LETTERA
ENCICLICA
SOLLICITUDO
REI SOCIALIS
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
NEL VENTESIMO ANNIVERSARIO
DELLA"POPULORUM PROGRESSIO"
Venerati Fratelli,
carissimi Figli e Figlie,
salute e Apostolica Benedizione
CAPITOLO
I
INTRODUZIONE
1. La sollecitudine
sociale della Chiesa, finalizzata ad un autentico sviluppo
dell'uomo e della società, che rispetti e promuova la persona
umana in tutte le sue dimensioni, si è sempre espressa nei
modi più svariati. Uno dei mezzi privilegiati di intervento
è stato nei tempi recenti il Magistero dei Romani Pontefici,
che, partendo dall'Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII come
da un punto di riferimento, (1) ha trattato di frequente la
questione facendo alcune volte coincidere le date di
pubblicazione dei vari documenti sociali con gli anniversari
di quel primo documento. (2) Né i Sommi Pontefici hanno
trascurato di illuminare con tali interventi anche aspetti
nuovi della dottrina sociale della Chiesa. Pertanto,
cominciando dal validissimo apporto di Leone XIII, arricchito
dai successivi contributi magisteriali, si è ormai costituito
un aggiornato «corpus» dottrinale, che si articola man mano
che la Chiesa, nella pienezza della Parola rivelata da Cristo
Gesù (3) e con l'assistenza dello Spirito Santo (Gv14,16);
(Gv16,13), va leggendo gli avvenimenti mentre si
svolgono nel corso della storia. Essa cerca così di guidare
gli uomini a rispondere, anche con l'ausilio della riflessione
razionale e delle scienze umane, alla loro vocazione di
costruttori responsabili della società terrena.
2. In tale cospicuo corpo
di insegnamento sociale si inserisce e distingue l'Enciclica
Populorum Progressio, (4) che il mio venerato predecessore
Paolo VI pubblicò il 26 marzo 1967. La perdurante attualità
di questa Enciclica si riconosce agevolmente registrando la
serie di commemorazioni che si sono tenute durante questo
anno, in varie forme e in molti ambienti del mondo
ecclesiastico e civile. A questo medesimo scopo la Pontificia
Commissione Iustitia et Pax inviò l'anno scorso una lettera
circolare ai Sinodi delle Chiese cattoliche Orientali e alle
Conferenze Episcopali, sollecitando opinioni e proposte circa
il modo migliore di celebrare l'anniversario dell'Enciclica,
arricchirne gli insegnamenti ed all'occorrenza attualizzarli.
La stessa Commissione promosse, alla scadenza del ventesimo
anniversario, una solenne commemorazione, alla quale volli
prender parte tenendo l'allocuzione conclusiva. (5) Ed ora,
prendendo anche in considerazione i contenuti delle risposte
alla citata circolare credo opportuno, a chiusura dell'anno
1987, dedicare un'Enciclica alla tematica della Populorum
Progressio.
3. Con ciò intendo
raggiungere principalmente due obiettivi di non piccola
importanza: da una parte, rendere omaggio a questo storico
documento di Paolo VI e al suo insegnamento; dall'altra, nella
linea tracciata dai miei venerati predecessori sulla Cattedra
di Pietro, riaffermare la continuità della dottrina sociale
ed insieme il suo costante rinnovamento. In effetti, continuità
e rinnovamento sono una riprova del perenne valore
dell'insegnamento della Chiesa. Questa doppia connotazione e
tipica del suo insegnamento nella sfera sociale. Esso, da un
lato, è costante perché si mantiene identico nella sua
ispirazione di fondo, nei suoi «principi di riflessione»,
nei suoi «criteri di giudizio», nelle sue basilari «direttrici
di azione» (6) e, soprattutto, nel suo vitale collegamento
col Vangelo del Signore; dall'altro lato, è sempre nuovo,
perché è soggetto ai necessari e opportuni adattamenti
suggeriti dal variare delle condizioni storiche e
dall'incessante fluire degli avvenimenti, in cui si muove la
vita degli uomini e delle società.
4. Nella convinzione che
gli insegnamenti dell'Enciclica Populorum Progressio,
indirizzata agli uomini ed alla società degli anni Sessanta,
conservano tutta la loro forza di richiamo alla coscienza
oggi, sullo scorcio degli anni Ottanta, nello sforzo di
indicare le linee portanti del mondo odierno_sempre
nell'ottica del motivo ispiratore, lo «sviluppo dei popoli»,
ancora ben lontano dall'essere raggiunto_, mi propongo di
prolungarne l'eco, collegandoli con le possibili applicazioni
al presente momento storico, non meno drammatico di quello di
venti anni fa. Il tempo_lo sappiamo bene_scorre sempre secondo
il medesimo ritmo; oggi, tuttavia, si ha l'impressione che sia
sottoposto a un moto di continua accelerazione, in ragione
soprattutto della moltiplicazione e complessità dei fenomeni
in mezzo ai quali viviamo. Di conseguenza, la configurazione
del mondo, nel corso degli ultimi venti anni, pur conservando
alcune costanti fondamentali, ha subito notevoli cambiamenti e
presenta aspetti del tutto nuovi. Questo periodo di tempo,
caratterizzato alla vigilia del terzo Millennio cristiano da
una diffusa attesa, quasi di un nuovo «avvento», (7) che in
qualche modo tocca tutti gli uomini, offre l'occasione di
approfondire l'insegnamento dell'Enciclica, per vederne anche
le prospettive. La presente riflessione ha lo scopo di
sottolineare, con l'aiuto dell'indagine teologica sulla realtà
contemporanea, la necessità di una concezione più ricca e
differenziata dello sviluppo, secondo le proposte
dell'Enciclica, e di indicare alcune forme di attuazione.
Nella convinzione che gli insegnamenti dell'Enciclica
Populorum Progressio, indirizzata agli uomini ed alla società
degli anni Sessanta, conservano tutta la loro forza di
richiamo alla coscienza oggi, sullo scorcio degli anni
Ottanta, nello sforzo di indicare le linee portanti del mondo
odierno_sempre nell'ottica del motivo ispiratore, lo «sviluppo
dei popoli», ancora ben lontano dall'essere raggiunto_, mi
propongo di prolungarne l'eco, collegandoli con le possibili
applicazioni al presente momento storico, non meno drammatico
di quello di venti anni fa. Il tempo_lo sappiamo bene_scorre
sempre secondo il medesimo ritmo; oggi, tuttavia, si ha
l'impressione che sia sottoposto a un moto di continua
accelerazione, in ragione soprattutto della moltiplicazione e
complessità dei fenomeni in mezzo ai quali viviamo. Di
conseguenza, la configurazione del mondo, nel corso degli
ultimi venti anni, pur conservando alcune costanti
fondamentali, ha subito notevoli cambiamenti e presenta
aspetti del tutto nuovi. Questo periodo di tempo,
caratterizzato alla vigilia del terzo Millennio cristiano da
una diffusa attesa, quasi di un nuovo «avvento», (7) che in
qualche modo tocca tutti gli uomini, offre l'occasione di
approfondire l'insegnamento dell'Enciclica, per vederne anche
le prospettive. La presente riflessione ha lo scopo di
sottolineare, con l'aiuto dell'indagine teologica sulla realtà
contemporanea, la necessità di una concezione più ricca e
differenziata dello sviluppo, secondo le proposte
dell'Enciclica, e di indicare alcune forme di attuazione.
CAPITOLO
II
NOVITÀ
DELL'ENCICLICA "POPULORUM PROGRESSIO"
5. Già al suo apparire,
il documento di Papa Paolo VI richiamò l'attenzione
dell'opinione pubblica per la sua novità. Si ebbe modo di
verificare, in concreto e con grande chiarezza, dette
caratteristiche della continuità e del rinnovamento
all'interno della dottrina sociale della Chiesa. Perciò,
l'intento di riscoprire numerosi aspetti di questo
insegnamento, mediante una rilettura attenta dell'Enciclica,
costituirà il filo conduttore delle presenti riflessioni. Ma
prima desidero soffermarmi sulla data di pubblicazione: l'anno
1967. Il fatto stesso che il Papa Paolo VI prese la decisione
di pubblicare una sua Enciclica sociale in quell'anno, invita
a considerare il documento in relazione al Concilio Ecumenico
Vaticano II, che si era chiuso l'8 dicembre 1965.
6. In tale fatto dobbiamo
vedere qualcosa di più che una semplice vicinanza
cronologica. L'Enciclica Populorum Progressio si pone, in
certo modo, quale documento di applicazione degli insegnamenti
del Concilio. E ciò non tanto perché essa fa continui
riferimenti ai testi conciliari, (8) quanto perché scaturisce
dalla preoccupazione della Chiesa, che ispirò tutto il lavoro
conciliare_in particolar modo la Costituzione pastorale
Gaudium et spes_nel coordinare e sviluppare non pochi temi del
suo insegnamento sociale. Possiamo affermare, pertanto, che
l'Enciclica Populorum Progressio è come la risposta
all'appello conciliare, col quale ha inizio la Costituzione
Gaudium et spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti
coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è
più genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».
(9) Queste parole esprimono il motivo fondamentale che ispirò
il grande documento del Concilio, il quale parte dalla
constatazione dello stato di miseria e di sottosviluppo, in
cui vivono milioni e milioni di esseri umani. Questa miseria e
sottosviluppo sono, sotto altro nome, «le tristezze e le
angosce» di oggi, «dei poveri soprattutto»: di fronte a
questo vasto panorama di dolore e di sofferenza, il Concilio
vuole prospettare orizzonti di gioia e di speranza. Al
medesimo obiettivo punta l'Enciclica di Paolo VI, in piena
fedeltà all'ispirazione conciliare.
7. Ma anche nell'ordine
tematico l'Enciclica, attenendosi alla grande tradizione
dell'insegnamento sociale della Chiesa, riprende in maniera
diretta la nuova esposizione e la ricca sintesi, che il
Concilio ha elaborato segnatamente nella Costituzione Gaudium
et spes. Quanto ai contenuti e temi, riproposti
dall'Enciclica, sono da sottolineare: la coscienza del dovere
che ha la Chiesa, «esperta in umanità», di «scrutare i
segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo»;
(10) la coscienza, egualmente profonda, della sua missione di
«servizio», distinta dalla funzione dello Stato, anche
quando essa si preoccupa della sorte delle persone in
concreto; (11) il riferimento alle differenze clamorose nelle
situazioni di queste stesse persone; (12) la conferma
dell'insegnamento conciliare, eco fedele della tradizione
secolare della Chiesa, circa la «destinazione universale dei
beni»; (13) l'apprezzamento della cultura e della civiltà
tecnica che contribuiscono alla liberazione dell'uomo, (14)
senza trascurare di riconoscere i loro limiti; (15) infine,
sul tema dello sviluppo, che è proprio dell'Enciclica,
l'insistenza sul «dovere gravissimo», che incombe sulle
Nazioni più sviluppate, di «aiutare i Paesi in via di
sviluppo». (16) Lo stesso concetto di sviluppo, proposto
dall'Enciclica, scaturisce direttamente dall'impostazione che
la Costituzione pastorale dà a questo problema. (17) Questi
ed altri espliciti riferimenti alla Costituzione pastorale
portano alla conclusione che l'Enciclica si presenta come
applicazione dell'insegnamento conciliare in materia sociale
al problema specifico dello sviluppo e del sottosviluppo dei
popoli.
8. La breve analisi, ora
fatta, ci aiuta a valutar meglio la novità dell'Enciclica,
che si può precisare in tre punti. Il primo è costituito dal
fatto stesso di un documento, emanato dalla massima autorità
della Chiesa cattolica e destinato, a un tempo, alla stessa
Chiesa e «a tutti gli uomini di buona volontà», (18) sopra
una materia che a prima vista è solo economica e sociale: lo
sviluppo dei popoli. Qui il termine «sviluppo» è desunto
dal vocabolario delle scienze sociali ed economiche. Sotto
tale profilo l'Enciclica Populorum Progressio si colloca
direttamente nel solco dell'Enciclica Rerum Novarum, che
tratta della «condizione degli operai». (19) Considerati
superficialmente, entrambi i temi potrebbero sembrare estranei
alla legittima preoccupazione della Chiesa vista come
istituzione religiosa; anzi, lo «sviluppo» ancor più della
«condizione operaia».
In continuità con
l'Enciclica di Leone XIII, al documento di Paolo VI bisogna
riconoscere il merito di aver sottolineato il carattere etico
e culturale della problematica relativa allo sviluppo e,
parimenti, la legittimità e la necessità dell'intervento in
tale campo da parte della Chiesa. Con ciò la dottrina sociale
cristiana ha rivendicato ancora una volta il suo carattere di
applicazione della Parola di Dio alla vita degli uomini e
della società così come alle realtà terrene, che ad esse si
connettono, offrendo «principi di riflessione», «criteri di
giudizio» e «direttrici di azione». (20) Ora, nel documento
di Paolo VI si ritrovano tutti i tre elementi con un
orientamento prevalentemente pratico, ordinato cioè alla
condotta morale. Di conseguenza, quando la Chiesa si occupa
dello «sviluppo dei popoli», non può essere accusata di
oltrepassare il suo campo specifico di competenza e, tanto
meno, il mandato ricevuto dal Signore.
9. Il secondo punto è la
novità della Populorum Progressio, quale si rivela
dall'ampiezza di orizzonte aperto a quella che comunemente è
conosciuta come la «questione sociale». In verità,
l'Enciclica Mater et Magistra di Papa Giovanni XXIII era già
entrata in questo più ampio orizzonte (21) ed il Concilio se
ne era fatto eco nella Costituzione Gaudium et spes. (22)
Tuttavia, il magistero sociale della Chiesa non era ancora
giunto ad affermare in tutta chiarezza che la questione
sociale ha acquistato dimensione mondiale, (23) né aveva
fatto di questa affermazione, e dell'analisi che l'accompagna,
una «direttrice di azione», come fa Papa Paolo VI nella sua
Enciclica. Una simile presa di posizione così esplicita offre
una grande ricchezza di contenuti, che è opportuno indicare.
Anzitutto, occorre
eliminare un possibile equivoco. Riconoscere che la «questione
sociale» abbia assunto una dimensione mondiale, non significa
affatto che sia venuta meno la sua forza d ,incidenza, o che
abbia perduto la sua importanza nell'ambito nazionale e
locale. Significa, al contrario, che le problematiche nelle
imprese di lavoro o nel movimento operaio e sindacale di un
determinato Paese o regione non sono da considerare isole
sparse senza collegamenti, ma che dipendono in misura
crescente dall'influsso di fattori esistenti al di là dei
confini regionali e delle frontiere nazionali. Purtroppo,
sotto il profilo economico, i Paesi in via di sviluppo sono
molti di più di quelli sviluppati: le moltitudini umane prive
dei beni e dei servizi, offerti dallo sviluppo, sono assai più
numerose di quelle che ne dispongono. Siamo, dunque, di fronte
a un grave problema di diseguale distribuzione dei mezzi di
sussistenza, destinati in origine a tutti gli uomini, e così
pure dei benefici da essi derivanti. E ciò avviene non per
responsabilità delle popolazioni disagiate, né tanto meno
per una specie di fatalità dipendente dalle condizioni
naturali o dall'insieme delle circostanze. L'Enciclica di
Paolo VI, nel dichiarare che la questione sociale ha
acquistato dimensione mondiale, si propone prima di tutto di
segnalare un fatto morale, avente il suo fondamento
nell'analisi oggettiva della realtà. Secondo le parole stesse
dell'Enciclica, «ognuno deve prendere coscienza» di questo
fatto, (24) appunto perché tocca direttamente la coscienza,
ch'è fonte delle decisioni morali. In tale quadro, la novità
dell'Enciclica non consiste tanto nell'affermazione, di
carattere storico circa l'universalità della questione
sociale quanto nella valutazione morale di questa realtà.
Perciò, i responsabili della cosa pubblica, i cittadini dei
Paesi ricchi personalmente considerati, specie se cristiani,
hanno l'obbligo morale_secondo il rispettivo grado di
responsabilità_di tenere in considerazione, nelle decisioni
personali e di governo, questo rapporto di universalità,
questa interdipendenza che sussiste tra i loro comportamenti e
la miseria e il sottosviluppo di tanti milioni di uomini. Con
maggior precisione l'Enciclica paolina traduce l'obbligo
morale come «dovere di solidarietà», (25) ed una tale
affermazione, anche se nel mondo molte situazioni sono
cambiate, ha oggi la stessa forza e validità di quando fu
scritta.
D'altra parte, senza
uscire dalle linee di questa visione morale, la novità
dell'Enciclica consiste anche nell'impostazione di fondo,
secondo cui la concezione stessa dello sviluppo, se lo si
considera nella prospettiva dell'interdipendenza universale,
cambia notevolmente. Il vero sviluppo non può consistere
nella semplice accumulazione di ricchezza e nella maggiore
disponibilità dei beni e servizi, se ciò si ottiene a prezzo
del sottosviluppo delle moltitudini, e senza la dovuta
considerazione per le dimensioni sociali, culturali e
spirituali dell'essere umano. (26)
10. Come terzo punto
l'Enciclica fornisce un considerevole apporto di novità alla
dottrina sociale della Chiesa nel suo complesso ed alla
concezione stessa di sviluppo.
Questa novità è
ravvisabile in una frase, che si legge nel paragrafo
conclusivo del documento e che può esser considerata come la
sua formula riassuntiva, oltre che la sua qualifica storica:
«Lo sviluppo è il nuovo nome della pace». (27) In realtà,
se la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale, è
perché l'esigenza di giustizia può essere soddisfatta solo
su questo stesso piano. Disattendere tale esigenza potrebbe
favorire l'insorgere di una tentazione di risposta violenta da
parte delle vittime dell'ingiustizia, come avviene all'origine
di molte guerre. Le popolazioni escluse dalla equa
distribuzione dei beni destinati originariamente a tutti,
potrebbero domandarsi: perché non rispondere con la violenza
a quanti ci trattano per primi con la violenza? E se si
esamina la situazione alla luce della divisione del mondo in
blocchi ideologici_già esistente nel 1967_e delle conseguenti
ripercussioni e dipendenze economiche e politiche, il pericolo
risulta ben maggiore.
A questa prima
considerazione sul drammatico contenuto della formula
dell'Enciclica se ne aggiunge un'altra, a cui lo stesso
documento fa allusione: (28) come giustificare il fatto che
ingenti somme di danaro che potrebbero e dovrebbero essere
destinate a incrementare lo sviluppo dei popoli, sono invece
utilizzate per l'arricchimento di individui o di gruppi,
ovvero assegnate all'ampliamento degli arsenali di armi, sia
nei Paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo,
sconvolgendo così le vere priorità? Ciò è ancor più grave
attese le difficoltà che non di rado ostacolano il passaggio
diretto dei capitali destinati a portare aiuto ai Paesi in
condizione di bisogno. Se «lo sviluppo è il nuovo nome della
pace», la guerra e i preparativi militari sono il maggior
nemico dello sviluppo integrale dei popoli.
In tal modo, alla luce
dell'espressione di Papa Paolo VI, siamo invitati a rivedere
il concetto di sviluppo, che non coincide certamente con
quello che si limita a soddisfare le necessità materiali
mediante la crescita dei beni, senza prestare attenzione alle
sofferenze dei più e facendo dell'egoismo delle persone e
delle Nazioni la principale motivazione. Come acutamente ci
ricorda la Lettera di san Giacomo, è da qui che «derivano le
guerre e le liti. [...] Non vengono forse dalle vostre
passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non
riuscite a possedere» (Gc4,1). Al contrario, in un
mondo diverso, dominato dalla sollecitudine per il bene comune
di tutta l'umanità, ossia dalla preoccupazione per lo «sviluppo
spirituale e umano di tutti», anziché dalla ricerca del
profitto particolare, la pace sarebbe possibile come frutto di
una «giustizia più perfetta tra gli uomini». (29)
Anche questa novità
dell'Enciclica ha un valore permanente ed attuale, considerata
la mentalità di oggi che è così sensibile all'intimo legame
esistente tra il rispetto della giustizia e l'instaurazione
della vera pace.
CAPITOLO
III
PANORAMA
DEL MONDO CONTEMPORANEO
11. L'insegnamento
fondamentale dell'Enciclica Populorum Progressio ebbe a suo
tempo grande risonanza per il suo carattere di novità. Il
contesto sociale, nel quale viviamo oggi, non si può dire del
tutto identico a quello di venti anni fa. E perciò vorrei ora
soffermarmi, con una breve esposizione, su alcune
caratteristiche del mondo odierno al fine di approfondire
l'insegnamento dell'Enciclica di Paolo VI, sempre sotto il
punto di vista dello «sviluppo dei popoli».
12. Il primo fatto da
rilevare è che le speranze di sviluppo, allora così vive,
appaiono oggi molto lontane dalla realizzazione. In proposito,
l'Enciclica non si faceva illusioni. Il suo linguaggio grave,
a volte drammatico, si limitava a sottolineare la pesantezza
della situazione ed a proporre alla coscienza di tutti
l'obbligo urgente di contribuire a risolverla. In quegli anni
era diffuso un certo ottimismo circa la possibilità di
colmare, senza sforzi eccessivi, il ritardo economico dei
popoli poveri, di dotarli di infrastrutture ed assisterli nel
processo di industrializzazione. In quel contesto storico, al
di là degli sforzi di ogni Paese, l'Organizzazione delle
Nazioni Unite promosse consecutivamente due decenni di
sviluppo. (30) Furono prese, infatti, alcune misure,
bilaterali e multilaterali, per venire in aiuto a molte
Nazioni, alcune indipendenti da tempo, altre_per la maggior
parte_nate appena come Stati dal processo di decolonizzazione.
Da parte sua, la Chiesa sentì il dovere di approfondire i
problemi posti dalla nuova situazione, pensando di sostenere
con la sua ispirazione religiosa ed umana questi sforzi, per
dar loro un'«anima» ed un impulso efficace.
13. Non si può dire che
queste diverse iniziative religiose, umane, economiche e
tecniche siano state vane, dato che hanno potuto raggiungere
alcuni risultati. Ma in linea generale, tenendo conto dei
diversi fattori, non si può negare che la presente situazione
del mondo, sotto questo profilo dello sviluppo, offra
un'impressione piuttosto negativa. Per questo desidero
richiamare l'attenzione su alcuni indici generici, senza
escluderne altri specifici. Tralasciando l'analisi di cifre o
statistiche, è sufficiente guardare la realtà di una
moltitudine innumerevole di uomini e donne, bambini, adulti e
anziani, vale a dire di concrete ed irripetibili persone
umane, che soffrono sotto il peso intollerabile della miseria.
Sono molti milioni coloro che son privi di speranza per il
fatto che, in molte parti della terra, la loro situazione si
è sensibilmente aggravata. Di fronte a questi drammi di
totale indigenza e bisogno, in cui vivono tanti nostri
fratelli e sorelle, è lo stesso Signore Gesù che viene a
interpellarci (Mt25,31).
14. La prima costatazione
negativa da fare e la persistenza, e spesso l'allargamento del
fossato tra l'area del cosiddetto Nord sviluppato e quella del
Sud in via di sviluppo. Questa terminologia geografica è
soltanto indicativa, perché non si può ignorare che le
frontiere della ricchezza e della povertà attraversano al
loro interno le stesse società sia sviluppate che in via di
sviluppo. Difatti, come esistono diseguaglianze sociali fino a
livelli di miseria nei Paesi ricchi, così, parallelamente,
nei Paesi meno sviluppati si vedono non di rado manifestazioni
di egoismo e ostentazioni di ricchezza, tanto sconcertanti
quanto scandalose. All'abbondanza di beni e di servizi
disponibili in alcune parti del mondo, soprattutto nel Nord
sviluppato, corrisponde nel Sud un inammissibile ritardo, ed
è proprio in questa fascia geo-politica che vive la maggior
parte del genere umano. A guardare la gamma dei vari
settori_produzione e distribuzione dei viveri, igiene, salute
e abitazione, disponibilità di acqua potabile, condizioni di
lavoro, specie femminile, durata della vita ed altri indici
economici e sociali_, il quadro generale risulta deludente, a
considerarlo sia in se stesso sia in relazione ai dati
corrispondenti dei Paesi più sviluppati. La parola «fossato»
ritorna spontanea sulle labbra. Forse non è questo il
vocabolo appropriato per indicare la vera realtà, in quanto
può dare l'impressione di un fenomeno stazionario. Non è così.
Nel cammino dei Paesi sviluppati e in via di sviluppo si è
verificata in questi anni una diversa velocità di
accelerazione, che porta ad allargare le distanze. Così, i
Paesi in via di sviluppo, specie i più poveri, vengono a
trovarsi in una situazione di gravissimo ritardo. Occorre
aggiungere ancora le differenze di cultura e dei sistemi di
valori tra i vari gruppi di popolazione, che non sempre
coincidono col grado di sviluppo economico, ma che
contribuiscono a creare distanze. Sono questi gli elementi e
gli aspetti che rendono molto più complessa la questione
sociale, appunto perché ha assunto dimensione universale.
Osservando le varie parti
del mondo separate dalla crescente distanza di un tale
fossato, notando come ognuna di esse sembra seguire una
propria rotta con proprie realizzazioni, si comprende perché
nel linguaggio corrente si parli di mondi diversi all'interno
del nostro unico mondo: Primo Mondo, Secondo Mondo, Terzo
Mondo, e talvolta Quarto Mondo. (31) Simili espressioni, che
non pretendono certo di classificare in modo esauriente tutti
i Paesi, appaiono significative: esse sono il segno della
diffusa sensazione che l'unità del mondo, in altri termini
l'unità del genere umano sia seriamente compromessa. Tale
fraseologia, al di là del suo valore più o meno obiettivo,
nasconde senza dubbio un contenuto morale, di fronte al quale
la Chiesa, che è «sacramento o segno e strumento [...]
dell'unità di tutto il genere umano», (32) non può rimanere
indifferente.
15. Il quadro
precedentemente tracciato sarebbe, però, incompleto, se agli
«indici economici e sociali» del sottosviluppo non si
aggiungessero altri indici egualmente negativi, anzi ancor più
preoccupanti, a cominciare dal piano culturale. Essi sono:
l'analfabetismo, la difficoltà o impossibilità di accedere
ai livelli superiori di istruzione, l'incapacità di
partecipare alla costruzione della propria Nazione, le diverse
forme di sfruttamento e di oppressione economica, sociale,
politica ed anche religiosa della persona umana e dei suoi
diritti, le discriminazioni di ogni tipo, specialmente quella
più odiosa fondata sulla differenza razziale. Se qualcuna di
queste piaghe si lamenta in aree del Nord più sviluppato
senza dubbio esse sono più frequenti, più durature e
difficili da estirpare nei Paesi in via di sviluppo e meno
avanzati.
Occorre rilevare che nel
mondo d'oggi, tra gli altri diritti, viene spesso soffocato il
diritto di iniziativa economica. Eppure si tratta di un
diritto importante non solo per il singolo individuo, ma anche
per il bene comune. L'esperienza ci dimostra che la negazione
di un tale diritto, o la sua limitazione in nome di una
pretesa «eguaglianza» di tutti nella società riduce, o
addirittura distrugge di fatto lo spirito d'iniziativa, cioè
la soggettività creativa del cittadino. Di conseguenza sorge,
in questo modo, non tanto una vera eguaglianza, quanto un «livellamento
in basso». Al posto dell'iniziativa creativa nasce la
passività, la dipendenza e la sottomissione all'apparato
burocratico che, come unico organo «disponente» e «decisionale»_se
non addirittura «possessore»_della totalità dei beni e
mezzi di produzione, mette tutti in una posizione di
dipendenza quasi assoluta, che è simile alla tradizionale
dipendenza dell'operaio-proletario dal capitalismo. Ciò
provoca un senso di frustrazione o disperazione e predispone
al disimpegno dalla vita nazionale, spingendo molti
all'emigrazione e favorendo, altresì, una forma di
emigrazione «psicologica». Una tale situazione ha le sue
conseguenze anche dal punto di vista dei «diritti delle
singole Nazioni». Infatti, accade spesso che una Nazione
viene privata della sua soggettività, cioè della «sovranità»
che le compete nel significato economico ed anche
politico-sociale e in certo qual modo culturale, perché in
una comunità nazionale tutte queste dimensioni della vita
sono collegate tra di loro. Bisogna ribadire, inoltre, che
nessun gruppo sociale, per esempio un partito, ha diritto di
usurpare il ruolo di guida unica perché ciò comporta la
distruzione della vera soggettività della società e delle
persone-cittadini, come avviene in ogni totalitarismo. In
questa situazione l'uomo e il popolo diventano «oggetto»,
nonostante tutte le dichiarazioni in contrario e le
assicurazioni verbali.
A questo punto conviene
aggiungere che nel mondo d'oggi ci sono molte altre forme di
povertà. In effetti, certe carenze o privazioni non meritano
forse questa qualifica? La negazione o la limitazione dei
diritti umani_quali, ad esempio, il diritto alla libertà
religiosa, il diritto di partecipare alla costruzione della
società, la libertà di associarsi, o di costituire
sindacati, o di prendere iniziative in materia economica_ non
impoveriscono forse la persona umana altrettanto, se non
maggiormente della privazione dei beni materiali? E uno
sviluppo, che non tenga conto della piena affermazione di
questi diritti, è davvero sviluppo a dimensione umana? In
breve, il sottosviluppo dei nostri giorni non è soltanto
economico, ma anche culturale, politico e semplicemente umano,
come già rilevava venti anni fa l'Enciclica Populorum
Progressio. Sicché, a questo punto, occorre domandarsi se la
realtà così triste di oggi non sia, almeno in parte, il
risultato di una concezione troppo limitata, ossia
prevalentemente economica, dello sviluppo.
16. É da rilevare che,
nonostante i lodevoli sforzi fatti negli ultimi due decenni da
parte delle Nazioni più sviluppate o in via di sviluppo e
delle Organizzazioni internazionali, allo scopo di trovare una
via d'uscita alla situazione, o almeno di rimediare a qualcuno
dei suoi sintomi, le condizioni si sono notevolmente
aggravate. Le responsabilità di un simile peggioramento
risalgono a cause diverse. Sono da segnalare le indubbie,
gravi omissioni da parte delle stesse Nazioni in via di
sviluppo e, specialmente, da parte di quanti ne detengono il
potere economico e politico. Né tanto meno si può fingere di
non vedere le responsabilità delle Nazioni sviluppate, che
non sempre, almeno non nella debita misura, hanno sentito il
dovere di portare aiuto ai Paesi separati dal mondo del
benessere, al quale esse appartengono. Tuttavia, è necessario
denunciare l'esistenza di meccanismi economici, finanziari e
sociali, i quali, benché manovrati dalla volontà degli
uomini, funzionano spesso in maniera quasi automatica,
rendendo più rigide le situazioni di ricchezza degli uni e di
povertà degli altri. Tali meccanismi, azionati--in modo
diretto o indiretto --dai Paesi più sviluppati, favoriscono
per il loro stesso funzionamento gli interessi di chi li
manovra, ma finiscono per soffocare o condizionare le economie
dei Paesi meno sviluppati. Sarà necessario sottoporre più
avanti questi meccanismi a un'attenta analisi sotto l'aspetto
etico-morale. Già la Populorum Progressio prevedeva che con
tali sistemi potesse aumentare la ricchezza dei ricchi,
rimanendo confermata la miseria dei poveri. (33) Una riprova
di questa previsione si è avuta con l'apparizione del
cosiddetto Quarto Mondo.
17. Quantunque la società
mondiale offra aspetti di frammentazione, espressa con i nomi
convenzionali di Primo, Secondo, Terzo ed anche Quarto Mondo,
rimane sempre molto stretta la loro interdipendenza che,
quando sia disgiunta dalle esigenze etiche, porta a
conseguenze funeste per i più deboli. Anzi, questa
interdipendenza, per una specie di dinamica interna e sotto la
spinta di meccanismi che non si possono non qualificare come
perversi, provoca effetti negativi perfino nei Paesi ricchi.
Proprio all'interno di questi Paesi si riscontrano, seppure in
misura minore, le manifestazioni specifiche del sottosviluppo.
Sicché dovrebbe esser pacifico che lo sviluppo o diventa
comune a tutte le parti del mondo, o subisce un processo di
retrocessione anche nelle zone segnate da un costante
progresso. Fenomeno, questo, particolarmente indicativo della
natura dell'autentico sviluppo: o vi partecipano tutte le
Nazioni del mondo, o non sarà veramente tale. Tra gli indici
specifici del sottosviluppo, che colpiscono in maniera
crescente anche i Paesi sviluppati, ve ne sono due
particolarmente rivelatori di una situazione drammatica. In
primo luogo, la crisi degli alloggi. In questo Anno
internazionale dei senzatetto, voluto dall'Organizzazione
delle Nazioni Unite, l'attenzione si rivolge ai milioni di
esseri umani privi di un'abitazione adeguata o addirittura
senza abitazione alcuna, al fine di risvegliare la coscienza
di tutti e trovare una soluzione a questo grave problema che
ha conseguenze negative sul piano individuale, familiare e
sociale. (34) La carenza di abitazioni si verifica su un piano
universale ed è dovuta, in gran parte, al fenomeno sempre
crescente dell'urbanizzazione. (35) Perfino gli stessi popoli
più sviluppati presentano il triste spettacolo di individui e
famiglie che si sforzano letteralmente di sopravvivere, senza
un tetto o con uno così precario che è come se non ci fosse.
La mancanza di abitazioni, che è un problema di per se stesso
assai grave, è da considerare segno e sintesi di tutta una
serie di insufficienze economiche, sociali, culturali o
semplicemente umane e, tenuto conto dell'estensione del
fenomeno, non dovrebbe essere difficile convincersi di quanto
siamo lontani dall'autentico sviluppo dei popoli.
18. Altro indice, comune
alla stragrande maggioranza delle Nazioni, è il fenomeno
della disoccupazione e della sottoccupazione. Non c'è chi non
si renda conto dell'attualità e della crescente gravità di
un simile fenomeno nei Paesi industrializzati.(36) Se esso
appare allarmante nei Paesi in via di sviluppo, con il loro
alto tasso di crescita demografica e la massa della
popolazione giovanile, nei Paesi di grande sviluppo economico
sembra che si contraggano le fonti di lavoro, e così le
possibilità di occupazione, invece di crescere, diminuiscono.
Anche questo fenomeno, con
la sua serie di effetti negativi a livello individuale e
sociale, dalla degradazione alla perdita del rispetto che ogni
uomo o donna deve a se stesso, ci spinge a interrogarci
seriamente sul tipo di sviluppo, che si è perseguito nel
corso di questi venti anni. A tale proposito torna quanto mai
opportuna la considerazione dell'Enciclica Laborem exercens:
«Bisogna sottolineare che l'elemento costitutivo e, al tempo
stesso, la più adeguata verifica di questo progresso nello
spirito di giustizia e di pace, che la Chiesa proclama e per
il quale non cessa di pregare [...], è proprio la continua
rivalutazione del lavoro umano, sia sotto l'aspetto della sua
finalità oggettiva, sia sotto l'aspetto della dignità del
soggetto di ogni lavoro, che è l'uomo». Al contrario, «non
si può non rimanere colpiti da un fatto sconcertante di
proporzioni immense», e cioè che «esistono schiere di
disoccupati o di sotto-occupati [...]: un fatto che, senza
dubbio, sta ad attestare che sia all'interno delle singole
comunità politiche, sia nei rapporti tra esse su piano
continentale e mondiale--per quanto concerne l'organizzazione
del lavoro e dell'occupazione--c'è qualcosa che non funziona,
e proprio nei punti critici e di maggiore rilevanza sociale».
(37) Come il precedente, anche quest'altro fenomeno, per il
suo carattere universale e in certo senso moltiplicatore,
rappresenta un segno sommamente indicativo, per la sua
incidenza negativa, dello stato e della qualità dello
sviluppo dei popoli, di fronte al quale ci troviamo oggi.
19. Un altro fenomeno,
anch'esso tipico del più recente periodo _pur se non si
riscontra dappertutto_, è senza dubbio egualmente indicativo
dell'interdipendenza esistente tra Paesi sviluppati e meno. É
la questione del debito internazionale, a cui la Pontificia
Commissione Iustitia et Pax ha dedicato un suo Documento. (38)
Non si può qui passare sotto silenzio lo stretto collegamento
tra simile problema, la cui crescente gravità era stata già
prevista dalla Populorum Progressio, (39) e la questione dello
sviluppo dei popoli. La ragione che spinse i popoli in via di
sviluppo ad accogliere l'offerta di abbondanti capitali
disponibili fu la speranza di poterli investire in attività
di sviluppo. Di conseguenza, la disponibilità dei capitali e
il fatto di accettarli a titolo di prestito possono
considerarsi un contributo allo sviluppo stesso, cosa
desiderabile e in sé legittima, anche se forse imprudente e,
in qualche occasione, affrettata. Cambiate le circostanze,
tanto nei Paesi indebitati quanto nel mercato internazionale
finanziatore, lo strumento prescelto per dare un contributo
allo sviluppo si è trasformato in un congegno
controproducente. E ciò sia perché i Paesi debitori, per
soddisfare gli impegni del debito, si vedono obbligati a
esportare i capitali che sarebbero necessari per accrescere o,
addirittura, per mantenere il loro livello di vita, sia perché,
per la stessa ragione, non possono ottenere nuovi
finanziamenti del pari indispensabili. Per questo meccanismo
il mezzo destinato allo sviluppo dei popoli si è risolto in
un freno, anzi, in certi casi, addirittura in un'accentuazione
del sottosviluppo.
Queste costatazioni
debbono spingere a riflettere _ come dice il recente Documento
della Pontificia Commissione Iustitia et Pax (40) _ sul
carattere etico dell'interdipendenza dei popoli; e, per stare
nella linea della presente considerazione, sulle esigenze e
condizioni, ispirate egualmente a principi etici, della
cooperazione allo sviluppo.
20. Se, a questo punto,
esaminiamo le cause di tale grave ritardo nel processo dello
sviluppo, verificatosi in senso opposto alle indicazioni
dell'Enciclica Populorum Progressio, che aveva sollevato tante
speranze, la nostra attenzione si ferma in particolare sulle
cause politiche della situazione odierna. Trovandoci di fronte
ad un insieme di fattori indubbiamente complessi, non è
possibile giungere qui a un'analisi completa. Ma non si può
passare sotto silenzio un fatto saliente del quadro politico,
che caratterizza il periodo storico seguito al secondo
conflitto mondiale ed è un fattore non trascurabile
nell'andamento dello sviluppo dei popoli. Ci riferiamo
all'esistenza di due blocchi contrapposti, designati
comunemente con i nomi convenzionali di Est e Ovest' oppure di
Oriente e Occidente. La ragione di questa connotazione non è
puramente politica, ma anche, come si dice, geo politica.
Ciascuno dei due blocchi tende ad assimilare o ad aggregare
intorno a sé, con diversi gradi di adesione o partecipazione,
altri Paesi o gruppi di Paesi.
La contrapposizione è
innanzitutto politica, in quanto ogni blocco trova la propria
identità in un sistema di organizzazione della società e di
gestione del potere, che tende ad essere alternativo
all'altro; a sua volta, la contrapposizione politica trae
origine da una contrapposizione più profonda, che è di
ordine ideologico. In Occidente esiste, infatti, un sistema
che storicamente si ispira ai principi del capitalismo
liberista, quale si sviluppò nel secolo scorso con
l'industrializzazione; in Oriente c'è un sistema ispirato al
collettivismo marxista, che nacque dall'interpretazione della
condizione delle classi proletarie, alla luce di una peculiare
lettura della storia. Ciascuna delle due ideologie, facendo
riferimento a due visioni così diverse dell'uomo, della sua
libertà e del suo ruolo sociale, ha proposto e promuove, sul
piano economico, forme antitetiche di organizzazione del
lavoro e di strutture della proprietà, specialmente per
quanto riguarda i cosiddetti mezzi di produzione.
Era inevitabile che la
contrapposizione ideologica, sviluppando sistemi e centri
antagonisti di potere, con proprie forme di propaganda e di
indottrinamento, evolvesse in una crescente contrapposizione
militare, dando origine a due blocchi di potenze armate,
ciascuno diffidente e timoroso del prevalere dell'altro. A
loro volta, le relazioni internazionali non potevano non
risentire gli effetti di questa «logica dei blocchi» e delle
rispettive «sfere di influenza». Nata dalla conclusione
della seconda guerra mondiale, la tensione tra i due blocchi
ha dominato tutto il quarantennio successivo, assumendo ora il
carattere di «guerra fredda», ora di «guerre per procura»
mediante la strumentalizzazione di conflitti locali, ora
tenendo sospesi e angosciati gli animi con la minaccia di una
guerra aperta e totale. Se al presente un tale pericolo sembra
divenuto più remoto, pur senza essere del tutto scomparso, e
se si è pervenuti ad un primo accordo sulla distruzione di un
tipo di armamenti nucleari, l'esistenza e la contrapposizione
dei blocchi non cessano di essere tuttora un fatto reale e
preoccupante, che continua a condizionare il quadro mondiale.
21. Ciò si verifica con
effetto particolarmente negativo nelle relazioni
internazionali, che riguardano i Paesi in via di sviluppo.
Infatti, com'è noto, la tensione tra Oriente ed Occidente non
riguarda di per sé un'opposizione tra due diversi gradi di
sviluppo, ma piuttosto tra due concezioni dello sviluppo
stesso degli uomini e dei popoli, entrambe imperfette e tali
da esigere una radicale correzione. Detta opposizione viene
trasferita in seno a quei Paesi, contribuendo così ad
allargare il fossato, che già esiste sul piano economico tra
Nord e Sud ed e conseguenza della distanza tra i due mondi più
sviluppati e quelli meno sviluppati. É, questa, una delle
ragioni per cui la dottrina sociale della Chiesa assume un
atteggiamento critico nei confronti sia del capitalismo
liberista sia del collettivismo marxista. Infatti, dal punto
di vista dello sviluppo viene spontanea la domanda: in qual
modo o in che misura questi due sistemi sono suscettibili di
trasformazioni e di aggiornamenti, tali da favorire o
promuovere un vero ed integrale sviluppo dell'uomo e dei
popoli nella società contemporanea? Di fatto, queste
trasformazioni e aggiornamenti sono urgenti e indispensabili
per la causa di uno sviluppo comune a tutti.
I Paesi di recente
indipendenza, che, sforzandosi di conseguire una propria
identità culturale e politica, avrebbero bisogno del
contributo efficace e disinteressato dei Paesi più ricchi e
sviluppati, si trovano coinvolti_e talora anche travolti _nei
conflitti ideologici, che generano inevitabili divisioni al
loro interno, fino a provocare in certi casi vere guerre
civili. Ciò anche perché gli investimenti e gli aiuti allo
sviluppo sono spesso distolti dal proprio fine e
strumentalizzati per alimentare i contrasti, al di fuori e
contro gli interessi dei Paesi che dovrebbero beneficiarne.
Molti di questi diventano sempre più consapevoli del pericolo
di cadere vittime di un neo-colonialismo e tentano di
sottrarvisi. É tale consapevolezza che ha dato origine, pur
tra difficoltà, oscillazioni e talvolta contraddizioni, al
Movimento internazionale dei Paesi non allineati, il quale, in
ciò che ne forma la parte positiva, vorrebbe effettivamente
affermare il diritto di ogni popolo alla propria identità,
alla propria indipendenza e sicurezza, nonché alla
partecipazione, sulla base dell'eguaglianza e della solidarietà,
al godimento dei beni che sono destinati a tutti gli uomini.
22. Fatte queste
considerazioni, riesce agevole avere una visione più chiara
del quadro degli ultimi venti anni e comprender meglio i
contrasti esistenti nella parte Nord del mondo, cioè tra
Oriente e Occidente, quale causa non ultima del ritardo o del
ristagno del Sud. I Paesi in via di sviluppo, più che
trasformarsi in Nazioni autonome, preoccupate del proprio
cammino verso la giusta partecipazione ai beni ed ai servizi
destinati a tutti, diventano pezzi di un meccanismo, parti di
un ingranaggio gigantesco. Ciò si verifica spesso anche nel
campo dei mezzi di comunicazione sociale, i quali, essendo per
lo più gestiti da centri nella parte Nord del mondo, non
tengono sempre nella dovuta considerazione le priorità ed i
problemi propri di questi Paesi né rispettano la loro
fisionomia culturale, ma non di rado impongono una visione
distorta della vita e dell'uomo e cosi non rispondono alle
esigenze del vero sviluppo.
Ognuno dei due blocchi
nasconde dentro di sé, a suo modo, la tendenza
all'imperialismo, come si dice comunemente, o a forme di
neo-colonialismo: tentazione facile, nella quale non di rado
si cade, come insegna la storia anche recente. É questa
situazione anormale_conseguenza di una guerra e di una
preoccupazione ingigantita, oltre il lecito, da motivi della
propria sicurezza_che mortifica lo slancio di cooperazione
solidale di tutti per il bene comune del genere umano, a danno
soprattutto di popoli pacifici, bloccati nel loro diritto di
accesso ai beni destinati a tutti gli uomini. Vista così, la
presente divisione del mondo è di diretto ostacolo alla vera
trasformazione delle condizioni di sottosviluppo nei Paesi in
via di sviluppo o in quelli meno avanzati. I popoli, però,
non sempre si rassegnano alla loro sorte. Inoltre, gli stessi
bisogni di un'economia soffocata dalle spese militari, come
dal burocratismo e dall'intrinseca inefficienza, sembrano
adesso favorire dei processi che potrebbero rendere meno
rigida la contrapposizione e più facile l'avvio di un
proficuo dialogo e di una vera collaborazione per la pace.
23. L'affermazione
dell'Enciclica Populorum Progressio, secondo cui le risorse e
gli investimenti destinati alla produzione delle armi debbono
essere impiegati per alleviare la miseria delle popolazioni
indigenti, (41) rende più urgente l'appello a superare la
contrapposizione tra i due blocchi. Oggi, in pratica tali
risorse servono a mettere ciascuno dei due blocchi in
condizione di potersi avvantaggiare sull'altro, e garantire
così la propria sicurezza. Questa distorsione, che è un
vizio d'origine, rende difficile a quelle Nazioni, che sotto
l'aspetto storico, economico e politico hanno la possibilità
di svolgere un ruolo di guida, l'adempiere adeguatamente il
loro dovere di solidarietà in favore dei popoli che aspirano
al pieno sviluppo. É qui opportuno affermare, e non sembri
un'esagerazione, che una funzione di guida tra le Nazioni si
può giustificare solo con la possibilità e la volontà di
contribuire, in maniera ampia e generosa, al bene comune. Una
Nazione che cedesse, più o meno consapevolmente, alla
tentazione di chiudersi in se stessa, venendo meno alle
responsabilità conseguenti ad una superiorità nel concerto
delle Nazioni, mancherebbe gravemente ad un suo preciso dovere
etico. E questo e facilmente ravvisabile nella contingenza
storica, nella quale i credenti intravedono le disposizioni
della divina Provvidenza, pronta a servirsi delle Nazioni per
la realizzazione dei suoi progetti, così come a rendere «vani
i disegni dei popoli» (Sal32,10). Quando l'Occidente dà
l'impressione di abbandonarsi a forme di crescente ed
egoistico isolamento, e l'Oriente a sua volta, sembra ignorare
per discutibili motivi il dovere di cooperazione nell'impegno
di alleviare la miseria dei popoli, non ci si trova soltanto
di fronte ad un tradimento delle legittime attese dell'umanità,
foriero di imprevedibili conseguenze ma ad una vera e propria
defezione rispetto ad un obbligo morale.
24. Se la produzione delle
armi è un grave disordine che regna nel mondo odierno
rispetto alle vere necessità degli uomini e all'impiego dei
mezzi adatti a soddisfarle, non lo è meno il commercio delle
stesse armi. Anzi, a proposito di questo, è necessario
aggiungere che il giudizio morale è ancora più severo. Come
si sa, si tratta di un commercio senza frontiere capace di
oltrepassare perfino le barriere dei blocchi. Esso sa superare
la divisione tra Oriente e Occidente e, soprattutto, quella
tra Nord e Sud sino a inserirsi_e questo è più grave_tra le
diverse componenti della zona meridionale del mondo. Ci
troviamo così di fronte a uno strano fenomeno: mentre gli
aiuti economici e i piani di sviluppo si imbattono
nell'ostacolo di barriere ideologiche insuperabili, di
barriere tariffarie e di mercato, le armi di qualsiasi
provenienza circolano con quasi assoluta libertà nelle varie
parti del mondo. E nessuno ignora_come rileva il recente
Documento della Pontificia Commissione Iustitia et Pax sul
debito internazionale (42) _ che in certi casi i capitali,
dati in prestito dal mondo dello sviluppo, son serviti ad
acquistare armamenti nel mondo non sviluppato. Se a tutto
questo si aggiunge il pericolo tremendo, universalmente
conosciuto, rappresentato dalle armi atomiche accumulate fino
all'incredibile, la conclusione logica appare questa: il
panorama del mondo odierno, compreso quello economico, anziché
rivelare preoccupazione per un vero sviluppo che conduca tutti
verso una vita «più umana» _ come auspicava l'Enciclica
Populorum Progressio (43) _, sembra destinato ad avviarci più
rapidamente verso la morte. Le conseguenze di tale stato di
cose si manifestano nell'acuirsi di una piaga tipica e
rivelatrice degli squilibri e dei conflitti del mondo
contemporaneo: i milioni di rifugiati, a cui guerre, calamità
naturali, persecuzioni e discriminazioni di ogni tipo hanno
sottratto la casa, il lavoro, la famiglia e la patria. La
tragedia di queste moltitudini si riflette nel volto disfatto
di uomini, donne e bambini, che, in un mondo diviso e divenuto
inospitale, non riescono a trovare più un focolare.
Né si possono chiudere
gli occhi su un'altra dolorosa piaga del mondo odierno: il
fenomeno del terrorismo, inteso come proposito di uccidere e
distruggere indistintamente uomini e beni e di creare appunto
un clima di terrore e di insicurezza, spesso anche con la
cattura di ostaggi. Anche quando si adduce come motivazione di
questa pratica inumana una qualsiasi ideologia o la creazione
di una società migliore, gli atti di terrorismo non sono mai
giustificabili. Ma tanto meno lo sono quando, come accade
oggi, tali decisioni e gesti, che diventano a volte vere
stragi, certi rapimenti di persone innocenti ed estranee ai
conflitti si prefiggono un fine propagandistico a vantaggio
della propria causa; ovvero, peggio ancora, sono fine a se
stessi, sicché si uccide soltanto per uccidere. Di fronte a
tanto orrore e a tanta sofferenza mantengono sempre il loro
valore le parole che ho pronunciato alcuni anni fa e che
vorrei ripetere ancora: «Il Cristianesimo proibisce [...] il
ricorso alle vie dell'odio, all'assassinio di persone
indifese, ai metodi del terrorismo». (44)
25. A questo punto occorre
fare un riferimento al problema demografico ed al modo di
parlarne oggi, seguendo quanto Paolo VI ha indicato
nell'Enciclica (45) ed io stesso ho esposto diffusamente
nell'Esortazione Apostolica Familiaris Consorzio. (46) Non si
può negare l'esistenza, specie nella zona Sud del nostro
pianeta, di un problema demografico tale da creare difficoltà
allo sviluppo. É bene aggiungere subito che nella zona Nord
questo problema si pone con connotazioni inverse: qui, a
preoccupare, è la caduta del tasso di natalità, con
ripercussioni sull'invecchiamento della popolazione, incapace
perfino di rinnovarsi biologicamente. Fenomeno, questo, in
grado di ostacolare di per sé lo sviluppo. Come non è esatto
affermare che tali difficoltà provengono soltanto dalla
crescita demografica, così non è neppure dimostrato che ogni
crescita demografica sia incompatibile con uno sviluppo
ordinato.
D'altra parte, appare
molto allarmante costatare in molti Paesi il lancio di
campagne sistematiche contro la natalità per iniziativa dei
loro governi, in contrasto non solo con l'identità culturale
e religiosa degli stessi Paesi, ma anche con la natura del
vero sviluppo. Avviene spesso che tali campagne sono dovute a
pressioni e sono finanziate da capitali provenienti
dall'estero e, in qualche caso, ad esse sono addirittura
subordinati gli aiuti e l'assistenza economico-finanziaria. In
ogni caso, si tratta di assoluta mancanza di rispetto per la
libertà di decisione delle persone interessate, uomini e
donne, sottoposte non di rado a intolleranti pressioni,
comprese quelle economiche, per piegarle a questa forma nuova
di oppressione. Sono le popolazioni più povere a subirne i
maltrattamenti: e ciò finisce con l'ingenerare, a volte, la
tendenza a un certo razzismo, o col favorire l'applicazione di
certe forme, egualmente razzistiche, di eugenismo. Anche
questo fatto, che reclama la condanna più energica, è
indizio di un concetto errato e perverso del vero sviluppo
umano.
26. Simile panorama
prevalentemente negativo, della reale situazione dello
sviluppo del mondo contemporaneo, non sarebbe completo se non
si segnalasse la coesistenza di aspetti positivi.
La prima nota positiva è
la piena consapevolezza, in moltissimi uomini e donne, della
dignità propria e di ciascun essere umano. Tale
consapevolezza si esprime, per esempio, con la preoccupazione
dappertutto più viva per il rispetto dei diritti umani e col
più deciso rigetto delle loro violazioni. Ne è segno
rivelatore il numero delle associazioni private, alcune di
portata mondiale, di recente istituzione, e quasi tutte
impegnate a seguire con grande cura e lodevole obiettività
gli avvenimenti internazionali in un campo così delicato. Su
questo piano bisogna riconoscere l'influsso esercitato dalla
Dichiarazione dei Diritti Umani, promulgata circa quaranta
anni fa dall'Organizzazione delle Nazioni Unite. La sua stessa
esistenza e la sua progressiva accettazione da parte della
comunità internazionale sono già segno di una consapevolezza
che si va affermando. Lo stesso bisogna dire, sempre nel campo
dei diritti umani, per gli altri strumenti giuridici della
medesima Organizzazione delle Nazioni Unite o di altri
Organismi internazionali. (47) La consapevolezza, di cui
parliamo, non va riferita soltanto agli individui, ma anche
alle Nazioni e ai popoli, che, quali entità aventi una
determinata identità culturale, sono particolarmente
sensibili alla conservazione, alla libera gestione e alla
promozione del loro prezioso patrimonio.
Contemporaneamente, nel
mondo diviso e sconvolto da ogni tipo di conflitti, si fa
strada la convinzione di una radicale interdipendenza e, per
conseguenza, la necessità di una solidarietà che la assuma e
traduca sul piano morale. Oggi forse più che in passato, gli
uomini si rendono conto di essere legati da un comune destino,
da costruire insieme, se si vuole evitare la catastrofe per
tutti. Dal profondo dell'angoscia, della paura e dei fenomeni
di evasione come la droga, tipici del mondo contemporaneo,
emerge via via l'idea che il bene, al quale siamo tutti
chiamati, e la felicità, a cui aspiriamo, non si possono
conseguire senza lo sforzo e l'impegno di tutti, nessuno
escluso, e con la conseguente rinuncia al proprio egoismo.
Qui s'inserisce anche,
come segno del rispetto per la vita--nonostante tutte le
tentazioni di distruggerla, dall'aborto all'eutanasia--, la
preoccupazione concomitante per la pace; e, di nuovo, la
coscienza che questa è indivisibile: o è di tutti, o non è
di nessuno. Una pace che esige sempre più il rispetto
rigoroso della giustizia e, conseguentemente, l'equa
distribuzione dei frutti del vero sviluppo. (48)
Tra i segnali positivi del
presente occorre registrare ancora la maggiore consapevolezza
dei limiti delle risorse disponibili, la necessità di
rispettare l'integrità e i ritmi della natura e di tenerne
conto nella programmazione dello sviluppo, invece di
sacrificarlo a certe concezioni demagogiche dello stesso. É
quella che oggi va sotto il nome di preoccupazione ecologica.
É giusto riconoscere pure l'impegno di uomini di governo,
politici, economisti, sindacalisti, personalità della scienza
e funzionari internazionali _molti dei quali ispirati dalla
fede religiosa_ a risolvere generosamente, con non pochi
sacrifici personali, i mali del mondo e ad adoperarsi con ogni
mezzo, perché un sempre maggior numero di uomini e donne
possa godere del beneficio della pace e di una qualità di
vita degna di questo nome. A ciò contribuiscono in non
piccola misura le grandi Organizzazioni internazionali ed
alcune Organizzazioni regionali, i cui sforzi congiunti
consentono interventi di maggiore efficacia. É stato anche
per questi contributi che alcuni Paesi del Terzo Mondo,
nonostante il peso di numerosi condizionamenti negativi, sono
riusciti a raggiungere una certa autosufficienza alimentare, o
un grado di industrializzazione che consente di sopravvivere
degnamente e di garantire fonti di lavoro alla popolazione
attiva. Pertanto, non tutto è negativo nel mondo
contemporaneo, e non potrebbe essere altrimenti, perché la
Provvidenza del Padre celeste vigila con amore perfino sulle
nostre preoccupazioni quotidiane (Mt6,25); (Mt10,23);
(Lc12,6); (Lc22,1); anzi i valori positivi, che
abbiamo rilevato, attestano una nuova preoccupazione morale
soprattutto in ordine ai grandi problemi umani, quali sono lo
sviluppo e la pace. Questa realtà mi spinge a portare la
riflessione sulla vera natura dello sviluppo dei popoli, in
linea con l'Enciclica di cui celebriamo l'anniversario, e come
omaggio al suo insegnamento.
CAPITOLO
IV
L'AUTENTICO
SVILUPPO UMANO
27. Lo sguardo che
l'Enciclica ci invita a rivolgere al mondo contemporaneo ci fa
costatare, anzitutto, che lo sviluppo non è un processo
rettilineo, quasi automatico e di per sé illimitato, come se,
a certe condizioni, il genere umano debba camminare spedito
verso una specie di perfezione indefinita. (49) Simile
concezione, legata ad una nozione di «progresso» dalle
connotazioni filosofiche di tipo illuministico, piuttosto che
a quella di «sviluppo», (50) adoperata in senso
specificamente economico-sociale, sembra posta ora seriamente
in dubbio, specie dopo la tragica esperienza delle due guerre
mondiali, della distruzione pianificata e in parte attuata di
intere popolazioni e dell'incombente pericolo atomico. Ad un
ingenuo ottimismo meccanicistico è subentrata una fondata
inquietudine per il destino dell'umanità.
28. Al tempo stesso, però,
è entrata in crisi la stessa concezione «economica» o «economicista»,
legata al vocabolo sviluppo. Effettivamente oggi si comprende
meglio che la pura accumulazione di beni e dl servizi, anche a
favore della maggioranza, non basta a realizzare la felicità
umana. Né, di conseguenza, la disponibilità dei molteplici
benefici reali, apportati negli ultimi tempi dalla scienza e
dalla tecnica, compresa l'informatica, comporta la liberazione
da ogni forma di schiavitù. Al contrario, l'esperienza degli
anni più recenti dimostra che, se tutta la massa delle
risorse e delle potenzialità, messe a disposizione dell'uomo,
non è retta da un intendimento morale e da un orientamento
verso il vero bene del genere umano, si ritorce facilmente
contro di lui per opprimerlo. Dovrebbe essere altamente
istruttiva una sconcertante costatazione del più recente
periodo: accanto alle miserie del sottosviluppo, che non
possono essere tollerate, ci troviamo di fronte a una sorta di
supersviluppo, egualmente inammissibile, perché, come il
primo, è contrario al bene e alla felicità autentica. Tale
supersviluppo, infatti, consistente nell'eccessiva
disponibilità di ogni tipo di beni materiali in favore di
alcune fasce sociali, rende facilmente gli uomini schiavi del
«possesso» e del godimento immediato, senza altro orizzonte
che la moltiplicazione o la continua sostituzione delle cose,
che già si posseggono, con altre ancora più perfette. É la
cosiddetta civiltà dei «consumi», o consumismo, che
comporta tanti «scarti» e «rifiuti». Un oggetto posseduto,
e già superato da un altro più perfetto, è messo da parte,
senza tener conto del suo possibile valore permanente per sé
o in favore di un altro essere umano più povero. Tutti noi
tocchiamo con mano i tristi effetti di questa cieca
sottomissione al puro consumo: prima di tutto, una forma di
materialismo crasso, e al tempo stesso una radicale
insoddisfazione, perché si comprende subito che _se non si è
premuniti contro il dilagare dei messaggi pubblicitari e
l'offerta incessante e tentatrice dei prodotti _quanto più si
possiede tanto più si desidera mentre le aspirazioni più
profonde restano insoddisfatte e forse anche soffocate.
L'Enciclica di Papa Paolo
VI segnalò la differenza, al giorno d'oggi così
frequentemente accentuata, tra l'«avere» e l'«essere»,
(51) in precedenza espressa con parole precise dal Concilio
Vaticano II. (52) L'«avere» oggetti e beni non perfeziona di
per sé il soggetto umano, se non contribuisce alla
maturazione e all'arricchimento del suo «essere», cioè alla
realizzazione della vocazione umana in quanto tale. Certo, la
differenza tra «essere» e «avere», il pericolo inerente a
una mera moltiplicazione o sostituzione di cose possedute
rispetto al valore dell'«essere» non deve trasformarsi
necessariamente in un'antinomia. Una delle più grandi
ingiustizie del mondo contemporaneo consiste proprio in
questo: che sono relativamente pochi quelli che possiedono
molto, e molti quelli che non possiedono quasi nulla. É
l'ingiustizia della cattiva distribuzione dei beni e dei
servizi destinati originariamente a tutti . Ecco allora il
quadro: ci sono quelli _ i pochi che possiedono molto _ che
non riescono veramente ad «essere», perché, per un
capovolgimento della gerarchia dei valori, ne sono impediti
dal culto dell'«avere»; e ci sono quelli _ i molti che
possiedono poco o nulla _, i quali non riescono a realizzare
la loro vocazione umana fondamentale, essendo privi dei beni
indispensabili. Il male non consiste nell'«avere» in quanto
tale, ma nel possedere in modo irrispettoso della qualità e
dell'ordinata gerarchia dei beni che si hanno. Qualità e
gerarchia che scaturiscono dalla subordinazione dei beni e
dalla loro disponibilità all'«essere» dell'uomo ed alla sua
vera vocazione. Con ciò resta dimostrato che, se lo sviluppo
ha una necessaria dimensione economica, poiché deve fornire
al maggior numero possibile degli abitanti del mondo la
disponibilità di beni indispensabili per «essere», tuttavia
non si esaurisce in tale dimensione. Se viene limitato a
questa, esso si ritorce contro quelli che si vorrebbero
favorire. Le caratteristiche di uno sviluppo pieno, «più
umano», che_senza negare le esigenze economiche_sia in grado
di mantenersi all'altezza dell'autentica vocazione dell'uomo e
della donna, sono state descritte da Paolo VI. (53)
29. Uno sviluppo non
soltanto economico si misura e si orienta secondo questa realtà
e vocazione dell'uomo visto nella sua globalità, ossia
secondo un suo parametro interiore. Egli ha senza dubbio
bisogno dei beni creati e dei prodotti dell'industria,
arricchita di continuo dal progresso scientifico e
tecnologico. E la disponibilità sempre nuova dei beni
materiali, mentre viene incontro alle necessità, apre nuovi
orizzonti. Il pericolo dell'abuso consumistico e l'apparizione
delle necessità artificiali non debbono affatto impedire la
stima e l'utilizzazione dei nuovi beni e risorse posti a
nostra disposizione; in ciò dobbiamo, anzi, vedere un dono di
Dio e una risposta alla vocazione dell'uomo, che si realizza
pienamente in Cristo. Ma per conseguire il vero sviluppo e
necessario non perder mai di vista detto parametro, che è
nella natura specifica dell'uomo, creato da Dio a sua immagine
e somiglianza (Gen1,26). Natura corporale e spirituale,
simboleggiata nel secondo racconto della creazione dai due
elementi: la terra, con cui Dio plasma il fisico dell'uomo, e
l'alito di vita, soffiato nelle sue narici (Gen2,7).
L'uomo così viene ad avere una certa affinità con le altre
creature: è chiamato a utilizzarle a occuparsi di esse e
sempre secondo la narrazione della Genesi (Gen2,15) è
posto nel giardino col compito di coltivarlo e custodirlo, al
di sopra di tutti gli altri esseri collocati da Dio sotto il
suo dominio (Gen1,25). Ma nello stesso tempo l'uomo
deve rimanere sottomesso alla volontà di Dio, che gli
prescrive limiti nell'uso e nel dominio delle cose (Gen2,16),
così come gli promette l'immortalità (Gen2,9); (Sap2,23).
L'uomo, pertanto, essendo immagine di Dio, ha una vera affinità
anche con lui.
Sulla base di questo
insegnamento, lo sviluppo non può consistere soltanto
nell'uso, nel dominio e nel possesso indiscriminato delle cose
create e dei prodotti dell'industria umana, ma piuttosto nel
subordinare il possesso, il dominio e l'uso alla somiglianza
divina dell'uomo e alla sua vocazione all'immortalità. Ecco
la realtà trascendente dell'essere umano, la quale appare
partecipata fin dall'origine ad una coppia di uomo e donna (Gen1,27)
ed è quindi fondamentalmente sociale.
30. Secondo la Sacra
Scrittura, dunque, la nozione di sviluppo non è soltanto «laica»
o «profana», ma appare anche, pur con una sua accentuazione
socio-economica, come l'espressione moderna di un'essenziale
dimensione della vocazione dell'uomo. L'uomo, infatti, non è
stato creato, per così dire, immobile e statico. La prima
raffigurazione, che di lui offre la Bibbia, lo presenta
senz'altro come creatura e immagine, definita nella sua
profonda realtà dall'origine e dall'affinità, che lo
costituiscono. Ma tutto questo immette nell'essere umano, uomo
e donna, il germe e l'esigenza di un compito originario da
svolgere, sia ciascuno individualmente sia come coppia. Il
compito è di «dominare» sulle altre creature, «coltivare
il giardino», ed è da assolvere nel quadro dell'ubbidienza
alla legge divina e, quindi, nel rispetto dell'immagine
ricevuta, fondamento chiaro del potere di dominio,
riconosciutogli in ordine al suo perfezionamento (Gen1,26);
(Gen2,12); (Sap9,2). Quando l'uomo disobbedisce
a Dio e rifiuta di sottomettersi alla sua potestà, allora la
natura gli si ribella e non lo riconosce più come «signore»,
perché egli ha appannato in sé l'immagine divina. L'appello
al possesso e all'uso dei mezzi creati rimane sempre valido,
ma dopo il peccato l'esercizio ne diviene arduo e carico di
sofferenze (Gen3,17). Infatti, il successivo capitolo
della Genesi ci mostra la discendenza di Caino, la quale
costruisce «una città», si dedica alla pastorizia, si dà
alle arti (la musica) e alla tecnica (la metallurgia), mentre
al tempo stesso si comincia «ad invocare il nome del Signore»
(Gen4,17). La storia del genere umano, delineata dalla
Sacra Scrittura, anche dopo la caduta nel peccato è una
storia di realizzazioni continue, che, sempre rimesse in
questione e in pericolo dal peccato, si ripetono, si
arricchiscono e si diffondono come risposta alla vocazione
divina, assegnata sin dal principio all'uomo e alla donna (Gen1,26)
e impressa nell'immagine, da loro ricevuta.
É logico concludere,
almeno da parte di quanti credono nella Parola di Dio, che lo
«sviluppo» di oggi deve essere visto come un momento della
storia iniziata con la creazione e di continuo messa in
pericolo a motivo dell'infedeltà alla volontà del Creatore,
soprattutto per la tentazione dell'idolatria; ma esso
corrisponde fondamentalmente alle premesse iniziali. Chi
volesse rinunciare al compito, difficile ma esaltante, di
elevare la sorte di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, sotto
il pretesto del peso della lotta e dello sforzo incessante di
superamento, o addirittura per l'esperienza della sconfitta e
del ritorno al punto di partenza, verrebbe meno alla volontà
di Dio creatore. Sotto questo aspetto nell'Enciclica Laborem
exercens ho fatto riferimento alla vocazione dell'uomo al
lavoro, per sottolineare il concetto che e sempre lui il
protagonista dello sviluppo. (54) Anzi, lo stesso Signore Gesù,
nella parabola dei talenti, mette in rilievo il severo
trattamento riservato a chi osò nascondere il dono ricevuto:
«Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho
seminato e raccolgo dove non ho sparso [...]. Toglietegli,
dunque, il talento e datelo a chi ha dieci talenti» (Mt25,26).
A noi, che riceviamo i doni di Dio per farli fruttificare,
tocca «seminare» e «raccogliere». Se non lo faremo, ci sarà
tolto anche quello che abbiamo. L'approfondimento di queste
severe parole potrà spingerci a impegnarci con più decisione
nel dovere, oggi per tutti urgente di collaborare allo
sviluppo pieno degli altri: «Sviluppo di tutto l'uomo e di
tutti gli uomini». (55)
31. La fede in Cristo
Redentore, mentre illumina dal di dentro la natura dello
sviluppo, guida anche nel compito della collaborazione. Nella
Lettera di san Paolo ai Colossesi leggiamo che Cristo è «il
primogenito di tutta la creazione» e che «tutte le cose sono
state create per mezzo di lui ed in vista di lui» (Col1,15).
Infatti, ogni cosa «ha consistenza in lui», perché «piacque
a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui
riconciliare a sé tutte le cose» (Col1,20). In questo
piano divino, che comincia dall'eternità in Cristo, «immagine»
perfetta del Padre, e che culmina in lui, «primogenito di
coloro che risuscitano dai morti» (Col1,15),
s'inserisce la nostra storia, segnata dal nostro sforzo
personale e collettivo di elevare la condizione umana,
superare gli ostacoli sempre risorgenti lungo il nostro
cammino, disponendoci così a partecipare alla pienezza che «risiede
nel Signore» e che egli comunica «al suo corpo, che è la
Chiesa» (Col1,18); (Ef1,22), mentre il peccato,
che sempre ci insidia e compromette le nostre realizzazioni
umane è vinto e riscattato dalla «riconciliazione» operata
da Cristo (Col1, 20).
Qui le prospettive si
allargano. Il sogno di un «progresso indefinito» si ritrova
trasformato radicalmente dall'ottica nuova aperta dalla fede
cristiana, assicurandoci che tale progresso è possibile solo
perché Dio Padre ha deciso fin dal principio di rendere
l'uomo partecipe della sua gloria in Gesù Cristo risorto, «nel
quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la
remissione dei peccati» (Ef1,7), e in lui ha voluto
vincere il peccato e farlo servire per il nostro bene più
grande, (56) che supera infinitamente quanto il progresso
potrebbe realizzare. Possiamo dire allora_mentre ci dibattiamo
in mezzo alle oscurità e alle carenze del sottosviluppo e del
supersviluppo_che un giorno «questo corpo corruttibile si
vestirà di incorruttibilità e questo corpo mortale di
immortalità» (1Cor15,54), quando il Signore «consegnerà
il Regno a Dio Padre» (1Cor15,24) e tutte le opere e
azioni, degne dell'uomo, saranno riscattate.
La concezione della fede
inoltre, mette bene in chiaro le ragioni che spingono la
Chiesa a preoccuparsi della problematica dello sviluppo, a
considerarlo un dovere del suo ministero pastorale, a
stimolare la riflessione di tutti circa la natura e le
caratteristiche dell'autentico sviluppo umano. Col suo impegno
essa desidera, da una parte, mettersi al servizio del piano
divino inteso a ordinare tutte le cose alla pienezza che abita
in Cristo (Col1,19), e che egli comunicò al suo corpo,
e dall'altra, rispondere alla sua vocazione fondamentale di «sacramento»,
ossia «segno e strumento dell'intima unione con Dio e
dell'unità di tutto il genere umano». (57)
Alcuni Padri della Chiesa
si sono ispirati a tale visione per elaborare a loro volta in
forme originali, una concezione circa il significato della
storia e il lavoro umano, come indirizzato a un fine che lo
supera e definito sempre dalla relazione con l'opera di
Cristo. In altre parole, è possibile ritrovare
nell'insegnamento patristico una visione ottimistica della
storia e del lavoro, ossia del valore perenne delle autentiche
realizzazioni umane, in quanto riscattate dal Cristo e
destinate al Regno promesso. (58) Così fa parte
dell'insegnamento e della pratica più antica della Chiesa la
convinzione di esser tenuta per vocazione_essa stessa, i suoi
ministri e ciascuno dei suoi membri_ad alleviare la miseria
dei sofferenti, vicini e lontani, non solo col «superfluo»,
ma anche col «necessario». Di fronte ai casi di bisogno, non
si possono preferire gli ornamenti superflui delle chiese e la
suppellettile preziosa del culto divino; al contrario,
potrebbe essere obbligatorio alienare questi beni per dar
pane, bevanda, vestito e casa a chi ne è privo. (59) Come si
è già notato, ci viene qui indicata una «gerarchia di
valori»_nel quadro del diritto di proprietà_tra l'«avere»
e l'«essere», specie quando l'«avere» di alcuni può
risolversi a danno dell'«essere» di tanti altri. Nella sua
Enciclica Papa Paolo VI sta nella linea di tale insegnamento,
ispirandosi alla Costituzione pastorale Gaudium et spes.(60)
Per parte mia, desidero insistere ancora sulla sua gravità e
urgenza, implorando dal Signore forza a tutti i cristiani per
poter passare fedelmente all'applicazione pratica.
32. L'obbligo di
impegnarsi per lo sviluppo dei popoli non è un dovere
soltanto individuale, né tanto meno individualistico, come se
fosse possibile conseguirlo con gli sforzi isolati di
ciascuno. Esso è un imperativo per tutti e per ciascuno degli
uomini e delle donne, per le società e le Nazioni, in
particolare per la Chiesa cattolica e per le altre Chiese e
Comunità ecclesiali, con le quali siamo pienamente disposti a
collaborare in questo campo. In tal senso, come noi cattolici
invitiamo i fratelli cristiani a partecipare alle nostre
iniziative, cosi ci dichiariamo pronti a collaborare alle
loro, accogliendo gli inviti che ci sono rivolti. In questa
ricerca dello sviluppo integrale dell'uomo possiamo fare molto
anche con i credenti delle altre religioni, come del resto si
sta facendo in diversi luoghi. La collaborazione allo sviluppo
di tutto l'uomo e di ogni uomo, infatti, è un dovere di tutti
verso tutti e deve, al tempo stesso, essere comune alle
quattro parti del mondo: Est e Ovest, Nord e Sud; o, per
adoperare il termine oggi in uso, ai diversi «mondi». Se, al
contrario, si cerca di realizzarlo in una sola parte, o in un
solo mondo, esso è fatto a spese degli altri; e là dove
comincia, proprio perché gli altri sono ignorati, si
ipertrofizza e si perverte. I popoli o le Nazioni hanno
anch'essi diritto al proprio pieno sviluppo, che, se
implica_come si è detto_gli aspetti economici e sociali, deve
comprendere pure la rispettiva identità culturale e
l'apertura verso il trascendente. Nemmeno la necessità dello
sviluppo può essere assunta come pretesto per imporre agli
altri il proprio modo di vivere o la propria fede religiosa.
33. Né sarebbe veramente
degno dell'uomo un tipo di sviluppo che non rispettasse e non
promuovesse i diritti umani, personali e sociali, economici e
politici, inclusi i diritti delle Nazioni e dei popoli. Oggi,
forse più che in passato, si riconosce con maggior chiarezza
l'intrinseca contraddizione di uno sviluppo limitato soltanto
al lato economico. Esso subordina facilmente la persona umana
e le sue necessità più profonde alle esigenze della
pianificazione economica o del profitto esclusivo.
L'intrinseca connessione tra sviluppo autentico e rispetto dei
diritti dell'uomo ne rivela ancora una volta il carattere
morale: la vera elevazione dell'uomo, conforme alla vocazione
naturale e storica di ciascuno non si raggiunge sfruttando
solamente l'abbondanza dei beni e dei servizi, o disponendo di
perfette infrastrutture. Quando gli individui e le comunità
non vedono rispettate rigorosamente le esigenze morali,
culturali e spirituali, fondate sulla dignità della persona e
sull'identità propria di ciascuna comunità, a cominciare
dalla famiglia e dalle società religiose, tutto il
resto_disponibilità di beni, abbondanza di risorse tecniche
applicate alla vita quotidiana, un certo livello di benessere
materiale_ risulterà insoddisfacente e, alla lunga,
disprezzabile. Ciò afferma chiaramente il Signore nel
Vangelo, richiamando l'attenzione di tutti sulla vera
gerarchia dei valori: «Qual vantaggio avrà l'uomo, se
guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima?»
(Mt16,26).
Un vero sviluppo, secondo
le esigenze proprie dell'essere umano, uomo o donna, bambino,
adulto o anziano, implica soprattutto da parte di quanti
intervengono attivamente in questo processo e ne sono
responsabili una viva coscienza del valore dei diritti di
tutti e di ciascuno nonché della necessità di rispettare il
diritto di ognuno all'utilizzazione piena dei benefici offerti
dalla scienza e dalla tecnica.
Sul piano interno di ogni
Nazione, assume grande importanza il rispetto di tutti i
diritti: specialmente il diritto alla vita in ogni stadio
dell'esistenza; i diritti della famiglia, in quanto comunità
sociale di base, o «cellula della società»; la giustizia
nei rapporti di lavoro; i diritti inerenti alla vita della
comunità politica in quanto tale; i diritti basati sulla
vocazione trascendente dell'essere umano, a cominciare dal
diritto alla libertà di professare e di praticare il proprio
credo religioso. Sul piano internazionale, ossia dei rapporti
tra gli Stati o, secondo il linguaggio corrente, tra i vari «mondi»,
è necessario il pieno rispetto dell'identità di ciascun
popolo con le sue caratteristiche storiche e culturali. É
indispensabile, altresì, come già auspicava l'Enciclica
Populorum Progressio, riconoscere a ogni popolo l'eguale
diritto «ad assidersi alla mensa del banchetto comune»»,
(61) invece di giacere come Lazzaro fuori della porta, mentre
«i cani vengono a leccare le sue piaghe» (Lc16,21).
Sia i popoli che le persone singole debbono godere
dell'eguaglianza fondamentale, (62) su cui si basa, per
esempio, la Carta dell'Organizzazione delle Nazioni Unite:
eguaglianza che è il fondamento del diritto di tutti alla
partecipazione al processo di pieno sviluppo.
Per essere tale, lo
sviluppo deve realizzarsi nel quadro della solidarietà e
della libertà, senza sacrificare mai l'una e l'altra per
nessun pretesto. Il carattere morale dello sviluppo e la sua
necessaria promozione sono esaltati quando c'è il più
rigoroso rispetto di tutte le esigenze derivanti dall'ordine
della verità e del bene, propri della creatura umana. Il
cristiano, inoltre, educato a vedere nell'uomo l'immagine di
Dio, chiamato alla partecipazione della verità e del bene,
che è Dio stesso, non comprende l'impegno per lo sviluppo e
la sua attuazione fuori dell'osservanza e del rispetto della
dignità unica di questa «immagine». In altre parole, il
vero sviluppo deve fondarsi sull'amore di Dio e del prossimo,
e contribuire a favorire i rapporti tra individui e società.
Ecco la «civiltà dell'amore», di cui parlava spesso il Papa
Paolo VI.
34. Il carattere morale
dello sviluppo non può prescindere neppure dal rispetto per
gli esseri che formano la natura visibile e che i Greci,
alludendo appunto all'ordine che la contraddistingue,
chiamavano il «cosmo». Anche tali realtà esigono rispetto,
in virtù di una triplice considerazione, su cui giova
attentamente riflettere. La prima consiste nella convenienza
di prendere crescente consapevolezza che non si può fare
impunemente uso delle diverse categorie di esseri viventi o
inanimati _ animali, piante, elementi naturali _come si vuole,
a seconda delle proprie esigenze economiche. Al contrario,
occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua
mutua connessione in un sistema ordinato, ch'è appunto il
cosmo.
La seconda considerazione,
invece, si fonda sulla costatazione, si direbbe più
pressante, della limitazione delle risorse naturali, alcune
delle quali non sono, come si dice, rinnovabili. Usarle come
se fossero inesauribili, con assoluto dominio, mette
seriamente in pericolo la loro disponibilità non solo per la
generazione presente, ma soprattutto per quelle future.
La terza considerazione si
riferisce direttamente alle conseguenze che un certo tipo di
sviluppo ha sulla qualità della vita nelle zone
industrializzate. Sappiamo tutti che risultato diretto o
indiretto dell'industrializzazione e, sempre più di
frequente, la contaminazione dell'ambiente, con gravi
conseguenze per la salute della popolazione.
Ancora una volta risulta
evidente che lo sviluppo, la volontà di pianificazione che lo
governa, l'uso delle risorse e la maniera di utilizzarle non
possono essere distaccati dal rispetto delle esigenze morali.
Una di queste impone senza dubbio limiti all'uso della natura
visibile. Il dominio accordato dal Creatore all'uomo non è un
potere assoluto, né si può parlare di libertà di «usare e
abusare», o di disporre delle cose come meglio aggrada. La
limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio,
ed espressa simbolicamente con la proibizione di «mangiare il
frutto dell'albero» (Gen2,16), mostra con sufficiente
chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo
sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che
non si possono impunemente trasgredire. Una giusta concezione
dello sviluppo non può prescindere da queste
considerazioni_relative all'uso degli elementi della natura,
alla rinnovabilità delle risorse e alle conseguenze di una
industrializzazione disordinata _, le quali ripropongono alla
nostra coscienza la dimensione morale, che deve distinguere lo
sviluppo. (63)
CAPITOLO
V
UNA
LETTURA TEOLOGICA DEI PROBLEMI MODERNI
35. Alla luce dello stesso
essenziale carattere morale proprio dello sviluppo, sono da
considerare anche gli ostacoli che ad esso si oppongono. Se
durante gli anni trascorsi dalla pubblicazione dell'Enciclica
paolina lo sviluppo non c'è stato_o c'è stato in misura
scarsa, irregolare, se non addirittura contraddittoria_, le
ragioni non possono essere di natura soltanto economica. Come
si e già accennato, vi intervengono anche moventi politici.
Le decisioni propulsive o frenanti lo sviluppo dei popoli,
infatti, non sono che fattori di carattere politico. Per
superare i meccanismi perversi, sopra ricordati, e sostituirli
con nuovi, più giusti e conformi al bene comune dell'umanità,
è necessaria un'efficace volontà politica. Purtroppo, dopo
aver analizzato la situazione, occorre concludere che essa è
stata insufficiente.
In un documento pastorale,
come il presente, un'analisi limitata esclusivamente alle
cause economiche e politiche del sottosviluppo (e, fatti i
debiti riferimenti, anche del cosiddetto supersviluppo)
sarebbe incompleta. É necessario, perciò, individuare le
cause di ordine morale che, sul piano del comportamento degli
uomini considerati persone responsabili, interferiscono per
frenare il corso dello sviluppo e ne impediscono il pieno
raggiungimento. Parimenti, quando siano disponibili risorse
scientifiche e tecniche, che con le necessarie e concrete
decisioni di ordine politico debbono contribuire finalmente a
incamminare i popoli verso un vero sviluppo, il superamento
dei maggiori ostacoli avverrà soltanto in forza di
determinazioni essenzialmente morali, le quali, per i
credenti, specie se cristiani, s'ispireranno ai principi della
fede con l'aiuto della grazia divina.
36. É da rilevare,
pertanto, che un mondo diviso in blocchi, sostenuti da
ideologie rigide, dove, invece dell'interdipendenza e della
solidarietà, dominano differenti forme di imperialismo, non
può che essere un mondo sottomesso a «strutture di peccato».
La somma dei fattori negativi, che agiscono in senso contrario
a una vera coscienza del bene comune universale e all'esigenza
di favorirlo, dà l'impressione di creare, in persone e
istituzioni, un ostacolo difficile da superare. (64) Se la
situazione di oggi è da attribuire a difficoltà di diversa
indole, non è fuori luogo parlare di «strutture di peccato»,
le quali_come ho affermato nell'Esortazione Apostolica
Reconciliatio et paenitentia_si radicano nel peccato personale
e, quindi, son sempre collegate ad atti concreti delle
persone, che le introducono, le consolidano e le rendono
difficili da rimuovere. (65) E così esse si rafforzano, si
diffondono e diventano sorgente di altri peccati,
condizionando la condotta degli uomini.
«Peccato» e «strutture
di peccato» sono categorie che non sono spesso applicate alla
situazione del mondo contemporaneo. Non si arriva, però,
facilmente alla comprensione profonda della realtà quale si
presenta ai nostri occhi, senza dare un nome alla radice dei
mali che ci affliggono. Si può parlare certo di «egoismo» e
di «corta veduta»; si può fare riferimento a «calcoli
politici sbagliati», a «decisioni economiche imprudenti». E
in ciascuna di tali valutazioni si nota un'eco di natura
etico-morale. La condizione dell'uomo è tale da rendere
difficile un'analisi più profonda delle azioni e delle
omissioni delle persone senza implicare, in una maniera o
nell'altra, giudizi o riferimenti di ordine etico. Questa
valutazione è di per sé positiva, specie se diventa coerente
fino in fondo e se si basa sulla fede in Dio e sulla sua
legge, che ordina il bene e proibisce il male.
In ciò consiste la
differenza tra il tipo di analisi socio-politica e il
riferimento formale al «peccato» e alle «strutture di
peccato». Secondo quest'ultima visione si inseriscono la
volontà di Dio tre volte Santo, il suo progetto sugli uomini,
la sua giustizia e la sua misericordia. Il Dio ricco in
misericordia, redentore dell'uomo, Signore e datore della
vita, esige dagli uomini atteggiamenti precisi che si
esprimano anche in azioni o omissioni nei riguardi del
prossimo. Si ha qui un riferimento alla «seconda tavola» dei
dieci Comandamenti (Es20,12); (Dt5,16): con
l'inosservanza di questi si offende Dio e si danneggia il
prossimo, introducendo nel mondo condizionamenti e ostacoli,
che vanno molto più in là delle azioni e del breve arco
della vita di un individuo. S'interferisce anche nel processo
dello sviluppo dei popoli, il cui ritardo o la cui lentezza
deve essere giudicata anche sotto tale luce.
37. A questa analisi
generale di ordine religioso si possono aggiungere alcune
considerazioni particolari, per notare che tra le azioni e gli
atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del
prossimo e le «strutture» che essi inducono, i più
caratteristici sembrano oggi soprattutto due: da una parte, la
brama esclusiva del profitto e dall'altra, la sete del potere
col proposito di imporre agli altri la propria volontà. A
ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere, per
caratterizzarli meglio, l'espressione: «a qualsiasi prezzo».
In altre parole, siamo di fronte all'assolutizzazione di
atteggiamenti umani con tutte le possibili conseguenze. Anche
se di per sé sono separabili, sicché l'uno potrebbe stare
senza l'altro, entrambi gli atteggiamenti si ritrovano_nel
panorama aperto davanti ai nostri occhi_indissolubilmente
uniti, sia che predomini l'uno o l'altro. Ovviamente, a cader
vittime di questo duplice atteggiamento di peccato non sono
solo gli individui. possono essere anche le Nazioni e i
blocchi. E ciò favorisce di più l'introduzione delle «strutture
di peccato», di cui ho parlato. Se certe forme di «imperialismo»
moderno si considerassero alla luce di questi criteri morali,
si scoprirebbe che sotto certe decisioni, apparentemente
ispirate solo dall'economia o dalla politica si nascondono
vere forme di idolatria: del denaro, dell'ideologia, della
classe, della tecnologia. Ho voluto introdurre questo tipo di
analisi soprattutto per indicare quale sia la vera natura del
male a cui ci si trova di fronte nella questione dello «sviluppo
dei popoli»: si tratta di un male morale, frutto di molti
peccati, che portano a «strutture di peccato». Diagnosticare
così il male significa identificare esattamente, a livello
della condotta umana, il cammino da seguire per superarlo.
38. É un cammino lungo e
complesso e, per di più, tenuto sotto costante minaccia sia
per l'intrinseca fragilità dei propositi e delle
realizzazioni umane, sia per la mutabilità delle circostanze
esterne tanto imprevedibili. Bisogna, tuttavia, avere il
coraggio d'intraprenderlo e, dove sono stati fatti alcuni
passi o percorsa una parte del tragitto, andare fino in fondo.
Nel quadro di tali riflessioni, la decisione di mettersi sulla
strada o di continuare la marcia comporta, innanzitutto, un
valore morale che gli uomini e le donne credenti riconoscono
come richiesto dalla volontà di Dio, unico vero fondamento di
un'etica assolutamente vincolante.
É da auspicare che anche
gli uomini e donne privi di una fede esplicita siano convinti
che gli ostacoli frapposti al pieno sviluppo non sono soltanto
di ordine economico, ma dipendono da atteggiamenti più
profondi configurabili, per l'essere umano, in valori
assoluti. Perciò, è sperabile che quanti, in una misura o
l'altra, sono responsabili di una «vita più umana» verso i
propri simili, ispirati o no da una fede religiosa, si rendano
pienamente conto dell'urgente necessità di un cambiamento
degli atteggiamenti spirituali, che definiscono I rapporti di
ogni uomo con se stesso, col prossimo, con le comunità umane,
anche le più lontane, e con la natura. in virtù di valori
superiori, come il bene comune, o, per riprendere la felice
espressione dell'Enciclica Populorum Progressio, il pieno
sviluppo «di tutto l'uomo e di tutti gli uomini». (66)
Per i cristiani, come per
tutti coloro che riconoscono il preciso significato teologico
della parola «peccato», il cambiamento di condotta o di
mentalità o del modo di essere si chiama, con linguaggio
biblico, «conversione» (Mc1,15); (Lc13,3); (Is30,15).
Questa conversione indica specificamente relazione a Dio, alla
colpa commessa, alle sue conseguenze e, pertanto, al prossimo,
individuo o comunità. É Dio, nelle «cui mani sono i cuori
dei potenti», (67) e quelli di tutti, che può, secondo la
sua stessa promessa, trasformare ad opera del suo Spirito i «cuori
di pietra» in «cuori di carne» (Ez36,26). Nel
cammino della desiderata conversione verso il superamento
degli ostacoli morali per lo sviluppo, si può già segnalare,
come valore positivo e morale, la crescente consapevolezza
dell'interdipendenza tra gli uomini e le Nazioni. Il fatto che
uomini e donne, in varie parti del mondo, sentano come proprie
le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani commesse in
Paesi lontani, che forse non visiteranno mai, è un segno
ulteriore di una realtà trasformata in coscienza, acquistando
così connotazione morale.
Si tratta, innanzitutto,
dell'interdipendenza, sentita come sistema determinante di
relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti
economica, culturale, politica e religiosa, e assunta come
categoria morale. Quando l'interdipendenza viene così
riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento
morale e sociale, come «virtù»», è la solidarietà.
Questa, dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di
superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine
o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e
perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il
bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente
responsabili di tutti. Tale determinazione è fondata sulla
salda convinzione che le cause che frenano il pieno sviluppo
siano quella brama del profitto e quella sete del potere, di
cui si è parlato. Questi atteggiamenti e «strutture di
peccato» si vincono solo_presupposto l'aiuto della grazia
divina_con un atteggiamento diametralmente opposto: l'impegno
per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso
evangelico, a «perdersi» a favore dell'altro invece di
sfruttarlo e a «servirlo» invece di opprimerlo per il
proprio tornaconto (Mt10,40); (Mt20,25); (Mc10,42);
(Lc22, 25).
39. L'esercizio della
solidarietà all'interno di ogni società è valido, quando i
suoi componenti si riconoscono tra di loro come persone.
Coloro che contano di più, disponendo di una porzione più
grande di beni e di servizi comuni, si sentano responsabili
dei più deboli e siano disposti a condividere quanto
possiedono. I più deboli, da parte loro, nella stessa linea
di solidarietà, non adottino un atteggiamento puramente
passivo o distruttivo del tessuto sociale, ma, pur
rivendicando i loro legittimi diritti, facciano quanto loro
spetta per il bene di tutti. I gruppi intermedi, a loro volta,
non insistano egoisticamente nel loro particolare interesse,
ma rispettino gli interessi degli altri. Segni positivi nel
mondo contemporaneo sono la crescente coscienza di solidarietà
dei poveri tra di loro, i loro interventi di appoggio
reciproco, le manifestazioni pubbliche nella scena sociale,
senza far ricorso alla violenza, ma prospettando i propri
bisogni e i propri diritti di fronte all'inefficienza o alla
corruzione dei pubblici poteri. In virtù del suo impegno
evangelico, la Chiesa si sente chiamata a restare accanto alle
folle povere, a discernere la giustizia delle loro richieste,
a contribuire a soddisfarle, senza perdere di vista il bene
dei gruppi nel quadro del bene comune. Lo stesso criterio si
applica, per analogia, nelle relazioni internazionali.
L'interdipendenza deve trasformarsi in solidarietà, fondata
sul principio che i beni della creazione sono destinati a
tutti: ciò che l'industria umana produce con la lavorazione
delle materie prime, col contributo del lavoro, deve servire
egualmente al bene di tutti.
Superando gli imperialismi
di ogni tipo e i propositi di conservare la propria egemonia,
le Nazioni più forti e più dotate debbono sentirsi
moralmente responsabili delle altre, affinché sia instaurato
un vero sistema internazionale, che si regga sul fondamento
dell'eguaglianza di tutti i popoli e sul necessario rispetto
delle loro legittime differenze. I Paesi economicamente più
deboli, o rimasti al limite della sopravvivenza, con
l'assistenza degli altri popoli e della comunità
internazionale, debbono essere messi in grado di dare
anch'essi un contributo al bene comune con i loro tesori di
umanità e di cultura, che altrimenti andrebbero perduti per
sempre. La solidarietà ci aiuta a vedere l'«altro»_persona,
popolo o Nazione_non come uno strumento qualsiasi, per
sfruttarne a basso costo la capacità di lavoro e la
resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più ma
come un nostro «simile», un «aiuto» (Gen2,18), da
rendere partecipe, al pari di noi, del banchetto della vita, a
cui tutti gli uomini sono egualmente invitati da Dio. Di qui
l'importanza di risvegliare la coscienza religiosa degli
uomini e dei popoli. Sono così esclusi lo sfruttamento,
l'oppressione, l'annientamento degli altri. Questi fatti,
nella presente divisione del mondo in blocchi contrapposti,
vanno a confluire nel pericolo di guerra e nell'eccessiva
preoccupazione per la propria sicurezza a spese non di rado
dell'autonomia, della libera decisione della stessa integrità
territoriale delle Nazioni più deboli, che son comprese nelle
cosiddette «zone d'influenza» o nelle «cinture di sicurezza
». Le «strutture di peccato» e i peccati, che in esse
sfociano, si oppongono con altrettanta radicalità alla pace e
allo sviluppo, perché lo sviluppo, secondo la nota
espressione dell'Enciclica paolina, è «il nuovo nome della
pace». (68)
In tal modo la solidarietà
da noi proposta è via alla pace e insieme allo sviluppo.
Infatti, la pace del mondo è inconcepibile se non si giunge,
da parte dei responsabili, a riconoscere che l'interdipendenza
esige di per sé il superamento della politica dei blocchi, la
rinuncia a ogni forma di imperialismo economico, militare o
politico, e la trasformazione della reciproca diffidenza in
collaborazione. Questo è, appunto, l'atto proprio della
solidarietà tra individui e Nazioni. Il motto del pontificato
del mio venerato predecessore Pio XII era Opus iustitiae pax,
la pace come frutto della giustizia. Oggi si potrebbe dire,
con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione
biblica (Is32,17); (Gc3,18). Opus solidaritatis
pax, la pace come frutto della solidarietà. Il traguardo
della pace, tanto desiderata da tutti, sarà certamente
raggiunto con l'attuazione della giustizia sociale e
internazionale, ma anche con la pratica delle virtù che
favoriscono la convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per
costruirne uniti, dando e ricevendo, una società nuova e un
mondo migliore.
40. La solidarietà è
indubbiamente una virtù cristiana. Già nella precedente
esposizione era possibile intravedere numerosi punti di
contatto tra essa e la carità, che è il segno distintivo dei
discepoli di Cristo (Gv13,35). Alla luce della fede, la
solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le
dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale,
del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è
soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua
fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva
immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e
posta sotto l'azione permanente dello Spirito Santo. Egli,
pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso
amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere
disposti al sacrificio, anche supremo: «Dare la vita per i
propri fratelli» (1Gv3,16). Allora la coscienza della
paternità comune di Dio, della fratellanza di tutti gli
uomini in Cristo, «figli nel Figlio», della presenza e
dell'azione vivificante dello Spirito Santo, conferirà al
nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio per
interpretarlo. Al di là dei vincoli umani e naturali, già
così forti e stretti, si prospetta alla luce della fede un
nuovo modello di unità del genere umano, al quale deve
ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà. Questo supremo
modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in
tre Persone, è ciò che noi cristiani designiamo con la
parola «comunione». Tale comunione, specificamente
cristiana, gelosamente custodita, estesa e arricchita, con
l'aiuto del Signore, è l'anima della vocazione della Chiesa
ad essere «sacramento», nel senso già indicato. La
solidarietà, perciò, deve contribuire all'attuazione di
questo disegno divino tanto sul piano individuale, quanto su
quello della società nazionale e internazionale. I «meccanismi
perversi» e le «strutture di peccato», di cui abbiamo
parlato, potranno essere vinte solo mediante l'esercizio della
solidarietà umana e cristiana, a cui la Chiesa invita e che
promuove instancabilmente. Solo così tante energie positive
potranno pienamente sprigionarsi a vantaggio dello sviluppo e
della pace. Molti Santi canonizzati dalla Chiesa offrono
mirabili testimonianze di tale solidarietà e possono servire
di esempio nelle difficili circostanze presenti. Fra tutti
desidero ricordare san Pietro Claver, col suo servizio agli
schiavi di Cartagena de Indias, e san Massimiliano Maria Kolbe,
con l'offerta della sua vita in favore di un prigioniero a lui
sconosciuto nel campo di concentramento di Auschwitz-Oswiecim.
CAPITOLO
VI
ALCUNI
ORIENTAMENTI PARTICOLARI
41. La Chiesa non ha
soluzioni tecniche da offrire al problema del sottosviluppo in
quanto tale, come affermò già Papa Paolo VI nella sua
Enciclica. (69) Essa, infatti, non propone sistemi o programmi
economici e politici, né manifesta preferenze per gli uni o
per gli altri, purché la dignità dell'uomo sia debitamente
rispettata e promossa ed a lei stessa sia lasciato lo spazio
necessario per esercitare il suo ministero nel mondo. Ma la
Chiesa è «esperta in umanità», (70) e ciò la spinge a
estendere necessariamente la sua missione religiosa ai diversi
campi in cui uomini e donne dispiegano le loro attività, in
cerca della felicità, pur sempre relativa, che è possibile
in questo mondo, in linea con la loro dignità di persone.
Sull'esempio dei miei predecessori, debbo ripetere che non può
ridursi a problema «tecnico» ciò che, come lo sviluppo
autentico, tocca la dignità dell'uomo e dei popoli. Così
ridotto, lo sviluppo sarebbe svuotato del suo vero contenuto e
si compirebbe un atto di tradimento verso l'uomo e i popoli,
al cui servizio esso deve essere messo. Ecco perché la Chiesa
ha una parola da dire oggi, come venti anni fa, ed anche in
futuro, intorno alla natura, alle condizioni, esigenze e
finalità dell'autentico sviluppo ed agli ostacoli, altresì,
che vi si oppongono. Così facendo, la Chiesa adempie la
missione di evangelizzare, poiché dà il suo primo contributo
alla soluzione dell'urgente problema dello sviluppo, quando
proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull'uomo,
applicandola a una situazione concreta. (71)
Quale strumento per
raggiungere lo scopo, la Chiesa adopera la sua dottrina
sociale. Nell'odierna difficile congiuntura, per favorire sia
la corretta impostazione dei problemi che la loro migliore
soluzione, potrà essere di grande aiuto una conoscenza più
esatta e una diffusione più ampia dell'«insieme dei principi
di riflessione, dei criteri di giudizio e delle direttrici di
azione» proposti dal suo insegnamento. (72) Si avvertirà così
immediatamente che le questioni che ci stanno di fronte sono
innanzitutto morali. e che né l'analisi del problema dello
sviluppo in quanto tale, ne i mezzi per superare le presenti
difficoltà possono prescindere da tale essenziale dimensione.
La dottrina sociale della Chiesa non è una «terza via» tra
capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una
possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente
contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è
neppure un'ideologia, ma l'accurata formulazione dei risultati
di un'attenta riflessione sulle complesse realtà
dell'esistenza dell'uomo, nella società e nel contesto
internazionale, alla luce della fede e della tradizione
ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà,
esaminandone la conformità o difformità con le linee
dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione
terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il
comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al
campo dell'ideologia, ma della teologia e specialmente della
teologia morale.
L'insegnamento e la
diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione
evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una dottrina
indirizzata a guidare la condotta delle persone, ne deriva di
conseguenza l'«impegno per la giustizia» secondo il ruolo,
la vocazione, le condizioni di ciascuno. All'esercizio del
ministero dell'evangelizzazione in campo sociale, che è un
aspetto della funzione profetica della Chiesa, appartiene pure
la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire
che l'annuncio è sempre più importante della denuncia, e
questa non può prescindere da quello, che le offre la vera
solidità e la forza della motivazione più alta.
42. La dottrina sociale
della Chiesa, oggi più di prima, ha il dovere di aprirsi a
una prospettiva internazionale in linea col Concilio Vaticano
II, (73) con le più recenti Encicliche (74) e, in
particolare, con quella che stiamo ricordando. (75) Non sarà,
pertanto, superfluo riesaminarne e approfondirne sotto questa
luce i temi e gli orientamenti caratteristici, ripresi dal
Magistero in questi anni. Desidero qui segnalarne uno:
l'opzione, o amore preferenziale per i poveri. É, questa, una
opzione, o una forma speciale di primato nell'esercizio della
carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della
Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in
quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica
egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al
nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa
la proprietà e l'uso dei beni. Oggi poi, attesa la dimensione
mondiale che la questione sociale ha assunto, (76) questo
amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non
può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di
mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e,
soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può
non prendere atto dell'esistenza di queste realtà.
L'ignorarle significherebbe assimilarci al «ricco epulone»,
che fingeva di non conoscere Lazzaro il mendico, giacente
fuori della sua porta (77) (Lc16,19).
La nostra vita quotidiana
deve essere segnata da queste realtà, come pure le nostre
decisioni in campo politico ed economico. Parimenti i
responsabili delle Nazioni e degli stessi Organismi
internazionali, mentre hanno l'obbligo di tener sempre
presente come prioritaria nei loro piani la vera dimensione
umana, non devono dimenticare di dare la precedenza al
fenomeno della crescente povertà. Purtroppo, invece di
diminuire, i poveri si moltiplicano non solo nei Paesi meno
sviluppati, ma, ciò che appare non meno scandaloso, anche in
quelli maggiormente sviluppati.
Bisogna ricordare ancora
una volta il principio tipico della dottrina sociale
cristiana: i beni di questo mondo sono originariamente
destinati a tutti. (78) Il diritto alla proprietà privata è
valido e necessario, ma non annulla il valore di tale
principio: su di essa, infatti, grava «un'ipoteca sociale»,
(79) cioè vi si riconosce, come qualità intrinseca, una
funzione sociale, fondata e giustificata precisamente sul
principio della destinazione universale dei beni. Né sarà da
trascurare, in questo impegno per i poveri, quella speciale
forma di povertà che è la privazione dei diritti
fondamentali della persona, in particolare del diritto alla
libertà religiosa e del diritto, altresì, all'iniziativa
economica.
43. La preoccupazione
stimolante verso i poveri _ i quali, secondo la significativa
formula, sono «i poveri del Signore» (80) _ deve tradursi, a
tutti i livelli, in atti concreti fino a giungere con
decisione a una serie di necessarie riforme. Dipende dalle
singole situazioni locali individuare le più urgenti ed i
modi per realizzarle; ma non bisogna dimenticare quelle
richieste dalla situazione di squilibrio internazionale, sopra
descritto. Al riguardo, desidero ricordare in particolare: la
riforma del sistema internazionale di commercio, ipotecato dal
protezionismo e dal crescente bilateralismo; la riforma del
sistema monetario e finanziario mondiale, oggi riconosciuto
insufficiente; la questione degli scambi delle tecnologie e
del loro uso appropriato; la necessità di una revisione della
struttura delle Organizzazioni internazionali esistenti, nella
cornice di un ordine giuridico internazionale. Il sistema
internazionale di commercio oggi discrimina frequentemente i
prodotti delle industrie incipienti dei Paesi in via di
sviluppo, mentre scoraggia i produttori di materie prime.
Esiste, peraltro, una sorta di divisione internazionale del
lavoro, per cui i prodotti a basso costo di alcuni Paesi,
privi di leggi efficaci sul lavoro o troppo deboli per
applicarle, sono venduti in altre parti del mondo con
considerevoli guadagni per le imprese dedite a questo tipo di
produzione, che non conosce frontiere. Il sistema monetario e
finanziario mondiale si caratterizza per l'eccessiva
fluttuazione dei metodi di scambio e di interesse, a
detrimento della bilancia dei pagamenti e della situazione di
indebitamento dei Paesi poveri. Le tecnologie e i loro
trasferimenti costituiscono oggi uno dei principali problemi
dell'interscambio internazionale e dei gravi danni, che ne
derivano. Non sono rari i casi di Paesi in via di sviluppo, a
cui si negano le tecnologie necessarie o si inviano quelle
inutili. Le Organizzazioni internazionali, secondo l'opinione
di molti, sembrano trovarsi a un momento della loro esistenza,
in cui i meccanismi di funzionamento, i costi operativi e la
loro efficacia richiedono un attento riesame ed eventuali
correzioni. Evidentemente, un processo così delicato non si
potrà ottenere senza la collaborazione di tutti. Esso suppone
il superamento delle rivalità politiche e la rinuncia ad ogni
volontà di strumentalizzare le stesse Organizzazioni, che
hanno per unica ragion d'essere il bene comune. Le Istituzioni
e le Organizzazioni esistenti hanno operato bene a favore dei
popoli. Tuttavia l'umanità, di fronte a una fase nuova e più
difficile dei suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un
grado superiore di ordinamento internazionale, a servizio
delle società, delle economie e delle culture del mondo
intero.
44. Lo sviluppo richiede
soprattutto spirito d'iniziativa da parte degli stessi Paesi
che ne hanno bisogno. (81) Ciascuno di essi deve agire secondo
le proprie responsabilità, senza sperare tutto dai Paesi più
favoriti ed operando in collaborazione con gli altri che sono
nella stessa situazione. Ciascuno deve scoprire e utilizzare
il più possibile lo spazio della propria libertà. Ciascuno
dovrà rendersi capace di iniziative rispondenti alle proprie
esigenze di società. Ciascuno dovrà pure rendersi conto
delle reali necessità, nonché dei diritti e dei doveri che
gli impongono di risolverle. Lo sviluppo dei popoli inizia e
trova l'attuazione più adeguata nell'impegno di ciascun
popolo per il proprio sviluppo, in collaborazione con gli
altri. É importante allora che le stesse Nazioni in via di
sviluppo favoriscano l'autoaffermazione di ogni cittadino
mediante l'accesso a una maggiore cultura ed a una libera
circolazione delle informazioni. Tutto quanto potrà favorire
l'alfabetizzazione e l'educazione di base che l'approfondisce
e completa, come proponeva l'Enciclica Populorum Progressio
(82) _ mete ancora lontane dall'attuazione in tante parti del
mondo _ è un diretto contributo al vero sviluppo. Per
incamminarsi su questa via, le stesse Nazioni dovranno
individuare le proprie priorità e riconoscer bene i propri
bisogni secondo le particolari condizioni della popolazione,
dell'ambiente geografico e delle tradizioni culturali. Alcune
Nazioni dovranno incrementare la produzione alimentare, per
aver sempre a disposizione il necessario al nutrimento e alla
vita. Nel mondo contemporaneo_ in cui la fame miete tante
vittime, specie in mezzo all'infanzia_ci sono esempi di
Nazioni non particolarmente sviluppate, che pure sono riuscite
a conseguire l'obiettivo dell'autosufficienza alimentare e a
divenire perfino esportatrici di generi alimentari.
Altre Nazioni hanno
bisogno di riformare alcune ingiuste strutture e, in
particolare, le proprie istituzioni politiche, per sostituire
regimi corrotti, dittatoriali o autoritari con quelli
democratici e partecipativi. É un processo che ci auguriamo
si estenda e si consolidi, perché la «salute» di una
comunità politica_in quanto si esprime mediante la libera
partecipazione e responsabilità di tutti i cittadini alla
cosa pubblica, la sicurezza del diritto, il rispetto e la
promozione dei diritti umani_è condizione necessaria e
garanzia sicura di sviluppo di «tutto l'uomo e di tutti gli
uomini».
45. Quanto si è detto non
si potrà realizzare senza la collaborazione di tutti
specialmente della comunità internazionale, nel quadro di una
solidarietà che abbracci tutti, a cominciare dai più
emarginati. Ma le stesse Nazioni in via di sviluppo hanno il
dovere di praticare la solidarietà fra se stesse e con i
Paesi più emarginati del mondo. É desiderabile, per esempio,
che Nazioni di una stessa area geografica stabiliscano forme
di cooperazione che le rendano meno dipendenti da produttori
più potenti. aprano le frontiere ai prodotti della zona.
esaminino le eventuali complementarità dei prodotti. si
associno per dotarsi dei servizi, che ciascuna da sola non è
in grado di provvedere. estendano la cooperazione al settore
monetario e finanziario. L'interdipendenza è già una realtà
in molti di questi Paesi. Riconoscerla, in maniera da renderla
più attiva, rappresenta un'alternativa all'eccessiva
dipendenza da Paesi più ricchi e potenti, nell'ordine stesso
dell'auspicato sviluppo, senza contrapporsi a nessuno, ma
scoprendo e valorizzando al massimo le proprie possibilità. I
Paesi in via di sviluppo di una stessa area geografica,
anzitutto quelli compresi nella denominazione «Sud», possono
e debbono costituire_come già si comincia a fare con
promettenti risultati_nuove organizzazioni regionali, ispirate
a criteri di eguaglianza, libertà e partecipazione nel
concerto delle Nazioni. La solidarietà universale richiede,
come condizione indispensabile, autonomia e libera
disponibilità di se stessi, anche all'interno di associazioni
come quelle indicate. Ma, nello stesso tempo, richiede
disponibilità ad accettare i sacrifici necessari per il bene
della comunità mondiale.
CAPITOLO
VII
CONCLUSIONE
46. Popoli e individui
aspirano alla propria liberazione: la ricerca del pieno
sviluppo è il segno del loro desiderio di superare i
molteplici ostacoli che impediscono di fruire di una «vita più
umana». Recentemente, nel periodo seguito alla pubblicazione
dell'Enciclica Populorum Progressio, in alcune aree della
Chiesa cattolica, in particolare nell'America Latina, si è
diffuso un nuovo modo di affrontare i problemi della miseria e
del sottosviluppo, che fa della liberazione la categoria
fondamentale e il primo principio di azione. I valori
positivi, ma anche le deviazioni e i pericoli di deviazione,
connessi a questa forma di riflessione e di elaborazione
teologica, sono stati convenientemente segnalati dal Magistero
ecclesiastico. (83) É bene aggiungere che l'aspirazione alla
liberazione da ogni forma di schiavitù, relativa all'uomo e
alla società, è qualcosa di nobile e valido. A questo mira
propriamente lo sviluppo, o piuttosto la liberazione e lo
sviluppo, tenuto conto dell'intima connessione esistente tra
queste due realtà. Uno sviluppo soltanto economico non è in
grado di liberare l'uomo, anzi, al contrario, finisce con
l'asservirlo ancora di più. Uno sviluppo, che non comprenda
le dimensioni culturali, trascendenti e religiose dell'uomo e
della società nella misura in cui non riconosce l'esistenza
di tali dimensioni e non orienta ad esse i propri traguardi e
priorità, ancor meno contribuisce alla vera liberazione.
L'essere umano è totalmente libero solo quando e se stesso,
nella pienezza dei suoi diritti e doveri: la stessa cosa si
deve dire dell'intera società.
L'ostacolo principale da
superare per una vera liberazione è il peccato e le strutture
da esso indotte, man mano che si moltiplica e si estende. (84)
La libertà, con la quale Cristo ci ha liberati (Gal5,1),
stimola a convertirci in servi di tutti. Così il processo
dello sviluppo e della liberazione si concreta in esercizio di
solidarietà, ossia di amore e servizio al prossimo,
particolarmente ai più poveri: «Là dove vengono meno la
verità e l'amore, il processo di liberazione porta alla morte
di una libertà, che non ha più sostegno». (85)
47. Nel quadro delle
tristi esperienze degli anni recenti e del panorama
prevalentemente negativo del momento presente la Chiesa deve
affermare con forza la possibilità del superamento degli
intralci che, per eccesso o per difetto, si frappongono allo
sviluppo, e la fiducia per una vera liberazione. Fiducia e
possibilità fondate, in ultima istanza sulla consapevolezza
che ha la Chiesa della promessa divina, volta a garantire che
la storia presente non resta chiusa in se stessa, ma è aperta
al Regno di Dio. La Chiesa ha fiducia anche nell'uomo, pur
conoscendo la malvagità di cui è capace, perché sa bene
che_nonostante il peccato ereditato e quello che ciascuno può
commettere_ci sono nella persona umana sufficienti qualità ed
energie, c'è una fondamentale «bontà» (Gen1,31),
perché è immagine del Creatore, posta sotto l'influsso
redentore di Cristo, «che si è unito in certo modo a ogni
uomo», (86) e perché l'azione efficace dello Spirito Santo
«riempie la terra» (Sap1,7). Non sono, pertanto,
giustificabili né la disperazione né il pessimismo, né la
passività. Anche se con amarezza occorre dire che, come si può
peccare per egoismo, per brama di guadagno esagerato e di
potere, si può anche mancare, di fronte alle urgenti necessità
di moltitudini umane immerse nel sottosviluppo, per timore,
indecisione e, in fondo, per codardia. Siamo tutti chiamati,
anzi obbligati, ad affrontare la tremenda sfida dell'ultima
decade del secondo Millennio. Anche perché i pericoli
incombenti minacciano tutti: una crisi economica mondiale, una
guerra senza frontiere, senza vincitori né vinti. Di fronte a
simile minaccia, la distinzione tra persone e Paesi ricchi,
tra persone e Paesi poveri, avrà poco valore, salvo la
maggiore responsabilità gravante su chi ha di più e può di
più.
Ma tale motivazione non è
né l'unica né la principale. É in gioco la dignità della
persona umana la cui difesa e promozione ci sono state
affidate dal Creatore, e di cui sono rigorosamente e
responsabilmente debitori gli uomini e le donne in ogni
congiuntura della storia. Il panorama odierno_come già molti
più o meno chiaramente avvertono_non sembra rispondente a
questa dignità. Ciascuno è chiamato a occupare il proprio
posto in questa campagna pacifica, da condurre con mezzi
pacifici, per conseguire lo sviluppo nella pace, per
salvaguardare la stessa natura e il mondo che ci circonda.
Anche la Chiesa si sente profondamente implicata in questo
cammino, nel cui felice esito finale spera Perciò,
sull'esempio di Papa Paolo VI con l'Enciclica Populorum
Progressio, (87) desidero rivolgermi con semplicità e umiltà
a tutti, uomini e donne senza eccezione, perché, convinti
della gravità del momento presente e della rispettiva,
individuale responsabilità, mettano in opera_con lo stile
personale e familiare della vita, con l'uso dei beni, con la
partecipazione come cittadini, col contributo alle decisioni
economiche e politiche e col proprio impegno nei piani
nazionali e internazionali_le misure ispirate alla solidarietà
e all'amore preferenziale per i poveri. Così richiede il
momento, così richiede soprattutto la dignità della persona
umana, immagine indistruttibile di Dio creatore, ch'è
identica in ciascuno di noi.
In questo impegno debbono
essere di esempio e di guida i figli della Chiesa, chiamati,
secondo il programma enunciato da Gesù stesso nella sinagoga
di Nazareth, ad «annunciare ai poveri un lieto messaggio
[...], a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi
la vista, a rimettere in libertà gli oppressi e predicare un
anno di grazia del Signore» (Lc4,18). Conviene
sottolineare il ruolo preponderante, che spetta ai laici,
uomini e donne, come è stato ripetuto nella recente Assemblea
sinodale. A loro compete animare, con impegno cristiano, le
realtà temporali e, in esse, mostrare di essere testimoni e
operatori di pace e di giustizia. Desidero rivolgermi
specialmente a quanti, per il sacramento del Battesimo e la
professione dello stesso Credo, sono compartecipi di una vera
comunione, sia pure imperfetta, con noi. Sono sicuro che sia
la sollecitudine che questa Lettera esprime, sia le
motivazioni chela animano saranno loro familiari, perché
ispirate dal Vangelo di Cristo Gesù. Possiamo trovare qui un
nuovo invito a dare testimonianza unanime delle nostre comuni
convinzioni sulla dignità dell'uomo, creato da Dio, redento
da Cristo, santificato dallo Spirito, e chiamato in questo
mondo a vivere una vita conforme a questa dignità. A coloro
che condividono con noi l'eredità di Abramo «nostro padre
nella fede» (88) (Rm4,11), e la tradizione dell'Antico
Testamento, ossia gli Ebrei, a coloro che, come noi, credono
in Dio giusto e misericordioso, ossia i Mussulmani, rivolgo
parimenti questo appello, che si estende, altresì, a tutti i
seguaci delle grandi religioni del mondo. L'incontro del 27
ottobre dell'anno passato ad Assisi, la città di san
Francesco, per pregare ed impegnarci per la pace_ognuno in
fedeltà alla propria professione religiosa_ha rivelato a
tutti fino a che punto la pace e, quale sua necessaria
condizione, lo sviluppo di «tutto l'uomo e di tutti gli
uomini» siano una questione anche religiosa, e come la piena
attuazione dell'una e dell'altro dipenda dalla fedeltà alla
nostra vocazione di uomini e di donne credenti. Perché
dipende, innanzitutto, da Dio.
48. La Chiesa sa bene che
nessuna realizzazione temporale s'identifica col Regno di Dio,
ma che tutte le realizzazioni non fanno che riflettere e, in
un certo senso, anticipare la gloria del Regno, che attendiamo
alla fine della storia, quando il Signore ritornerà. Ma
l'attesa non potrà esser mai una scusa per disinteressarsi
degli uomini nella loro concreta situazione personale e nella
loro vita sociale, nazionale e internazionale, in quanto
questa_ora soprattutto_condiziona quella.
Nulla, anche se imperfetto
e provvisorio, di tutto ciò che si può e si deve realizzare
mediante lo sforzo solidale di tutti e la grazia divina in un
certo momento della storia, per rendere «più umana» la vita
degli uomini, sarà perduto né sarà stato vano. Questo
insegna il Concilio Vaticano II in un testo luminoso della
Costituzione Gaudium et spes: «I beni della dignità umana,
l'unione fraterna e la libertà, in una parola tutti i frutti
eccellenti della natura e del nostro sforzo, dopo averli
diffusi per la terra nello Spirito del Signore e in accordo al
suo mandato, torneremo a ritrovarli, purificati da ogni
macchia, illuminati e trasfigurati, quando Cristo consegnerà
al Padre il Regno eterno e universale [...], già
misteriosamente presente sulla nostra terra». (89) Il Regno
di Dio si fa presente, ora, soprattutto con la celebrazione
del Sacramento dell'Eucaristia, che è il Sacrificio del
Signore. In tale celebrazione i frutti della terra e del
lavoro umano_il pane e il vino_sono trasformati
misteriosamente, ma realmente e sostanzialmente per opera
dello Spirito Santo e delle parole del ministro nel Corpo e
nel Sangue del Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di
Maria, per il quale il Regno del Padre si è fatto presente in
mezzo a noi. I beni di questo mondo e l'opera delle nostre
mani_il pane e il vino_servono per la venuta del Regno
definitivo, giacché il Signore mediante il suo Spirito li
assume in se, per offrirsi al Padre e offrire noi con lui nel
rinnovamento del suo unico sacrificio, che anticipa il Regno
di Dio e ne annuncia la venuta finale. Così il Signore
mediante l'Eucaristia, sacramento e sacrificio, ci unisce con
sé e ci unisce tra di noi con un vincolo più forte di ogni
unione naturale; e uniti ci invia al mondo intero per dare
testimonianza, con la fede e con le opere, dell'amore di Dio,
preparando la venuta del suo Regno e anticipandolo pur nelle
ombre del tempo presente. Quanti partecipiamo dell'Eucaristia,
siamo chiamati a scoprire, mediante questo Sacramento, il
senso profondo della nostra azione nel mondo in favore dello
sviluppo e della pace; ed a ricevere da esso le energie per
impegnarci sempre più generosamente, sull'esempio di Cristo
che in tale Sacramento dà la vita per i suoi amici (Gv15,13).
Come quello di Cristo e in quanto unito al suo, il nostro
personale impegno non sarà inutile, ma certamente fecondo.
49. In quest'Anno Mariano,
che ho indetto perché i fedeli cattolici guardino sempre di
più a Maria, che ci precede nel pellegrinaggio della fede
(90) e con materna premura intercede per noi davanti al suo
Figlio, nostro Redentore, desidero affidare a lei e alla sua
intercessione la difficile congiuntura del mondo
contemporaneo, gli sforzi che si fanno e si faranno, spesso
con grandi sofferenze, per contribuire al vero sviluppo dei
popoli, proposto e annunciato dal mio predecessore Paolo VI.
Come sempre ha fatto la pietà cristiana, noi presentiamo alla
Santissima Vergine le difficili situazioni individuali, perché,
esponendole a suo Figlio, ottenga da lui che siano alleviate e
cambiate. Ma le presentiamo, altresì, le situazioni sociali e
la stessa crisi internazionale nei loro aspetti preoccupanti
di miseria, disoccupazione, carenza di vitto, corsa agli
armamenti, disprezzo dei diritti umani, stati o pericoli di
conflitto, parziale o totale. Tutto ciò vogliamo filialmente
deporre davanti ai suoi «occhi misericordiosi», ripetendo
ancora una volta con fede e speranza l'antica antifona: «Santa
Madre di Dio non disprezzare le suppliche di noi che siamo
nella prova, ma liberaci sempre da tutti i pericoli, o Vergine
gloriosa e benedetta». Madre Santissima nostra Madre e
Regina, è colei che volgendosi a suo Figlio, dice: «Non
hanno più vino» (Gv2,3), ed è anche colei che loda
Dio Padre, perché: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha
innalzato gli umili. ha ricolmato di beni gli affamati, ha
rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc1,52). La sua
materna sollecitudine si interessa degli aspetti personali e
sociali della vita degli uomini sulla terra. (91) Davanti alla
Santissima Trinità, io affido a Maria quanto in questa
Lettera ho esposto invitando tutti a riflettere e ad
impegnarsi attivamente nel promuovere il vero sviluppo dei
popoli, come efficacemente afferma l'orazione della Messa
omonima: «O Dio, che hai dato a tutte le genti una unica
origine e vuoi riunirle in una sola famiglia, fa, che gli
uomini si riconoscano fratelli e promuovano nella solidarietà
lo sviluppo di ogni popolo, perché [...] si affermino i
diritti di ogni persona e la comunità umana conosca un'era di
eguaglianza e di pace». (92)
Questo concludendo, io
chiedo a nome di tutti i fratelli e sorelle, ai quali, in
segno di saluto e di augurio invio una speciale Benedizione.
Dato a Roma, presso San
Pietro, il 30 dicembre dell'anno 1987, decimo di Pontificato
NOTE
(1) LEONE XIII, Lett. Enc.
Rerum Novarum ( 15 maggio 1891): Leonis XIII P.M. Acta,
XI, Romae 1892, pp. 97- 144.
(2) PIO XI, Lett. Enc.
Quadragesimo Anno (15 maggio 1931): A,AS 23 (1931), pp.
177-228; GIOVANNI XXIII, Lett. Enc. Mater et Magistra
(15 maggio 1961): A,AS 53 (1961), pp. 401 -464; PAOLO VI,
Epist. Apost. Octogesima Adveniens (14 maggio 1971): A,AS
63 (1971), pp. 401-441: GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Laborem
Exercens
(14 settembre 1981): A,AS 73 (1981), pp. 577-647. Anche
Pio XII aveva diffuso un Messaggio radiofonico (1 giugno 1941)
per il cinquantesimo anniversario dell'Enciclica di Leone XIII:
A,AS 33 (1941), pp. 195205.
(3) Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione, Dei Verbum, 4.
(4) PAOLO VI, Lett. Enc. Populorum
Progressio (26 marzo 1967): A,AS 59 (1967), pp. 257-299.
(5) Cf. L'Osservatore
Romano, 25 marzo 1987.
(6) Cf. CONGR. PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su Libertà Cristiana e
Liberazione Libertatis Conscientia (22 marzo 1986), 72: A,AS
79 (1987), P. 586; PAOLO VI, Epist. Apost.
Octogesima Adveniens (14 maggio 1971), 4: AAS 63
(1971), PP. 403 S.
(7)
Cf. Lett. Enc. Redemptoris
Mater (25 marzo
1987), 3: A,AS 79 (1987), PP. 363 S.; Omelia nella Messa del 1°
gennaio 1987: L'Osservatore Romano, 2 gennaio 1987.
(8) L'Enciclica Populorum
Progressio cita i Documenti del Concilio Vaticano II 19
volte, di cui ben 16 si riferiscono alla Cost. past. su la
Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes.
(9)
Gaudium et Spes, 1.
(10)
Ibid., 4; cf. Lett. Enc. Populorum
Progressio.
13: l.c.. nn. 263-264.
(11)
Cf. Gaudium et Spes, 3; Lett. Enc. Populorum
Progressio, 13: l.c., p. 264.
(12)
Cf. Gaudium et Spes, 63; Lett. Enc. Populorum
Progressio, 9: l..c., pp. 261s.
(13)
Cf. Gaudium et Spes, 69; Lett. Enc. Populorum
Progressio, 22:
(14)
Cf. Gaudium et Spes, 57; Lett. Enc. Populorum
Progressio, 41: l.c., p. 277.
(15)
Cf. Gaudium et Spes, 19; Lett. Enc. Populorum
Progressio, 41: l.c., pp. 277 s.
(16)
Cf. Gaudium et Spes, 86; Lett. Enc. Populorum
Progressio, 48: l.c., p. 281.
(17)
Cf. Gaudium et Spes, 69: Lett. Enc. Populorum
Progressio,
1421:1.c.,pp.264-268.
(18) Cf. l'inscriptio
dell'Enciclica Populorum Progressio: l.c., p. 257.
(19) L'Enciclica Rerum
Novarum di Leone XIII ha come argomento principale «la
condizione degli operai»: Leonis XIII P. M. Acta Romae 1892,
p. 97.
(20) Cf. CONGR. PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su Libertà Cristiana e
Liberazione: Libertatis Conscientia (22 marzo 1986), 72: A,AS
79 (1987), P. 586; PAOLO VI Epist. Apost.
Octogesima Adveniens (14 maggio 1971), 4: AAS 63
(1971), PP. 403 S.
(21)
Cf. Lett. Enc. Mater
et Magistra (15
maggio 1961): A,AS 53 (1961), P. 440.
(22)
Gaudium et Spes, 63.
(23)
Cf. Lett. Enc. Populorum Progressio, 3: L.c., p. 258;
cf. anche ibid., 9: l.c., p. 261.
(24)
Cf. ibid., 3 I.C., P. 258.
(25) Ibid., 48.
(26) Cf. ibid., 14: 1.c.,
p. 264: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita
economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere
integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo
e di tutto l uomo».
(27)
Ibid., 87: I.C., p- 299
(28)
Cf. ibid., 53: l.c., p. 283.
(29)
Cf. ibid., 76: l.c., p. 295.
(30) I decenni si
riferiscono agli anni 1960- 1970 e 1970- 1980; adesso n corso
il terzo decennio (1980-1990).
(31) L'espressione «Quarto
Mondo» viene adoperata non solo occasionalmente per i Paesi
cosiddetti meno avanzati (PMA) ma anche e soprattutto per le
fasce di grande o estrema povertà dei Paesi a medio e alto
reddito.
(32) CONC. ECUM. VATIC.
II, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen Gentium, 1.
(33)
Cf. Lett. Enc. Populorum Progressio, 33: l.c., p. 273.
(34) Come è noto, la
Santa Sede si è associata alla celebrazione di questo Anno
internazionale con uno speciale Documento della Pontificia
Commissione «Iustitia et Pax»: Che ne hai fatto del tuo
fratello senza tetto? - La Chiesa e il problema dell'alloggio
(27 dicembre 1987).
(35) Cf. PAOLO VI, Epist.
Apost. Octogesima Adveniens (14 maggio 1971), 8-9: A,AS
63 (1971), PP. 406-408.
(36) Il recente Étude sur
l'èconomie mondiale 1987, pubblicato dalle Nazioni Unite,
contiene gli ultimi dati al riguardo (cf. pp. 8-9). La
percentuale dei disoccupati nei Paesi sviluppati a economia di
mercato è passata dal 3% della forza lavoro nel 1970 all'8%
nel 1986. Ora, essi ammontano a 29 milioni.
(37) Lett. Enc. Laborem
Exercens (14 settembre 1981), 18: A,AS 73 (1981), pp. 624
s.
(38) Al servizio della
comunità umana: un approccio etico del debito internazionale
(27 dicembre 1986).
(39) Lett. Enc. Populorum
Progressio, 54: l.c., pp. 283 s.: «I Paesi in via di
sviluppo non correranno più il rischio di vedersi sopraffatti
dai debiti, il cui soddisfacimento fi1nisce coll'assorbire il
meglio dei loro guadagni. Tassi di interesse e durata dei
prestiti potranno essere distribuiti in maniera sopportabile
per gli uni e per gli altri, equilibrando i doni graduiti, i
prestiti senza interesse o a interesse minimo, e la durata
degli ammortamenti».
(40) Cf. «presentazione»
del Documento: Al servizio della comunità umana: un approccio
etico del debito internazionale (27 dicembre 1 986).
(41)
Cf. Lett. Enc. Populorum Progressio, 53: l.c., p. 283.
(42) Al servizio della
comunità umana: un approccio etico del debito internazionale
(27 dicembre 1986), III.2.1.
(43) Cf. Lett. Enc. Populorum
Progressio, 20-21: l.c., pp. 267 s.
(44) Omelia presso
Drogheda, Irlanda (29 settembre 1979), 5 71 (1979), II, p.
1079.
(45) Cf. Lett. Enc. Populorum
Progressio, 37: l.c., pp. 275 s.
(46) Cf. Esort. Apost. Familiaris
Consortio (22 novembre 1981), specialmente al n. 30: A,AS
74 ( 1 982), pp. 115-117.
(47)
Cf. Droits de l'homme. Recueil d'instruments internationaux,
Nations Unies, New York 1983. GIOVANNI
PAOLO II, Lett. Enc. Redemptor
Hominis
(4 marzo 1979), 17: A,AS 71 (1979), p. 296.
(48) Cf. CONC. ECUM. VATC.
II, Cost. past. su la Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium
et Spes, 78; PAOLO VI, Lett. Enc. Populorum Progressio,
76: l.c., pp. 294 s.: «Combattere la miseria e lottare contro
l'ingiustizia è promuovere, insieme con il miglioramento
delle condizioni di vita, il progresso umano e spirituale di
tutti, e dunque il bene comune dell'umanità. La pace... si
costruisce giorno dopo giorno, nel perseguimento di un ordine
voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra
gli uomini».
(49) Cf. Esort. Apost. Familiaris
Consortio (22 novembre 1981), 6: AAS 74 (1982), p. 88: «La
storia non è semplicemente un progresso necessario verso il
meglio, bensì un evento di libertà, ed anzi un combattimento
fra libertà».
(50) Per questo motivo, si
è preferito adoperare nel testo di questa Enciclica la parola
«sviluppo» anziché la parola «progresso», cercando però
di dare alla parola «sviluppo» il senso più pieno.
(51) Lett. Enc. Populorum
Progressio, 19: l.c., pp. 266 s.: «Avere di più, per i
popoli come per le persone, non è dunque lo scopo ultimo.
Ogni crescita è ambivalente... La ricerca esclusiva
dell'avere diventa così un ostacolo alla crescita dell'essere
e si oppone alla sua vera grandezza: per le Nazioni come per
le persone, l'avarizia è la forma più evidente del
sottosviluppo morale»; cf. anche dello stesso PAOLO VI,
Epist. Apost. Octogesima Adveniens (14 maggio 1971), 9:
AAS 63 (1971), pp. 407 s.
(52) Cf. Cost. past. su la
Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, 35;
PAOLO VI, Allocuzione al Corpo Diplomatico (7 gennaio 1965):
A,AS 57 (1965), p. 232.
(53)
Cf. Lett. Enc. Populorum Progressio, 20-21: I.c. pp.
267 s.
(54)
Cf. Lett. Enc. Laborem Exercens (14 settembre 1981),4:
A,AS 73 (1981), PP. 584 S.: PAOLO VI, Lett. Enc. Populorum
Progressio, 15: l.c., p. 265.
(55)
Lett. Enc. Populorum Progressio, 42: I.C., P. 278.
(56) Cf. Praeconium
Paschale: Missale Romanum, ed. typ. altera 1975, P.272: «Davvero
era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con
la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un così
grande redentore!».
(57) CONC. ECUM. VATIC.
II, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen Gentium, 1.
(58) Cf. ad esempio S.
BASILIO il Grande, Regulae fusius tractatae, interrogatio
XXXVII, 1 -2: PG 31, 1009- 1012; TEODORETO di Ciro, De
Providentia, Oractio VII: PG 83, 665-686; S. AGOSTINO, De
Civitate Dei, XIX 17: CCL 48, 683-685.
(59) Cf. ad esempio S.
GIOVANNI CRISOSTOMO, In Evang, S. Matthaei, hom. 50,3-4: PG
58,508-510; S. AMBROGIO, De Officiis Ministrorum, lib. II,
XXVIII, 136- 140: PL 16, 139- 141; POSSIDIO, Vita S. Augustini
Episcopi, XXIV: PL 32, 53 S.
(60) Lett. Enc. Populorum
Progressio, 23: l.c., p. 268: « "Se qualcuno, in
possesso delle ricchezze che offre il mondo, vede il suo
fratello nella necessità e chiude a lui le sue viscere, come
potrebbe l'amore di Dio abitare in lui? " (1 Gv 3, 17).
Si sa con quale fermezza i Padri della Chiesa hanno precisato
quale debba essere l'atteggiamento di coloro che possiedono
nei confronti di coloro che sono nel bisogno». Nel numero
precedente il Papa aveva citato il n. 69 della Cost. past. Gaudium
et Spes del Concilio Ecumenico Vaticano II.
(61) Cf. Lett. Enc. Populorum
Progressio, 47: l.c., p. 280: «... un mondo dove la
libertà non sia una parola vana e dove il povero Lazzaro
possa assidersi alla stessa mensa del ricco».
(62) Cf. ibid. 47: l.c.,
p. 280: «Si tratta di costruire un mondo in cui ogni uomo,
senza esclusioni di razza, di religione. di nazionalità possa
vivere una vita pienamente umana, affrancata dalle servitù
che gli vengono dagli uomini...»; cf. anche CONC. ECUM.
VATIC. II, Cost. past. su la Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium
et Spes, 29. Tale eguaglianza fondamentale è uno dei
motivi basilari per cui la Chiesa si è sempre opposta ad ogni
forma di razzismo.
(63) Cf. Omelia a Val
Visdende (12 luglio 1987), 5: L'Osservatore Romano, 13-14
luglio 1987; PAOLO VI, Epist. Apost. Octogesima Adveniens (14
maggio 1971), 21: AAS 63 (1971), PP. 416 s.
(64) Cf. CONC. VATIC. II,
Cost. past. su la Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
Spes, 25.
(65) Esort. Apost. Reconciliatio
et Paenitentia (2 dicembre 1984), 16: «Orbene la Chiesa,
quando parla di situazioni di peccato o denuncia come peccati
sociali certe situazioni o certi comportamenti collettivi di
gruppi sociali più o meno vasti, o addirittura di intere
Nazioni o gruppi di Nazioni, sa e proclama che tali casi di
peccato sociale sono il frutto, l'accumulazione e la
concentrazione di molti peccati personali. Si tratta di
personalissimi peccati di chi genera o favorisce l'iniquità o
la sfrutta; di chi, potendo fare qualcosa per evitare, o
eliminare, o almeno limitare certi mali sociali, omette di
farlo per pigrizia, per paura e omertà, per mascherata
complicità o per indifferenza; di chi cerca rifugio nella
presunta impossibilità di cambiare il mondo; e anche di chi
pretende estraniarsi dalla fatica e dal sacrifico, accampando
speciose ragioni di ordine superiore. Le vere responsabilità,
dunque, sono delle persone. Una situazione e così
un'istituzione, una struttura, una società_non è di per sé,
soggetto di atti morali; perciò non può essere in se stessa
buona o cattiva»: AAS 77 (1985), p. 217.
(66)
Lett. Enc. Populorum Progressio, 42: l.c., p. 278.
(67)
Cf. Liturgia Horarum, Feria III hebdomadae III temporis per
annum. Preces ad Vesperas.
(68)
Lett. Enc. Populorum Progressio, 87: Lc., p. 299.
(69)
Cf. ibid., 13; 81: 1.c.,pp.263s.; 296s.
(70)
Cf. ibid., 13: l.c.,p.263.
(71) Cf. Discorso di
apertura della Terza Conferenza Generale dell'Episcopato
Latinoamericano (28 gennaio 1979): MS 71 (1979), pp. 189-196.
(72) CONGR. PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su Libertà Cristiana e
Liberazione Libertatis Conscientia (22 marzo 1986), 72: A,AS
79 (1987), p. 586; PAOLO VI, Epist. Apost.
Octogesima Adveniens (14 maggio 1971), 4: A,AS 63 (1971), pp.
403 s.
(73) Cf. Cost. past. su la
Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, parte
II, c. V, sezione II: «La costruzione della comunità
internazionale» (nn. 83-90).
(74) Cf. GIOVANNI XXIII,
Lett. Enc. Mater et Magistra (15 maggio 1961): A,AS 53
(1961), p. 440; Lett. Enc. Pacem in terris (11 aprile
1963), Parte IV: A,AS 55 (1963), PP. 291-296; PAOLO VI, Epist.
Apost. Octogesima Adveniens ( 14 maggio 1971), 2-4:
A,AS 63 (1971), PP. 402-404.
(75) Cf. Lett. Enc. Populorum
Progressio, 3. 9: l.c., PP. 258. 261.
(76) Ibid., 3: l.c., p.
258.
(77) Lett. Ene. Populorum
Progressio, 47: l.c., p. 280; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA
FEDE, Istruzione su Libertà Cristiana e Liberazione
Libertatis Conscientia (22 marzo l986),68:AAS79(1987), PP.
583s.
(78) Cf. CONC. ECUM. II,
Cost. past. su la Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
Spes, 69; PAOLO VI, Lett. Enc. Populorum
Progressio,
22: l.c., p. 268; CONGR. PER
LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su Libertà Cristiana e
Liberazione Libertatis Conscientia (22 marzo 1986), 90: A,AS
79 (1987), p. 594; S. TOMMASO D AQUINO, Summa Theol. II
a II ae, q. 66, art. 2.
(79) Cf. Discorso di
apertura della Terza Conferenza Generale dell'Episcopato
Latinoamericano (28 gennaio 1979): AAS 71 (1979), pp. 189-196;
Discorso ad un gruppo di Vescovi della Polonia in visita «ad
limina Apostolorum» (17 dicembre 1987), 6: L'Osservatore
Romano, 18 dieembre 1987.
(80) Perché il Signore ha
voluto identificarsi con loro (Mt. 25, 31-46) e se ne prende
speciale cura (cf. Sal 12 L11], 6; Lc 1, 52 s.).
(81) Lett. Enc. Populorum
Progressio, 55: l.c., p. 284: «Sono questi gli uomini e
le donne ehe bisogna aiutare, ehe bisogna eonvineere della
neeessità di por mano essi stessi al loro sviluppo,
aequisendone progressivamente i mezzi»; ef. Cost. past. su la
Chiesa nel mondo eontemporaneo Gaudium et Spes, 86.
(82) Lett. Enc. Populorum
Progressio, 35: l.c., p. 274: «L'educazione di base e il
primo obiettivo di un piano di sviluppo».
(83) Cf. CONGRES. PER LA
DOrrRINA DELLA FEDE, Istruzione su aleuni aspetti della «Teologia
della liberazione» Libertatis Nuntius (6 agosto 1984),
Introduzione: AAS 76 (1984), pp. 876 s.
(84)
Cf. Esort. Apost. Reconciliatio et Paenitentia (2
dieembre 1984), 16: AAS 77 (1985), pp. 213-217; CONGR. PER
LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su Libertà Cristiana e
Liberazione Libertatis Conscientia (22 marzo 1986), 38; 42:
A,AS 79 (1987), pp. 569; 571.
(85) CONGR. PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione SU Libertà Cristiana e
Liberazione Libertatis Conscientia (22 marzo 1986), 24: AAS 79
(1987), p. 564.
(86) Cf. Cost. past. su la
Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, 22;
GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptor Hominis (4
marzo 1979), 8: MS 71 (1979), p. 272.
(87) Lett. Enc. Populorum
Progressio, 5: l.c., p. 259: «Noi pensiamo che su tale
programma possano e debbano convenire, assieme ai nostri figli
cattolici e ai fratelli cri.stiani, gli uomini di buona volontà»;
cf. anehe 81-83 l.c., pp. 296-298; 299.
(88)
Cf. CONC. ECUM. VATIC. II,
Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni
non-cristiane. Nostra
Aetate,
4.
(89)
Gaudium et Spes, 39.
(90)
CONC. ECUM. VATIC. II,
Cost. dogm. su la Chiesa Lumen Gentium, 58; cf.
GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris
Mater
(25 marzo 1987), 5-6: AAS 79 (1987), pp. 365-367.
(91) Cf. PAOLO VI, Esort.
Apost. Marialis Cultus (2 febbraio 1974), 37: AAS 66 (1974),
pp. 148 s.; GIOVANNI PAOLO II, Omelia al Santuario della
B.V.M. di Zapopan, Messico (30 gennaio 1979),4: AAS 71 (1979),
P. 230.
(92) Collecta Missae «pro
populorum progressione»: Missale Romanum, ed. typ. altera
1975, P. 820.
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