LETTERA
ENCICLICA
REDEMPTORIS
MISSIO
DI SUA SANTITA'
GIOVANNI PAOLO II
CIRCA LA PERMANENTE VALIDITA'
DEL MANDATO MISSIONARIO
Venerati Fratelli,
carissimi Figli e Figlie,
salute e Apostolica Benedizione!
INTRODUZIONE
1. La missione di Cristo
redentore, affidata alla chiesa, è ancora ben lontana dal suo
compimento. Al termine del secondo millennio dalla sua venuta
uno sguardo d'insieme all'umanità dimostra che tale missione
è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le
forze al suo servizio. È lo Spirito che spinge ad annunziare
le grandi opere di Dio: «Non è infatti per me un vanto
predicare il vangelo; è per me un dovere: guai a me se non
predicassi il vangelo!». (1Cor9,16) A nome di tutta la
chiesa, sento imperioso il dovere di ripetere questo grido di
san Paolo. Già dall'inizio del mio pontificato ho scelto di
viaggiare fino agli estremi confini della terra per
manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il
contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor
più convinto dell'urgenza di tale attività, a cui dedico la
presente enciclica. Il concilio Vaticano II ha inteso
rinnovare la vita e l'attività della chiesa secondo le
necessità del mondo contemporaneo: ne ha sottolineato la «missionarietà»
fondandola dinamicamente sulla stessa missione trinitaria.
L'impulso missionario, quindi, appartiene all'intima natura
della vita cristiana e ispira anche l'ecumenismo: «Che tutti
siano una cosa sola...., perché il mondo creda che tu mi hai
mandato». (Gv17,21)
2. Molti sono già stati i
frutti missionari del concilio: si sono moltiplicate le chiese
locali fornite di propri vescovi, clero e personale
apostolico; si verifica un più profondo inserimento delle
comunità cristiane nella vita dei popoli; la comunione fra le
chiese porta a un vivace scambio di beni spirituali e di doni;
l'impegno evangelizzatore dei laici sta cambiando la vita
ecclesiale; le chiese particolari si aprono all'incontro, al
dialogo e alla collaborazione con i membri di altre chiese
cristiane e religioni. Soprattutto si sta affermando una
coscienza nuova: cioè che la missione riguarda tutti i
cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e
associazioni ecclesiali.
Tuttavia, in questa «nuova
primavera» del cristianesimo non si può nascondere una
tendenza negativa, che questo documento vuol contribuire a
superare: la missione specifica ad gentes sembra in fase di
rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del
concilio e del magistero successivo. Difficoltà interne ed
esterne hanno indebolito lo slancio missionario della chiesa
verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve
preoccupare tutti i credenti in Cristo.
Nella storia della chiesa,
infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di
vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di
fede. (1) A venticinque anni dalla conclusione del concilio e
dalla pubblicazione del decreto sull'attività missionaria Ad
gentes, a quindici anni dall'esortazione apostolica Evangelii
nuntiandi del pontefice Paolo VI di v.m., desidero invitare la
chiesa a un rinnovato impegno missionario, continuando il
magistero dei miei predecessori a tale riguardo. (2)
Il presente documento ha
una finalità interna: il rinnovamento della fede e della vita
cristiana. La missione, infatti, rinnova la chiesa,
rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo
entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola!
La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà
ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione
universale. Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare
l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa
costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a
ciascun uomo e all'intera umanità nel mondo odierno, il quale
conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso
delle realtà ultime e della stessa esistenza. «Cristo
redentore - ho scritto nella prima enciclica - rivela
pienamente l'uomo a se stesso... L'uomo che vuol comprendere
se stesso fino in fondo... deve avvicinarsi a Cristo... La
redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato
definitivamente all'uomo la dignità e il senso della sua
esistenza nel mondo». (3) Né mancano altre motivazioni e
finalità: rispondere alle molte richieste per un documento di
questo genere dissipare dubbi e ambiguità circa la missione
ad gentes, confermando nel loro impegno i benemeriti fratelli
e sorelle dediti all'attività missionaria e tutti coloro che
li aiutano; promuovere le vocazioni missionarie, incoraggiare
i teologi ad approfondire ed esporre sistematicamente i vari
aspetti della missione; rilanciare la missione in senso
specifico, impegnando le chiese particolari specie quelle
giovani, a mandare e ricevere missionari, assicurare i non
cristiani e, in particolare, le autorità dei paesi verso cui
si rivolge l'attività missionaria, che questa ha un unico
fine: servire l'uomo rivelandogli l'amore di Dio, che si è
manifestato in Gesù Cristo.
3. Popoli tutti, aprite le
porte a Cristo! Il suo vangelo nulla toglie alla libertà
dell'uomo, al dovuto rispetto delle culture, a quanto c'è di
buono in ogni religione. Accogliendo Cristo, voi vi aprite
alla parola definitiva di Dio, a colui nel quale Dio si è
fatto pienamente conoscere e ci ha indicato la via per
arrivare a lui. Il numero di coloro che ignorano Cristo e non
fanno parte della chiesa è in continuo aumento, anzi dalla
fine del concilio è quasi raddoppiato. Per questa umanità
immensa, amata dal Padre che per essa ha inviato il suo
Figlio, è evidente l'urgenza della missione. D'altra parte,
in questo campo il nostro tempo offre nuove occasioni alla
chiesa: il crollo di ideologie e di sistemi politici
oppressivi; l'apertura delle frontiere e il formarsi di un
mondo più unito grazie all'incremento delle comunicazioni,
l'affermassi tra i popoli di quei valori evangelici, che Gesù
ha incarnato nella sua vita (pace, giustizia, fraternità,
dedizione ai più piccoli); un tipo di sviluppo economico e
tecnico senz'anima, che pur sollecita a ricercare la verità
su Dio, sull'uomo, sul significato della vita. Dio apre alla
chiesa gli orizzonti di un'umanità più preparata alla semina
evangelica. Sento venuto il momento di impegnare tutte le
forze ecclesiali per la nuova evangelizzazione e per la
missione ad gentes. Nessun credente in Cristo, nessuna
istituzione della chiesa può sottrarsi a questo dovere
supremo: annunziare Cristo a tutti i popoli.
PARTE
I
GESÙ
CRISTO UNICO SALVATORE
4. «Il compito
fondamentale della chiesa di tutte le epoche e, in modo
particolare, della nostra - ricordavo nella prima enciclica
programmatica - è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di
indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità
verso il mistero di Cristo». (4)
La missione universale
della chiesa nasce dalla fede in Gesù Cristo, come si
dichiara nella professione della fede trinitaria: «Credo in
un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato
dal Padre prima di tutti i secoli...
Per noi uomini e per la
nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito
santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è
fatto uomo». (5) Nell'evento della redenzione è la salvezza
di tutti, «perché ognuno è stato compreso nel mistero della
redenzione e con ognuno Cristo si è unito, per sempre,
attraverso questo mistero». (6) Soltanto nella fede si
comprende e si fonda la missione.
Eppure, anche a causa dei
cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee teologiche
alcuni si chiedono:
È ancora attuale la
missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal
dialogo inter-religioso? Non è un suo obiettivo sufficiente
la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della
libertà non esclude ogni proposta di conversione? Non ci si
può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la
missione?
«Nessuno viene al
Padre se non per mezzo di me».
5. Risalendo alle origini
della chiesa, troviamo chiaramente affermato che Cristo è
l'unico salvatore (Gv14,6) di tutti colui che solo è
in grado di rivelare Dio e di condurre a Dio. Alle autorità
religiose giudaiche che interrogano gli apostoli in merito
alla guarigione dello storpio, da lui operata, Pietro
risponde: «Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi
avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi
sta innanzi sano e salvo... in nessun altro c'è salvezza: non
vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel
quale sia stabilito che possiamo essere salvati». (At4,10)
Questa affermazione, rivolta al sinedrio, ha un valore
universale, poiché per tutti - giudei e gentili - la salvezza
non può venire che da Gesù Cristo. L'universalità di questa
salvezza in Cristo e affermata in tutto il Nuovo Testamento.
San Paolo riconosce in Cristo risorto il Signore: «In realtà
- scrive anche se ci sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia
sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori, per
noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene, e
noi siamo per lui; e c'è un solo Signore, Gesù Cristo, in
virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per
lui». (1Cor8,5) L'unico Dio e l'unico Signore sono
affermati in contrasto con la moltitudine di «dèi» e «signori»
che il popolo ammetteva. Paolo reagisce contro il politeismo
dell'ambiente religioso del suo tempo e pone in rilievo la
caratteristica della fede cristiana: fede in un solo Dio e in
un solo Signore, inviato da Dio. Nel vangelo di san Giovanni
questa universalità salvifica di Cristo comprende gli aspetti
della sua missione di grazia, di verità e di rivelazione: «Il
Verbo è la luce vera, che illumina ogni uomo». (Gv1,9)
E ancora: «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio
unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato». (Gv1,18);
(Mt11,27) La rivelazione di Dio si fa definitiva e
completa a opera del suo Figlio unigenito: «Dio, che nei
tempi antichi aveva già parlato molte volte e in diversi modi
ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni,
ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede
di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo».
(Eb1,1); (Gv14,6) In questa Parola definitiva
della sua rivelazione Dio si è fatto conoscere nel modo più
pieno: egli ha detto all'umanità chi è. E questa
autorivelazione definitiva di Dio è il motivo fondamentale
per cui la chiesa è per sua natura missionaria. Essa non può
non proclamare il vangelo, cioè la pienezza della verità che
Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso. Cristo è
l'unico mediatore tra Dio e gli uomini: «Uno solo, infatti,
è Dio, e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo
Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti.
Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti, e di
essa io sono stato fatto messaggero e apostolo - dico la verità,
non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità».
(1Tm2,5); (Eb4,14) Gli uomini, quindi, non
possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di
Cristo, sotto l'azione dello Spirito. Questa sua mediazione
unica e universale, lungi dall'essere di ostacolo al cammino
verso Dio, è la via stabilita da Dio stesso, e di ciò Cristo
ha piena coscienza. Se non sono escluse mediazioni partecipate
di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e
valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere
intese come parallele e complementari.
6. È contrario alla fede
cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e
Gesù Cristo. San Giovanni afferma chiaramente che il Verbo,
che «era in principio presso Dio», è lo stesso che «si
fece carne»: (Gv1,2) Gesù è il Verbo incarnato,
persona una e indivisibile. Non si può separare Gesù da
Cristo, né parlare di un «Gesù della storia», che sarebbe
diverso dal «Cristo della fede». La chiesa conosce e
confessa Gesù come «il Cristo, il Figlio del Dio vivente»:
(Mt16,16) Cristo non è altro che Gesù di Nazareth, e
questi è il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti.
In Cristo «abita corporalmente tutta la pienezza della
divinità» (Col2,9) e «dalla sua pienezza noi tutti
abbiamo ricevuto». (Gv1,16) «Il Figlio unigenito, che
è nel seno del Padre», (Gv1,18) è «il Figlio
diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione... Piacque
a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui
riconciliare a sé tutte le cose, pacificando col sangue della
sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla
terra e quelle nei cieli». (Col1,13) È proprio questa
singolarità unica di Cristo che a lui conferisce un
significato assoluto e universale, per cui, mentre è nella
storia, è il centro e il fine della stessa storia: (7) «Io
sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la
fine». (Ap22,13) Se, dunque, è lecito e utile
considerare i vari aspetti del mistero di Cristo, non bisogna
mai perdere di vista la sua unità. Mentre andiamo scoprendo e
valorizzando i doni di ogni genere, soprattutto le ricchezze
spirituali, che Dio ha elargito a ogni popolo, non possiamo
disgiungerli da Gesù Cristo, il quale sta al centro del piano
divino di salvezza. Come «con l'incarnazione il Figlio di Dio
s'è unito in un certo modo a ogni uomo», così «dobbiamo
ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di
venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero
pasquale. (8) Il disegno divino è «di ricapitolare in Cristo
tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra». (Ef1,10)
La fede in Cristo è
una proposta alla libertà dell'uomo.
7. L'urgenza dell'attività
missionaria emerge dalla radicale no vita di vita, portata da
Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa nuova vita è dono
di Dio, e all'uomo è richiesto di accoglierlo e di
svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo la sua vocazione
integrale in conformità a Cristo. Tutto il Nuovo Testamento
è un inno alla vita nuova per colui che crede in Cristo e
vive nella sua chiesa. La salvezza in Cristo, testimoniata e
annunziata dalla chiesa, è autocomunicazione di Dio: «È
l'amore che non soltanto crea il bene, ma fa partecipare alla
vita stessa di Dio: Padre, Figlio e Spirito santo. Infatti,
colui che ama, desidera donare se stesso». (9) Dio offre
all'uomo questa novità di vita. «Si può rifiutare Cristo e
tutto ciò che egli ha portato nella storia dell'uomo?
Certamente si può. L'uomo è libero. L'uomo può dire a Dio:
no. L'uomo può dire a Cristo: no. Ma rimane la domanda
fondamentale: È lecito farlo? e in nome di che cosa è
lecito?». (10)
8. Nel mondo moderno c'è
la tendenza a ridurre l'uomo alla sola dimensione orizzontale.
Ma che cosa diventa l'uomo senza apertura verso l'Assoluto? La
risposta sta nell'esperienza di ogni uomo, ma è anche
inscritta nella storia dell'umanità col sangue versato in
nome di ideologie e da regimi politici, che hanno voluto
costruire un'«umanità nuova» senza Dio. (11) Del resto, a
quanti sono preoccupati di salvare la libertà di coscienza,
risponde il concilio Vaticano II: «La persona umana ha il
diritto alla libertà religiosa...Tutti gli uomini devono
essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui,
di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che
in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la
coscienza, né sia impedito, entro certi limiti, di agire in
conformità a essa: privatamente o pubblicamente, in forma
individuale o associata». (12) L'annunzio e la testimonianza
di Cristo, quando sono fatti in modo rispettoso delle
coscienze, non violano la libertà. La fede esige la libera
adesione dell'uomo, ma deve essere proposta, poiché «le
moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del
mistero di Cristo, nel quale crediamo che tutta l'umanità può
trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa
cerca a tentoni su Dio, sull'uomo e sul suo destino, sulla
vita e sulla morte, sulla verità... Per questo la chiesa
mantiene il suo slancio missionario e vuole, altresì,
intensificarlo nel nostro momento storico». (13) Bisogna dire
anche, però, sempre col concilio, che «a motivo della loro
dignità tutti gli esseri umani, in quanto sono persone,
dotati cioè di ragione e di libera volontà e perciò
investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa
natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in
primo luogo quella concernente la religione. Essi sono pure
tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e a
ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze». (14)
La Chiesa segno e
strumento di salvezza
9. Prima beneficiaria
della salvezza è la chiesa: il Cristo se l'è acquistata col
suo sangue (At20,28) e l'ha fatta sua collaboratrice
nell'opera della salvezza universale. Infatti, Cristo vive in
essa; è il suo sposo; opera la sua crescita; compie la sua
missione per mezzo di essa. Il concilio ha ampiamente
richiamato il ruolo della chiesa per la salvezza dell'umanità.
Mentre riconosce che Dio ama tutti gli uomini e accorda loro
la possibilità della salvezza, (1Tm2,4); (15) la
chiesa professa che Dio ha costituito Cristo come unico
mediatore e che essa stessa è posta come sacramento
universale di salvezza: (16) «Tutti gli uomini, quindi, sono
chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio..., e a
essa in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli
cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia tutti gli
uomini universalmente, chiamati a salvezza dalla grazia di Dio».
(17) È necessario tener congiunte queste due verità, cioè
la reale possibilità della salvezza in Cristo per tutti gli
uomini e la necessità della chiesa in ordine a tale salvezza.
Ambedue favoriscono la comprensione dell'unico mistero
salvifico, sì da potere sperimentare la misericordia di Dio e
la nostra responsabilità. La salvezza, che è sempre dono
dello Spirito, esige la collaborazione dell'uomo per salvare
sia se stesso che gli altri. Così ha voluto Dio, e per questo
ha stabilito e coinvolto la chiesa nel piano della salvezza:
«Questo popolo messianico - dice il concilio costituito da
Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è
pure da lui assunto quale strumento della redenzione di tutti
e, come luce del mondo e sale della terra, è inviato a tutto
il mondo». (18)
La salvezza è
offerta a tutti gli uomini
10. L'universalità della
salvezza non significa che essa è accordata solo a coloro
che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella
chiesa. Se è destinata a tutti, la salvezza deve essere messa
in concreto a disposizione di tutti. Ma è evidente che, oggi
come in passato, molti uomini non hanno la possibilità di
conoscere o di accettare la rivelazione del vangelo, di
entrare nella chiesa. Essi vivono in condizioni
socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati
educati in altre tradizioni religiose. Per essi la salvezza di
Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo
una misteriosa relazione con la chiesa, non li introduce
formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro
situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da
Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo
Spirito santo: essa permette a ciascuno di giungere alla
salvezza con la sua libera collaborazione. Per questo il
concilio, dopo aver affermato la centralità del mistero
pasquale, afferma: «E ciò non vale solo per i cristiani, ma
anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore
opera invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per
tutti, e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una
sola, quella divina, perciò, dobbiamo ritenere che lo Spirito
santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel
modo che Dio conosce, col mistero pasquale». (19)
« Noi non possiamo
tacere » (At
4,20)
11. Che dire allora delle
obiezioni, già ricordate, in merito alla missione ad gentes?
Nel rispetto di tutte le credenze e di tutte le sensibilità,
dobbiamo anzitutto affermare con semplicità la nostra fede in
Cristo, unico salvatore dell'uomo, fede che abbiamo ricevuto
come dono dall'alto senza nostro merito. Noi diciamo con
Paolo: «Io non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di
Dio per la salvezza di chiunque crede». (Rm1,16) I
martiri cristiani di tutti i tempi anche del nostro hanno dato
e continuano a dare la vita per testimoniare agli uomini
questa fede, convinti che ogni uomo ha bisogno di Gesù
Cristo, il quale ha sconfitto il peccato e la morte e ha
riconciliato gli uomini con Dio. Cristo si è proclamato
Figlio di Dio, intimamente unito al Padre e, come tale, è
stato riconosciuto dai discepoli, confermando le sue parole
con i miracoli e la risurrezione da morte. La chiesa offre
agli uomini il vangelo, documento profetico, rispondente alle
esigenze e aspirazioni del cuore umano: esso è sempre «buona
novella». La chiesa non può fare a meno di proclamare che
Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare con la
croce e la risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini.
All'interrogativo: perché la missione? noi rispondiamo con la
fede e con l'esperienza della chiesa che aprirsi all'amore di
Cristo è la vera liberazione. In lui, soltanto in lui siamo
liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù
al potere del peccato e della morte. Cristo è veramente «la
nostra pace», (Ef2,14) e «l'amore di Cristo ci spinge»,
(2Cor5,14) dando senso e gioia alla nostra vita. La
missione è un problema di fede, è l'indice esatto della
nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi. La tentazione
oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente
umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente
secolarizzato è avvenuta una «graduale secolarizzazione
della salvezza», per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per
un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale.
Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza
integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini,
aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché
la missione? Perché a noi, come a san Paolo, «è stata
concessa la grazia di annunziare ai pagani le imperscrutabili
ricchezze di Cristo». (Ef3,8) La novità di vita in
lui è la «buona novella» per l'uomo di tutti i tempi: a
essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati.
Tutti di fatto la cercano,
anche se a volte in modo confuso, e hanno il diritto di
conoscere il valore di tale dono e di accedervi. La chiesa e,
in essa, ogni cristiano non può nascondere né conservare per
sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina
per esser comunicata a tutti gli uomini. Ecco perché la
missione, oltre che dal mandato formale del Signore, deriva
dall'esigenza profonda della vita di Dio in noi. Coloro che
sono incorporati nella chiesa cattolica devono sentirsi dei
privilegiati, e per ciò stesso maggiormente impegnati a
testimoniare la fede e la vita cristiana come servizio ai
fratelli e doverosa risposta a Dio, memori che «la loro
eccellente condizione non è da ascrivere ai loro meriti, ma a
una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi
corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere,
lungi dal salvarsi, saranno più severamente giudicati». (20)
PARTE
II
IL
REGNO Dl DIO
12. «Dio, ricco di
misericordia, è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come
Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l'ha
manifestato e fatto conoscere». (21) Questo scrivevo
all'inizio dell'enciclica Dives in misericordia, mostrando
come il Cristo è la rivelazione e l'incarnazione della
misericordia del Padre. La salvezza consiste nel credere e
accogliere il mistero del Padre e del suo amore che si
manifesta e si dona in Gesù mediante lo Spirito. Così si
compie il regno di Dio, preparato già dall'antica alleanza,
attuato da Cristo e in Cristo, annunciato a tutte le genti
dalla chiesa, che opera e prega affinché si realizzi in modo
perfetto e definitivo. L'Antico Testamento attesta che Dio si
è scelto e formato un popolo, per rivelare e attuare il suo
disegno d'amore. Ma, nello stesso tempo, Dio è creatore e
padre di tutti gli uomini, di tutti si prende cura, a tutti
estende la sua benedizione (Gen12,3) e con tutti ha
stretto un'alleanza. (Gen9,1) Israele fa l'esperienza
di un Dio personale e salvatore, (Dt4,37); (Dt7,6);
(Is43,1) del quale diventa il testimone e il portavoce
in mezzo alle nazioni. Nel corso della sua storia Israele
prende coscienza che la sua elezione ha un significato
universale.(Is2,2); (Is25,6); (Is60,1); (Ger3,17);
(Ger16,19)
Cristo rende
presente il Regno
13. Gesù di Nazareth
porta a compimento il disegno di Dio. Dopo aver ricevuto lo
Spirito santo nel battesimo, egli manifesta la sua vocazione
messianica: percorre la Galilea «predicando il vangelo di Dio
e dicendo: "Il tempo è compiuto, il regno di Dio è
vicino; convertitevi e credete al vangelo"». (Mc1,14);
(Mt4,17); (Lc4,43) La proclamazione e
l'instaurazione del regno di Dio sono l'oggetto della sua
missione: «È per questo che sono stato inviato». (Lc4,43)
Ma c'è di più: Gesù è lui stesso la «buona novella»,
come afferma già all'inizio della missione nella sinagoga del
suo paese, applicando a sé le parole di Isaia sull'Unto,
inviato dallo Spirito del Signore. (Lc4,14) Essendo la
«buona novella», in Cristo c'è identità tra messaggio e
messaggero, tra il dire, l'agire e l'essere. La sua forza, il
segreto dell'efficacia della sua azione sta nella totale
identificazione col messaggio che annunzia: egli proclama la
«buona novella» non solo con quello che dice o fa, ma con
quello che è. Il ministero di Gesù è descritto nel contesto
dei viaggi nella sua terra. L'orizzonte della missione prima
della pasqua è centrato su Israele; tuttavia, Gesù offre un
elemento nuovo di importanza capitale. La realtà escatologica
non è rinviata a una fine remota del mondo, ma si fa vicina e
comincia ad attuarsi. Il regno di Dio si avvicina, (Mc1,15)
si prega perché venga, (Mt6,10) la fede lo scorge già
operante nei segni, quali i miracoli, (Mt11,4) gli
esorcismi, (Mt3,13) l'annunzio della «buona novella»
ai poveri. (Lc4,18) Negli incontri di Gesù con i
pagani è chiaro che l'accesso al regno avviene mediante la
fede e la conversione (Mc1,15) e non per semplice
appartenenza etnica. Il regno che Gesù inaugura è il regno
di Dio: Gesù stesso rivela chi è questo Dio, che chiama col
termine familiare di «abbà», Padre. (Mc14,36) Il
Dio, rivelato soprattutto nelle parabole, (Lc15,3); (Mt20,1)
è sensibile alle necessità e alle sofferenze di ogni uomo:
è un Padre amoroso e pieno di compassione, che perdona e dà
gratuitamente le grazie richieste. San Giovanni ci dice che «Dio
è amore». (1Gv4,8) Ogni uomo, perciò, è invitato a
«convertirsi» e a «credere» all'amore misericordioso di
Dio per lui: il regno crescerà nella misura in cui ogni uomo
imparerà a rivolgersi a Dio nell'intimità della preghiera
come a un Padre (Lc11,2); (Mt23,9) e si sforzerà
di compiere la sua volontà. (Mt7,21)
Caratteristiche ed
esigenze del Regno
14. Gesù rivela
progressivamente le caratteristiche ed esigenze del regno
mediante le sue parole, le sue opere e la sua persona. Il
regno di Dio è destinato a tutti gli uomini, essendo tutti
chiamati a esserne membri. Per sottolineare questo aspetto,
Gesù si è avvicinato soprattutto a quelli che erano ai
margini della società, dando a essi la preferenza quando
annunziava la «buona novella». All'inizio dei suo ministero
egli proclama di essere stato mandato per annunziare ai poveri
il lieto messaggio. (Lc4,18) A tutte le vittime del
rifiuto e del disprezzo dichiara: «Beati voi poveri» (Lc6,20);
inoltre, a questi emarginati fa già vivere un'esperienza di
liberazione stando con loro (Lc5,30); (Lc15,2)
andando a mangiare con loro, trattandoli come uguali e amici (Lc7,34),
facendoli sentire amati da Dio e rivelando così la sua
immensa tenerezza verso i bisognosi e i peccatori. (Lc15,1)
La liberazione e la
salvezza, portate dal regno di Dio raggiungono la persona
umana nelle sue dimensioni sia fisiche che spirituali. Due
gesti caratterizzano la missione di Gesù: il guarire e il
perdonare. Le molteplici guarigioni dimostrano la sua grande
compassione di fronte alle miserie umane; ma significano pure
che nel regno non vi saranno più né malattie né sofferenze
e che la sua missione mira fin dall'inizio a liberare le
persone da esse. Nella prospettiva di Gesù le guarigioni sono
anche segno della salvezza spirituale, cioè della liberazione
dal peccato. Compiendo gesti di guarigione, Gesù invita alla
fede, alla conversione, al desiderio di perdono. (Lc5,24)
Ricevuta la fede, la guarigione spinge a proseguire più
lontano: introduce nella salvezza. (Lc18,42) I gesti di
liberazione dalla possessione del demonio, male supremo e
simbolo del peccato e della ribellione contro Dio, sono segni
che «il regno di Dio è giunto fra voi». (Mt12,28)
15. Il regno mira a
trasformare i rapporti tra gli uomini e si attua
progressivamente, man mano che essi imparano ad amarsi, a
perdonarsi, a servirsi a vicenda. Gesù riprende tutta la
legge, incentrandola sul comandamento dell'amore. (Mt22,34);
(Lc10,25) Prima di lasciare i suoi, dà loro un «comandamento
nuovo»: «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato». (Gv13,34);
(Gv15,12) L'amore, con cui Gesù ha amato il mondo,
trova l'espressione più alta nel dono della sua vita per gli
uomini, (Gv15,13) che manifesta l'amore che il Padre ha
per il mondo. (Gv3,16) Perciò, la natura del regno è la
comunione di tutti gli esseri umani tra di loro e con Dio. Il
regno riguarda tutti: le persone, la società, il mondo
intero. Lavorare per il regno vuol dire riconoscere e favorire
il dinamismo divino, che è presente nella storia umana e la
trasforma. Costruire il regno vuol dire lavorare per la
liberazione dal male in tutte le sue forme. In sintesi, il
regno di Dio è la manifestazione e l'attuazione del suo
disegno di salvezza in tutta la sua pienezza.
Nel Risorto il Regno
si compie ed è proclamato
16. Risuscitando Gesù dai
morti, Dio ha vinto la morte e in lui ha inaugurato
definitivamente il suo regno. Durante la vita terrena Gesù è
il profeta del regno e, dopo la sua passione, risurrezione e
ascensione al cielo, partecipa della potenza di Dio e del suo
dominio sul mondo. (Mt28,18); (At2,36); (Ef1,18)
La risurrezione conferisce una portata universale al messaggio
di Cristo, alla sua azione e a tutta la sua missione. I
discepoli avvertono che il regno è già presente nella
persona di Gesù e viene a poco a poco instaurato nell'uomo e
nel mondo mediante un misterioso legame con lui. Dopo la
risurrezione, infatti, essi predicavano il regno annunziando
Gesù morto e risorto. Filippo in Samaria «recava la buona
novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo». (At8,12)
Paolo a Roma «annunziava il regno di Dio e insegnava le cose
riguardanti il Signore Gesù Cristo». (At28,31) Anche
i primi cristiani annunziavano «il regno di Cristo e di Dio»,
(Ef5,5); (Ap11,15); (Ap12,10) oppure «il
regno eterno del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo». (2Pt1,11)
È sull'annunzio di Gesù
Cristo, con cui il regno si identifica, che è incentrata la
predicazione della chiesa primitiva. Come allora, oggi bisogna
unire l'annunzio del regno di Dio (il contenuto del «kérygma»
di Gesù) e la proclamazione dell'evento Gesù Cristo (che è
il «kérygma» degli apostoli). I due annunzi si completano e
si illuminano a vicenda.
Il Regno in rapporto
a Cristo e alla Chiesa
17. Oggi si parla molto
del regno, ma non sempre in consonanza col sentire ecclesiale.
Ci sono, infatti, concezioni della salvezza e della missione
che si possono chiamare «antropocentriche» nel senso
riduttivo del termine, in quanto sono incentrate sui bisogni
terreni dell'uomo. In questa visione il regno tende a
diventare una realtà del tutto umana e secolarizzata, in cui
ciò che conta sono i programmi e le lotte per la liberazione
socio-economica, politica e anche culturale, ma in un
orizzonte chiuso al trascendente. Senza negare che anche a
questo livello ci siano valori da promuovere tuttavia tale
concezione rimane nei confini di un regno dell'uomo decurtato
delle sue autentiche e profonde dimensioni, e si traduce
facilmente in una delle ideologie di progresso puramente
terreno. Il regno di Dio, invece, «non è di questo mondo...,
non è di quaggiù». (Gv18,36) Ci sono, poi,
concezioni che di proposito pongono l'accento sul regno e si
qualificano come «regno-centriche», le quali danno risalto
all'immagine di una chiesa che non pensa a se stessa, ma è
tutta occupata a testimoniare e a servire il regno. È una «chiesa
per gli altri, si dice, come Cristo è l'«uomo per gli altri».
Si descrive il compito della chiesa come se debba procedere in
una duplice direzione: da un lato, promuovere i cosiddetti «valori
del regno», quali la pace, la giustizia, la libertà, la
fraternità; dall'altro, favorire il dialogo fra i popoli, le
culture, le religioni, affinché in un vicendevole
arricchimento aiutino il mondo a rinnovarsi e a camminare
sempre più verso il regno. Accanto ad aspetti positivi,
queste concezioni ne rivelano spesso di negativi. Anzitutto,
passano sotto silenzio Cristo: il regno, di cui parlano, si
fonda su un «teocentrismo», perché - dicono - Cristo non può
essere compreso da chi non ha la fede cristiana, mentre
popoli, culture e religioni diverse si possono ritrovare
nell'unica realtà divina, quale che sia il suo nome. Per lo
stesso motivo esse privilegiano il mistero della creazione,
che si riflette nella diversità delle culture e credenze ma
tacciono sul mistero della redenzione. Inoltre, il regno,
quale essi lo intendono, finisce con l'emarginare o
sottovalutare la chiesa, per reazione a un supposto «ecclesiocentrismo»
del passato e perché considerano la chiesa stessa solo un
segno, non privo peraltro di ambiguità.
18. Ora, non è questo il
regno di Dio, quale conosciamo dalla rivelazione: esso non può
essere disgiunto né da Cristo né dalla chiesa. Come si è
detto, Cristo non soltanto ha annunziato il regno, ma in lui
il regno stesso si è fatto presente e si è compiuto. E non
solo mediante le sue parole e le sue opere: «Innanzi tutto,
il regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, Figlio
di Dio e Figlio dell'uomo, il quale è venuto "a servire
e a dare la sua vita in riscatto per molti" (Mc10,45);
(22) » Il regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un
programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzi tutto
una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth,
immagine del Dio invisibile. (23) Se si distacca il regno da
Gesù, non si ha più il regno di Dio da lui rivelato e si
finisce per distorcere sia il senso del regno, che rischia di
trasformarsi in un obiettivo puramente umano o ideologico, sia
l'identità di Cristo, che non appare più il Signore, a cui
tutto deve esser sottomesso. (1Cor15,27) Parimenti, non
si può disgiungere il regno dalla chiesa. Certo, questa non e
fine a se stessa, essendo ordinata al regno di Dio, di cui è
germe, segno e strumento. Ma, mentre si distingue dal Cristo e
dal regno, la chiesa è indissolubilmente unita a entrambi.
Cristo ha dotato la chiesa, suo corpo, della pienezza dei beni
e dei mezzi di salvezza; lo Spirito santo dimora in essa, la
vivifica con i suoi doni e carismi, la santifica guida e
rinnova continuamente. (24) Ne deriva una relazione singolare
e unica, che` pur non escludendo l'opera di Cristo e dello
Spirito fuori dei confini visibili della chiesa, conferisce a
essa un ruolo specifico e necessario. Di qui anche lo speciale
legame della chiesa col regno di Dio e di Cristo, che essa ha
«la missione di annunziare e di instaurare in tutte le genti».
(25)
19. È in questa visione
d'insieme che si comprende la realtà del regno. Certo, esso
esige la promozione dei beni umani e dei valori che si possono
ben dire «evangelici», perché sono intimamente legati alla
«buona novella». Ma questa promozione che pure sta a cuore
alla chiesa, non deve essere distaccata né contrapposta agli
altri suoi compiti fondamentali, come l'annunzio del Cristo e
del suo vangelo la fondazione e lo sviluppo di comunità che
attuano tra gli uomini l'immagine viva del regno. Non si tema
di cadere con ciò in una forma di «ecclesiocentrismo».
Paolo VI. che ha affermato l'esistenza di «un legame profondo
tra il Cristo la chiesa e l'evangelizzazione» (26) ha pure
detto che la chiesa «non è fine a se stessa, ma fervidamente
sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo e per Cristo. e
tutta degli uomini, fra gli uomini e per gli uomini». (27)
20. La Chiesa a
servizio del Regno
La Chiesa è
effettivamente e concretamente a servizio del regno. Lo è,
anzitutto. con l'annunzio che chiama alla conversione: è,
questo, il primo e fondamentale servizio alla venuta del regno
nelle singole persone e nella società umana. La salvezza
escatologica inizia già ora nella novità di vita in Cristo:
«A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare
figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome». (Gv1,12)
La chiesa, poi, serve il regno fondando comunità e istituendo
chiese particolari e portandole alla maturazione della fede e
della carità nell'apertura verso gli altri, nel servizio alla
persona e alla società, nella comprensione e stima delle
istituzioni umane.» La chiesa, inoltre, serve il regno
diffondendo nel mondo i «valori evangelici», che del regno
sono espressione e aiutano gli uomini ad accogliere il disegno
di Dio. È vero, dunque, che la realtà incipiente del regno
può trovarsi anche al di là dei confini della chiesa
nell'umanità intera, in quanto questa viva i «valori
evangelici» e si apra all'azione dello Spirito che spira dove
e come vuole; (Gv3,8) ma bisogna subito aggiungere che
tale dimensione temporale del regno è incompleta, se non è
coordinata col regno di Cristo, presente nella chiesa e
proteso alla pienezza escatologica. (28) Le molteplici
prospettive del regno di Dio (29) non indeboliscono i
fondamenti e le finalità dell'attività missionaria, ma
piuttosto li fortificano e allargano. La chiesa è sacramento
di salvezza per tutta l'umanità, e la sua azione non si
restringe a coloro che ne accettano il messaggio. Essa è
forza dinamica nel cammino dell'umanità verso il regno
escatologico, è segno e promotrice dei valori evangelici tra
gli uomini. (30) A questo itinerario dl conversione al
progetto di Dio la chiesa contribuisce con la sua
testimonianza e con le sue attività, quali il dialogo, la
promozione umana, l'impegno per la giustizia e la pace,
l'educazione e la cura degli infermi, l'assistenza ai poveri e
ai piccoli tenendo sempre ferma la priorità delle realtà
trascendenti e spirituali, premesse della salvezza
escatologica. La chiesa, infine, serve il regno anche con la
sua intercessione, essendo esso per la sua natura dono e opera
di Dio come ricordano le parabole evangeliche e la preghiera
stessa insegnataci da Gesù. Noi dobbiamo chiederlo,
accoglierlo, farlo crescere in noi; ma dobbiamo anche
cooperare perché sia accolto e cresca tra gli uomini, fino a
quando Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre» e «Dio sarà
tutto in tutti». (1Cor15,24)
PARTE
III
LO
SPIRITO SANTO PROTAGONISTA DELLA MISSIONE
21. «Al culmine della
missione messianica di Gesù, lo Spirito santo diventa
presente nel mistero pasquale in tutta la sua soggettività
divina, come colui che deve ora continuare l'opera salvifica,
radicata nel sacrificio della croce. Senza dubbio questa opera
viene affidata da Gesù a uomini: agli apostoli, alla chiesa.
Tuttavia, in questi uomini e per mezzo di essi, lo Spirito
santo rimane il trascendente soggetto protagonista della
realizzazione di tale opera nello spirito dell'uomo e nella
storia del mondo». (31) Lo Spirito santo invero è il
protagonista di tutta la missione ecclesiale: la sua opera
rifulge eminentemente nella missione ad gentes, come appare
nella chiesa primitiva per la conversione di Cornelio, (At10,1)
per le decisioni circa i problemi emergenti, (At15,1)
per la scelta dei territori e dei popoli. (At16,6) Lo
Spirito opera per mezzo degli apostoli, ma nello stesso tempo
opera anche negli uditori: «Mediante la sua azione, la buona
novella prende corpo nelle coscienze e nei cuori umani e si
espande nella storia. In tutto ciò è lo Spirito santo che dà
la vita». (32)
L'invio «fino agli
estremi confini della terra»
22. Tutti gli evangelisti,
quando narrano l'incontro del Risorto con gli apostoli,
concludono col mandato missionario: «Mi è stato dato ogni
potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte
le nazioni... (At1,8) Ecco, io sono con voi tutti i
giorni, fino alla fine del mondo». (Mt28,18); (Mc16,15);
(Lc24,46); (Gv20,21) Questo invio è invio nello
Spirito come appare chiaramente nel testo di san Giovanni:
Cristo manda i suoi nel mondo. come il Padre ha mandato lui? e
per questo dona loro lo Spirito. A sua volta, Luca collega
strettamente la testimonianza che gli apostoli dovranno
rendere a Cristo con l'azione dello Spirito, che li metterà
in grado di attuare il mandato ricevuto.
23. Le varie forme del «mandato
missionario» contengono punti in comune e accenti
caratteristici; due elementi però, si ritrovano in tutte le
versioni. Anzitutto, la dimensione universale del compito
affidato agli apostoli: «Tutte le nazioni»; (Mt28,19)
«in tutto il mondo a ogni creatura»; (Mc16,15) «tutte
le genti»; (Lc24,47) «fino agli estremi confini della
terra». (At1,8) In secondo luogo, l'assicurazione data
loro dal Signore che in questo compito non rimarranno soli, ma
riceveranno la forza e i mezzi per svolgere la loro missione.
È in ciò la presenza e la potenza dello Spirito e
l'assistenza di Gesù: «Essi partirono e predicarono
dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro». (Mc16,20)
Quanto alle differenze di accento nel mandato, Marco presenta
la missione come proclamazione, o kérygma: «Proclamate il
vangelo». (Mc16,15) Scopo dell'evangelista è di
condurre i lettori a ripetere la confessione di Pietro: «Tu
sei il Cristo» (Mc8,29) e a dire, come il centurione
romano dinanzi a Gesù morto in croce: «Veramente quest'uomo
era Figlio di Dio». (Mc15,39) In Matteo l'accento
missionario è posto sulla fondazione della chiesa e sul suo
insegnamento; (Mt28,19); (Mt16,18) in lui,
dunque, il mandato evidenzia che la proclamazione del vangelo
dev'essere completata da una specifica catechesi di ordine
ecclesiale e sacramentale. In Luca la missione è presentata
come testimonianza, (Lc24,48); (At1,8) che verte
soprattutto sulla risurrezione. (At1,22) Il missionario
è invitato a credere alla potenza trasformatrice del vangelo
e ad annunziare ciò che Luca illustra bene, cioè la
conversione all'amore e alla misericordia di Dio, l'esperienza
di una liberazione integrale fino alla radice di ogni male, il
peccato. Giovanni è il solo a parlare esplicitamente di «mandato»
parola che equivale a «missione» collegando direttamente la
missione che Gesù affida ai suoi discepoli con quella che
egli stesso ha ricevuto dal Padre: «Come il Padre ha mandato
me, così io mando voi». (Gv20,21) Gesù dice rivolto
al Padre: «Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho
mandati nel mondo». (Gv17,18) Tutto il senso
missionario del Vangelo di Giovanni si trova espresso nella «preghiera
sacerdotale»: la vita eterna è che «conoscano te, l'unico
vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo». (Gv17,3)
Scopo ultimo della missione è di far partecipare della
comunione che esiste tra il Padre e il Figlio: i discepoli
devono vivere l'unità tra loro, rimanendo nel Padre e nel
Figlio, perché il mondo conosca e creda. (Gv17,21) È,
questo, un significativo testo missionario, il quale fa capire
che si è missionari prima di tutto per ciò che si è come
chiesa che vive profondamente l'unità nell'amore, prima di
esserlo per ciò che si dice o si fa. I quattro Vangeli,
dunque, nell'unità fondamentale della stessa missione,
attestano un certo pluralismo` che riflette esperienze e
situazioni diverse nelle prime comunità cristiane. Esso è
anche frutto della spinta dinamica dello stesso Spirito;
invita a essere attenti ai diversi carismi missionari e alle
diverse condizioni ambientali e umane. Tutti gli evangelisti,
però, sottolineano che la missione dei discepoli è
collaborazione con quella di Cristo: «Ecco, io sono con voi
tutti i giorni, fino alla fine del mondo. (Mt28,20) La
missione, pertanto, non si fonda sulle capacità umane, ma
sulla potenza del Risorto.
Lo Spirito guida la
missione
24. La missione della
chiesa, come quella di Gesù, è opera di Dio o - come spesso
dice Luca - opera dello Spirito. Dopo la risurrezione e
l'ascensione di Gesù gli apostoli vivono un'esperienza forte
che li trasforma: la Pentecoste. La venuta dello Spirito santo
fa di essi dei testimoni e dei profeti, (At1,8); (At2,17)
infondendo in loro una tranquilla audacia che li spinge a
trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la
speranza che li anima. Lo Spirito dà loro la capacità di
testimoniare Gesù con «franchezza». (33) Quando gli
evangelizzatori escono da Gerusalemme, lo Spirito assume ancor
di più la funzione di «guida» nella scelta sia delle
persone, sia delle vie della missione. La sua azione si
manifesta specialmente nell'impulso dato alla missione che di
fatto secondo le parole di Cristo, si allarga da Gerusalemme a
tutta la Giudea e Samaria e fino agli estremi confini della
terra. Gli Atti riportano sei sintesi dei «discorsi
missionari» che sono rivolti ai giudei agli inizi della
chiesa. (At2,22); (At3,12); (At4,9); (At5,29);
(At10,34); (At13,16) Questi discorsi-modello,
pronunciati da Pietro e da Paolo, annunziano Gesù, invitano a
«convertirsi», cioè ad accogliere Gesù nella fede e a
lasciarsi trasformare in lui dallo Spirito. Paolo e Barnaba
sono spinti dallo Spirito verso i pagani, (At13,46) il
che non avviene senza tensioni e problemi. Come devono vivere
la loro fede in Gesù i pagani convertiti? Sono essi vincolati
alla tradizione del giudaismo e alla legge della
circoncisione? Nel primo concilio, che riunisce a Gerusalemme
intorno agli apostoli i membri di diverse chiese, viene presa
una decisione riconosciuta come derivante dallo Spirito: non
è necessario che il gentile si sottometta alla legge giudaica
per diventare cristiano. (At15,5); (At11,28) Da
quel momento la chiesa apre le sue porte e diventa la casa in
cui tutti possono entrare e sentirsi a proprio agio,
conservando la propria cultura e le proprie tradizioni, purché
non siano in contrasto col Vangelo.
25. I missionari hanno
proceduto lungo questa linea, tenendo ben presenti le attese e
speranze, le angosce e sofferenze, la cultura della gente per
annunziarle la salvezza in Cristo. I discorsi di Listra e di
Atene (At14,15); (At17,22) sono riconosciuti
come modelli per l'evangelizzazione dei pagani: in essi Paolo
«entra in dialogo» con i valori culturali e religiosi dei
diversi popoli. Agli abitanti della Licaonia, che praticavano
una religione cosmica, egli ricorda esperienze religiose che
si riferiscono al cosmo; con i greci discute di filosofia e
cita i loro poeti. (At17,18) Il Dio che vuol rivelare
è già presente nella loro vita: è lui, infatti, che li ha
creati e dirige misteriosamente i popoli e la storia;
tuttavia, per riconoscere il vero Dio, bisogna che abbandonino
i falsi dèi che essi stessi hanno fabbricato e si aprano a
colui che Dio ha inviato per colmare la loro ignoranza e
soddisfare l'attesa del loro cuore. Sono discorsi che offrono
un esempio di inculturazione del Vangelo. Sotto la spinta
dello Spirito, la fede cristiana si apre decisamente alle «genti»,
e la testimonianza del Cristo si allarga ai centri più
importanti del Mediterraneo orientale per arrivare poi a Roma
e all'estremo occidente. E lo Spirito che spinge ad andare
sempre oltre, non solo in senso geografico, ma anche al di là
delle barriere etniche e religiose, per una missione veramente
universale.
Lo Spirito rende
missionaria tutta la Chiesa
26. Lo Spirito spinge il
gruppo dei credenti a «fare comunità», a essere chiesa.
Dopo il primo annunzio di Pietro il giorno di Pentecoste e le
conversioni che ne seguirono, si forma la prima comunità. (At2,42);
(At4,32) Uno degli scopi centrali della missione,
infatti, è di riunire il popolo nell'ascolto del vangelo,
nella comunione fraterna, nella preghiera e nell'eucaristia.
Vivere la «comunione fraterna» (koinonìa) significa avere
«un cuor solo e un'anima sola», (At4,32) instaurando
una comunione sotto tutti gli aspetti: umano, spirituale e
materiale. Difatti, la vera comunità cristiana è impegnata a
distribuire i beni terreni, affinché non ci siano indigenti e
tutti possano avere accesso a quei beni «secondo le necessità».
(At2,45); (At4,35) Le prime comunità, in cui
regnavano «la letizia e la semplicità di cuore», (At2,46)
erano dinamicamente aperte e missionarie: «Godevano la stima
di tutto il popolo». (At2,47) Prima ancora di essere
azione, la missione è testimonianza e irradiazione. (34)
27. Gli Atti indicano che
la missione, indirizzata prima a Israele e poi alle genti, si
sviluppa a molteplici livelli. C'è, innanzi tutto, il gruppo
dei Dodici che, come un unico corpo guidato da Pietro,
proclama la buona novella. C'è, poi, la comunità dei
credenti, che. col suo modo di vivere e di operare, rende
testimonianza al Signore e converte i pagani. (At2,46)
Ci sono, ancora, gli inviati speciali, destinati ad annunziare
il vangelo. Così la comunità cristiana di Antiochia invia i
suoi membri in missione: dopo aver digiunato, pregato e
celebrato l'eucaristia, essa avverte che lo Spirito ha scelto
Paolo e Barnaba per essere inviati. (At13,1) Alle sue
origini, dunque, la missione è vista come un impegno
comunitario e una responsabilità della chiesa locale, che ha
bisogno appunto di «missionari» per spingersi verso nuove
frontiere. Accanto a quelli inviati ce ne erano altri, che
testimoniavano spontaneamente la novità che aveva trasformato
la loro vita e collegavano poi le comunità in formazione alla
chiesa apostolica. La lettura degli Atti ci fa capire che
all'inizio della chiesa la missione gentes pur avendo anche
missionari «a vita» che vi si dedicavano per una speciale
vocazione, era di fatto considerata come il frutto normale
della vita cristiana, l'impegno per ogni credente mediante la
testimonianza personale e l'annunzio esplicito, quando
possibile.
Lo Spirito è
presente e operante in ogni tempo e luogo
28. Lo Spirito si
manifesta in maniera particolare nella chiesa e nei suoi
membri; tuttavia, la sua presenza e azione sono universali,
senza limiti né di spazio né di tempo. (35) Il concilio
Vaticano II ricorda l'opera dello Spirito nel cuore di ogni
uomo mediante i «semi del Verbo», nelle iniziative anche
religiose, negli sforzi dell'attività umana tesi alla verità,
al bene, a Dio. (36) Lo Spirito offre all'uomo «luce e forza
per rispondere alla suprema sua vocazione»; mediante lo
Spirito «l'uomo può arrivare nella fede a contemplare e
gustare il mistero del piano divino»; anzi, «dobbiamo
ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di
venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero
pasquale». (37) In ogni caso la chiesa sa che l'uomo, «sollecitato
incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere
del tutto indifferente al problema della religione», e «avrà
sempre desiderio di sapere. almeno confusamente, quale sia il
significato della sua vita, della sua attività e della sua
morte». (38) Lo Spirito, dunque. è all'origine stessa della
domanda esistenziale e religiosa dell'uomo. la quale nasce non
soltanto da situazioni contingenti. ma dalla struttura stessa
del suo essere. (39) La presenza e l'attività dello Spirito
non toccano solo gli individui. ma la società e la storia, i
popoli, le culture. le religioni. Lo Spirito. infatti, sta
all'origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene
dell'umanità in cammino: «Con mirabile provvidenza egli
dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra».
(40) Il Cristo risorto «opera nel cuore degli uomini con la
virtù del suo Spirito. non solo suscitando il desiderio del
mondo futuro. ma per ciò stesso anche ispirando, purificando
e fortificando quei generosi propositi, con i quali la
famiglia de li uomini cerca di rendere più umana la propria
vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra». (41) È
ancora lo Spirito che sparge i «semi del Verbo», presenti
nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo.
(42)
29. Così lo Spirito, che
«soffia dove vuole» (Gv3,8) e «operava nel mondo
prima ancora che Cristo fosse glorificato», (43) che «riempie
l'universo abbracciando ogni cosa e conosce ogni voce», (Sap1,7)
ci induce ad allargare lo sguardo per considerare la sua
azione presente in ogni tempo e in ogni luogo. (44) È un
richiamo che io stesso ho fatto ripetutamente e che mi ha
guidato negli incontri con i popoli più diversi. Il rapporto
della chiesa con le altre religioni è dettato da un duplice
rispetto: «Rispetto per l'uomo nella sua ricerca di risposte
alle domande più profonde della vita e rispetto per l'azione
dello Spirito nell'uomo». (45) L'incontro inter-religioso di
Assisi, esclusa ogni equivoca interpretazione, ha voluto
ribadire la mia convinzione che «ogni autentica preghiera è
suscitata dallo Spirito santo, il quale è misteriosamente
presente nel cuore di ogni uomo». (46) Questo Spirito è lo
stesso che ha operato nell'incarnazione, nella vita, morte e
risurrezione di Gesù e opera nella chiesa. Non è, dunque,
alternativo a Cristo, né riempie una specie di vuoto, come
talvolta si ipotizza esserci tra Cristo e il Lógos. Quanto lo
Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei
popoli, nelle culture e religioni, assume un ruolo di
preparazione evangelica (47) e non può non avere riferimento
a Cristo, Verbo fatto carne per l'azione dello Spirito, «per
operare lui, l'Uomo perfetto, la salvezza di tutti e la
ricapitolazione universale». (48) L'azione universale dello
Spirito non va poi separata dall'azione peculiare, che egli
svolge nel corpo di Cristo ch'è la chiesa. Infatti, è sempre
lo Spirito che agisce sia quando vivifica la chiesa e la
spinge ad annunziare il Cristo, sia quando semina e sviluppa i
suoi doni in tutti gli uomini e i popoli, guidando la chiesa a
scoprirli, promuoverli e recepirli mediante il dialogo.
Qualsiasi presenza dello Spirito va accolta con stima e
gratitudine, ma il discernerla spetta alla chiesa, alla quale
Cristo ha dato il suo Spirito per guidarla alla verità tutta
intera. (Gv16,13)
L'attività
missionaria è solo agli inizi
30. Il nostro tempo, con
l'umanità in movimento e in ricerca, esige un rinnovato
impulso nell'attività missionaria della chiesa. Gli orizzonti
e le possibilità della missione si allargano, e noi cristiani
siamo sollecitati al coraggio apostolico, fondato sulla
fiducia nello Spirito. E lui il protagonista della missione!
Sono numerose nella storia dell'umanità le svolte epocali che
stimolano il dinamismo missionario, e la chiesa, guidata dallo
Spirito, vi ha sempre risposto con generosità e lungimiranza.
Né i frutti sono mancati. Da poco è stato celebrato il
millennio dell'evangelizzazione della Rus' e dei popoli slavi,
mentre si sta per celebrare il cinquecentesimo anniversario
dell'evangelizzazione delle Americhe. Parimenti, sono stati di
recente commemorati i centenari delle prime missioni in
diversi paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'Oceania. Oggi la
chiesa deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove
frontiere sia nella prima missione ad gentes sia nella nuova
evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l'annuncio
di Cristo. Oggi a tutti i cristiani, alle chiese particolari e
alla chiesa universale sono richiesti lo stesso coraggio che
mosse i missionari del passato e la stessa disponibilità ad
ascoltare la voce dello Spirito.
PARTE
IV
GLI
IMMENSI ORIZZONTI DELLA MISSIONE "AD GENTES"
31. Il Signore Gesù inviò
i suoi apostoli a tutte le persone, a tutti i popoli e a tutti
i luoghi della terra. Negli apostoli la chiesa ricevette una
missione universale, che non ha confini e riguarda la salvezza
nella sua integrità, secondo quella pienezza di vita che
Cristo è venuto a portare (Gv10,10) essa fu «inviata
a rivelare e comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e
a tutti i popoli della terra». (49) Tale missione è unica,
avendo la stessa origine e finalità; ma all'interno di essa
si danno compiti e attività diverse. Anzitutto, c'è
l'attività missionaria che chiamiamo missione ad gentes in
riferimento al decreto conciliare: si tratta di un'attività
primaria della chiesa, essenziale e mai conclusa. Infatti, la
chiesa «non può sottrarsi alla missione permanente di
portare il vangelo a quanti sono milioni e milioni di uomini e
donne ancora non conoscono Cristo, redentore dell'uomo. È
questo il compito più specificamente missionario che Gesù ha
affidato e quotidianamente affida alla sua chiesa». (50)
Un quadro religioso
complesso e in movimento
32. Oggi ci si trova di
fronte a una situazione religiosa assai diversificata e
cangiante: i popoli sono in movimento; realtà sociali e
religiose che un tempo erano chiare e definite oggi evolvono
in situazioni complesse. Basti pensare ad alcuni fenomeni come
l'urbanesimo, le migrazioni di massa, il movimento dei
profughi, la scristianizzazione di paesi di antica cristianità,
L'influsso emergente del vangelo e dei suoi valori in paesi a
grandissima maggioranza non cristiana, il pullulare di
messianismi e dl sette religiose. È un rivolgimento di
situazioni religiose e sociali, che rende difficile applicare
in concreto certe distinzioni e categorie ecclesiali, a cui si
era abituati. Già prima del concilio si diceva di alcune
metropoli o terre cristiane che erano diventate «paesi di
missione», né la situazione è certo migliorata negli anni
successivi. D'altra parte, l'opera missionaria ha prodotto
abbondanti frutti in tutte le parti del mondo, per cui
esistono chiese impiantate, a volte tanto solide e mature da
ben provvedere ai bisogni delle proprie comunità e inviare
anche personale per l'evangelizzazione in altre chiese e
territori. Di qui il contrasto con aree di antica cristianità,
che è necessario rievangelizzare. Alcuni, pertanto, si
chiedono se sia ancora il caso di parlare di attività
missionaria specifica o di ambiti precisi di essa, o se non si
debba ammettere che esiste un'unica situazione missionaria,
per cui non c'è che un'unica missione, dappertutto eguale. La
difficoltà di interpretare questa realtà complessa e
mutevole in ordine al mandato di evangelizzazione si manifesta
già nel «vocabolario missionario»: a esempio, c'è una
certa esitazione a usare i termini «missioni» e «missionari»,
giudicati superati e carichi di risonanze storiche negative;
si preferisce usare il sostantivo «missione» al singolare e
l'aggettivo «missionario» per qualificare ogni attività
della chiesa. Questo travaglio denota un cambiamento reale,
che ha aspetti positivi. Il cosiddetto rientro o «rimpatrio»
delle missioni nella missione della chiesa, il confluire della
missiologia nell'ecclesiologia e l'inserimento di entrambe nel
disegno trinitario di salvezza, hanno dato un respiro nuovo
alla stessa attività missionaria, concepita non già come un
compito ai margini della chiesa, ma inserito nel cuore della
sua vita, quale impegno fondamentale di tutto il popolo di
Dio. Occorre, però, guardarsi dal rischio di livellare
situazioni molto diverse e di ridurre, se non far scomparire,
la missione e i missionari ad gentes. Dire che tutta la chiesa
è missionaria non esclude che esista una specifica missione
ad gentes, come dire che tutti i cattolici debbono essere
missionari non esclude, anzi richiede che ci siano i «missionari
ad gentes e a vita» per vocazione specifica.
La missione ad
gentes conserva il suo valore
33. Le differenze
nell'attività all'interno dell'unica missione della chiesa
nascono non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma
dalle diverse circostanze in cui essa si svolge. (51)
Guardando al mondo d'oggi dal punto di vista
dell'evangelizzazione, si possono distinguere tre situazioni.
Anzitutto, quella a cui si rivolge l'attività missionaria
della chiesa: popoli, gruppi umani, contesti socio-culturali
in cui Cristo e il suo vangelo non sono conosciuti, o in cui
mancano comunità cristiane abbastanza mature da poter
incarnare la fede nel proprio ambiente e annunziarla ad altri
gruppi. È, questa, propriamente la missione ad gentes. (52)
Ci sono, poi, comunità cristiane che hanno adeguate e solide
strutture ecclesiali, sono ferventi di fede e di vita
irradiano la testimonianza del vangelo nel loro ambiente e
sentono l'impegno della missione universale. In esse si svolge
l'attività, o cura pastorale della chiesa. Esiste, infine,
una situazione intermedia, specie nei paesi di antica
cristianità, ma a volte anche nelle chiese più giovani, dove
interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della
fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della
chiesa, conducendo un'esistenza lontana da Cristo e dal suo
vangelo. In questo caso c'è bisogno di una «nuova
evangelizzazione», o «rievangelizazione».
34. L'attività
missionaria specifica, o missione ad gentes, ha come
destinatari «i popoli e i gruppi che ancora non credono in
Cristo», «coloro che sono lontani da Cristo», tra i quali
la chiesa «non ha ancora messo radici» (53) e la cui cultura
non è stata ancora influenzata dal vangelo. (54) Essa si
distingue dalle altre attività ecclesiali, perché si rivolge
a gruppi e ambienti non cristiani per l'assenza o
insufficienza dell'annunzio evangelico e della presenza
ecclesiale. Pertanto, si caratterizza come opera di annunzio
del Cristo e del suo vangelo, di edificazione della chiesa
locale. di promozione dei valori del regno. La peculiarità di
questa missione ad gentes deriva dal fatto che si rivolge ai
non cristiani. Occorre, perciò, evitare che tale «compito più
specificamente missionario, che Gesù ha affidato e
quotidianamente riaffida alla sua chiesa» (55), subisca un
appiattimento nella missione globale di tutto il popolo di Dio
e, quindi, sia trascurato o dimenticato. D'altronde, i confini
fra cura pastorale dei fedeli, nuova evangelizzazione e
attività missionaria specifica non sono nettamente
definibili, e non è pensabile creare tra di esse barriere o
compartimenti-stagno. Bisogna, tuttavia, non perdere la
tensione per l'annunzio e per la fondazione di nuove chiese
presso popoli o gruppi umani, in cui ancora non esistono poiché
questo è il compito primo della chiesa che è inviata a tutti
i popoli, fino agli ultimi confini della terra. Senza la
missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della
chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della
sua attuazione esemplare. È da notare, altresì, una reale e
crescente interdipendenza tra le varie attività salvifiche
della chiesa: ciascuna influisce sull'altra, la stimola e la
aiuta. Il dinamismo missionario crea scambio tra le chiese e
orienta verso il mondo esterno, con influssi positivi in tutti
i sensi. Le chiese di antica cristianità. a esempio, alle
prese col drammatico compito della nuova evangelizzazione,
comprendono meglio che non possono essere missionarie verso i
non cristiani di altri paesi e continenti, se non si
preoccupano seriamente dei non cristiani in casa propria: la
missionarietà ad intra è segno credibile e stimolo per
quella ad extra, e viceversa.
A tutti i popoli,
nonostante le difficoltà
35. La missione ad gentes
ha davanti a sé un compito immane che non è per nulla in via
di estinzione. Essa anzi, sia dal punto di vista numerico per
l'aumento demografico, sia dal punto di vista socio-culturale
per il sorgere di nuove relazioni, contatti e il variare delle
situazioni, sembra destinata ad avere orizzonti ancora più
vasti. Il compito di annunziare Gesù Cristo presso tutti i
popoli appare immenso e sproporzionato rispetto alle forze
umane della chiesa. Le diffìcoltà sembrano insormontabili e
potrebbero scoraggiare, se si trattasse di un'opera soltanto
umana. In alcuni paesi è proibito l'ingresso dei missionari,
in altri è vietata non solo l'evangelizzazione, ma anche la
conversione e persino il culto cristiano. Altrove gli ostacoli
sono di natura culturale: la trasmissione del messaggio
evangelico appare irrilevante o incomprensibile, e la
conversione è vista come l'abbandono del proprio popolo e
della propria cultura.
36. Né mancano le
difficoltà interne al popolo di Dio, le quali anzi sono le più
dolorose. Già il mio predecessore Paolo VI indicava in primo
luogo «la mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce
dal di dentro; essa si manifesta nella stanchezza, nella
delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e,
soprattutto, nella mancanza di gioia e di speranza». (56)
Grandi ostacoli alla missionarietà della chiesa sono anche le
divisioni passate e presenti tra i cristiani, (57) la
scristianizzazione in paesi cristiani, la diminuzione delle
vocazioni all'apostolato, le contro-testimonianze di fedeli e
di comunità cristiane che non seguono nella loro vita il
modello di Cristo. Ma una delle ragioni più gravi dello
scarso interesse per l'impegno missionario è la mentalità
indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra
cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette
e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere
che «una religione vale l'altra». Possiamo aggiungere come
diceva lo stesso pontefice - che ci sono anche «alibi che
possono sviare dall'evangelizzazione. I più insidiosi sono
certamente quelli, per i quali si pretende di trovare appoggio
nel tale o tal altro insegnamento del concilio». (58) Al
riguardo, raccomando vivamente ai teologi e ai professionisti
della stampa cristiana di intensificare il proprio servizio
alla missione, per trovare il senso profondo del loro
importante lavoro lungo la retta via del sentire cum ecclesia.
Le difficoltà interne ed esterne non debbono renderci
pessimisti o inattivi. Ciò che conta - qui come in ogni
settore della vita cristiana è la fiducia che viene dalla
fede, cioè dalla certezza che non siamo noi i protagonisti
della missione, ma Gesù Cristo e il suo Spirito. Noi siamo
soltanto collaboratori e, quando abbiamo fatto tutto quello
che ci è possibile, dobbiamo dire: «Siamo servi inutili.
Abbiamo fatto quanto dovevamo fare». (Lc17,10)
Ambiti della
missione "ad gentes"
37. La missione ad gentes,
in forza del mandato universale di Cristo, non ha confini. Si
possono, tuttavia, delineare vari ambiti in cui essa si attua,
in modo da avere il quadro reale della situazione.
a) Ambiti territoriali
L'attività missionaria è
stata normalmente definita in rapporto a territori precisi. Il
concilio Vaticano II ha riconosciuto la dimensione
territoriale della missione ad gentes, (59) anche oggi
importante al fine di determinare responsabilità, competenze
e limiti geografici d'azione. È vero che a una missione
universale deve corrispondere una prospettiva universale: la
chiesa, infatti, non può accettare che confini geografici e
impedimenti politici ostacolino la sua presenza missionaria.
Ma è anche vero che l'attività missionaria ad gentes,
essendo diversa dalla cura pastorale dei fedeli e dalla nuova
evangelizzazione dei non praticanti, si esercita in territori
e presso gruppi umani ben delimitati. Il moltiplicarsi delle
giovani chiese nei tempi recenti non deve illudere. Nei
territori affidati a queste chiese, specie in Asia, ma anche
in Africa e in America Latina e Oceania, ci sono vaste zone
non evangelizzate: interi popoli e aree culturali di grande
importanza in non poche nazioni non sono ancora raggiunte
dall'annunzio evangelico e dalla presenza della chiesa locale.
(60) Anche in paesi tradizionalmente cristiani ci sono regioni
affidate al regime speciale della missione ad gentes con
gruppi e aree non evangelizzate. Si impone, quindi, anche in
questi paesi non solo una nuova evangelizzazione, ma in certi
casi una prima evangelizzazione. (61) Le situazioni, però,
non sono omogenee. Pur riconoscendo che le affermazioni circa
la responsabilità missionaria della chiesa non sono credibili
se non sono autenticate da un serio impegno di nuova
evangelizzazione nei paesi di antica cristianità, non pare
giusto equiparare la situazione di un popolo che non ha mai
conosciuto Gesù Cristo con quella di un altro che l'ha
conosciuto, accettato e poi rifiutato, pur continuando a
vivere in una cultura che ha assorbito in gran parte i
principi e valori evangelici. Sono due condizioni, in rapporto
alla fede, sostanzialmente diverse. Pertanto, il criterio
geografico, anche se non molto preciso e sempre provvisorio,
vale ancora per indicare le frontiere verso cui deve
rivolgersi l'attività missionaria. Ci sono paesi e aree
geografiche e culturali in cui mancano comunità cristiane
autoctone; altrove queste sono talmente piccole, da non essere
un segno chiaro di presenza cristiana; oppure queste comunità
mancano di dinamismo per evangelizzare le loro società o
appartengono a popolazioni minoritarie, non inserite nella
cultura nazionale dominante. Nel continente asiatico, in
particolare, verso cui dovrebbe orientarsi principalmente la
missione ad gentes, i cristiani sono una piccola minoranza,
anche se a volte vi si verificano significativi movimenti di
conversione ed esemplari modi di presenza cristiana.
b) Mondi e fenomeni
sociali nuovi
Le rapide e profonde
trasformazioni che caratterizzano oggi il mondo, in
particolare il Sud, influiscono fortemente sul quadro
missionario: dove prima c'erano situazioni umane e sociali
stabili, oggi tutto è in movimento. Si pensi, a esempio,
all'urbanizzazione e al massiccio incremento delle città,
soprattutto dove più forte è la pressione demografica. Già
ora in non pochi paesi più della metà della popolazione vive
in alcune megalopoli, dove i problemi dell'uomo spesso
peggiorano anche per l'anonimato in cui si sentono immerse le
moltitudini. Nei tempi moderni l'attività missionaria si è
svolta soprattutto in regioni isolate, lontane dai centri
civilizzati e impervie per difficoltà di comunicazione, di
lingua, di clima. Oggi l'immagine della missione ad gentes sta
forse cambiando: luoghi privilegiati dovrebbero essere le
grandi città, dove sorgono nuovi costumi e modelli di vita,
nuove forme di cultura e comunicazione, che poi influiscono
sulla popolazione. È vero che la «scelta degli ultimi» deve
portare a non trascurare i gruppi umani più marginali e
isolati, ma è anche vero che non si possono evangelizzare le
persone o i piccoli gruppi, trascurando i centri dove nasce,
si può dire. un'umanità nuova con nuovi modelli di sviluppo.
Il futuro delle giovani nazioni si sta formando nelle città.
Parlando del futuro, non si possono dimenticare i giovani, i
quali in numerosi paesi costituiscono già più della metà
della popolazione. Come far giungere il messaggio di Cristo ai
giovani non cristiani, che sono il futuro di interi
continenti? Evidentemente i mezzi ordinari della pastorale non
bastano più: occorrono associazioni e istituzioni, gruppi e
centri speciali, iniziative culturali e sociali per i giovani.
Ecco un campo, dove i moderni movimenti ecclesiali hanno ampio
spazio per impegnarsi. Fra le grandi mutazioni del mondo
contemporaneo, le migrazioni hanno prodotto un fenomeno nuovo:
i non cristiani giungono assai numerosi nei paesi di antica
cristianità, creando occasioni nuove di contatti e scambi
culturali, sollecitando la chiesa all'accoglienza, al dialogo,
all'aiuto e, in una parola, alla fraternità. Fra i migranti
occupano un posto del tutto particolare i rifugiati e meritano
la massima attenzione. Essi sono ormai molti milioni nel mondo
e non cessano di aumentare: sono fuggiti da condizioni di
oppressione politica e di miseria disumana, da carestie e
siccità di dimensioni catastrofiche. La chiesa deve assumerli
nell'ambito della sua sollecitudine apostolica. Infine, si
possono ricordare le condizioni di povertà, spesso
intollerabile, che vengono a crearsi in non pochi paesi e sono
spesso all'origine delle migrazioni di massa. La comunità dei
credenti in Cristo è provocata da queste situazioni disumane:
l'annunzio di Cristo e del regno di Dio deve diventare
strumento di riscatto umano per queste popolazioni.
c.) Aree culturali, o
aeropaghi moderni
Paolo, dopo aver predicato
in numerosi luoghi, giunto ad Atene, si reca all'areopago,
dove annunzia il vangelo, usando un linguaggio adatto e
comprensibile in quell'ambiente. (At17,22) L'areopago
rappresentava allora il centro della cultura del dotto popolo
ateniese, e oggi può essere assunto a simbolo dei nuovi
ambienti in cui si deve proclamare il vangelo. Il primo
areopago del tempo moderno è il mondo delle comunicazioni,
che sta unificando l'umanità rendendola - come si suol dire -
«un villaggio globale». I mezzi di comunicazione sociale
hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il
principale strumento informativo e formativo, di guida e di
ispirazione per i comportamenti individuali, familiari,
sociali. Le nuove generazioni soprattutto crescono in modo
condizionato da essi. Forse è stato un po' trascurato questo
areopago: si privilegiano generalmente altri strumenti per
l'annunzio evangelico e per la formazione, mentre i mass media
sono lasciati all'iniziativa di singoli o di piccoli gruppi ed
entrano nella programmazione pastorale in linea secondaria.
L'impegno nei mass media, tuttavia, non ha solo lo scopo di
moltiplicare l'annunzio: si tratta di un fatto più profondo,
perché l'evangelizzazione stessa della cultura moderna
dipende in gran parte dal loro influsso. Non basta, quindi,
usarli per diffondere il messaggio cristiano e magistero della
chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa «nuova
cultura» creata dalla comunicazione moderna. È un problema
complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai
contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di
comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi
atteggiamenti psicologici. Il mio predecessore Paolo VI diceva
che «la rottura fra il vangelo e la cultura è senza dubbio
il dramma della nostra epoca», (62) e il campo dell'odierna
comunicazione conferma in pieno questo giudizio. Molti altri
sono gli areopaghi del mondo moderno verso cui si deve
orientare l'attività missionaria della chiesa. A esempio,
l'impegno per la pace, lo sviluppo e la liberazione dei
popoli; i diritti dell'uomo e dei popoli, soprattutto quelli
delle minoranze. la promozione della donna e del bambino. la
salvaguardia del creato sono altrettanti settori da illuminare
con la luce del vangelo. È da ricordare, inoltre, il
vastissimo areopago della cultura, della ricerca scientifica,
dei rapporti internazionali che favoriscono il dialogo e
portano a nuovi progetti di vita. Conviene essere attenti e
impegnati in queste istanze moderne. Gli uomini avvertono di
essere come naviganti nel mare della vita, chiamati a sempre
maggiore unità e solidarietà: le soluzioni ai problemi
esistenziali vanno studiate, discusse, sperimentate col
concorso di tutti. Ecco perché organismi e convegni
internazionali si dimostrano sempre più importanti in molti
settori della vita umana, dalla cultura alla politica,
dall'economia alla ricerca. I cristiani, che vivono e lavorano
in questa dimensione internazionale, debbono sempre ricordare
il loro dovere di testimoniare il vangelo.
38. Il nostro tempo è
drammatico e insieme affascinante. Mentre da un lato gli
uomini sembrano rincorrere la prosperità materiale e
immergersi sempre più nel materialismo consumistico,
dall'altro si manifestano l angosciosa ricerca di significato,
il bisogno di interiorità, il desiderio di apprendere nuove
forme e modi di concentrazione e di preghiera. Non solo nelle
culture impregnate di religiosità. ma anche nelle società
secolarizzate è ricercata la dimensione spirituale della vita
come antidoto alla disumanizzazione. Questo cosiddetto
fenomeno del «ritorno religioso» non è privo di ambiguità.
ma contiene anche un invito. La chiesa ha un immenso
patrimonio spirituale da offrire all'umanità in Cristo che si
proclama «la via, la verità e la vita». (Gv14,6) È
il cammino cristiano all'incontro con Dio, alla preghiera,
all'ascesi, alla scoperta del senso della vita. Anche questo
è un areopago da evangelizzare.
Fedeltà a Cristo e
promozione della libertà dell'uomo
39. Tutte le forme
dell'attività missionaria sono contrassegnate dalla
consapevolezza di promuovere la libertà dell'uomo annunciando
a lui Gesù Cristo. La chiesa deve essere fedele a Cristo, di
cui è il corpo e continua la missione. È necessario che essa
«segua la stessa strada seguita da Cristo, la strada della
povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di sé
fino alla morte, da cui poi risorgendo uscì vincitore». (63)
La chiesa, quindi, ha il dovere di fare di tutto per svolgere
la sua missione nel mondo e raggiungere tutti i popoli; e ne
ha anche il diritto, che le e stato dato da Dio per
l'attuazione del suo piano. La libertà religiosa, talvolta
ancora limitata o coartata, è la premessa e la garanzia di
tutte le libertà che assicurano il bene comune delle persone
e dei popoli. È da auspicare che l'autentica libertà
religiosa sia concessa a tutti in ogni luogo, e a questo scopo
la chiesa si adopera nei vari paesi, specie in quelli a
maggioranza cattolica, dove essa ha un maggiore influsso. Ma
non si tratta di un problema della religione di maggioranza o
di minoranza, bensì di un diritto inalienabile di ogni
persona umana. D'altra parte, la chiesa si rivolge all'uomo
nel pieno rispetto della sua libertà: (64) la missione non
coarta la libertà, ma piuttosto la favorisce. La chiesa
propone, non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e
si ferma davanti al sacrario della coscienza. A coloro che si
oppongono con i più vari pretesti all'attività missionaria
la chiesa ripete: Aprite le porte a Cristo! Mi rivolgo a tutte
le chiese particolari, giovani e antiche. Il mondo va sempre
più unificandosi, lo spirito evangelico deve portare al
superamento di barriere culturali e nazionalistiche, evitando
ogni chiusura. Benedetto XV ammoniva già i missionari del suo
tempo se mai, «dimentichi della propria dignità, pensassero
più alla loro patria terrestre che a quella del cielo». (65)
La stessa raccomandazione vale oggi per le chiese particolari:
Aprite le porte ai missionari, poiché «ogni chiesa
particolare. che si separasse volontariamente dalla chiesa
universale, perderebbe il suo riferimento al disegno di Dio e
si impoverirebbe nella sua dimensione ecclesiale». (66)
Rivolgere
l'attenzione verso il Sud e l'Oriente
40. L'attività
missionaria rappresenta ancor oggi la massima sfida per la
chiesa . Mentre si avvicina la fine del secondo millennio
della redenzione, si fa sempre più evidente che le genti che
non hanno ancora ricevuto il primo annunzio di Cristo sono la
maggioranza dell'umanità. Il bilancio dell'attività
missionaria nei tempi moderni è certo positivo: la chiesa è
stata fondata in tutti i continenti, anzi oggi la maggioranza
dei fedeli e delle chiese particolari non è più nella
vecchia Europa, ma nei continenti che i missionari hanno
aperto alla fede. Rimane, però, il fatto che gli «ultimi
confini della terra», a cui si deve portare il vangelo, si
allontanano sempre più, e la sentenza di Tertulliano, secondo
cui il vangelo è stato annunziato in tutta la terra e a tutti
i popoli, (67) è ben lontana dalla sua concreta attuazione:
la missione ad gentes è ancora agli inizi. Nuovi popoli
compaiono sulla scena mondiale e hanno anch'essi il diritto di
ricevere l'annunzio della salvezza. La crescita demografica
del Sud e dell'Oriente, in paesi non cristiani, fa aumentare
di continuo il numero delle persone che ignorano la redenzione
di Cristo. Bisogna, dunque, rivolgere l'attenzione missionaria
verso quelle aree geografiche e quegli ambienti culturali che
sono rimasti al di fuori dell'influsso evangelico. Tutti i
credenti in Cristo debbono sentire, come parte integrante
della loro fede, la sollecitudine apostolica di trasmetterne
ad altri la gioia e la luce. Tale sollecitudine deve
diventare, per così dire, fame e sete di far conoscere il
Signore quando si allarga lo sguardo agli immensi orizzonti
del mondo non cristiano.
PARTE
V
LE
VIE DELLA MISSIONE
41. «L'attività
missionaria non è né più né meno che la manifestazione, o
epifania, e la realizzazione del disegno di Dio nel mondo e
nella storia, nella quale Dio, proprio mediante la missione.
attua all'evidenza la storia della salvezza». (68) Quali vie
segue la chiesa per giungere a questo risultato? La missione
è una realtà unitaria, ma complessa. e si esplica in vari
modi, tra cui alcuni sono di particolare importanza nella
presente condizione della chiesa e del mondo .
La prima forma di
evangelizzazione è la testimonianza
42. L'uomo contemporaneo
crede più ai testimoni che ai maestri, (69) più
all'esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti
che alle teorie. La testimonianza della vita cristiana è la
prima e insostituibile forma della missione: Cristo, di cui
noi continuiamo la missione, è il «testimone» per
eccellenza (Ap1,5); (Ap3,14) e il modello della
testimonianza cristiana. Lo Spirito santo accompagna il
cammino della chiesa e la associa alla testimonianza che egli
rende a Cristo. (Gv15,26) La prima forma di
testimonianza è la vita stessa del missionario della famiglia
cristiana e della comunità ecclesiale, che rende visibile un
modo nuovo di comportarsi. Il missionario che, pur con tutti i
limiti e difetti umani, vive con semplicità secondo il
modello di Cristo, è un segno di Dio e delle realtà
trascendenti. Ma tutti nella chiesa, sforzandosi di imitare il
divino Maestro, possono e debbono dare tale testimonianza,
(70) che in molti casi è l'unico modo possibile di essere
missionari. La testimonianza evangelica, a cui il mondo è più
sensibile, è quella dell'attenzione per le persone e della
carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre. La
gratuità di questo atteggiamento e di queste azioni, che
contrastano profondamente con l'egoismo presente nell'uomo, fa
nascere precise domande che orientano a Dio e al vangelo.
Anche l'impegno per la pace, la giustizia, i diritti
dell'uomo, la promozione umana è una testimonianza del
vangelo, se e segno di attenzione per le persone ed è
ordinato allo sviluppo integrale dell'uomo. (71)
43. Il cristiano e le
comunità cristiane vivono profondamente inseriti nella vita
dei rispettivi popoli e sono segno del vangelo anche nella
fedeltà alla loro patria, al loro popolo, alla cultura
nazionale, sempre però nella libertà che Cristo ha portato.
Il cristianesimo è aperto alla fratellanza universale. perché
tutti gli uomini sono figli dello stesso Padre e fratelli in
Cristo. La chiesa è chiamata a dare la sua testimonianza a
Cristo assumendo posizioni coraggiose e profetiche di fronte
alla corruzione del potere politico o economico; non cercando
essa stessa gloria e beni materiali; usando dei suoi beni per
il servizio dei più poveri e imitando la semplicità di vita
del Cristo. La chiesa e i missionari debbono dare anche la
testimonianza dell'umiltà, rivolta anzitutto verso se stessi,
che si traduce nella capacità di un esame di coscienza a
livello personale e comunitario, per correggere nei propri
comportamenti quanto è anti-evangelico e sfigura il volto di
Cristo.
Il primo annunzio di
Cristo Salvatore
44. L'annunzio ha la
priorità permanente nella missione: la chiesa non può
sottrarsi al mandato esplicito di Cristo, non può privare gli
uomini della «buona novella» che sono amati e salvati da
Dio. «L'evangelizzazione conterrà sempre - come base, centro
e insieme vertice del suo dinamismo - anche una chiara
proclamazione che, in Gesù Cristo... La salvezza è offerta a
ogni uomo, come dono di grazia e di misericordia di Dio stesso».
(72) Tutte le forme dell'attività missionaria tendono verso
questa proclamazione che rivela e introduce nel mistero
nascosto nei secoli e svelato in Cristo (Ef3,3); (Col1,25)
il quale è nel cuore della missione e della vita della
chiesa, come cardine di tutta l'evangelizzazione. Nella realtà
complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo
centrale e insostituibile, perché introduce «nel mistero
dell'amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una
personale relazione con lui» (73) e apre la via alla
conversione. La fede nasce dall'annunzio, e ogni comunità
ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di
ciascun fedele a tale annunzio. (74) Come l'economia salvifica
è incentrata in Cristo, così l'attività missionaria tende
alla proclamazione del suo mistero. L'annunzio ha per oggetto
il Cristo crocifisso, morto e risorto: in lui si compie la
piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla
morte; in lui Dio dona la «vita nuova», divina ed eterna. È
questa la «buona novella», che cambia l'uomo e la storia
dell'umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di
conoscere. Tale annunzio va fatto nel contesto della vita
dell'uomo e dei popoli che lo ricevono. Esso, inoltre, deve
essere fatto in atteggiamento di amore e di stima verso chi
ascolta, con un linguaggio concreto e adattato alle
circostanze. In esso lo Spirito è all'opera e instaura una
comunione tra il missionario e gli ascoltatori, possibile in
quanto l'uno e gli altri entrano in comunione, per Cristo, col
Padre. (75)
45. Essendo fatto in
unione con l'intera comunità ecclesiale, l'annunzio non è
mai un fatto personale. Il missionario è presente e opera in
virtù di un mandato ricevuto e, anche se si trova solo, è
collegato mediante vincoli invisibili, ma profondi all'attività
evangelizzatrice di tutta la chiesa. (76) Gli ascoltatori,
prima o poi, intravedono dietro a lui la comunità che lo ha
mandato e lo sostiene. L'annunzio è animato dalla fede, che
suscita entusiasmo e fervore nel missionario. Come si è
detto, gli Atti definiscono tale atteggiamento con la parola
parresìa, che significa parlare con franchezza e coraggio, e
questo termine ricorre anche in san Paolo: «Nel nostro Dio
abbiamo avuto il coraggio di annunziarvi il vangelo di Dio in
mezzo a molte lotte». (1Ts2,2) «Pregate. . . anche
per me, perché quando apro la bocca, mi sia data una parola
franca per far conoscere il mistero del vangelo del quale sono
ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza
come è mio dovere». (Ef6,18) Nell'annunziare Cristo
ai non cristiani il missionario è convinto che esiste già
nei singoli e nei popoli, per l'azione dello Spirito,
un'attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio,
sull'uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e
dalla morte. L'entusiasmo nell'annunziare il Cristo deriva
dalla convinzione di rispondere a tale attesa, sicché il
missionario non si scoraggia né desiste dalla sua
testimonianza, anche quando è chiamato a manifestare la sua
fede in un ambiente ostile o indifferente. Egli sa che lo
Spirito del Padre parla in lui (Mt10,17); (Lc12,11)
e può ripetere con gli apostoli: «Di questi fatti siamo
testimoni noi e lo Spirito santo». (At5,32) Egli sa
che non annunzia una verità umana, ma la «Parola di Dio»,
la quale ha una sua intrinseca e misteriosa potenza. (Rm1,16)
La prova suprema è il dono della vita, fino ad accettare la
morte per testimoniare la fede in Gesù Cristo. Come sempre
nella storia cristiana, i «martiri», cioè i testimoni, sono
numerosi e indispensabili al cammino del vangelo. Anche nella
nostra epoca ce ne sono tanti: vescovi sacerdoti, religiosi e
religiose, laici, a volte eroi sconosciuti che danno la vita
per testimoniare la fede. Sono essi gli annunziatori ed i
testimoni per eccellenza.
Conversione e
battesimo
46. L'annunzio della
parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè
all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo vangelo
mediante la fede. La conversione è dono di Dio, opera della
Trinità: è lo Spirito che apre le porte dei cuori, affinché
gli uomini possano credere al Signore e «confessarlo». (1Cor12,3)
Di chi si accosta a lui mediante la fede Gesù dice: «Nessuno
può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato».
(Gv6,44) La conversione si esprime fin dall'inizio con
una fede totale e radicale, che non pone né limiti né remore
al dono di Dio. Al tempo stesso, però, essa determina un
processo dinamico e permanente che dura per tutta l'esistenza,
esigendo un passaggio continuo dalla «vita secondo la carne»
alla «vita secondo lo Spirito». (Rm8,3) Essa
significa accettare, con decisione personale, la sovranità
salvifica di Cristo e diventare suoi discepoli. A questa
conversione la chiesa chiama tutti, sull'esempio di Giovanni
Battista, che preparava la via a Cristo, «predicando un
battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Mc1,4)
e di Cristo stesso, il quale, «dopo che Giovanni fu
arrestato. ... si recò in Galilea predicando il vangelo di
Dio e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è
vicino; convertitevi e credete al vangelo"». (Mc1,14)
Oggi l'appello alla conversione, che i missionari rivolgono ai
non cristiani, e messo in discussione o passato sotto
silenzio. Si vede in esso un atto di «proselitismo»; si dice
che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più
fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità
capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la
solidarietà. Ma si dimentica che ogni persona ha il diritto
di udire la «buona novella» di Dio che si rivela e si dona
in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione.
La grandezza di questo evento risuona nelle parole di Gesù
alla Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio», e nel
desiderio inconsapevole, ma ardente della donna: «Signore,
dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete». (Gv4,10)
47. Gli apostoli, mossi
dallo Spirito santo, invitavano tutti a cambiare vita, a
convertirsi e a ricevere il battesimo. Subito dopo l'evento
della Pentecoste, Pietro parla alla folla in modo convincente:
«All'udir tutto questo si sentirono come trafiggere il cuore
e chiesero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa
dobbiamo fare, fratelli?". E Pietro disse: Convertitevi,
e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù
Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete
il dono dello Spirito santo"». (At2,37) E battezzò
in quel giorno circa tremila persone. Pietro ancora, dopo la
guarigione dello storpio. parla alla folla e ripete: «Convertitevi
dunque, e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri
peccati!». (At3,19) La conversione a Cristo è
connessa col battesimo: lo è non solo per la prassi della
chiesa, ma per volere di Cristo, che ha inviato a far
discepole tutte le genti e a battezzarle (Mt28,19) lo
è anche per l'intrinseca esigenza di ricevere la pienezza
della vita in lui: «In verità, in verità ti dico Gesù dice
a Nicodemo - se uno non nasce da acqua e da Spirito. non può
entrare nel regno di Dio». (Gv3,5) Il battesimo,
infatti, ci rigenera alla vita dei fili di Dio, ci unisce a
Gesù Cristo, ci unge nello Spirito santo: esso non è un
semplice suggello della conversione, quasi un segno esteriore
che la dimostri e la attesti, bensì è sacramento che
significa e opera questa nuova nascita dallo Spirito, instaura
vincoli reali e inscindibili con la Trinità, rende membri del
corpo di Cristo, ch'è la chiesa. Tutto questo va ricordato,
perché non pochi, proprio dove si svolge la missione ad
gentes tendono a scindere la conversione a Cristo dal
battesimo, giudicandolo come non necessario. È vero che in
certi ambienti si notano aspetti sociologici relativi al
battesimo, che ne oscurano il genuino significato di fede. Ciò
è dovuto a diversi fattori storici e culturali, che bisogna
rimuovere dove ancora sussistono, affinché il sacramento
della rigenerazione spirituale appaia in tutto il suo valore:
a questo compito devono dedicarsi le comunità ecclesiali
locali. È vero anche che non poche persone affermano di
essere interiormente impegnate con Cristo e col suo messaggio,
ma non lo vogliono essere sacramentalmente, perché, a causa
dei loro pregiudizi o delle colpe dei cristiani, non riescono
a percepire la vera natura della chiesa, mistero di fede e di
amore. (77) Desidero incoraggiare queste persone ad aprirsi
pienamente a Cristo ricordando a esse che, se sentono il
fascino di Cristo, egli stesso ha voluto la chiesa come «luogo»
in cui possono di fatto incontrarlo. Al tempo stesso, invito i
fedeli e le comunità cristiane a testimoniare autenticamente
Cristo con la loro vita nuova. Certo, ogni convertito è un
dono fatto alla chiesa e comporta per essa una grave
responsabilità non solo perché va preparato al battesimo col
catecumenato e poi seguito con l'istruzione religiosa, ma
perché, specialmente se è adulto, porta come un'energia
nuova l'entusiasmo della fede, il desiderio di trovare nella
chiesa stessa il vangelo vissuto. Sarebbe per lui una
delusione se, entrato nella comunità ecclesiale, vi trovasse
una vita priva di fervore e senza segni di rinnovamento. Non
possiamo predicare la conversione, se non ci convertiamo noi
stessi ogni giorno.
Formazione di Chiese
locali
48. La conversione e il
battesimo immettono nella chiesa, dove già esiste, o
richiedono la costituzione di nuove comunità che confessano
Gesù Salvatore e Signore. Ciò fa parte del disegno di Dio, a
cui è piaciuto «di chiamare gli uomini a partecipare della
sua stessa vita non tanto a uno a uno, ma di riunirli in un
popolo, nel quale i suoi figli dispersi si raccogliessero in
unità». (78) La missione ad gentes ha questo obiettivo:
fondare comunità cristiane, sviluppare chiese fino alla loro
completa maturazione. È, questa, una mèta centrale e
qualificante dell'attività missionaria, al punto che questa
non si può dire esplicata finché non riesce a edificare una
nuova chiesa particolare, normalmente funzionante
nell'ambiente locale. Di ciò parla ampiamente il decreto Ad
gentes, (79) e dopo il concilio si è sviluppata una linea
teologica per sottolineare che tutto il mistero della chiesa
è contenuto in ciascuna chiesa particolare, purché questa
non si isoli, ma rimanga in comunione con la chiesa universale
e si faccia, a sua volta, missionaria. Si tratta di un grande
e lungo lavoro, del quale è difficile indicare le tappe
precise, in cui cessa l'azione propriamente missionaria e si
passa all'attività pastorale. Ma alcuni punti debbono restare
chiari.
49. È necessario.
anzitutto, cercare di stabilire in ogni luogo comunità
cristiane, che siano «segno della presenza divina nel mondo»
(80) e crescano fino a divenire chiese. Nonostante l'alto
numero delle diocesi, esistono tuttora vaste aree in cui le
chiese locali sono del tutto assenti o insufficienti rispetto
alla vastità del territorio e alla densità della
popolazione: rimane da compiere un rande lavoro di impianto e
di sviluppo della chiesa. Questa fase della storia ecclesiale,
detta plantatio ecclesiae non è terminata, anzi in molti
raggruppamenti umani deve ancora iniziare. La responsabilità
di tale compito ricade sulla chiesa universale e sulle chiese
particolari, su tutto il popolo di Dio e su tutte le forze
missionarie. Ogni chiesa, anche quella formata da
neoconvertiti, è per sua natura missionaria, è evangelizzata
ed evangelizzante, e la fede va sempre presentata come dono di
Dio da vivere in comunità (famiglie, parrocchie,
associazioni) e da irradiare all'esterno sia con la
testimonianza di vita che con la parola. L'azione
evangelizzatrice della comunità cristiana, prima sul proprio
territorio e poi altrove come partecipazione alla missione
universale, è il segno più chiaro della maturità della
fede. Occorre un radicale cambiamento di mentalità per
diventare missionari, e questo vale sia per le persone sia per
le comunità. Il Signore chiama sempre a uscire da se stessi,
a condividere con gli altri i beni che abbiamo, cominciando da
quello più prezioso che è la fede. Alla luce di questo
imperativo missionario si dovrà misurare la validità degli
organismi, movimenti, parrocchie e opere di apostolato della
chiesa. Solo diventando missionaria la comunità cristiana
potrà superare divisioni e tensioni interne e ritrovare la
sua unità e il suo vigore di fede. Le forze missionarie,
provenienti da altre chiese e paesi, devono operare in
comunione con quelle locali per lo sviluppo della comunità
cristiana. In particolare. tocca a esse - sempre secondo le
direttive dei vescovi e in collaborazione con i responsabili
del posto - promuovere la diffusione della fede e l'espansione
della chiesa negli ambienti e gruppi non cristiani, animare in
senso missionario le chiese locali, cosicché la
preoccupazione pastorale sia sempre abbinata a quella per la
missione ad gentes. Ogni chiesa farà allora veramente sua la
sollecitudine di Cristo, buon Pastore, che si prodiga per il
suo gregge, ma al tempo stesso pensa alle «altre pecore che
non sono di quest'ovile». (Gv10,16)
50. Tale sollecitudine
costituirà un motivo e uno stimolo per un rinnovato impegno
ecumenico. I legami esistenti tra attività ecumenica e
attività missionaria rendono necessario considerare due
fattori concomitanti. Da una parte, si deve riconoscere che «la
divisione dei cristiani è di grave pregiudizio alla santa
causa della predicazione del vangelo a tutti gli uomini e
chiude a molti l'accesso alla fede». (81) Il fatto che la
buona novella della riconciliazione sia predicata dai
cristiani tra loro divisi, ne indebolisce la testimonianza, ed
è perciò urgente operare per l'unità dei cristiani, affinché
l'attività missionaria possa riuscire più incisiva. Al tempo
stesso, non dobbiamo dimenticare che gli stessi sforzi verso
l'unità costituiscono di per sé un segno dell'opera di
riconciliazione che Dio conduce in mezzo a noi. D'altra parte,
è vero che tutti quelli che hanno ricevuto il battesimo in
Cristo sono costituiti in una certa comunione, sebbene
imperfetta, tra loro. È su questa base che si fonda
l'orientamento dato dal concilio: «I cattolici, esclusa ogni
forma sia di indifferentismo e di sincretismo, sia di
sconsiderata concorrenza, mediante una comune per quanto
possibile professione di fede in Dio e in Gesù Cristo di
fronte alle genti, mediante la cooperazione nel campo tecnico
e sociale come in quello religioso e culturale, collaborino
fraternamente con i fratelli separati secondo le norme del
decreto sull'ecumenismo». (82) L'attività ecumenica e la
testimonianza concorde a Gesù Cristo dei cristiani
appartenenti a differenti chiese e comunità ecclesiali, hanno
già recato abbondanti frutti. Ma è sempre più urgente che
essi collaborino e testimonino insieme in questo tempo nel
quale sètte cristiane e paracristiane seminano la confusione
con la loro azione. L'espansione di queste sètte costituisce
una minaccia per la chiesa cattolica e per tutte le comunità
ecclesiali con le quali essa intrattiene un dialogo. Ovunque
possibile e secondo le circostanze locali, la risposta dei
cristiani potrà essere anch'essa ecumenica.
Le «comunità
ecclesiali di base» forza di evangelizzazione
51. Un fenomeno in rapida
crescita nelle giovani chiese, promosso dai vescovi e dalle
loro Conferenze a volte come scelta prioritaria della
pastorale, sono le comunità ecclesiali di base (conosciute
anche con altri nomi), le quali stanno dando buona prova come
centri di formazione cristiana e di irradiazione missionaria.
Si tratta di gruppi di cristiani a livello familiare o di
ambiente ristretto, i quali s'incontrano per la preghiera? la
lettura della Scrittura. la catechesi, per la condivisione dei
problemi umani ed ecclesiali in vista di un impegno comune.
Esse sono un segno di vitalità della chiesa, strumento di
formazione e di evangelizzazione, valido punto di partenza per
una nuova società fondata sulla «civiltà dell'amore». Tali
comunità decentrano e articolano la comunità parrocchiale, a
cui rimangono sempre unite; si radicano in ambienti popolari e
contadini, diventando fermento di vita cristiana, di
attenzione per gli ultimi, di impegno per la trasformazione
della società. In esse il singolo cristiano fa un'esperienza
comunitaria, per cui anch'egli si sente un elemento attivo,
stimolato a dare la sua collaborazione all'impegno di tutti.
In tal modo esse sono strumento di evangelizzazione e di primo
annunzio e fonte di nuovi ministeri, mentre, animate dalla
carità di Cristo, offrono anche un'indicazione circa il modo
di superare divisioni, tribalismi, razzismi. Ogni comunità,
infatti, per essere cristiana, deve fondarsi e vivere in
Cristo, nell'ascolto della parola di Dio, nella preghiera
incentrata sull'eucaristia, nella comunione espressa in unità
di cuore e di anima e nella condivisione secondo i bisogni dei
suoi membri. (At2,42) Ogni comunità - ricordava Paolo
VI - deve vivere in unità con la chiesa particolare e
universale, nella sincera comunione con i pastori e il
magistero, impegnandosi nell'irradiazione missionaria ed
evitando ogni chiusura e strumentalizzazione ideologica. (83)
E il sinodo dei vescovi ha affermato: «Poiché la chiesa è
comunione, le nuove comunità di base, se veramente vivono in
unità con la chiesa, sono una vera espressione di comunione e
mezzo per costruire una comunione più profonda. Perciò, sono
motivo di grande speranza per la vita della chiesa». (84)
Incarnare il Vangelo
nelle culture dei popoli
52. Svolgendo l'attività
missionaria tra le genti, la chiesa incontra varie culture e
viene coinvolta nel processo d'inculturazione. È, questa,
un'esigenza che ne ha segnato tutto il cammino storico, ma
oggi è particolarmente acuta e urgente. Il processo di
inserimento della chiesa nelle culture dei popoli richiede
tempi lunghi: non si tratta di un puro adattamento esteriore,
poiché l'inculturazione «significa l'intima trasformazione
degli autentici valori culturali mediante l'integrazione nel
cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie
culture». (85) È, dunque, un processo profondo e globale che
investe sia il messaggio cristiano, sia la riflessione e la
prassi della chiesa. Ma è pure un processo difficile, perché
non deve in alcun modo compromettere la specificità e
l'integrità della fede cristiana. Per l'inculturazione la
chiesa incarna il vangelo nelle diverse culture e, nello
stesso tempo, introduce i popoli con le loro culture nella sua
stessa comunità; (86) trasmette a esse i propri valori,
assumendo ciò che di buono c'è in esse e rinnovandole
dall'interno. (87) Da parte sua, con l'inculturazione la
chiesa diventa segno più comprensibile di ciò che è e
strumento più atto della missione. Grazie a questa azione
nelle chiese locali, la stessa chiesa universale si
arricchisce di espressioni e valori nei vari settori della
vita cristiana, quali l'evangelizzazione, il culto, la
teologia, la carità; conosce ed esprime ancor meglio il
mistero di Cristo, mentre viene stimolata a un continuo
rinnovamento. Questi temi, presenti nel concilio e nel
magistero successivo, ho ripetutamente affrontato nelle mie
visite pastorali alle giovani chiese. (88) L'inculturazione è
un cammino lento, che accompagna tutta la vita missionaria e
chiama in causa i vari operatori della missione ad gentes, le
comunità cristiane man mano che si sviluppano, i pastori che
hanno la responsabilità di discernere e stimolare la sua
attuazione. (89)
53. I missionari,
provenienti da altre chiese e paesi, devono inserirsi nel
mondo socio-culturale di coloro ai quali sono mandati,
superando i condizionamenti del proprio ambiente d'origine.
Così devono imparare la lingua della regione in cui lavorano.
conoscere le espressioni più significative di quella cultura,
scoprendone i valori per diretta esperienza. Soltanto con
questa conoscenza essi potranno portare ai popoli in maniera
credibile e fruttuosa la conoscenza del mistero nascosto. (Rm16,25);
(Ef3,5) Per loro non si tratta certo di rinnegare la
propria identità culturale, ma di comprendere, apprezzare,
promuovere ed evangelizzare quella dell'ambiente in cui
operano e, quindi, mettersi in grado di comunicare realmente
con esso, assumendo uno stile di vita che sia segno di
testimonianza evangelica e di solidarietà con la gente. Le
comunità ecclesiali in formazione, ispirate dal vangelo,
potranno esprimere progressivamente la propria esperienza
cristiana in modi e forme originali, consone alle proprie
tradizioni culturali, purché sempre in sintonia con le
esigenze oggettive della stessa fede. A questo scopo, specie
in ordine ai settori di inculturazione più delicati, le
chiese particolari del medesimo territorio dovranno operare in
comunione fra di loro (90) e con tutta la chiesa, convinte che
solo l'attenzione sia alla chiesa universale che alle chiese
particolari le renderà capaci di tradurre il tesoro della
fede nella legittima varietà delle sue espressioni. (91)
Perciò, i gruppi evangelizzati offriranno gli elementi per
una «traduzione» del messaggio evangelico, (92) tenendo
presenti gli apporti positivi che si sono avuti nei secoli
grazie al contatto del cristianesimo con le varie culture, ma
senza dimenticare i pericoli di alterazioni che si sono a
volte verificati. (93)
54. In proposito, restano
fondamentali alcune indicazioni. L'inculturazione nel suo
retto processo dev'essere guidata da due principi: «La
compatibilità col vangelo e la comunione con la chiesa
universale». (94) Custodi del «deposito della fede», i
vescovi cureranno la fedeltà e, soprattutto, il
discernimento, (95) per il quale occorre un profondo
equilibrio: c'è, infatti, il rischio di passare acriticamente
da una specie di alienazione dalla cultura a una
supervalutazione di essa, che è un prodotto dell'uomo, quindi
è segnata dal peccato. Anch'essa dev'essere «purificata,
elevata e perfezionata». (96) Un tale processo ha bisogno di
gradualità, in modo che sia veramente espressione
dell'esperienza cristiana della comunità: «Occorrerà
un'incubazione del mistero cristiano nel genio del vostro
popolo - diceva Paolo VI a Kampala-, perché la sua voce
nativa, più limpida e più franca, si innalzi armoniosa nel
coro delle voci della chiesa universale». (97) Infine l'inculturazione
deve coinvolgere tutto il popolo di Dio, non solo alcuni
esperti, poiché è noto che il popolo riflette quel genuino
senso della fede che non bisogna mai perdere di vista. Essa va
sì guidata e stimolata, ma non forzata, per non suscitare
reazioni negative nei cristiani: dev'essere espressione di
vita comunitaria, cioè maturare in seno alla comunità, e non
frutto esclusivo di ricerche erudite. La salvaguardia dei
valori tradizionali è effetto di una fede matura.
Il dialogo con i
fratelli di altre religioni
55. Il dialogo
inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della
chiesa . Inteso come metodo e mezzo per una conoscenza e un
arricchimento reciproco, esso non è in contrapposizione con
la missione ad gentes anzi ha speciali legami con essa e ne è
un'espressione. Tale missione, infatti, ha per destinatari gli
uomini che non conoscono Cristo e il suo vangelo, e in gran
maggioranza appartengono ad altre religioni. Dio chiama a sé
tutte le genti in Cristo, volendo loro comunicare la pienezza
della sua rivelazione e del suo amore; né manca di rendersi
presente in tanti modi non solo ai singoli individui, ma anche
ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le
religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur
contenendo «lacune, insufficienze ed errori». (98) Tutto ciò
il concilio e il successivo magistero hanno ampiamente
sottolineato, mantenendo sempre fermo che la salvezza viene da
Cristo e il dialogo non dispensa dell'evangelizzazione. (99)
Alla luce dell'economia di salvezza, la chiesa non vede un
contrasto fra l'annuncio del Cristo e il dialogo
interreligioso; sente, però, la necessità di comporli
nell'ambito della sua missione ad gentes. Occorre, infatti,
che questi due elementi mantengano il loro legame intimo e, al
tempo stesso, la loro distinzione, per cui non vanno né
confusi, né strumentalizzati, né giudicati equivalenti come
se fossero intercambiabili. Ho scritto recentemente ai vescovi
dell'Asia: «Anche se la chiesa riconosce volentieri quanto c'è
di vero e di santo nelle tradizioni religiose del buddismo,
dell'induismo e dell'islam riflessi di quella verità che
illumina tutti gli uomini, ciò non diminuisce il suo dovere e
la sua determinazione a proclamare senza esitazioni Gesù
Cristo, che è "la via, la verità e la vita"... il
fatto che i seguaci di altre religioni possano ricevere la
grazia di Dio ed essere salvati da Cristo indipendentemente
dai mezzi ordinari che egli ha stabilito, non cancella affatto
l'appello alla fede e al battesimo che Dio vuole per tutti i
popoli». (100) Cristo stesso, infatti, «inculcando
espressamente la necessità della fede e del battesimo, ha
confermato simultaneamente la necessità della chiesa, nella
quale gli uomini entrano mediante il battesimo come per una
porta». (101) Il dialogo deve esser condotto e attuato con la
convinzione che la chiesa è la via ordinaria do salvezza e
che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza.
(102)
56. Il dialogo non nasce
da tattica o da interesse, ma è un'attività che ha proprie
motivazioni. esigenze, dignità: è richiesto dal profondo
rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito,
che soffia dove vuole. (103) Con esso la chiesa intende
scoprire i «germi del Verbo», (104) «raggi della verità
che illumina tutti gli uomini» (105) germi e raggi che si
trovano nelle persone e nelle tradizioni religiose dell'umanità.
Il dialogo si fonda sulla speranza e la carità e porterà
frutti nello Spirito. Le altre religioni costituiscono una
sfida positiva per la chiesa: la stimolano, infatti, sia a
scoprire e a riconoscere i segni della presenza del Cristo e
dell'azione dello Spirito, sia ad approfondire la propria
identità e a testimoniare l'integrità della rivelazione, di
cui è depositaria per il bene di tutti. Deriva da qui lo
spirito che deve animare tale dialogo nel contesto della
missione. L'interlocutore dev'essere coerente con le proprie
tradizioni e convinzioni religiose e aperto a comprendere
quelle dell'altro, senza dissimulazioni o chiusure, ma con
verità, umiltà, lealtà, sapendo che il dialogo può
arricchire ognuno. Non ci deve essere nessuna abdicazione né
irenismo, ma la testimonianza reciproca per un comune
progresso nel cammino di ricerca e di esperienza religiosa e,
al tempo stesso, per il superamento di pregiudizi,
intolleranze e malintesi. Il dialogo tende alla purificazione
e conversione interiore che, se perseguìta con docilità allo
Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa.
57. Al dialogo si apre un
vasto campo, potendo esso assumere molteplici forme ed
espressioni: dagli scambi tra esperti delle tradizioni
religiose o rappresentanti ufficiali di esse alla
collaborazione per lo sviluppo integrale e la salvaguardia dei
valori religiosi; dalla comunicazione delle rispettive
esperienze spirituali al cosiddetto «dialogo di vita», per
cui i credenti delle diverse religioni testimoniano gli uni
agli altri nell'esistenza quotidiana i propri valori umani e
spirituali e si aiutano a viverli per edificare una società
più giusta e fraterna. Tutti i fedeli e le comunità
cristiane sono chiamati a praticare il dialogo, anche se non
nello stesso grado e forma. Per esso è indispensabile
l'apporto dei laici. che «con l'esempio della loro vita e con
la propria azione possono favorire il miglioramento dei
rapporti tra seguaci delle diverse religioni» (106), mentre
alcuni di loro potranno pure dare un contributo di ricerca e
di studio. (107) Sapendo che non pochi missionari e comunità
cristiane trovano nella via difficile e spesso incompresa del
dialogo l'unica maniera di rendere sincera testimonianza a
Cristo e generoso servizio all'uomo, desidero incoraggiarli a
perseverare con fede e carità, anche là dove i loro sforzi
non trovano accoglienza e risposta. Il dialogo è una via
verso il regno e darà sicuramente i suoi frutti, anche se
tempi e momenti sono riservati al Padre. (At1,7)
Promuovere lo
sviluppo educando le coscienze
58. La missione ad gentes
si svolge ancor oggi, per gran parte, in quelle regioni del
Sud del mondo, dove è più urgente l'azione per lo sviluppo
integrale e la liberazione da ogni oppressione. La chiesa ha
sempre saputo suscitare, nelle popolazioni che ha
evangelizzato, la spinta verso il progresso, e oggi i
missionari più che in passato sono riconosciuti anche come
promotori di sviluppo da governi e esperti internazionali, i
quali restano ammirati del fatto che si ottengano notevoli
risultati con scarsi mezzi. Nell'enciclica Sollicitudo rei
sociali ho affermato che «la chiesa non ha soluzioni tecniche
da offrire al sottosviluppo in quanto tale», ma «dà il
primo contributo alla soluzione dell'urgente problema dello
sviluppo, quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e
sull'uomo, applicandola a una situazione concreta». (108) La
Conferenza dei vescovi latino-americani a Puebla ha affermato
che «il miglior servizio al fratello è l'evangelizzazione,
che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera
dalle ingiustizie e lo promuove integralmente». (109) La
missione della chiesa non è di operare direttamente sul piano
economico o tecnico o politico o di dare un contributo
materiale allo sviluppo, ma consiste essenzialmente
nell'offrire ai popoli non un «avere di più», ma un «essere
di più», risvegliando le coscienze col vangelo. «L'autentico
sviluppo umano deve affondare le sue radici in
un'evangelizzazione sempre più profonda» (110) La chiesa e i
missionari sono promotori di sviluppo anche con le loro
scuole, ospedali, tipografie, università, fattorie agricole
sperimentali. Ma lo sviluppo di un popolo non deriva
primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né
dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle
coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi.
È l'uomo il protagonista dello sviluppo non il denaro o la
tecnica. La chiesa educa le coscienze rivelando ai popoli quel
Dio che cercano, ma non conoscono. La grandezza dell'uomo
creato a immagine di Dio e da lui amato, l'esuaglianza di
tutti gli uomini come figli di Dio, il dominio sulla natura
creata e posta a servizio dell'uomo, il dovere di impegnarsi
per lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini .
59. Col messaggio
evangelico la chiesa offre una forza liberante e fautrice di
sviluppo proprio perché porta alla conversione del cuore e
della mentalità, fa riconoscere la dignità di ciascuna
persona, dispone alla solidarietà, all'impegno al servizio
dei fratelli, inserisce l'uomo nel progetto di Dio, che è la
costruzione del regno di pace, di giustizia a partire già da
questa vita. È la prospettiva biblica dei «cieli nuovi e
terra nuova», (Is65,17); (2Pt3,13); (Ap21,1)
la quale ha inserito nella storia lo stimolo e la metà per
l'avanzamento dell'umanità. Lo sviluppo dell'uomo viene da
Dio, dal modello di Gesù uomo-Dio, e deve portare a Dio.
(111) Ecco perché tra annunzio evangelico e promozione
dell'uomo c'è una stretta connessione. Il contributo della
chiesa e della sua opera evangelizzatrice per lo sviluppo dei
popoli riguarda non soltanto il Sud del mondo, per combattervi
la miseria materiale e il sottosviluppo, (112) ma anche il
Nord, che è esposto alla miseria morale e spirituale causata
dal «supersviluppo». Certa modernità a-religiosa, dominante
in alcune parti del mondo, si basa sull'idea che, per rendere
l'uomo più uomo, basti arricchire e perseguire la crescita
tecnico-economica. Ma uno sviluppo senza anima non può
bastare all'uomo, e l'eccesso di opulenza gli è nocivo come
l'eccesso di povertà. Il Nord del mondo ha costruito un tale
«modello di sviluppo» e lo diffonde nel Sud, dove il senso
di religiosità e i valori umani che vi sono presenti
rischiano di esser travolti dall'ondata del consumismo. «Contro
la fame cambia la vita» è il motto nato in ambienti
ecclesiali, che indica ai popoli ricchi la via per diventare
fratelli dei poveri: bisogna ritornare a una vita più austera
che favorisca un nuovo modello di sviluppo, attento ai valori
etici e religiosi. L'attività missionaria apporta ai poveri
la luce e lo stimolo per il vero sviluppo, mentre la nuova
evangelizzazione deve, tra l'altro, creare nei ricchi la
coscienza che è venuto il momento di farsi realmente fratelli
dei poveri nella comune conversione allo sviluppo integrale,
aperto all'Assoluto. (113)
La carità fonte e
criterio della missione
60. «La chiesa nel mondo
intero - dissi durante la mia visita in Brasile - vuol essere
la chiesa dei poveri. Essa vuol estrarre tutta la verità
contenuta nelle beatitudini e soprattutto nella prima:
"Beati i poveri in spirito"... Essa vuole insegnare
questa verità e vuol metterla in pratica come Gesù, che
venne a fare e a insegnare». (114) Le giovani chiese, che per
lo più vivono fra popoli afflitti da una povertà assai
diffusa, esprimono spesso questa preoccupazione come parte
integrante della loro missione. La Conferenza generale
dell'episcopato latino-americano a Puebla, dopo aver ricordato
l'esempio di Gesù? scrive che «i poveri meritano
un'attenzione preferenziale, qualunque sia la condizione
morale o personale in cui si trovano. Fatti a immagine e
somiglianza di Dio per essere suoi figli, questa immagine è
offuscata e persino oltraggiata. Perciò, Dio prende le loro
difese e li ama. Ne consegue che i primi destinatari della
missione sono i poveri, e la loro evangelizzazione è per
eccellenza segno e prova della missione di Gesù». (115)
Fedele allo spirito delle beatitudini, la chiesa è chiamata
alla condivisione con i poveri e gli oppressi di ogni genere.
Esorto, perciò, tutti i discepoli di Cristo e le comunità
cristiane, dalle famiglie alle diocesi, dalle parrocchie agli
istituti religiosi, a fare una sincera revisione della propria
vita nel senso della solidarietà con i poveri. Nello stesso
tempo, ringrazio i missionari che con la loro presenza amorosa
e il loro umile servizio operano per lo sviluppo integrale
della persona e della società mediante scuole, centri
sanitari, lebbrosari, case di assistenza per handicappati e
anziani, iniziative per la promozione della donna e simili.
Ringrazio i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici per
la loro dedizione, mentre incoraggio i volontari di
organizzazioni non governative, oggi sempre più numerosi, che
si dedicano a queste opere di carità e dl promozione umana.
Sono, infatti, queste opere che testimoniano l'anima di tutta
l'attività missionaria: L'amore, che è e resta il movente
della missione, ed è anche «l'unico criterio secondo cui
tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato.
È il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui
essa deve tendere. Quando si agisce con riguardo alla carità
o ispirati dalla carità, nulla è disdicevole e tutto è
buono». (116)
PARTE
VI
I
RESPONSABILI E GLI OPERATORI DELLA PASTORALE MISSIONARIA
61. Non c'è testimonianza
senza testimoni, come non c'è missione senza missionari.
Perché collaborino alla sua missione e continuino la sua
opera salvifica, Gesù sceglie e invia delle persone come suoi
testimoni e apostoli: «Sarete miei testimoni a Gerusalemme,
in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini
della terra». (At1,8) I Dodici sono i primi operatori
della missione universale: essi costituiscono un «soggetto
collegiale» della missione, essendo stati scelti da Gesù per
restare con lui ed essere inviati «alle pecore perdute della
casa d'Israele». (Mt10,6) Questa collegialità non
impedisce che nel gruppo si distinguano singole figure, come
Giacomo, Giovanni e, più di tutti, Pietro, la cui persona ha
tanto rilievo da giustificare l'espressione: «Pietro e gli
altri apostoli». (At2,14) Grazie a lui si aprono gli
orizzonti della missione universale, in cui successivamente
eccellerà Paolo, che per volontà divina fu chiamato e
inviato tra le genti. (Gal1,15) Nell'espansione
missionaria delle origini, accanto agli apostoli troviamo
altri umili operatori che non si debbono dimenticare: sono
persone, gruppi, comunità. Un tipico esempio di chiesa locale
è la comunità di Antiochia, che da evangelizzata si fa
evangelizzatrice e invia i suoi missionari alle genti. (At13,2)
La chiesa primitiva vive la missione come compito comunitario,
pur riconoscendo nel suo seno degli «inviati speciali», o «missionari
consacrati alle genti», come Paolo e Barnaba.
62. Quanto fu fatto
all'inizio del cristianesimo per la missione universale
conserva la sua validità e urgenza anche oggi. La chiesa è
missionaria per sua natura, poiché il mandato di Cristo non
è qualcosa di contingente e di esteriore ma raggiunge il
cuore stesso della chiesa. Ne deriva che tutta la chiesa e
ciascuna chiesa è inviata alle genti. Le stesse chiese più
giovani, proprio «perché questo zelo missionario fiorisca
nei membri della loro patria» debbono «partecipare quanto
prima e di fatto alla missione universale della chiesa,
inviando anch'esse dei missionari a predicare dappertutto nel
mondo il vangelo anche se soffrono di scarsezza di clero».
(117) Molte già fanno così. e io le incoraggio vivamente a
continuare. In questo vincolo essenziale dl comunione tra la
chiesa universale e le chiese particolari si esercita
l'autentica e piena missionarietà: «In un mondo che col
crollare delle distanze si fa sempre più piccolo, le comunità
ecclesiali devono collegarsi fra di loro, scambiarsi energie e
mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione dl
annunziare e vivere il vangelo... Le chiese cosiddette
giovani... hanno bisogno della forza di quelle antiche, mentre
queste hanno bisogno della testimonianza e della spinta delle
più giovani, in modo che le singole chiese attingano dalla
ricchezza delle altre chiese». (118)
I primi responsabili
dell'attività missionaria
63. Come il Signore
risorto conferì al collegio apostolico con a capo Pietro il
mandato della missione universale, così questa responsabilità
incombe innanzitutto sul collegio dei vescovi con a capo il
successore di Pietro. (119) Consapevole di questa
responsabilità, negli incontri con i vescovi sento il dovere
di condividerla in ordine sia alla nuova evangelizzazione che
alla missione universale. Mi sono messo in cammino sulle vie
del mondo «per annunciare il vangelo. per "confermare i
fratelli" nella fede, per consolare la chiesa. per
incontrare l'uomo. Sono viaggi di fede... Sono altrettante
occasioni di catechesi itinerante, di annuncio evangelico nel
prolungamento, a tutte le latitudini. del vangelo e del
magistero apostolico, dilatato alle odierne sfere planetarie».
(120) I fratelli vescovi sono con me direttamente responsabili
dell'evangelizzazione del mondo, sia come membri del collegio
episcopale, sia come pastori delle chiese particolari. In
proposito, il concilio dichiara: «La cura di annunziare in
ogni parte della terra il vangelo appartiene al corpo dei
pastori, ai quali in comune Cristo diede il mandato». (121)
Esso afferma anche che i vescovi «sono stati consacrati non
soltanto per una diocesi, ma per la salvezza di tutto il mondo».
(122) Questa responsabilità collegiale ha conseguenze
pratiche. Parimenti, «il sinodo dei vescovi... tra gli affari
d'importanza generale deve seguire con particolare
sollecitudine l'attività missionaria, che è il dovere più
alto e più sacro della chiesa». (123) La stessa
responsabilità si riflette, in varia misura, nelle Conferenze
episcopali e nei loro organismi a livello continentale, che
perciò debbono offrire un proprio contributo all'impegno
missionario.(124) Ampio è pure il dovere missionario di
ciascun vescovo, come pastore di una chiesa particolare.
Spetta a lui «come capo e centro unitario dell'apostolato
diocesano, promuovere, dirigere e coordinare l'attività
missionaria... Provveda anche a che l'attività apostolica non
resti limitata ai soli convertiti, ma che una giusta parte di
missionari e di sussidi sia destinata all'evangelizzazione dei
non cristiani». (125)
64. Ogni Chiesa
particolare deve aprirsi generosamente alle necessità delle
altre. La collaborazione fra le chiese, in una reale
reciprocità che le rende pronte a dare ed a ricevere, è
anche fonte di arricchimento per tutte ed interessa i vari
settori della vita ecclesiale. A questo riguardo, resta
esemplare la dichiarazione dei vescovi a Puebla: «Finalmente
è giunta l'ora per l'America Latina... di proiettarsi oltre
le sue frontiere, ad gentes. È certo che noi stessi abbiamo
ancora bisogno di missionari, ma dobbiamo dare della nostra
povertà». (126) Con questo spirito invito i vescovi e le
Conferenze episcopali ad attuare generosamente quanto è
previsto nella Nota direttiva, che la Congregazione per il
clero ha emanato per la collaborazione tra le chiese
particolari e, specialmente, per la migliore distribuzione del
clero nel mondo. (127) La missione della chiesa è più vasta
della «comunione fra le chiese»: questa deve essere
orientata, oltre che all'aiuto per la rievangelizzazione,
anche e soprattutto nel senso della missionarietà specifica.
Mi appello a tutte le chiese, giovani e antiche, perché
condividano con me questa preoccupazione, curando l'incremento
delle vocazioni missionarie e superando le varie difficoltà.
Missionari e
istituti "ad gentes"
65. Fra gli operatori
della pastorale missionaria occupano tuttora, come in passato,
un posto di fondamentale importanza quelle persone e
istituzioni, a cui il decreto Ad gentes dedica lo speciale
capitolo dal titolo: «I missionari». (128) Al riguardo,
s'impone un'approfondita riflessione, anzitutto, per i
missionari stessi, che dai cambiamenti della missione possono
essere indotti a non capir più il senso della loro vocazione,
a non saper più che cosa precisamente la chiesa si attenda
oggi da loro. Punto di riferimento sono queste parole del
concilio: «Benché l'impegno di diffondere la fede ricada su
qualsiasi discepolo di Cristo in proporzione delle sue
possibilità, Cristo Signore chiama sempre dalla moltitudine
dei suoi discepoli quelli che egli vuole, per averli con sé e
per inviarli a predicare alle genti. Perciò, egli? per mezzo
dello Spirito santo, che distribuisce come vuole i suoi
carismi per il bene delle anime, accende nel cuore dei singoli
la vocazione missionaria e insieme suscita in seno alla chiesa
quelle istituzioni che si assumono come dovere specifico il
compito dell'evangelizzazione, che riguarda tutta la chiesa».
(129) Si tratta, dunque, di una «vocazione speciale»,
modellata su quella degli apostoli. Essa si manifesta nella
totalità dell'impegno per il servizio dell'evangelizzazione:
è impegno che coinvolge tutta la persona e la vita del
missionario, esigendo da lui una donazione senza limiti di
forze e di tempo. Coloro che sono dotati di tale vocazione, «inviati
dalla legittima autorità, si portano per spirito di fede e di
obbedienza verso coloro che sono lontani da Cristo,
riservandosi esclusivamente per quell'opera per la quale, come
ministri del vangelo, sono stati assunti». (130) I missionari
devono sempre meditare sulla corrispondenza che il dono da
loro ricevuto richiede e aggiornare la loro formazione
dottrinale e apostoli.
66. Gli istituti
missionari, poi, devono impiegare tutte le risorse necessarie,
mettendo a frutto la loro esperienza e creatività nella
fedeltà al carisma originario, per preparare adeguatamente i
candidati e assicurare il ricambio delle energie spirituali,
morali e fisiche dei loro membri. (131) Si sentano essi parte
viva della comunità ecclesiale e operino in comunione con
essa. Difatti «ogni istituto è nato per la chiesa ed è
tenuto ad arricchirla con le proprie caratteristiche secondo
un particolare spirito e una missione speciale». e di una
tale fedeltà al carisma originario gli stessi vescovi sono
custodi. (132) Gli istituti missionari sono nati in genere
dalle chiese di antica cristianità e storicamente sono stati
strumenti della congregazione di Propaganda Fide per la
diffusione della fede e la fondazione di nuove chiese. Essi
accolgono oggi in misura crescente candidati provenienti dalle
giovani chiese che hanno fondato, mentre nuovi istituti sono
sorti proprio nei paesi che prima ricevevano solo missionari e
che oggi li mandano. È da lodare questa duplice tendenza, che
dimostra la validità e l'attualità della specifica vocazione
missionaria di questi istituti, tuttora «assolutamente
necessari», (133) non solo per l'attività missionaria ad
gentes, com'è nella loro tradizione, ma anche per
l'animazione missionaria sia nelle chiese di antica cristianità,
sia in quelle più giovani. La vocazione speciale dei
missionari ad vitam conserva tutta la sua validità: essa
rappresenta il paradigma dell'impegno missionario della
chiesa, che ha sempre bisogno di donazioni radicali e totali,
di impulsi nuovi e arditi. I missionari e le missionarie, che
hanno consacrato tutta la vita per testimoniare fra le genti
il Risorto, non si lascino, dunque, intimorire da dubbi,
incomprensioni, rifiuti, persecuzioni. Risveglino la grazia
del loro carisma specifico e riprendano con coraggio il loro
cammino, preferendo - in spirito di fede, obbedienza e
comunione con i propri pastori - i posti più umili e ardui.
Sacerdoti diocesani
per la missione universale
67. Collaboratori del
vescovo, i presbiteri in forza del sacramento dell'ordine sono
chiamati a condividere la sollecitudine per la missione: «Il
dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto
nell'ordinazione non li prepara a una missione limitata e
ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di
salvezza, "fino agli estremi confini della terra",
dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della
stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo
agli apostoli». (134) Per questo motivo, la stessa formazione
dei candidati al sacerdozio deve mirare a dar loro «quello
spirito veramente cattolico che li abitui a guardare oltre i
confini della propria diocesi, nazione o rito, per andare
incontro alle necessità della missione universale, pronti a
predicare dappertutto il vangelo». (135) Tutti i sacerdoti
debbono avere cuore e mentalità missionaria, essere aperti ai
bisogni della chiesa e del mondo, attenti ai più lontani e,
soprattutto, ai gruppi non cristiani del proprio ambiente.
Nella preghiera e, in particolare, nel sacrificio eucaristico
sentano la sollecitudine di tutta la chiesa per tutta l'umanità.
Specialmente i sacerdoti che si trovano in aree a minoranza
cristiana debbono essere mossi da singolare zelo e impegno
missionario: il Signore affida loro non solo la cura pastorale
della comunità cristiana, ma anche e soprattutto
l'evangelizzazione dei loro compatrioti che non fanno parte
del suo gregge. Essi «non mancheranno di rendersi
concretamente disponibili allo Spirito santo e al vescovo, per
essere mandati a predicare il vangelo oltre i confini del loro
paese. Ciò richiederà in essi non solo maturità nella
vocazione, ma pure una capacità non comune di distacco dalla
propria patria, etnia e famiglia, e una particolare idoneità
a inserirsi nelle altre culture con intelligenza e rispetto».
(136)
68. Nell'enciclica Fidei
donum Pio XII con intuito profetico incoraggiò i vescovi a
offrire alcuni dei loro sacerdoti per un servizio temporaneo
alle chiese d'Africa, approvando le iniziative già esistenti
in proposito. A venticinque anni di distanza volli
sottolineare la grande novità di quel documento, «che ha
fatto superare la dimensione territoriale del servizio
presbiterale, per destinarlo a tutta la chiesa». (137) Oggi
risultano confermate la validità e la fruttuosità di questa
esperienza: infatti, i presbiteri detti Fidei donum
evidenziano in modo singolare il vincolo di comunione tra le
chiese, danno un prezioso apporto alla crescita di comunità
ecclesiali bisognose, mentre attingono da esse freschezza e
vitalità di fede. Occorre certo che il servizio missionario
del sacerdote diocesano risponda ad alcuni criteri e
condizioni. Si devono inviare sacerdoti scelti tra i migliori,
idonei e debitamente preparati al peculiare lavoro che li
attende. (138) Essi dovranno inserirsi nel nuovo ambiente
della chiesa che li accoglie con animo aperto e fraterno e
costituiranno un unico presbiterio con i sacerdoti locali,
sotto l'autorità del vescovo. (139) Auspico che lo spirito di
servizio aumenti in seno al presbiterio delle chiese antiche e
sia promosso in quello delle chiese più recenti.
La fecondità
missionaria della consacrazione
69. Nell'inesauribile e
multiforme ricchezza dello Spirito si collocano le vocazioni
degli istituti di vita consacrata, i cui membri, «dal momento
che si dedicano al servizio della chiesa in forza della loro
stessa consacrazione, sono tenuti all'obbligo di prestare
l'opera loro in modo speciale nell'azione missionaria, con lo
stile proprio dell'istituto». (140) La storia attesta le
grandi benemerenze delle famiglie religiose nella propagazione
della fede e nella formazione di nuove chiese: dalle antiche
istituzioni monastiche agli ordini medioevali, fino alle
moderne congregazioni.
a) Seguendo il concilio,
invito gli istituti di vita contemplativa a stabilire comunità
presso le giovani chiese, per rendere «tra i non cristiani
una magnifica testimonianza della maestà e della carità di
Dio, come anche dell'unione che si stabilisce nel Cristo».
(141) Questa presenza è dappertutto benefica nel mondo non
cristiano, specialmente in quelle regioni, dove le religioni
hanno in grande stima la vita contemplativa per l'ascesi e la
ricerca dell'Assoluto.
b) Agli istituti di vita
attiva addito gli immensi spazi della carità, dell'annunzio
evangelico, dell'educazione cristiana, della cultura e della
solidarietà verso i poveri, i discriminati, gli emarginati e
oppressi. Tali istituti, tendano o meno a un fine strettamente
missionario, si devono interrogare circa la loro possibilità
e disponibilità a estendere la propria azione per espandere
il regno di Dio. Questa richiesta è stata accolta nei tempi
più recenti da non pochi istituti, ma vorrei che fosse meglio
considerata e attuata per un autentico servizio. La chiesa
deve far conoscere i grandi valori evangelici di cui è
portatrice, e nessuno li testimonia più efficacemente di chi
fa professione di vita consacrata nella castità, povertà e
obbedienza, in totale donazione a Dio e in piena disponibilità
a servire l'uomo e la società sull'esempio di Cristo. (142)
70. Una speciale parola di
apprezzamento rivolgo alle religiose missionarie, nelle quali
la verginità per il regno si traduce in molteplici frutti di
maternità secondo lo spirito: proprio la missione ad gentes
offre loro un campo vastissimo per «donarsi con amore in modo
totale e indiviso». (143) L'esempio e l'operosità della
donna vergine, consacrata alla carità verso Dio e verso il
prossimo, specie il più povero, sono indispensabili come
segno evangelico presso quei popoli e culture in cui la donna
deve ancora compiere un lungo cammino in ordine alla sua
promozione umana e liberazione. Auguro che molte giovani donne
cristiane sentano l'attrattiva di donarsi a Cristo con
generosità, attingendo dalla loro consacrazione la forza e la
gioia per testimoniarlo tra i popoli che lo ignorano.
Tutti i laici sono
missionari in forza del battesimo
71. I pontefici dell'età
più recente hanno molto insistito sull'importanza del ruolo
dei laici nell'attività missionaria. (144) Nell'esortazione
Christifideles laici anch'io ho trattato esplicitamente della
«missione permanente di portare il vangelo a quanti e sono
milioni e milioni di uomini e di donne - ancora non conoscono
Cristo redentore dell'uomo» (145) e del corrispondente
impegno dei fedeli laici. La missione è di tutto il popolo di
Dio: anche se la fondazione di una nuova chiesa richiede
l'eucaristia e, quindi, il ministero sacerdotale, tuttavia la
missione, che si esplica in svariate forme, è compito di
tutti i fedeli. La partecipazione dei laici all'espansione
della fede risulta chiara, fin dai primi tempi del
cristianesimo, a opera sia di singoli fedeli e famiglie, sia
dell'intera comunità. Ciò ricordava già Pio XII,
richiamando nella prima enciclica missionaria le vicende delle
missioni laicali. (146) Nei tempi moderni non è mancata la
partecipazione attiva dei missionari laici e delle missionarie
laiche. Come non ricordare l'importante ruolo svolto da
queste, il loro lavoro nelle famiglie, nelle scuole, nella
vita politica. sociale e culturale e, in particolare, il loro
insegnamento della dottrina cristiana? Bisogna anzi
riconoscere - ed è un titolo di onore che alcune chiese hanno
avuto inizio grazie all'attività dei laici e delle laiche
missionarie. Il Vaticano II ha confermato questa tradizione,
illustrando il carattere missionario di tutto il popolo di Dio
in particolare l'apostolato dei laici (147) e sottolineando il
contributo specifico che essi son chiamati a dare nell'attività
missionaria. (148) La necessità che tutti i fedeli
condividano tale responsabilità non e solo questione di
efficacia apostolica, ma è un dovere-diritto fondato sulla
dignità battesimale per cui «i fedeli partecipano, per la
loro parte, al triplice ufficio - sacerdotale profetico e
regale di Gesù Cristo». (149) Essi, perciò, «sono tenuti
all'obbligo generale e hanno diritto di impegnarsi, sia come
singoli, sia riuniti in associazioni, perché l'annunzio della
salvezza sia conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo;
tale obbligo li vincola ancor di più in quelle situazioni in
cui gli uomini non possono ascoltare il vangelo e conoscere
Cristo se non per mezzo loro». (150) Inoltre, per l'indole
secolare. che è loro propria, hanno la particolare vocazione
a «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e
orientandole secondo Dio». (151)
72. I settori di presenza
e di azione missionaria dei laici sono molto ampi. «Il primo
campo... è il mondo vasto e complicato della politica, della
realtà sociale dell'economia...» (152) sul piano locale,
nazionale e internazionale. All'interno della chiesa si
presentano vari tipi di servizi, funzioni, ministeri e forme
di animazione della vita cristiana. Ricordo, quale novità
emersa in non poche chiese nei tempi recenti, il grande
sviluppo dei «movimenti ecclesiali», dotati di dinamismo
missionario. Quando si inseriscono con umiltà nella vita
delle chiese locali e sono accolti cordialmente da vescovi e
sacerdoti nelle strutture diocesane e parrocchiali, i
movimenti rappresentano un vero dono di Dio per la nuova
evangelizzazione e per l'attività missionaria propriamente
detta. Raccomando, quindi, di diffonderli e di avvalersene per
ridare vigore, soprattutto tra i giovani, alla vita cristiana
e all'evangelizzazione, in una visione pluralistica dei modi
di associarsi e di esprimersi. Nell'attività missionaria sono
da valorizzare le varie espressioni del laicato, rispettando
la loro indole e finalità: associazioni del laicato
missionario, organismi cristiani di volontariato
internazionale, movimenti ecclesiali, gruppi e sodalizi di
vario genere siano impegnati nella missione ad gentes e nella
collaborazione con le chiese locali. In questo modo sarà
favorita la crescita di un laicato maturo e responsabile, la
cui «formazione... si pone nelle giovani chiese come elemento
essenziale e irrinunciabile della plantatio ecclesiale».
(153)
L'opera dei
catechisti e la varietà dei ministeri
73. Tra i laici che
diventano evangelizzatori si trovano in prima fila i
catechisti. Il decreto missionario li definisce «quella
schiera degna di lode, tanto benemerita dell'opera missionaria
tra le genti... Essi, animati da spirito apostolico e facendo
grandi sacrifici, danno un contributo singolare e
insostituibile alla propagazione della fede e della chiesa».
(154) Non è senza ragione che le chiese di antica data,
impegnandosi nella nuova evangelizzazione, abbiano
moltiplicato i catechisti e intensificato la catechesi. «Sono
i catechisti in terra di missione coloro che meritano, in modo
tutto speciale, questo titolo di "catechisti"...
chiese ora fiorenti non sarebbero state edificate senza di
loro». (155) Anche col moltiplicarsi dei servizi ecclesiali
ed extraecclesiali il ministero dei catechisti rimane sempre
necessario e ha peculiari caratteristiche: i catechisti sono
operatori specializzati. testimoni diretti. evangelizzatori
insostituibili, che rappresentano la forza basilare delle
comunità cristiane, specie nelle giovani chiese, come ho più
volte affermato e constatato nei miei viaggi missionari. Il
nuovo codice di Diritto canonico ne riconosce i compiti, le
qualità, i requisiti. (156) Ma non si può dimenticare che il
lavoro dei catechisti si va facendo sempre più difficile e
impegnativo per i cambiamenti ecclesiali e culturali in corso.
Vale ancor oggi quanto già suggeriva il concilio: una più
accurata preparazione dottrinale e pedagogica, il costante
rinnovamento spirituale e apostolico, la necessità di «garantire
un decoroso tenore di vita e di sicurezza sociale» ai
catechisti. (157) È importante, altresì, favorire la
creazione e il potenziamento delle scuole per catechisti, che,
approvate dalle Conferenze episcopali, rilascino titoli
ufficialmente riconosciuti da queste ultime. (158)
74. Accanto ai catechisti
bisogna ricordare le altre forme di servizio alla vita della
chiesa e alla missione, e gli altri operatori: animatori della
preghiera, del canto e della liturgia; capi di comunità
ecclesiali di base e di gruppi biblici; incaricati delle opere
caritative; amministratori dei beni della chiesa; dirigenti
dei vari sodalizi apostolici; insegnanti di religione nelle
scuole. Tutti i fedeli laici debbono dedicare alla chiesa
parte del loro tempo, vivendo con coerenza la propria fede.
La Congregazione per
l'Evangelizzazione dei Popoli e le altre strutture per
l'attività missionaria
75. I responsabili e gli
operatori della pastorale missionaria devono sentirsi uniti
nella comunione che caratterizza il corpo mistico. Per questo
Cristo ha pregato nell'ultima cena: «Come tu, Padre, sei in
me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché
il mondo creda che tu mi hai mandato». (Gv17,21) È in
questa comunione il fondamento della fecondità della
missione. Ma la chiesa è anche una comunione visibile e
organica, e perciò la missione richiede pure una unione
esterna e ordinata tra le diverse responsabilità e funzioni,
in modo che tutte le membra «indirizzino in piena unanimità
le loro forze all'edificazione della chiesa». (159) Spetta al
dicastero missionario «dirigere e coordinare in tutto il
mondo l'opera stessa dell'evangelizzazione dei popoli e la
cooperazione missionaria, salva la competenza della
Congregazione per le chiese orientali». (160) Per questo «è
suo compito suscitare e distribuire, secondo i bisogni più
urgenti delle regioni, i missionari..., elaborare un piano
organico di azione, emanare norme direttive e principi
adeguati in ordine all'evangelizzazione, dare l'impulso
iniziale». (161) Non posso che confermare queste sagge
disposizioni: per rilanciare la missione ad gentes occorre un
centro di propulsione, di direzione e di coordinamento che è
la Congregazione per l'evangelizzazione. Invito le Conferenze
episcopali e i loro organismi, superiori maggiori degli
ordini, congregazioni e istituti gli organismi laicali
impegnati nell'attività missionaria a collaborare fedelmente
con detta Congregazione, che ha l'autorità necessaria per
programmare e dirigere l'attività e la cooperazione
missionaria a livello universale. La medesima Congregazione,
avendo alle spalle una lunga e gloriosa esperienza, è
chiamata a svolgere un ruolo di primaria importanza sul piano
della riflessione e dei programmi operativi, di cui la chiesa
ha bisogno per orientarsi più decisamente verso la missione
nelle sue varie forme. A questo fine, la Congregazione deve
mantenere strette relazioni con gli altri dicasteri della
Santa Sede, con le chiese particolari e con le forze
missionarie. In un'ecclesiologia di comunione, in cui la
chiesa è tutta missionaria, ma al tempo stesso si confermano
sempre indispensabili vocazioni e istituzioni specifiche per
il lavoro ad gentes rimane molto importante il ruolo di guida
e di coordinamento del dicastero missionario per affrontare
insieme le grandi questioni di comune interesse, salve le
competenze proprie di ciascuna autorità e struttura.
76. Per l'indirizzo e il
coordinamento dell'attività missionaria a livello nazionale e
regionale rivestono grande importanza le Conferenze episcopali
e i loro diversi raggruppamenti. A loro il concilio chiede di
«trattare in pieno accordo le questioni più gravi e i
problemi più urgenti, senza trascurare però le differenze
tra luogo e luogo», (162) nonché il problema dell'inculturazione.
Di fatto, c'è già un'ampia e regolare azione in questo campo
e i frutti sono visibili. È un'azione che deve essere
intensificata e meglio raccordata con quella di altri
organismi delle stesse Conferenze affinché la sollecitudine
missionaria non sia demandata alla cura di un dato settore od
organismo, ma sia condivisa da tutti. Gli stessi organismi e
Istituzioni, che attendono all'attività missionaria,
colleghino opportunamente sforzi e iniziative. Le Conferenze
dei superiori maggiori, poi, abbiano questo stesso impegno nel
loro ambito, in contatto con le Conferenze episcopali, secondo
le indicazioni e norme stabilite, (163) ricorrendo anche a
commissioni miste. (164) Sono, infine, auspicabili incontri e
forme di collaborazione tra le varie istituzioni missionarie
per quanto riguarda sia la formazione e lo studio, (165) sia
l'azione apostolica da svolgere.
PARTE
VII
LA
COOPERAZIONE ALL'ATTIVlTÀ MISSIONARIA
77. Membri della chiesa,
in forza del battesimo tutti i cristiani sono corresponsabili
dell'attività missionaria. La partecipazione delle comunità
e dei singoli fedeli a questo diritto-dovere è chiamata «cooperazione
missionaria». Tale cooperazione si radica e si vive
innanzitutto nell'essere personalmente uniti a Cristo: solo se
si è uniti a lui come il tralcio alle vite, (Gv15,5)
si possono produrre buoni frutti. La santità di vita permette
a ogni cristiano di essere fecondo nella missione della
chiesa: «Il sacro concilio invita tutti a un profondo
rinnovamento interiore, affinché, avendo una viva coscienza
della propria responsabilità in ordine alla diffusione del
vangelo, prendano la loro parte nell'attività missionaria
presso le genti». (166) La partecipazione alla missione
universale, quindi, non si riduce ad alcune particolari
attività, ma è il segno della maturità di fede e di una
vita cristiana che porta frutti. Così il credente allarga i
confini della sua carità, manifestando la sollecitudine per
coloro che sono lontani, come per quelli che sono vicini:
prega per le missioni e per le vocazioni missionarie, aiuta i
missionari, ne segue l'attività con interesse e, quando
ritornano, li accoglie con quella gioia con cui le prime
comunità cristiane ascoltavano dagli apostoli le meraviglie
che Dio aveva operato mediante la loro predicazione. (At14,27)
Preghiera e
sacrifici per i missionari
78. Tra le forme di
partecipazione il primo posto spetta alla cooperazione
spirituale: preghiera, sacrificio testimonianza di vita
cristiana. La preghiera deve accompagnare il cammino dei
missionari, perché l' annunzio della Parola sia reso efficace
dalla grazia divina. San Paolo nelle sue Lettere chiede spesso
ai fedeli di pregare per lui, perché gli sia concesso di
annunziare il vangelo con fiducia e franchezza. Alla preghiera
è necessario unire il sacrificio: il valore salvifico di ogni
sofferenza, accettata e offerta a Dio con amore, scaturisce
dal sacrificio di Cristo, che chiama le membra del suo mistico
corpo ad associarsi ai suoi patimenti, a completarli nella
propria carne. (Col1,24) Il sacrificio del missionario
deve essere condiviso e sostenuto da quello dei fedeli. Perciò,
a coloro che svolgono il loro ministero pastorale fra i malati
raccomando di istruirli circa il valore della sofferenza,
incoraggiandoli a offrirla a Dio per i missionari. Con tale
offerta i malati diventano anch'essi missionari, come
sottolineano alcuni movimenti sorti tra loro e per loro. Anche
la solennità di Pentecoste - inizio della missione della
chiesa -- è celebrata in alcune comunità come «giornata
della sofferenza per le missioni».
«Eccomi, Signore,
sono pronto! Manda me!»
(cf Is 6,8)
79. La cooperazione si
esprime, altresì, nel promuovere le vocazioni missionarie. A
questo riguardo, va riconosciuta la validità delle diverse
forme d'impegno missionario, ma bisogna al tempo stesso
riaffermare la priorità della donazione totale e perpetua
all'opera delle missioni, specialmente negli istituti e
congregazioni missionari, maschili e femminili. La promozione
di tali vocazioni è il cuore della cooperazione: l'annunzio
del vangelo richiede annunziatori, la messe ha bisogno di
operai, la missione si fa soprattutto con uomini e donne
consacrati a vita all'opera del vangelo, disposti ad andare in
tutto il mondo per portare la salvezza. Desidero, pertanto,
richiamare e raccomandare questa sollecitudine per le
vocazioni missionarie. Coscienti della responsabilità
universale dei cristiani nel contribuire all'opera missionaria
e allo sviluppo dei popoli poveri, dobbiamo tutti domandarci
perché in varie nazioni, mentre crescono le offerte,
minacciano di scomparire le vocazioni missionarie, che danno
la vera misura della donazione ai fratelli. Le vocazioni al
sacerdozio e alla vita consacrata sono un segno sicuro della
vitalità di una chiesa.
80. Pensando a questo
grave problema, rivolgo il mio appello con particolare fiducia
e affetto alle famiglie e ai giovani. Le famiglie e,
soprattutto, i genitori siano consapevoli di dover portare «un
particolare contributo alla causa missionaria della chiesa,
coltivando le vocazioni missionarie fra i loro figli e figlie».
(167) Una vita di intensa preghiera, un senso reale del
servizio del prossimo e una generosa partecipazione alle
attività ecclesiali offrono alle famiglie le condizioni
favorevoli per la vocazione dei giovani. Quando i genitori
sono pronti a consentire che uno dei figli parta per la
missione, quando essi hanno chiesto al Signore tale grazia,
egli li ricompenserà, nella gioia, il giorno in cui un loro
figlio o figlia ascolterà la sua chiamata. Ai giovani stessi
io chiedo di ascoltare la parola di Cristo che dice loro, come
già a Simon Pietro e ad Andrea sulla riva del lago: «Venite
dietro a me, e vi farò diventare pescatori di uomini». (Mt4,19)
Abbiano essi il coraggio di rispondere, come Isaia: «Eccomi,
Signore, sono pronto, manda me». (Is4,8) Essi avranno
dinanzi a sé una vita affascinante e conosceranno la vera
soddisfazione di annunciare la «buona novella» ai fratelli e
sorelle che condurranno sulla via della salvezza.
«C'è più gioia
nel dare che nel ricevere»
(At 20,35)
81. Sono molte le necessità
materiali ed economiche delle missioni: non solo per fondare
la chiesa con strutture minime (cappelle, scuole per
catechisti e seminaristi, case di abitazione), ma anche per
sostenere le opere di carità, di educazione e di promozione
umana, campo vastissimo di azione specialmente nei paesi
poveri. La chiesa missionaria dà quello che riceve,
distribuisce ai poveri quello che i suoi figli più dotati di
beni materiali le mettono generosamente a disposizione.
Desidero a questo punto ringraziare tutti coloro che donano
con sacrificio per l'opera missionaria: le loro rinunzie e la
loro partecipazione sono indispensabili per costruire la
chiesa e testimoniare la carità. Circa gli aiuti materiali è
importante riguardare allo spirito col quale si dona. Per
questo occorre rivedere il proprio stile di vita: le missioni
non chiedono solo un aiuto, ma una condivisione con l'annunzio
e la carità verso i poveri. Tutto quello che abbiamo ricevuto
da Dio la vita come i beni materiali - non è nostro. ma ci è
dato in uso. La generosità nel dare va sempre illuminata e
ispirata dalla fede: allora, davvero c'è più gioia nel dare
che nel ricevere. La Giornata missionaria mondiale, diretta
alla sensibilizzazione sul problema missionario, ma anche alla
raccolta di aiuti, è un appuntamento importante nella vita
della chiesa, perché insegna come donare: nella celebrazione
eucaristica, cioè come offerta a Dio, e per tutte le missioni
del mondo.
Nuove forme di
cooperazione missionaria
82. La cooperazione si
allarga oggi a forme nuove includendo non solo l'aiuto
economico, ma anche la partecipazione diretta. Situa ioni
nuove, connesse al fenomeno della mobilità, richiedono ai
cristiani un autentico spirito missionario. Il turismo a
carattere internazionale è ormai un fatto di massa e
positivo, se si pratica con atteggiamento rispettoso per un
mutuo arricchimento culturale, evitando ostentazione e
sperperi e cercando il contatto umano. Ma ai cristiani è
richiesta soprattutto la coscienza di dover essere sempre
testimoni della fede e della carità di Cristo. Anche la
conoscenza diretta della vita missionaria e delle nuove
comunità cristiane può arricchire e rinvigorire la fede.
Sono lodevoli le visite alle missioni soprattutto da parte dei
giovani che vanno per servire e fare un'esperienza forte di
vita cristiana. Le esigenze di lavoro portano oggi numerosi
cristiani di giovani comunità in aree dove il cristianesimo
è sconosciuto e, talvolta, bandito o perseguitato. Ciò
avviene anche per i fedeli dei paesi di antica tradizione
cristiana, che lavorano temporaneamente in paesi non
cristiani. Queste circostanze sono certo un'opportunità per
vivere e testimoniare la fede. Nei primi secoli il
cristianesimo si diffuse soprattutto perché i cristiani,
viaggiando o stabilendosi in regioni in cui Cristo non era
stato annunziato. testimoniavano con coraggio la loro fede e
vi fondavano le prime comunità. Più numerosi sono i
cittadini dei paesi di missione e gli appartenenti a religioni
non cristiane, che vanno a stabilirsi in altre nazioni per
motivi di studio e di lavoro, o costretti dalle condizioni
politiche o economiche dei luoghi di origine. La presenza di
questi fratelli nei paesi di antica cristianità è una sfida
per le comunità ecclesiali, stimolandole all'accoglienza, al
dialogo, al servizio, alla condivisione, alla testimonianza e
all'annunzio diretto. In pratica, anche in paesi cristiani si
formano gruppi umani e culturali che richiamano la missione ad
gentes, e le chiese locali, anche con l'aiuto di persone
provenienti dai paesi degli immigrati e di missionari reduci,
devono occuparsi generosamente di queste situazioni. La
cooperazione può anche impegnare i responsabili della
politica, dell'economia, della cultura, del giornalismo, oltre
che gli esperti dei vari organismi internazionali. Nel mondo
moderno è sempre più difficile tracciare linee di
demarcazione geografica o culturale: c'è una crescente
interdipendenza fra i popoli, il che stimola alla
testimonianza cristiana e all'evangelizzazione.
Animazione e
formazione missionaria del popolo di Dio
83. La formazione
missionaria è opera della chiesa locale con l'aiuto dei
missionari e dei loro istituti, nonché del personale delle
giovani chiese. Questo lavoro deve essere inteso non come
marginale, ma come centrale nella vita cristiana. Per la
stessa nuova evangelizzazione dei popoli cristiani il tema
missionario può essere di grande aiuto: la testimonianza dei
missionari, infatti, conserva il suo fascino anche presso i
lontani e i non credenti e trasmette valori cristiani. Le
chiese locali, quindi, inseriscano l'animazione missionaria
come elemento-cardine della loro pastorale ordinaria nelle
parrocchie, nelle associazioni e nei gruppi, specie giovanili.
A questo fine vale, anzitutto, l'informazione mediante la
stampa missionaria e i vari sussidi audiovisivi. Il loro ruolo
è di grande importanza, in quanto fanno conoscere la vita
della chiesa universale, le voci e le esperienze dei
missionari e delle chiese locali, presso cui essi lavorano.
Occorre che nelle chiese più giovani, che non sono ancora in
grado di dotarsi di una stampa e altri sussidi, gli istituti
missionari dedichino personale e mezzi a queste iniziative. A
tale formazione sono chiamati i sacerdoti e i loro
collaboratori, gli educatori e insegnanti, i teologi, specie i
docenti dei seminari e dei centri per i laici. L'insegnamento
teologico non può né deve prescindere dalla missione
universale della chiesa, dall'ecumenismo, dallo studio delle
grandi religioni e della missiologia. Raccomando che
soprattutto nei seminari e nelle case di formazione per
religiosi e religiose si faccia un tale studio, curando anche
che alcuni sacerdoti, o alunni e alunne si specializzino nei
diversi campi delle scienze missiologiche. Le attività di
animazione vanno sempre orientate ai loro specifici fini:
informare e formare il popolo di Dio alla missione universale
della chiesa, far nascere vocazioni ad gentes, suscitare
cooperazione all'evangelizzazione. Non si può, infatti, dare
un'immagine riduttiva dell'attività missionaria, come se
fosse principalmente aiuto ai poveri, contributo alla
liberazione degli oppressi, promozione dello sviluppo, difesa
dei diritti umani. La chiesa missionaria è impegnata anche su
questi fronti, ma il suo compito primario è un altro: i
poveri hanno fame di Dio, e non solo di pane e di libertà, e
l'attività missionaria prima di tutto deve testimoniare e
annunziare la salvezza in Cristo, fondando le chiese locali
che sono poi strumenti di liberazione in tutti i sensi.
La responsabilità
primaria delle Pontificie opere missionarie
84. In questa opera di
animazione il compito primario spetta alle Pontificie opere
missionarie, come più volte ho affermato nei messaggi per la
Giornata missionaria mondiale. Le quattro opere - Propagazione
della fede, San Pietro apostolo, Infanzia missionaria e Unione
missionaria - hanno in comune lo scopo di promuovere lo
spirito missionario universale in seno al popolo di Dio.
L'Unione missionaria ha come fine immediato e specifico la
sensibilizzazione e formazione missionaria dei sacerdoti,
religiosi e religiose, che devono, a loro volta, curarla nelle
comunità cristiane; essa, inoltre, mira a promuovere le altre
opere, di cui è l'anima. (168) «La parola d'ordine deve
essere questa: Tutte le chiese per la conversione di tutto il
mondo». (169) Essendo del papa e del collegio episcopale,
anche nell'ambito delle chiese particolari queste opere
occupano «giustamente il primo posto, perché sono mezzi sia
per infondere nei cattolici, fin dall'infanzia, uno spirito
veramente universale e missionario, sia per favorire
un'adeguata raccolta di sussidi a vantaggio di tutte le
missioni, secondo le necessità di ciascuna». (170) Un altro
scopo delle opere missionarie è quello di suscitare vocazioni
ad gentes ed a vita, sia nelle chiese antiche come in quelle
più giovani. Raccomando vivamente di orientare sempre più a
questo fine il loro servizio di animazione. Nell'esercizio
della loro attività, queste Opere dipendono, a livello
universale, dalla Congregazione per l'evangelizzazione e, a
livello locale, dalle Conferenze episcopali e dai vescovi
delle singole chiese, collaborando con i centri di animazione
esistenti: esse portano nel mondo cattolico quello spirito di
universalità e di servizio alla missione, senza il quale non
esiste autentica cooperazione.
Non solo dare alla
missione, ma anche ricevere
85. Cooperare alla
missione vuol dire non solo dare, ma anche saper ricevere:
tutte le chiese particolari, giovani e antiche, sono chiamate
a dare e a ricevere per la missione universale e nessuna deve
chiudersi in se stessa. (171) In forza della... cattolicità -
dice il concilio le singole parti portano i propri doni alle
altre parti e a tutta la chiesa, di modo che il tutto e le
singole parti si accrescano da tutte le altre in reciproca
comunione ed aspiranti alla pienezza nell'unità... Ne
derivano... tra le diverse parti della chiesa vincoli di
intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai
apostolici ed i sussidi materiali». Esorto tutte le chiese e
i pastori, i sacerdoti, i religiosi, i fedeli, ad aprirsi
all'universalità della chiesa, evitando ogni forma di
particolarismo, esclusivismo o sentimento di autosufficienza.
Le chiese locali, pur radicate nel loro popolo e nella loro
cultura, debbono tuttavia mantenere in concreto questo senso
universalistico della fede, dando cioè e ricevendo dalle
altre chiese doni spirituali esperienze pastorali, di primo
annunzio e di evangelizzazione, personale apostolico e mezzi
materiali. Infatti, la tendenza a chiudersi può esser forte:
le chiese antiche, impegnate per la nuova evangelizzazione,
pensano che ormai la missione debbono svolgerla in casa e
rischiano di frenare lo slancio verso il mondo non cristiano,
concedendo a malincuore le vocazioni agli istituti missionari,
alle congregazioni religiose, alle altre chiese. Ma è dando
generosamente del nostro che riceveremo, e già oggi le
giovani chiese, non poche delle quali conoscono una prodigiosa
fioritura di vocazioni, sono in grado di inviare sacerdoti,
religiosi e religiose a quelle antiche. D'altra parte, esse
sentono il problema della propria identità, dell'inculturazione,
della libertà di crescere senza influssi esterni, con la
possibile conseguenza di chiudere le porte al missionari. A
queste chiese dico: Lungi dall'isolarvi, accogliete volentieri
i missionari e i mezzi dalle altre chiese, e mandatene voi
stesse nel mondo! Proprio per i problemi che vi angustiano
avete bisogno di mantenervi in continua relazione con i
fratelli e sorelle nella fede. Con ogni mezzo legittimo fate
valere le libertà, a cui avete diritto, ricordandovi che i
discepoli di Cristo hanno il dovere di «obbedire a Dio
piuttosto che agli uomini». (At5,29)
Dio prepara una
nuova primavera del Vangelo
86. Se si guarda in
superficie il mondo odierno, si è colpiti da non pochi fatti
negativi, che possono indurre al pessimismo. Ma è, questo, un
sentimento ingiustificato: noi abbiamo fede in Dio Padre e
Signore, nella sua bontà e misericordia. In prossimità del
terzo millennio della redenzione, Dio sta preparando una
grande primavera cristiana, di cui già si intravede l'inizio.
Difatti, sia nel mondo non cristiano come in quello di antica
cristianità, c'è un progressivo avvicinamento dei popoli
agli ideali e ai valori evangelici, che la chiesa si sforza di
favorire. Oggi, infatti, si manifesta una nuova convergenza da
parte dei popoli per questi valori: il rifiuto della violenza
e della guerra; il rispetto della persona umana e dei suoi
diritti; il desiderio di libertà, di giustizia e di fraternità;
la tendenza al superamento dei razzismi e dei nazionalismi;
l'affermazione della dignità e la valorizzazione della donna.
La speranza cristiana ci sostiene nell'impegnarci a fondo per
la nuova evangelizzazione e per la missione universale,
facendoci pregare come Gesù ci ha insegnato: «Venga il tuo
regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra».
(Mt6,10) Gli uomini che attendono Cristo sono ancora in
numero immenso: gli spazi umani e culturali, non ancora
raggiunti dall'annunzio evangelico o nei quali la chiesa è
scarsamente presente. sono tanto ampi, da richiedere l'unità
di tutte le sue forze. Preparandosi a celebrare il giubileo
del Duemila, tutta la chiesa è ancor più impegnata per un
nuovo avvento missionario. Dobbiamo nutrire in noi l'ansia
apostolica di trasmettere ad altri la luce e la gioia della
fede, e a questo ideale dobbiamo educare tutto il popolo di
Dio. Non possiamo restarcene tranquilli, pensando ai milioni
di nostri fratelli e sorelle, anch'essi redenti dal sangue di
Cristo, che vivono ignari dell'amore di Dio. Per il singolo
credente, come per l'intera chiesa, la causa missionaria deve
essere la prima, perché riguarda il destino eterno degli
uomini e risponde al disegno misterioso e misericordioso di
Dio.
PARTE
VIII
LA
SPIRITUALITÀ MISSIONARIA
Lasciarsi condurre
dallo Spirito
87. L'attività
missionaria esige una specifica spiritualità che riguarda, in
particolare, quanti Dio ha chiamato a essere missionari. Tale
spiritualità si esprime, innanzittutto, nel vivere in piena
docilità allo Spirito: essa impegna a lasciarsi plasmare
interiormente da lui? per divenire sempre più conformi a
Cristo. Non si può testimoniare Cristo senza riflettere la
sua immagine, la quale è resa viva in noi dalla grazia e
dall'opera dello Spirito. La docilità allo Spirito impegna
poi ad accogliere i doni della fortezza e del discernimento,
che sono tratti essenziali della stessa spiritualità.
Emblematico è il caso degli apostoli, che durante la vita
pubblica del Maestro, nonostante il loro amore per lui e la
generosità della risposta alla sua chiamata, si dimostrano
incapaci di comprendere le sue parole e restii a seguirlo
sulla via della sofferenza e dell'umiliazione. Lo Spirito li
trasformerà in testimoni coraggiosi del Cristo e annunziatori
illuminati della sua Parola: sarà lo Spirito a condurli per
le vie ardue e nuove della missione. Anche oggi la missione
rimane difficile e complessa come in passato e richiede
ugualmente il coraggio e la luce dello Spirito: viviamo spesso
il dramma della prima comunità cristiana, che vedeva forze
incredule e ostili «radunarsi insieme contro il Signore e
contro il suo Cristo». (At4,26) Come allora, oggi
occorre pregare, perché Dio ci doni la franchezza di
proclamare il vangelo; occorre scrutare le vie misteriose
dello Spirito e lasciarsi da lui condurre in tutta la verità.
(Gv16,13)
Vivere il mistero di
Cristo «inviato»
88. Nota essenziale della
spiritualità missionaria è la comunione intima con Cristo:
non si può comprendere e vivere la missione, se non
riferendosi a Cristo come l'inviato a evangelizzare. Paolo ne
descrive gli atteggiamenti: «Abbiate in voi gli stessi
sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo
di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la
condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in
forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla
morte e alla morte di croce». (Fil2,5) È qui
descritto il mistero dell'incarnazione e della redenzione,
come spoliazione totale di sé, che porta Cristo a vivere in
pieno la condizione umana e ad aderire fino in fondo al
disegno del Padre. Si tratta di un annientamento, che però è
permeato di amore ed esprime l'amore. La missione percorre
questa stessa via e ha il suo punto di arrivo ai piedi della
croce. Al missionario è chiesto «di rinunziare a se stesso e
a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio e a
farsi tutto a tutti»: (172) nella povertà che lo rende
libero per il vangelo, nel distacco da persone e beni del
proprio ambiente per farsi fratello di coloro ai quali è
mandato, onde portare a essi il Cristo salvatore. È a questo
che è finalizzata la spiritualità del missionario: «Mi sono
fatto debole con i deboli...; mi sono fatto tutto a tutti, per
salvare a ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il
vangelo...». (1Cor9,22) Proprio perché «inviato»,
il missionario sperimenta la presenza confortatrice di Cristo,
che lo accompagna in ogni momento della sua vita «Non aver
paura.... perché io sono con te» (At18,9) e lo
aspetta nel cuore di ogni uomo.
Amare la Chiesa e
gli uomini come li ha amati Gesù
89. La spiritualità
missionaria si caratterizza, altresì, per la carità
apostolica, quella del Cristo che venne «per riunire insieme
i figli di Dio che erano dispersi» (Gv11,52) buon
Pastore che conosce le sue pecore, le ricerca e offre la sua
vita per loro. (Gv10,1) Chi ha spirito missionario
sente l'ardore di Cristo per le anime e ama la chiesa, come
Cristo. Il missionario è spinto dallo «zelo per le anime»,
che si ispira alla carità stessa di Cristo, fatta di
attenzione, tenerezza, compassione, accoglienza, disponibilità,
interessamento ai problemi della gente. L'amore di Gesù è
molto profondo: egli, che «sapeva quello che c'è in ogni
uomo» (Gv2,25) amava tutti offrendo loro la redenzione
e soffriva quando questa veniva rifiutata. Il missionario è
l'uomo della carità: per poter annunziare a ogni fratello che
è amato da Dio e che può lui stesso amare, egli deve
testimoniare la carità verso tutti, spendendo la vita per il
prossimo. Il missionario è il «fratello universale», porta
in sé lo spirito della chiesa, la sua apertura e interesse
per tutti i popoli e per tutti gli uomini, specie i più
piccoli e poveri. Come tale, supera le frontiere e le
divisioni di razza, casta o ideologia: è segno dell'amore di
Dio nel mondo, che è amore senza nessuna esclusione né
preferenza. Infine, come Cristo egli deve amare la chiesa: «Cristo
ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei». (Ef5,25)
Questo amore, spinto fino a dare la vita, è per lui un punto
di riferimento. Solo un amore profondo per la chiesa può
sostenere lo zelo del missionario; il suo assillo quotidiano -
come dice san Paolo - è «la preoccupazione per tutte le
chiese». (2Cor11,28) Per ogni missionario «la fedeltà
a Cristo non può essere separata dalla fedeltà alla sua
chiesa». (173)
Il vero missionario
è il santo
90. La chiamata alla
missione deriva di per sé dalla chiamata alla santità. Ogni
missionario è autenticamente tale solo se si impegna nella
via della santità: «La santità deve dirsi un presupposto
fondamentale e una condizione del tutto insostituibile perché
si compia la missione di salvezza della chiesa». (174)
L'universale vocazione alla santità è strettamente collegata
all'universale vocazione alla missione. ogni fedele è
chiamato alla santità e alla missione. Tale è stato il voto
ardente del concilio nell'auspicare «con la luce di Cristo,
riflessa sul volto della chiesa, di illuminare tutti gli
uomini, annunziando il vangelo a ogni creatura». (175) La
spiritualità missionaria della chiesa è un cammino verso la
santità. La rinnovata spinta verso la missione ad gentes
esige missionari santi. Non basta rinnovare i metodi
pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze
ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le basi
bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo
«ardore di santità» fra i missionari e in tutta la comunità
cristiana, in particolare fra coloro che sono i più stretti
collaboratori dei missionari. (176) Ripensiamo, cari fratelli
e sorelle, allo slancio missionario delle prime comunità
cristiane. Nonostante la scarsezza dei mezzi di trasporto e
comunicazione di allora, l'annunzio evangelico raggiunse in
breve tempo i confini del mondo. E si trattava della religione
del figlio dell'uomo morto in croce, «scandalo per gli ebrei
e stoltezza per i gentili»! (1Cor1,23) Alla base di un
tale dinamismo missionario c'era la santità dei primi
cristiani e delle prime comunità.
91. Mi rivolgo, perciò,
ai battezzati delle giovani comunità e delle giovani chiese.
Siete voi, oggi, la speranza di questa nostra chiesa, che ha
duemila anni: essendo giovani nella fede, dovete essere come i
primi cristiani, e irradiare entusiasmo e coraggio, in
generosa dedizione a Dio e al prossimo; in una parola, dovete
mettervi sulla via della santità. Solo così potete essere
segno di Dio nel mondo e rivivere nei vostri paesi l'epopea
missionaria della chiesa primitiva. E sarete anche fermento di
spirito missionario per le chiese più antiche. Da parte loro,
i missionari riflettano sul dovere della santità, che il dono
della vocazione richiede da essi, rinnovandosi di giorno in
giorno nel loro spirito e aggiornando anche la loro formazione
dottrinale e pastorale. Il missionario deve essere «un
contemplativo in azione». Egli trova risposta ai problemi
nella luce della parola di Dio e nella preghiera personale e
comunitaria. Il contatto con i rappresentanti delle tradizioni
spirituali non cristiane, in particolare di quelle dell'Asia,
mi ha dato conferma che il futuro della missione dipende in
gran parte dalla contemplazione. Il missionario, se non è un
contemplativo, non può annunziare il Cristo in modo
credibile. Egli è un testimone dell'esperienza di Dio e deve
poter dire come gli apostoli: «Ciò che noi abbiamo
contemplato, ossia il Verbo della vita. . ., noi lo annunziamo
a voi». (1Gv1,1) Il missionario è l'uomo delle
beatitudini. Gesù istruisce i Dodici prima di mandarli a
evangelizzare, indicando loro le vie della missione: povertà,
mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni,
desiderio di giustizia e di pace, carità, cioè proprio le
beatitudini, attuate nella vita apostolica. (Mt5,1)
Vivendo le beatitudini, il missionario sperimenta e dimostra
concretamente che il regno di Dio è già venuto e egli lo ha
accolto. La caratteristica di ogni vita missionaria autentica
è la gioia interiore che viene dalla fede. In un mondo
angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende al
pessimismo, l'annunziatore della «buona novella» deve essere
un uomo che ha trovato in Cristo la vera speranza.
CONCLUSIONE
92. Mai come oggi la
chiesa ha l'opportunità di far giungere il vangelo, con la
testimonianza e la parola, a tutti gli uomini e a tutti i
popoli. Vedo albeggiare una nuova epoca missionaria, che
diventerà giorno radioso e ricco di frutti, se tutti i
cristiani e, in particolare, i missionari e le giovani chiese
risponderanno con generosità e santità agli appelli e sfide
del nostro tempo. Come gli apostoli dopo l'ascensione di
Cristo, la chiesa deve radunarsi nel Cenacolo «con Maria, la
Madre di Gesù», (At1,14) per implorare lo Spirito e ottenere
forza e coraggio per adempiere il mandato missionario. Anche
noi, ben più degli apostoli, abbiamo bisogno di essere
trasformati e guidati dallo Spirito. Alla vigilia del terzo
millennio tuttora la chiesa è invitata a vivere più
profondamente il mistero di Cristo, collaborando con
gratitudine all'opera della salvezza. Ciò essa fa con Maria e
come Maria, sua madre e modello: è lei, Maria, il modello di
quell'amore materno dal quale devono essere animati tutti
quelli che, nella missione apostolica della chiesa, cooperano
alla rigenerazione degli uomini. Perciò, «confortata dalla
presenza di Cristo, la chiesa cammina nel tempo verso la
consumazione dei secoli e si muove incontro al Signore che
viene; ma in questo cammino... procede ricalcando l'itinerario
compiuto dalla Vergine Maria». (177) Alla «mediazione di
Maria, tutta orientata verso il Cristo e protesa alla
rivelazione della sua potenza salvifica», (178) affido la
chiesa e, in particolare, coloro che si impegnano per
l'attuazione del mandato missionario nel mondo di oggi. Come
Cristo inviò i suoi apostoli nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito santo, così, rinnovando lo stesso mandato, io
estendo a tutti voi la benedizione apostolica nel nome della
stessa Trinità santissima. Amen.
Dato a Roma, presso San
Pietro, il 7 dicembre - nel XXV anniversario del decreto
conciliare "Ad gentes" - dell'anno 1990, decimoterzo
del pontificato.
NOTE
(1) Cf. PAOLO VI,
Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 1972: «Quante
tensioni interne che debilitano e lacerano alcune chiese e
istituzioni locali, scomparirehbero di fronte alla ferma
convinzione che ia salvezza delle comunità locali si
conquista con la cooperazione all'opera missionaria, perché
questa sia estesa fino ai confini della terra!» (Insegnamenti
X 1972, 522)
(2) Cf. BENEDETTO XV,
epist. ap. Maximum illud (30 novembre 1919): AAS 1 1 ( 1919),
440-455; PioXI, lett.enc. Rerum ecclesiae (28febbraiol926):
AA518 (1926), 65-83; Pio XI, lett.enc. Evangelii praecones (2
giugno 1951): 43 (1951), 497-528; lett.enc. Fidei donum (21
aprile 1957): AAS 49 (1957), 225-248; GIOVANNI XXIII, lett.
enc. Princeps pastorum (28 novemhre 1959): AAS 51 (1959),
833-864.
(3) Lett. enc. Redemptor
hominis (4 marzo 1979), 10: AAS 71 (1979), 274s.
(4) Ibid., l.c., 275.
(5) Credo
niceno-costantinopolitano: Ds 150.
(6)
Lett. enc. Redemptor hominis, 13: hc., 283.
(7)
Cf. CONC. ECU M, VAT,
I I, cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium
et spes, 2.
(8)
Ibid., 22.
(9)
Lett. enc. Dives in
misericordia (30 novembre 1980), 7: AAS 72 (1980), 1202.
(10) Omelia della
celebrazione eucaristica a Cracovia, 10 giugno 1979: AAS 71
(1979), 873.
(11) GlOVANNl XXIII,
lett.enc.Materetmagistra(lSmaggio 1961), IV: AAS 53(1961), 45
1 -453.
(12) Dichiarazione sulla
libertà religiosa Dignitatis humanae, 2.
(13) PAOLO VI, esort. ap.
Evangeliinuntiancli(8 dicemhre 1975), 53: AAS 68 (1976), 42.
(14) Dichiarazione sulla
libertà religiosa Dignitatis humanae, 2.
(15) Cf. cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 14-17; decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gentes, 3.
(16) Cf. cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 48; cost. past. sulla chiesa nel mondo
contemporaneo Gaudium et spes, 43; decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gentes, 7. 21.
(17) Cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 13
(18) Cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 9
(19) Cost. past. sulla
chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22.
(20) Conc. Ecum. Vat II,
cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 14.
(21)
Lett. enc. Dives in misericordia, 1: l.c., 1177.
(22) CONC. ECUM. VAT II,
cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 5.
(23) CONC. ECUM. VAT II,
cost. dogm. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
spes, 22.
(24) Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 4.
(25) Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 5.
(26) Esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 16: l.c., 15.
(27) Discorso all'apertura
della III sessione del CONC. ECUM. VAT. II, 14 settembre 1964:
AAS 56 (1964), 810.
(28) PAOLO VI, esort. ap.
Evangelii nuntiandi, 34: l.c ., 28.
(29) Cf. COMMISSIONE
TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Temi scelti cl ecclesiologia nel Xx
anniversario della chiusura del CONC. ECUM. VAT. 11 (7 ottohre
1985), 10, ((L'indole escatologica della chiesa: regno di Dio
e chiesa».
(30) Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium
et spes, 39.
(31) Lett. enc. Dominum et
vivifcantem (18 maggio 1986), 42: AAS 78 (1986), 857.
(32) Ibid., 64: l.c. 892.
(33) Questo termine
corrisponde al greco parresìa, che significa anche
entusiasmo, vigore; cf. At 2, 29; 4, 13. 29. 31; 9, 27.28; 13,
46; 14, 3; 18, 26; 19, 8. 26; 28, 31.
(34) Cf. PAOLO VI, esort,
ap. Evangelii nuntiandi, 41-42: l.c., 31-33.
(35)
Cf. Iett. enc. Dominum et vivifcantem, 53: l.c., 874s.
(36)
Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
3.1 1.15; cost past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo
Gaudium et spes, 10-1 1. 22.26.38.41.92-93.
(37) CONC. ECUM. VAT. II,
cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
spes, 10.15.22.
(38)
Ibid., 41.
(39)
Cf. Lett. enc. Dominum
et vivifcantem, 54: l.c., 875s.
(40)
CONC. ECUM. VAT. II,
cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
pes, 26.
(41)
Ibid., 38, cf. 93.
(42)
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm. Lumen
gentium, 17; decreto sull'attività missionaria della chiesa
Ad gentes, 3. 15.
(43) CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 4.
(44)
Cf. Iett. enc. Dominum et vivificantem, 53: l.c., 874.
(45) Discorso ad esponenti
delle religioni non cristiane a Madras, 5 febbraio 1986; AAS
78 ( 1986), 767; cf. Messaggio ai popoli dell'Asia a Manila,
21 febbraio 1981, 2-4: AAS 73 (1981), 392s.; Discorso ai
rappresentanti delle religioni non cristiane a Tokyo, 24
febbraio 1981, 3-4: Insegnamenti IV/I (1981), 507s.
(46) Discorso ai cardinali
alla Famiglia pontificia e alla Curia e Prelatura romana, 22
dicembre 1986, 11: AAS 79 (1987), 1089.
(47)
Cost. dogm. Lumen gentium, 16.
(48)
CONC. ECUM. VAT. II,
cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
spes, 45; lett. enc. Dominum
et vivifcantem, 54: l.c., 876.
(49) CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attivita missionaria della chiesa Ad gentes, 10.
(50)
Esort. ap. Christifdeles laici (30 dicembre 1988), 35: AAS 81
(1989), 457.
(51) Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
6.
(52)
Cf. ibid.
(53)
Cf. ibid., 6.23.27.
(54) Cf. PAOLO VI, esort.
ap. Evangelii nuntiandi, 18-20; l.c., 17-19.
(55)
Esort. ap. Christifdeles laici, 35: l.c., 457.
(56) Esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 80: l.c., 73. 57Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 6.
(58) Esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 80: l.c., 73.
(59) Cf. decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 6.
(60) Cf. ibid., 20.
(61) Cf. Discorso ai
membri del simposio del Consiglio delle conferenze episcopali
di Europa, I I ottobre 1985: AAS 78 (1986), pp. 178-179.
(62) Esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 20: l.c., 19.
(63) CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 5;
cf. cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 8.
(64) Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae,
34; Paolo VI,esort.ap.Evangeliinuntiandi,79-80:1.c.,71-75;
Giovanni Paolo II, lett. enc. Redemptor
hominis, 12: l.c., 278-281.
(65)
Epist. ap. Maximum illud: l.c., 446.
(66) PAOLO VI, esort. ap.
Evangelii nuntiandi, 62: l.c., 52.
(67) Cf. De praescriptione
haereticorum, XX: CCL 1, 201 s.
(68) CONC ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 9;
cf. cap. II, 10-18.
(69) Cf. PAOLO VI, esort.
ap. Evangelii nuntiandi, 41: l.c. 31 s.
(70) Cf CONC. ECUM. VAT.
II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 28.35.38; cost.
past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
43; decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
11-12.
(71) Cf. PAOLO VI, lett.
enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 21.42: AAS 59
(1967), 267s., 278.
(72) PAOLO VI, esort. ap.
Evangelii nuntiandi, 27: l.c., 23.
(73) CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 13.
(74) Cf. PAOLO VI, esort.
ap. Evangelii nuntiandi, 15: l.c., 13-15; CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
13-14.
(75)
Cf. Iett. enc. Dominum et vivificantem, 42. 64:1..,
857-859, 892-894.
(76) Cf. PAOLO VI, esort.
ap. Evangelii nuntiandi, 60: l.c., 50s.
(77) Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 6-9.
(78) CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 2;
cf. cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 9.
(79) Cf. decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, cap. III,
19-22.
(80) CoNc. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 15.
(81) Ibid., 6.
(82) Ibid., 15; cf.
decreto sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, 3.
(83) Cf. esort. ap.
Evangelii nuntiandi, 58: l.c., 46-49.
(84) Assemblea
straordinaria del 1985, Relazione finale, Il, C, 6.
(85) Ibid., Il, D, 4.
(86) Cf.esort.ap.
Catechesitradendae (160ttobrel979), 53:AAS71(1979), 1320;epist.
enc. Slavorum apostoli (2 giugno 1985), 21: AAS 77 (1985),
802s.
(87) Cf. PAOLO VI, esort.
ap. Evangelii nuntiandi, 20: l.c., 18 s.
(88) Cf. Discorso ai
vescovi dello Zaire a Kinshasa, 3 maggio 1980, 4-6: A AS 72 (
1980), 432-435; Discorso ai vescovi del Kenya a Nairobi, 7
maggio 1980, 6: AAS 72 (1980), 497; Discorso ai vescovi dell'lndia
a Delhi, I febbraio 1986, 5: AAS 78 (1986), 748 s.; Omelia a
Cartagena, 6 luglio 1986, 7-8: AAS 79 (1987), 105 s.; cf.
anche epist. enc. Slavorum apostoli, 21-22: l.c., 802-804.
(89) Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
22.
(90) Cf. ibid.
(91) Cf. PAOLO VI, esort.
ap. Evangeliinuntiandi, 64: l.c., 55.
(92) Le chiese particolari
«hanno il compito di assimilare l'essenziale del messaggio
evangelico, di trasfonderlo, senza la minima alterazione della
sua verità fondamentale, nel linguaggio compreso da questi
uomini e quindi di annunziarlo nel medesimo linguaggio... E il
terrnine "linguaggio" dev'essere qui inteso non
tanto nel senso semantico o letterario, quanto in quello che
si può chiamare antropologico o culturale>) (Ibid., 63:
l.c., 53).
(93) Cf. Discorso
all'udienza generale del 13 aprile 1988: Insegnamenti, Xl/l
(1988), 77-88 1 .
(94) Esort. ap. Familiaris
consortio (22 novembre 1981), 10, in cui si tratta dell'inculturazione
«nell'ambito del matrimonio e della famiglia»: AAS 74
(1982), 91.
(95) Cf. PAOLO VI,
Evangelii nuntiandi, 63-65: l.c., 53-56.
(96) CONC. ECUM. VAT. II,
cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 17.
(97) Discorso ai
partecipanti al simposio dei vescovi dell'Africa a Kampala, 31
luglio 1969, 2: AAS 61 (1969), 577.
(98) PAOLO VI, Discorso
all'apertura della 1I Sessione del CONC. ECUM.
VAT. II, 29 settembre 1963: AAS 55 (1963), 858; cf. CONC. ECUM.
VAT. II, Dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le
religioni non cristiane Nostra aetate, 2; cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 16; decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, 9; PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 53: l.c., 41 s.
(99) Cf. PAOLO VI, lett.
enc. Ecclesiam suam (6 agosto 1964): AAS 56 (1964), 609-659:
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della
chiesa Ad gentes, I I . 41; SEGRETARIATO PER I NON CRISTIANI,
Latteggiamento della chiesa di fronte ai seguaci di altre
religioni - Riflessioni e orientamenti su dialogo e missione
(4 settembre 1984): AAS 76 (1984), 816-828.
(100) Lettera ai vescovi
dell'Asia in occasione della V Assemblea plenaria della
Federazione delle loro Conferenze episcopali (23 giugno 1990),
4: L'Osservatore Romano, 18 luglio 1990.
(101) CONC. ECUM. VAT. II,
cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 14; cf. deccreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 7.
(102) Cf. CoNc. EcuM. VAT.
II. decreto sull'ecumenismo Unitatisredintegratio,3; decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 7.
(103)
Cf. lett. enc. Redemptor hominis, 12: l.c., 279.
(104) CONC ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 11.
15.
(105) CONC. ECUM. VAT. II,
dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni
non cristiane Nostra aetate, 2
(106) Esort. ap.
Christifideles laici, 35: l.c., 458.
(107) Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
41.
(108) Lett. enc.
Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), 41: AAS 80
(1988), 570 s.
(109) Documenti della III
Conferenza generale dell'Episcopato latino-americano a Puebla
(1979): 3760 (1145).
(110) Discorso ai vescovi,
ai sacerdoti, alle religiose e ai religiosi a Jakarta, 10
ottobre 1989, 5: L'Osservatore Romano, 11 ottobre 1989.
(111) Cf. PAOLO VI, lett.
enc. Populorum progressio, 14-21; 40-42: l.c., 264-268, 277
s.; GIOVANNI PAOLO II, lett. enc. Sollicitudo rei socialis,
27-41: l.c., 547-572.
(112) Cf. Iett. enc.
Sollicitudo rei socialis, 28: l.c., 548-550.
(113)
Cf. ibid, cap. IV,
27-34: l.c., 547-560; cf. PAOLO VI, lett. enc. Populorum
progressio, 19-21. 41-42: l.c., 266-268, 277 s.
(114) Discorso agli
abitanti della favela Vidigal a Rio de Janeiro, 2 luglio 1980,
4: AAS 72 (1980), 854.
(115) Documenti della III
Conferenza generale dell'Episcopato latino-americano a Puebla
(1979): 3757 (1142).
(116) ISACCO DELLA STELLA,
Sermone 31: PL 194, 1793.
(117) CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 20.
(118) Esort. ap.
Christifideles laici, 35: l.c., 458.
(119) Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes.
38.
(120) Discorso ai membri
del sacro Collegio e a tutti i collaboratori della Curia
romana, della Città del Vaticano e del Vicariato di Roma, 28
giugno 1980, 10: Insegnamenti III/1 (1980), 1887.
(121) Cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 23.
(122) Decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gerltes, 38.
(123)
Ibid, 29.
(124)
Cf. Ibid., 38
(125) Ibid., 30.
(126) Docurnenti della III
Conferenza Generale dell'Episcopato latino-americano a Puebla
(1979): 2941 (368).
(127) Cf. note direttive
per la promozione della cooperazione mutua delle chiese
particolari e specialmente per la distribuzione più adatta
del clero Postquam apostoli (25 marzo 1980): AAS 72 (1980),
343-364.
(128) Cf. decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, cap. IV,
23-27.
(129)
Ibid., 23.
(130)
Ibid.
(131) Ibid., 23-27
(132) Cf. S. CONGREGAZIONE
PER I RELIGIOSI E GM ISTITUTI SECOLARI e S. CONGREGAZIONE PER
I VESCOVI, Note direttive per i rapporti mutui tra i vescovi e
i religiosi nella chiesa Mutuae relationes (14 maggio 1978),
14 b: AAS 70 (978), 482; cf. n. 28: l.c., 490.
(133) CONC ECUM VAT II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 27.
(134) CONC. ECUM. VAT 11,
decreto sul ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum
Ordinis, 10; cf. decreto sull'attività missionaria della
chiesa Ad gentes, 39.
(135) CONC. ECUM. VAT II,
decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius, 20. Cf.
«Guide de vie pastorale pour les pretres diocésains des églises
qui dépendent de la Congregation pour l'evangelisation des
peuples», Koma, 1989.
(136) Discorso ai
partecipanti alla plenaria della Congregazione per l'evangelizazione
dei popoli, 14 aprile 1989; 4: AAS 81 (1989), 1140.
(137) Messaggio per la
Giornata missionaria mondiale 1982: Insegnamenti V/2 ( 1982),
1879.
(138) Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, decreto suD'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
38; S. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, note direttive Postquam
apostoli, 24-25: l.c., 361.
(139) Cf. S. CONGREGAZIONE
PER IL CLERO note direttive Postquam apostoli, 29: 1. ., 362
s.; CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, 20.
(140) CIC, can. 783
(141) Decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gentes, 40.
(142) Cf. PAOLO VI, esort.
ap. Evangelii
nuntiandi, 69: l.c., 58 s.
(143)
Lett. ap. Mulieris dignitatem, (15 agosto 1988), 20: AAS 80
(1988) 1703.
(144)
Cf. Plo Xll, lett. enc. Evangelii praecones: l.c., 510 ss.;
lett. enc. Fidei donum: l.c., 228 ss.; GIOVANNI XXIII, lett.
enc. Princeps pastorum:
l.c., 855 ss.; PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi,
70-73: l.c., 59-63.
(145) Esort. ap.
Christifideles laici, 35: l.c., 457.
(146) Cf. Iett. enc.
Evangelii praecones, l.c., 510-514.
(147) Cf. cost. dogm.
sulla chiesa Lumen gentium, 17.33 ss.
(148) Cf. decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 35-36.41.
(149)
Esort. ap. Christifideles laici, 14: l.c., 410.
(150)
CIC, can.225, 1;cf. CONC. ECUM.
VAT. II, decreto sull'apostolato dei laici Apostolicam
actuositatem, 6.13.
(151) CONC. ECUM. VAT. II,
cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium 31; cf. CIC, can. 225,
2.
(152) PAOLO VI, esort. ap.
Evangelii nuntiandi, 70: l.c.,60.
(153)
Esort. ap. Christifideles laici, 35: l.c., 458.
(154)
CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 17.
(155) Esort. ap. Catechesi
tradendae, 66: l.c., 1331.
(156) cf. can. 785,1.
(157) Decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gentes, 17.
(158) Cf. Assemblea
plenaria della S. Congregazione per l'evangelizzazione dei
popoli del 1969 sui catechisti e la relativa «Istruzione»
dell'aprile 1970: Bibliograf a missionaria 34 (1970), 197-212,
e S.C. de Propaganda Fide Memoria Rerum, III/2 (1976), 821-831
.
(159) CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 28.
(160)
Cost. ap. Pastor bonus (28 giugno 1988), 85: AAS 80 (1988),
881; cf. CONC. ECUM.
VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad
gentes, 29.
(161) CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 29;
cf. GIOVANNI PAOLO II, cost. ap. Pastor bonus, 86: l.c., 882.
(162) Decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gentes, 31.
(163) Cf. ibid ., 33.
(164) Cf. PAOLO VI, lett.
ap. in forma di motu-proprio Ecclesiae sanctae (6 agosto
1966), II, 43: AAS 58 (1966), 782.
(165) Cf. CONC. ECUM .
VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad
gentes, 34; PAOLO VI, lett. ap. in forma di motu-proprio
Ecclesiae sanctae, III, 22: l.c., 787.
(166) CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 35;
cf. CIC, cann. 211.781.
(167)
Esort. ap. Familiaris consortio, 54: l.c., 147.
(168) Cf. PAOLO VI, epist.
ap. Graves
et increscentes (5 settembre 1966): AAS 58 (1966), 750-756.
(169) p. MANNA, Le nostre
«chiese» e la propagazione del vangelo, Trentola Ducenta,
19522, p. 35.
(170) CONC ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 38.
(171) Cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 13.
(172) CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 24.
(173) CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sul ministero e sulla vita sacerdotale Presbyterorum
Ordinis, 14.
(174) Esort. ap.
Christifideles laici, 17: l.c., 419.
(175) Cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 1.
(176) Cf. Discorso
all'Assemblea del CELAM a Port-au Prince, 9 marzo 1983: AAS 75
(1983), 171-779; Omelia per l'apertura del «novenario di anni»,
promosso dal CELAM a Santo Domingo, 12 ottobre 1984:
InsegnamentiVII/2 (1984), 885-897.
(177)
Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), 2: AAS 79
(1987), 362 s.
(178)
Ibid.. 22: l.c., 390
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