essa un'indicazione particolarmente forte e determinante dei
propri compiti apostolici. Se, infatti, l'uomo è la via della
Chiesa, questa via passa attraverso tutto il mistero di
Cristo, come divino modello dell'uomo. Su questa via lo
Spirito Santo, rafforzando in ciascuno di noi «l'uomo
interiore», fa sì che l'uomo sempre meglio «si ritrovi
attraverso un dono sincero di sé». Si può dire che in
queste parole della Costituzione pastorale del Concilio si
riassuma tutta l'antropologia cristiana: quella teoria e
prassi, fondata sul Vangelo, nella quale l'uomo scoprendo in
se stesso l'appartenenza a Cristo e, in lui, l'elevazione a
figlio di Dio, comprende meglio anche la sua dignità di uomo,
proprio perché è il soggetto dell'avvicinamento e della
presenza di Dio, il soggetto della condiscendenza divina,
nella quale è contenuta la prospettiva ed addirittura la
radice stessa della definitiva glorificazione. Allora si può
veramente ripetere che «gloria di Dio è l'uomo vivente, ma
vita dell'uomo è la visione di Dio»: l'uomo, vivendo una
vita divina, è la gloria di Dio, e di questa vita e di questa
gloria lo Spirito Santo è il dispensatore nascosto. Egli -
dice il grande Basilio - «semplice nell'essenza, molteplice
nelle sue virtù..., si diffonde senza che subisca alcuna
diminuzione, è presente a ciascuno di quanti sono capaci di
riceverlo come se fosse lui solo, ed in tutti infonde la
grazia sufficiente e completa».
60. Quando, sotto
l'influsso del Paraclito, gli uomini scoprono questa
dimensione divina del loro essere e della loro vita, sia come
persone che come comunità, essi sono in grado di liberarsi
dai diversi determinismi derivati principalmente dalle basi
materialistiche del pensiero, della prassi e della sua
relativa metodologia. Nella nostra epoca questi fattori sono
riusciti a penetrare fin nell'intimo dell'uomo, in quel
santuario della coscienza dove lo Spirito Santo immette di
continuo la luce e la forza della vita nuova secondo la «libertà
dei figli di Dio». La maturazione dell'uomo in questa vita è
impedita dai condizionamenti e dalle pressioni, che su di lui
esercitano le strutture e i meccanismi dominanti nei diversi
settori della società. Si può dire che in molti casi i
fattori sociali, anziché favorire lo sviluppo e l'espansione
dello spirito umano, finiscono con lo strapparlo alla genuina
verità del suo essere e della sua vita - sulla quale veglia
lo Spirito Santo - per sottometterlo al «principe di questo
mondo». Il grande Giubileo del Duemila contiene, pertanto, un
messaggio di liberazione ad opera dello Spirito, che solo può
aiutare le persone e le comunità a liberarsi dai vecchi e
nuovi determinismi, guidandole con la «legge dello Spirito,
che dà vita in Cristo Gesù», così scoprendo e attuando la
piena misura della vera libertà dell'uomo. Infatti - come
scrive san Paolo - là «dove c'è lo Spirito del Signore, c'è
libertà». Tale rivelazione della libertà e, dunque, della
vera dignità dell'uomo acquista una particolare eloquenza per
i cristiani e per la Chiesa in stato di persecuzione - sia nei
tempi antichi, sia in quello presente: perché i testimoni
della Verità divina diventano allora una vivente verifica
dell'azione dello Spirito di verità, presente nel cuore e
nella coscienza dei fedeli, e non di rado segnano col loro
martirio la suprema glorificazione della dignità umana. Anche
nelle comuni condizioni della società i cristiani, come
testimoni dell'autentica dignità dell'uomo, per la loro
obbedienza allo Spirito Santo, contribuiscono al molteplice «rinnovamento
della faccia della terra», collaborando con i loro fratelli
per realizzare e valorizzare tutto ciò che nell'odierno
progresso della civiltà, della cultura, della scienza, della
tecnica e degli altri settori del pensiero e dell'attività
umana, è buono, nobile e bello. Ciò fanno come discepoli di
Cristo, che - come scrive il Concilio - «con la sua
risurrezione costituito Signore,... opera nel cuore degli
uomini con la virtù del suo Spirito, non solo suscitando il
desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso anche
ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi,
con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più
umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la
terra». Così essi affermano ancor più la grandezza
dell'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, grandezza
che s'illumina al mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio,
il quale «nella pienezza del tempo», per opera dello Spirito
Santo, è entrato nella storia e si è manifestato vero uomo,
lui generato prima di ogni creatura, «in virtù del quale
esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui».
5. La Chiesa
sacramento dell'intima unione con Dio
61. Avvicinandosi la
conclusione del secondo Millennio, che deve ricordare a tutti
e quasi render di nuovo presente l'avvento del Verbo nella «pienezza
del tempo» la Chiesa ancora una volta intende penetrare
nell'essenza stessa della sua costituzione divino-umana e di
quella missione, che la fa partecipare alla missione
messianica di Cristo, secondo l'insegnamento e il progetto
sempre valido del Concilio Vaticano II. Seguendo questa linea,
possiamo risalire al Cenacolo, dove Gesù Cristo rivela lo
Spirito Santo come Paraclito, come Spirito di verità, e parla
della propria «dipartita» mediante la Croce quale condizione
necessaria della sua «venuta»: «È bene per voi che io me
ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il
consolatore; ma, quando me ne sarò andato, ve lo manderò».
Abbiamo visto che questo annuncio ha avuto la prima
realizzazione già la sera del giorno di Pasqua e poi durante
la celebrazione gerosolimitana della Pentecoste, e che da
allora esso si verifica nella storia dell'umanità mediante la
Chiesa. Alla luce di quell'annuncio prende pieno significato
anche ciò che Gesù, sempre durante l'Ultima Cena, dice a
proposito della sua nuova «venuta». È, infatti,
significativo che nello stesso discorso di addio egli annunci
non solo la sua «dipartita», ma anche la sua nuova «venuta».
Dice appunto: «Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi». E
nel momento del definitivo congedo, prima di salire al Cielo,
ripeterà ancora più esplicitamente: «Ecco io sono con voi»,
lo sono «tutti i giorni, fino alla fine dei mondo». Questa
nuova «venuta» di Cristo, questo suo continuo venire per
essere con gli apostoli, con la Chiesa, questo suo «sono con
voi fino alla fine del mondo», non cambia certo il fatto
della sua «dipartita». Segue ad essa dopo la conclusione
dell'attività messianica di Cristo sulla terra, ed avviene
nell'ambito del preannunciato invio dello Spirito Santo e, per
così dire, s'inscrive all'interno della sua stessa missione.
E tuttavia si compie per opera dello Spirito Santo, il quale
fa sì che il Cristo, che è andato via, venga ora e sempre in
modo nuovo. Questo nuovo venire di Cristo per opera dello
Spirito Santo e la sua costante presenza e azione nella vita
spirituale si attuano nella realtà sacramentale. In essa il
Cristo, che è andato via nella sua umanità visibile, viene,
è presente e agisce nella Chiesa in modo talmente intimo da
costituirla come suo corpo. Come tale, la Chiesa vive opera e
cresce «fino alla fine del mondo». Tutto ciò avviene per
opera dello Spirito Santo.
62. La più completa
espressione sacramentale della «dipartita» di Cristo per
mezzo del mistero della Croce e della Risurrezione è
l'Eucaristia. In essa si realizza ogni volta sacramentalmente
la sua venuta, la sua presenza salvifica: nel sacrificio e
nella comunione. Si realizza per opera dello Spirito Santo,
all'interno della sua propria missione. Mediante l'Eucaristia
lo Spirito Santo realizza quel «rafforzamento dell'uomo
interiore», di cui parla la Lettera agli Efesini. Mediante
l'Eucaristia le persone e le comunità, sotto l'azione del
Paraclito consolatore, imparano a scoprire il senso divino
della vita umana, richiamato dal Concilio: quel senso, per cui
Gesù Cristo «svela pienamente l'uomo all'uomo», suggerendo
«una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e
l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità». Una
tale unione si esprime e si realizza specialmente mediante
l'Eucaristia, nella quale l'uomo, partecipando al sacrificio
di Cristo, che tale celebrazione attualizza, impara anche a «ritrovarsi...
attraverso un dono... di sé», nella comunione con Dio e con
gli altri uomini, suoi fratelli. Per questo i primi cristiani,
sin dai giorni successivi alla discesa dello Spirito Santo, «erano
assidui nella frazione del pane e nelle preghiere», formando
in questo modo una comunità unita all'insegnamento degli
apostoli. Così essi «riconoscevano» che il loro Signore,
risorto e già asceso al cielo, nuovamente veniva in mezzo a
loro, nella comunità eucaristica della Chiesa e per suo
mezzo. Guidata dallo Spirito Santo, la Chiesa sin dall'inizio
espresse e confermò se stessa mediante l'Eucaristia. E così
è stato sempre, in tutte le generazioni cristiane, fino ai
nostri tempi, fino a questa vigilia del compimento del secondo
Millennio cristiano. Certo, dobbiamo, purtroppo, constatare
che questo Millennio, ormai trascorso, è stato quello delle
grandi separazioni tra i cristiani. Tutti i credenti in
Cristo, dunque, sull'esempio degli apostoli, dovranno mettere
ogni impegno nel conformare pensiero e azione alla volontà
dello Spirito Santo, «principio di unità della Chiesa»,
affinché tutti i battezzati in un solo Spirito per costituire
un solo corpo, si ritrovino fratelli uniti nella celebrazione
della medesima Eucaristia, «sacramento di pietà, segno di
unità, vincolo di carità!».
63. La presenza
eucaristica di Cristo - il suo sacramentale «sono con voi» -
permette alla Chiesa di scoprire sempre più profondamente il
proprio mistero, come attesta tutta l'ecclesiologia del
Concilio Vaticano II, per il quale «la Chiesa è in Cristo
come un sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con
Dio e dell'unità di tutto il genere umano». Come sacramento,
la Chiesa si sviluppa dal mistero pasquale della «dipartita»
di Cristo, vivendo della sua sempre nuova «venuta» per opera
dello Spirito Santo, all'interno della stessa missione del
Paraclito-Spirito di verità. Proprio questo è il mistero
essenziale della Chiesa, come professa il Concilio. Se in
forza della creazione Dio è colui nel quale noi tutti «viviamo,
ci muoviamo ed esistiamo», a sua volta la potenza della
redenzione perdura e si sviluppa nella storia dell'uomo e del
mondo come in un duplice «ritmo», la cui fonte si trova
nell'eterno Padre. È il ritmo, da un lato, della missione del
Figlio, che è venuto nel mondo, nascendo da Maria Vergine per
opera dello Spirito Santo; e, dall'altro, è anche il ritmo
della missione dello Spirito Santo, quale è stato rivelato
definitivamente da Cristo. Per la «dipartita» del Figlio, lo
Spirito è venuto e viene continuamente come consolatore e
Spirito di verità. E nell'ambito della sua missione, quasi
nell'intimo dell'invisibile presenza dello Spirito, il Figlio,
che «era andato via» nel mistero pasquale, «viene» ed è
continuamente presente nel mistero della Chiesa, ed ora si
cela, ora si manifesta nella sua storia, sempre conducendone
il corso. Tutto ciò avviene in modo sacramentale per opera
dello Spirito Santo, il quale, attingendo alle ricchezze della
redenzione di Cristo, continuamente dà la vita. Nel prendere
sempre più viva coscienza di questo mistero, la Chiesa vede
meglio se stessa soprattutto come sacramento. Ciò avviene
anche perché, per volere del suo Signore, mediante i vari
Sacramenti la Chiesa compie il suo ministero salvifico nei
riguardi dell'uomo. Il ministero sacramentale, ogni volta che
si attua, porta con sé il mistero della «dipartita» di
Cristo mediante la Croce e la Risurrezione, in forza della
quale viene lo Spirito Santo. Viene e opera: «dà la vita».
I Sacramenti, infatti, significano la grazia e conferiscono la
grazia: esprimono la vita e danno la vita. La Chiesa è la
dispensatrice visibile dei sacri segni, mentre lo Spirito
Santo vi agisce come il dispensatore invisibile della vita che
essi significano. Insieme con lo Spirito c'è ed agisce Cristo
Gesù.
64. Se la Chiesa è il
sacramento dell'intima unione con Dio, tale è in Gesù
Cristo, in cui questa stessa unione si attua come realtà
salvifca. Tale è in Gesù Cristo per opera dello Spirito
Santo. La pienezza della realtà salvifica, che è il Cristo
nella storia, si diffonde in modo sacramentale nella potenza
dello Spirito Paraclito. In questo modo lo Spirito Santo è l'«altro
consolatore», o nuovo consolatore, perché mediante la sua
azione la Buona Novella prende corpo nelle coscienze e nei
cuori umani e si espande nella storia. In tutto ciò è lo
Spirito Santo che dà la vita. Quando usiamo la parola «sacramento»
in riferimento alla Chiesa, dobbiamo tener presente che nel
testo conciliare la sacramentalità della Chiesa appare
distinta da quella che è propria, in senso stretto, dei
Sacramenti. Leggiamo infatti: «La Chiesa è... come un
sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio».
Ma ciò che conta ed emerge dal senso analogico con cui la
parola è impiegata nei due casi, è il rapporto che la Chiesa
ha con la potenza dello Spirito Santo, colui che solo dà la
vita: la Chiesa è segno e strumento della presenza e
dell'azione dello Spirito vivificante. Il Vaticano II aggiunge
che la Chiesa è «un sacramento... dell'unità di tutto il
genere umano». Si tratta evidentemente dell'unità che il
genere umano, in se stesso variamente differenziato, ha da Dio
e in Dio. Essa si radica nel mistero della creazione ed
acquista una dimensione nuova nel mistero della redenzione, in
ordine all'universale salvezza. Poiché Dio «vuole che tutti
gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della
verità», la redenzione comprende tutti gli uomini e, in
certo modo, tutta la creazione. Nella stessa universale
dimensione della redenzione agisce, in forza della «dipartita»
di Cristo, lo Spirito Santo. Perciò la Chiesa, radicata
mediante il suo proprio mistero nell'economia trinitaria della
salvezza, a buon diritto intende se stessa come «sacramento
dell'unità di tutto il genere umano». Essa sa di esserlo per
la potenza dello Spirito Santo, della quale è segno e
strumento nell'attuazione del piano salvifico di Dio. In
questo modo si realizza la «condiscendenza» dell'infinito
amore trinitario: l'avvicinarsi di Dio, Spirito invisibile, al
mondo visibile. Dio uno e trino si comunica all'uomo nello
Spirito Santo sin dall'inizio mediante la sua «immagine e
somiglianza». Sotto l'azione dello stesso Spirito l'uomo e,
per suo mezzo, il mondo creato, redento da Cristo, si
avvicinano ai loro definitivi destini in Dio. Di questo
avvicinamento dei due poli della creazione e della redenzione,
Dio e l'uomo, la Chiesa è «un sacramento, cioè segno e
strumento». Essa opera per ristabilire e rafforzare l'unità
alle radici stesse del genere umano: nel rapporto di comunione
che l'uomo ha con Dio come suo Creatore, Signore e Redentore.
E una verità che, in base all'insegnamento del Concilio,
possiamo meditare, spiegare e applicare in tutta l'ampiezza
del suo significato in questa fase di passaggio dal secondo al
terzo Millennio cristiano. E ci è caro prendere una coscienza
sempre più viva del fatto che dentro l'azione svolta dalla
Chiesa nella storia della salvezza, inscritta nella storia
dell'umanità, è presente e operante lo Spirito Santo, colui
che col soffio della vita divina pervade il pellegrinaggio
terreno dell'uomo e fa confluire tutta la creazione - tutta la
storia - al suo termine ultimo, nell'oceano infinito di Dio.
6. Lo Spirito e la
Sposa dicono: «Vieni!»
65. Il soffio della vita
divina, lo Spirito Santo, nella sua maniera più semplice e
comune, si esprime e si fa sentire nella preghiera. È bello e
salutare pensare che, dovunque si prega nel mondo, ivi è lo
Spirito Santo, soffio vitale della preghiera. È bello e
salutare riconoscere che, se la preghiera è diffusa in tutto
l'orbe, nel passato, nel presente e nel futuro, altrettanto
estesa è la presenza e l'azione dello Spirito Santo, che «alita»
la preghiera nel cuore dell'uomo in tutta la gamma smisurata
delle situazioni più diverse e delle condizioni ora
favorevoli, ora avverse alla vita spirituale e religiosa.
Molte volte, sotto l'azione dello Spirito, la preghiera sale
dal cuore dell'uomo nonostante i divieti e le persecuzioni, e
persino le proclamazioni ufficiali circa il carattere
areligioso, o addirittura ateo della vita pubblica. La
preghiera rimane sempre la voce di tutti coloro che
apparentemente non hanno voce - e in questa voce risuona
sempre quel «forte grido», attribuito a Cristo dalla Lettera
agli Ebrei. La preghiera è anche la rivelazione di quell'abisso,
che è il cuore dell'uomo: una profondità, che è da Dio e
che solo Dio può colmare, proprio con lo Spirito Santo.
Leggiamo in Luca: «Se dunque voi, che siete cattivi, sapete
dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro
celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!
». Lo Spirito Santo è il dono, che viene nel cuore dell'uomo
insieme con la preghiera. In questa egli si manifesta prima di
tutto e soprattutto come il dono, che «viene in aiuto alla
nostra debolezza». È il magnifico pensiero sviluppato da san
Paolo nella Lettera ai Romani quando scrive: «Noi nemmeno
sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito
stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti
inesprimibili». Dunque, lo Spirito Santo non solo fa sì che
preghiamo, ma ci guida «dall'interno» nella preghiera,
supplendo alla nostra insufficienza, rimediando alla nostra
incapacità di pregare: egli è presente nella nostra
preghiera e le dà una dimensione divina. Così «colui che
scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché
egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio». La
preghiera per opera dello Spirito Santo diventa l'espressione
sempre più matura dell'uomo nuovo, che per mezzo di essa
partecipa alla vita divina. La nostra difficile epoca ha uno
speciale bisogno della preghiera. Se nel corso della storia -
ieri come oggi - numerosi uomini e donne hanno dato
testimonianza dell'importanza della preghiera, consacrandosi
alla lode di Dio e alla vita di orazione soprattutto nei
monasteri con grande vantaggio per la Chiesa, in questi anni
va pure crescendo il numero delle persone che, in movimenti e
gruppi sempre più estesi, mettono al primo posto la preghiera
ed in essa cercano il rinnovamento della vita spirituale. È
questo un sintomo significativo e consolante, giacché da tale
esperienza è derivato un reale contributo alla ripresa della
preghiera tra i fedeli, che sono stati aiutati a meglio
considerare lo Spirito Santo come colui che suscita nei cuori
un profondo anelito alla santità. In molti individui e in
molte comunità matura la consapevolezza che, pur con tutto il
vertiginoso progresso della civiltà tecnico-scientifica,
nonostante le reali conquiste e le mète raggiunte, l'uomo è
minacciato, l'umanità è minacciata. Dinanzi a questo
pericolo, e anzi sperimentando già la paurosa realtà della
decadenza spirituale dell'uomo, persone singole e intere
comunità, quasi guidate da un senso interiore della fede,
cercano la forza capace di risollevare l'uomo, di salvarlo da
se stesso, dai propri sbagli e abbagli, che spesso rendono
nocive le sue stesse conquiste. E così scoprono la preghiera,
nella quale si manifesta lo «Spirito che viene in aiuto alla
nostra debolezza». In questo modo i tempi, in cui viviamo,
avvicinano allo Spirito Santo molte persone, che ritornano
alla preghiera. Ed io confido che tutte trovino
nell'insegnamento di questa Enciclica un nutrimento per la
loro vita interiore e riescano ad irrobustire, sotto l'azione
dello Spirito, il loro impegno di preghiera in consonanza con
la Chiesa e col suo Magistero.
66. In mezzo ai problemi,
alle delusioni e alle speranze, alle diserzioni e ai ritorni
di questi tempi, la Chiesa rimane fedele al mistero della sua
nascita. Se è un fatto storico che la Chiesa è uscita dal
Cenacolo il giorno di Pentecoste, in un certo senso si può
dire che non lo ha mai lasciato. Spiritualmente l'evento della
Pentecoste non appartiene solo al passato: la Chiesa è sempre
nel Cenacolo, che porta nel cuore. La Chiesa persevera nella
preghiera, come gli apostoli insieme a Maria, Madre di Cristo,
ed a coloro che in Gerusalemme costituivano il primo germe
della comunità cristiana e attendevano, pregando, la venuta
dello Spirito Santo. La Chiesa persevera nella preghiera con
Maria. Questa unione della Chiesa orante con la Madre di
Cristo fa parte del mistero della Chiesa fin dall'inizio: noi
la ve diamo presente in questo mistero, come è presente in
quello di suo Figlio. Ce lo dice il Concilio: «La Beata
Vergine..., adombrata dallo Spirito Santo, ... diede alla luce
il Figlio, che Dio ha posto quale primogenito tra molti
fratelli (Rm 8,29), cioè tra i fedeli, alla cui
rigenerazione e formazione essa coopera con materno amore».
ella è «per le sue singolari grazie e funzioni...
intimamente congiunta con la Chiesa: è figura della Chiesa».
«La Chiesa, contemplando l'arcana santità di lei ed
imitandone la carità, diventa anch'essa madre» e «ad
imitazione della Madre del suo Signore, con la virtù dello
Spirito Santo, conserva verginalmente integra la fede, salda
la speranza, sincera la carità: essa pure (cioè la Chiesa)
è vergine, che custodisce... la fede data allo Sposo». Si
capisce così il senso profondo del motivo, per cui la Chiesa,
unita con la Vergine Madre, si rivolge ininterrottamente quale
Sposa al suo divino Sposo, come attestano le parole
dell'Apocalisse, riportate dal Concilio: «Lo Spirito e la
Sposa dicono al Signore Gesù: "Vieni!"». La
preghiera della Chiesa è questa invocazione incessante, nella
quale «lo Spirito stesso intercede per noi»: in certo modo,
egli stesso la pronuncia con la Chiesa e nella Chiesa. Lo
Spirito, infatti, è dato alla Chiesa, affinché per la sua
potenza tutta la comunità del Popolo di Dio, per quanto
largamente ramificata e varia, perseveri nella speranza: in
quella speranza, nella quale «siamo stati salvati». È la
speranza escatologica, la speranza del definitivo compimento
in Dio, la speranza del Regno eterno, che si attua nella
partecipazione alla vita trinitaria. Lo Spirito Santo, dato
agli apostoli come consolatore, è il custode e l'animatore di
questa speranza nel cuore della Chiesa. Nella prospettiva del
terzo Millennio dopo Cristo, mentre «lo Spirito e la Sposa
dicono al Signore Gesù: "Vieni!"», questa loro
preghiera è carica, come sempre, di una portata escatologica,
destinata a dare pienezza di significato anche alla
celebrazione del grande Giubileo. E una preghiera rivolta in
direzione dei destini salvifici, verso i quali lo Spirito
Santo apre i cuori con la sua azione attraverso tutta la
storia dell'uomo sulla terra. Nello stesso tempo, però,
questa preghiera si orienta verso un preciso momento della
storia, in cui è messa in rilievo la «pienezza del tempo»,
scandita dall'anno Duemila. A questo Giubileo la Chiesa
desidera prepararsi nello Spirito Santo, come dallo Spirito
Santo fu preparata la Vergine di Nazareth, nella quale il
Verbo si fece carne.
CONCLUSIONE
67. Vogliamo concludere
queste considerazioni nel cuore della Chiesa e nel cuore
dell'uomo. La via della Chiesa passa attraverso il cuore
dell'uomo, perché è qui il luogo recondito dell'incontro
salvifico con lo Spirito Santo, col Dio nascosto, e proprio
qui lo Spirito Santo diventa «sorgente di acqua, che zampilla
per la vita eterna». Qui egli giunge come Spirito di verità
e come Paraclito, quale è stato promesso da Cristo. Di qui
egli agisce come consolatore, intercessore, avvocato -
specialmente quando l'uomo, o l'umanità, si trova davanti al
giudizio di condanna di quell'«accusatore», del quale
l'Apocalisse dice che «accusa i nostri fratelli davanti al
nostro Dio giorno e notte». Lo Spirito Santo non cessa di
essere il custode della speranza nel cuore dell'uomo: della
speranza di tutte le creature umane e, specialmente, di quelle
che «possiedono le primizie dello Spirito» ed «aspettano la
redenzione del loro corpo». Lo Spirito Santo, nel suo
misterioso legame di divina comunione col Redentore dell'uomo,
è il realizzatore della continuità della sua opera: egli
prende da Cristo e trasmette a tutti, entrando incessantemente
nella storia del mondo attraverso il cuore dell'uomo.
Qui egli diventa - come
proclama la Sequenza liturgica della solennità di Pentecoste
- vero «padre dei poveri, datore dei doni luce dei cuori»;
diventa «dolce ospite dell'anima», che la Chiesa saluta
incessantemente sulla soglia dell'intimità di ogni uomo.
Egli, infatti, porta «riposo e riparo» in mezzo alle
fatiche, al lavoro delle braccia e delle menti umane; porta «riposo»
e «sollievo» in mezzo alla calura del giorno, in mezzo alle
inquietudini, alle lotte e ai pericoli di ogni epoca; porta,
infine, la «consolazione», quando il cuore umano piange ed
è tentato dalla disperazione. Per questo, la stessa Sequenza
esclama: «Senza la tua forza nulla è nell'uomo, nulla è
senza colpa». Solo lo Spirito Santo, infatti, «convince del
peccato», del male, allo scopo di instaurare il bene
nell'uomo e nel mondo umano: per «rinnovare la faccia della
terra». Perciò, egli opera la purificazione da tutto ciò
che «deturpa» l'uomo, da «ciò che è sordido»; cura le
ferite anche più profonde dell'umana esistenza; cambia
l'interiore aridità delle anime, trasformandole in fertili
campi di grazia e di santità. Quello che è «rigido - lo
piega», quello che è «gelido - lo riscalda», quello che è
«sviato - lo raddrizza» lungo le vie della salvezza.
Pregando così, la Chiesa incessantemente professa la sua
fede: c'è nel nostro mondo creato uno Spirito che è un dono
increato. È questi lo Spirito del Padre e del Figlio: come il
Padre e il Figlio, è increato, immenso, eterno, onnipotente,
Dio, Signore. Questo Spirito di Dio «riempie l'universo», e
tutto ciò che è creato in lui riconosce la fonte della
propria identità, in lui trova la propria trascendente
espressione, a lui si volge e lo attende, lo invoca col suo
stesso essere. A lui, come a Paraclito, a Spirito di verità e
di amore, si rivolge l'uomo che vive di verità e di amore e
che senza la fonte della verità e dell'amore non può vivere.
A lui si rivolge la Chiesa, che è il cuore dell'umanità, per
invocare per tutti ed a tutti dispensare quei doni dell'amore,
che per mezzo suo «è stato riversato nei nostri cuori». A
lui si rivolge la Chiesa lungo le intricate vie del
pellegrinaggio dell'uomo sulla terra: e chiede,
incessantemente chiede la rettitudine degli atti umani come
opera sua; chiede la gioia e la consolazione, che solo lui, il
vero consolatore, può portare scendendo nell'intimo dei cuori
umani; chiede la grazia delle virtù, che meritano la gloria
celeste; chiede la salvezza eterna, nella piena comunicazione
della vita divina, a cui il Padre ha eternamente «predestinato»
gli uomini, creati per amore ad immagine e somiglianza della
Santissima Trinità. La Chiesa col suo cuore, che in sé
comprende tutti i cuori umani, chiede allo Spirito Santo la
felicità, che solo in Dio ha la sua completa attuazione: la
gioia «che nessuno potrà togliere», la gioia che è frutto
dell'amore e, dunque, di Dio che è amore; chiede «la
giustizia, la pace e la gioia nello Spirito Santo», in cui,
secondo san Paolo, consiste il Regno di Dio. Anche la pace è
frutto dell'amore: quella pace interiore, che l'uomo
affaticato cerca nell'intimo del suo essere. quella pace
chiesta dall'umanità, dalla famiglia umana dai popoli, dalle
nazioni, dai continenti, con una trepida speranza di ottenerla
nella prospettiva del passaggio dal secondo al terzo Millennio
cristiano. Poiché la via della pace passa in definitiva
attraverso l'amore e tende a creare la civiltà dell'amore, la
Chiesa fissa lo sguardo in colui che è l'amore del Padre e
del Figlio e, nonostante le crescenti minacce, non cessa di
aver fiducia, non cessa di invocare e di servire la pace
dell'uomo sulla terra. La sua fiducia si fonda su colui che,
essendo lo Spirito-amore, è anche lo Spirito della pace e non
cessa di esser presente nel nostro mondo umano, sull'orizzonte
delle coscienze e dei cuori, per «riempire l'universo» di
amore e di pace. Davanti a lui io m'inginocchio al termine di
queste considerazioni, implorando che, come Spirito del Padre
e del Figlio, egli conceda a noi tutti la benedizione e la
grazia, che desidero trasmettere, nel nome della Santissima
Trinità, ai figli e alle figlie della Chiesa ed all'intera
famiglia umana.
Dato a Roma, presso San
Pietro, il 18 maggio, Solennità di Pentecoste, dell'anno
1986, ottavo del mio Pontificato.
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