LETTERA
ENCICLICA
UT
UNUM SINT
DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
SULL'IMPEGNO ECUMENICO
INTRODUZIONE
1. Ut unum sint ! L'appello
all'unità dei cristiani, che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha
riproposto con così appassionato impegno, risuona con sempre maggiore
vigore nel cuore dei credenti, specie all'approssimarsi dell'Anno
Duemila che sarà per loro un Giubileo sacro, memoria
dell'Incarnazione del Figlio di Dio, che si è fatto uomo per salvare
l'uomo.
La testimonianza coraggiosa di
tanti martiri del nostro secolo, appartenenti anche ad altre Chiese e
Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica,
infonde nuova forza all'appello conciliare e ci richiama l'obbligo di
accogliere e mettere in pratica la sua esortazione. Questi nostri
fratelli e sorelle, accomunati nell'offerta generosa della loro vita
per il Regno di Dio, sono la prova più significativa che ogni
elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale
di sé alla causa del Vangelo.
Cristo chiama tutti i suoi
discepoli all'unità.
L'ardente desiderio che mi muove è di rinnovare oggi questo invito,
di riproporlo con determinazione, ricordando quanto ebbi a
sottolineare al Colosseo romano il Venerdì Santo 1994, concludendo la
meditazione della Via Crucis, guidata dalle parole del venerato
fratello Bartolomeo, Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Ho
affermato in quella circostanza che, uniti nella sequela dei martiri,
i credenti in Cristo non possono restare divisi. Se vogliono veramente
ed efficacemente combattere la tendenza del mondo a rendere vano il
Mistero della Redenzione, essi debbono professare insieme la stessa
verità sulla Croce.1 La Croce! La corrente anticristiana si
propone di mortificarne il valore, di svuotarla del suo significato,
negando che l'uomo ha in essa le radici della sua nuova vita;
pretendendo che la Croce non sappia nutrire né prospettive né
speranze: l'uomo, si dice, è soltanto un essere terreno, che deve
vivere come se Dio non esistesse.
2. A nessuno sfugge la sfida che
tutto ciò pone ai credenti. Essi non possono non raccoglierla. Come
potrebbero, infatti, rifiutarsi di fare tutto il possibile, con
l'aiuto di Dio, per abbattere muri di divisione e di diffidenza, per
superare ostacoli e pregiudizi, che impediscono l'annuncio del Vangelo
della salvezza mediante la Croce di Gesù, unico Redentore dell'uomo,
di ogni uomo?
Ringrazio il Signore perché ci ha
indotto a progredire lungo la via difficile, ma tanto ricca di gioia,
dell'unità e della comunione fra i cristiani. I dialoghi
interconfessionali a livello teologico hanno dato frutti positivi e
tangibili: ciò incoraggia ad andare avanti.
Tuttavia, oltre alle divergenze
dottrinali da risolvere, i cristiani non possono sminuire il peso
delle ataviche incomprensioni che essi hanno ereditato dal
passato, dei fraintendimenti e dei pregiudizi degli uni
nei confronti degli altri. Non di rado, poi, l'inerzia, l'indifferenza
ed una insufficiente conoscenza reciproca aggravano tale
situazione. Per questo motivo, l'impegno ecumenico deve fondarsi sulla
conversione dei cuori e sulla preghiera, le quali indurranno anche
alla necessaria purificazione della memoria storica. Con la
grazia dello Spirito Santo, i discepoli del Signore, animati
dall'amore, dal coraggio della verità e dalla volontà sincera di
perdonarsi a vicenda e di riconciliarsi, sono chiamati ariconsiderare
insieme il loro doloroso passato e quelle ferite che esso continua
purtroppo a provocare anche oggi. Sono invitati dalla forza sempre
giovane del Vangelo a riconoscere insieme con sincera e totale
obiettività gli errori commessi e i fattori contingenti intervenuti
all'origine delle loro deprecabili separazioni. Occorre un pacato e
limpido sguardo di verità, vivificato dalla misericordia divina,
capace di liberare gli spiriti e di suscitare in ciascuno una
rinnovata disponibilità, proprio in vista dell'annuncio del Vangelo
agli uomini di ogni popolo e nazione.
3. Con il Concilio Vaticano II, la
Chiesa cattolica si è impegnata in modo irreversibile a
percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all'ascolto
dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i «
segni dei tempi ». Le esperienze, che essa ha vissuto in questi anni
e che continua a vivere, la illuminano ancor più profondamente sulla
sua identità e sulla sua missione nella storia. La Chiesa cattolica
riconosce e confessa le debolezze dei suoi figli, consapevole
che i loro peccati costituiscono altrettanti tradimenti ed ostacoli
alla realizzazione del disegno del Salvatore. Sentendosi costantemente
chiamata al rinnovamento evangelico, essa non cessa dunque di fare
penitenza. Al tempo stesso, però, riconosce ed esalta ancora di più la
potenza del Signore il quale, avendola colmata del dono della
santità, l'attira e la conforma alla Sua passione e alla Sua
resurrezione.
Edotta dalle molteplici vicende
della sua storia, la Chiesa è impegnata a liberarsi da ogni sostegno
puramente umano, per vivere in profondità la legge evangelica delle
Beatitudini. Consapevole che la verità non si impone se non « in
forza della stessa verità, la quale penetra nelle menti soavemente ed
insieme con vigore »,2 nulla ricerca per sé se non la libertà
d'annunciare il Vangelo. La sua autorità infatti si esercita nel
servizio della verità e della carità.
Io stesso intendo promuovere
ogni utile passo affinché la testimonianza dell'intera comunità
cattolica possa essere compresa nella sua integrale purezza e
coerenza, soprattutto in vista di quell'appuntamento che attende la
Chiesa alle soglie del nuovo Millennio, ora eccezionale per la quale
essa domanda al Signore che l'unità di tutti i cristiani cresca fino
a raggiungere la piena comunione.3 A questo nobilissimo scopo mira
anche la presente Lettera enciclica, che nella sua indole
essenzialmente pastorale vuol contribuire a sostenere lo sforzo di
quanti lavorano per la causa dell'unità.
4. È questo un preciso impegno
del Vescovo di Roma in quanto successore dell'apostolo Pietro. Io lo
svolgo con la convinzione profonda di ubbidire al Signore e con la
piena consapevolezza della mia umana fragilità. Infatti, se Cristo
stesso ha affidato a Pietro questa speciale missione nella Chiesa e
gli ha raccomandato di confermare i fratelli, Egli gli ha fatto
conoscere allo stesso tempo la sua debolezza umana ed il suo
particolare bisogno di conversione: « Tu, una volta ravveduto,
conferma i tuoi fratelli » (Lc 22, 32). Proprio nell'umana
debolezza di Pietro si manifesta pienamente come, per adempiere questo
speciale ministero nella Chiesa, il Papa dipenda totalmente dalla
grazia e dalla preghiera del Signore: « Io ho pregato per te, che non
venga meno la tua fede » (Lc 22, 32). La conversione di Pietro
e dei suoi successori trova appoggio sulla preghiera stessa del
Redentore e la Chiesa costantemente partecipa a questa invocazione.
Nella nostra epoca ecumenica, segnata dal Concilio Vaticano II, la
missione del Vescovo di Roma si rivolge particolarmente a ricordare
l'esigenza della piena comunione dei discepoli di Cristo.
Il Vescovo di Roma in prima
persona deve far sua con fervore la preghiera di Cristo per la
conversione, che è indispensabile a « Pietro » per poter servire i
fratelli. Di cuore chiedo che partecipino a questa preghiera i fedeli
della Chiesa cattolica e tutti i cristiani. Insieme a me, tutti
preghino per questa conversione.
Sappiamo che la Chiesa nel suo
peregrinare terreno ha sofferto e continuerà a soffrire di
opposizioni e persecuzioni. La speranza che la sostiene è tuttavia
incrollabile, come è indistruttibile la gioia che da tale speranza
scaturisce. Infatti, la roccia salda e perenne, su cui essa è
fondata, è Gesù Cristo suo Signore.
I
L'IMPEGNO
ECUMENICO
DELLA CHIESA CATTOLICA
Il disegno di Dio e la
comunione
5. Assieme a tutti i discepoli di
Cristo, la Chiesa cattolica fonda sul disegno di Dio il suo impegno
ecumenico di radunare tutti nell'unità. Infatti « la Chiesa non è
una realtà ripiegata su se stessa bensì permanentemente aperta alla
dinamica missionaria ed ecumenica, perché inviata al mondo ad
annunciare e testimoniare, attualizzare ed espandere il mistero di
comunione che la costituisce: raccogliere tutti e tutto in Cristo; ad
essere per tutti "sacramento inseparabile di unità" ».4
Già nell'Antico Testamento,
riferendosi a quella che era allora la situazione del popolo di Dio,
il profeta Ezechiele, ricorrendo al semplice simbolo di due legni
prima distinti, poi accostati l'uno all'altro, esprimeva la volontà
divina di « radunare da ogni parte » i membri del suo popolo
lacerato: « Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Le
genti sapranno che io sono il Signore che santifico Israele » (cfr
37, 16-28). Il Vangelo giovanneo, da parte sua, e di fronte alla
situazione del popolo di Dio a quel tempo, vede nella morte di Gesù
la ragione dell'unità dei figli di Dio: « Doveva morire per la
nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i
figli di Dio che erano dispersi » (11, 51-52). Infatti, spiegherà la
Lettera agli Efesini, « abbattendo il muro di separazione, [...] per
mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia », di ciò
che era diviso egli ha fatto una unità (cfr 2, 14-16).
6. L'unità di tutta l'umanità
lacerata è volontà di Dio. Per questo motivo Egli ha inviato il suo
Figlio perché, morendo e risorgendo per noi, ci donasse il suo
Spirito d'amore. Alla vigilia del sacrificio della Croce, Gesù stesso
chiede al Padre per i suoi discepoli, e per tutti i credenti in lui,
che siano una cosa sola, una comunione vivente. Da ciò deriva
non soltanto il dovere, ma anche la responsabilità che incombe
davanti a Dio, di fronte al suo disegno, su quelli e quelle che per
mezzo del Battesimo diventano il Corpo di Cristo, Corpo nel quale
debbono realizzarsi in pienezza la riconciliazione e la comunione.
Come è mai possibile restare divisi, se con il Battesimo noi siamo
stati « immersi » nella morte del Signore, vale a dire nell'atto
stesso in cui, per mezzo del Figlio, Dio ha abbattuto i muri della
divisione? La « divisione contraddice apertamente alla volontà di
Cristo, ed è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa
della predicazione del Vangelo a ogni creatura ».5
La via ecumenica: via della
Chiesa
7. « Il Signore dei secoli, che
con sapienza e pazienza persegue il disegno della sua grazia verso di
noi peccatori, in questi ultimi tempi ha incominciato ad effondere con
maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l'interiore
ravvedimento ed il desiderio dell'unione. Moltissimi uomini in ogni
parte del mondo sono stati toccati da questa grazia, e anche tra i
nostri fratelli separati è sorto, per impulso della grazia dello
Spirito Santo, un movimento ogni giorno più ampio per il
ristabilimento dell'unità di tutti i cristiani. A questo
movimento per l'unità, chiamato ecumenico, partecipano quelli che
invocano la Trinità e professano la fede in Gesù Signore e
Salvatore, e non solo singole persone separatamente, ma anche riunite
in gruppi, nei quali hanno ascoltato il Vangelo e che i singoli dicono
essere la Chiesa loro e di Dio. Quasi tutti però, anche se in modo
diverso, aspirano alla Chiesa di Dio una e visibile, che sia
veramente universale e mandata a tutto il mondo, perché il mondo si
converta al Vangelo e così si salvi per la gloria di Dio ».6
8. Tale affermazione del Decreto Unitatis
redintegratio va letta nel contesto dell'intero magistero
conciliare. Il Concilio Vaticano II esprime la decisione della Chiesa
di assumere il compito ecumenico a favore dell'unità dei cristiani e
di proporlo con convinzione e con vigore: « Questo Santo Concilio
esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei
tempi, partecipino con slancio all'opera ecumenica ».7
Nell'indicare i principi cattolici
dell'ecumenismo, l'Unitatis redintegratio si ricollega prima di
tutto all'insegnamento sulla Chiesa della Costituzione Lumen
gentium, nel suo capitolo che tratta del popolo di Dio.8 Allo
stesso tempo, esso ha presente quanto affermato dalla Dichiarazione
conciliare Dignitatis humanae sulla libertà religiosa.9
La Chiesa cattolica accoglie con
speranza l'impegno ecumenico come un imperativo della coscienza
cristiana illuminata dalla fede e guidata dalla carità. Anche qui si
può applicare la parola di san Paolo ai primi cristiani di Roma: «
L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello
Spirito santo »; così la nostra « speranza non delude » (Rm
5, 5). Questa è la speranza dell'unità dei cristiani, che nell'unità
Trinitaria del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo trova la sua
fonte divina.
9. Gesù stesso nell'ora della sua
Passione ha pregato « perché tutti siano una sola cosa » (Gv 17,
21). Questa unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella
quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al
centro stesso della sua opera. Né essa equivale ad un attributo
secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece
all'essere stesso di questa comunità. Dio vuole la Chiesa, perché
egli vuole l'unità e nell'unità si esprime tutta la profondità
della sua agape.
Infatti, questa unità data dallo
Spirito Santo non consiste semplicemente nel confluire insieme di
persone che si sommano l'una all'altra. È una unità costituita dai
vincoli della professione di fede, dei sacramenti e della comunione
gerarchica.10 I fedeli sono uno perché, nello Spirito, essi
sono nella comunione del Figlio e, in lui, nella sua comunione
col Padre: « La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo
Gesù Cristo » (1 Gv 1, 3). Dunque, per la Chiesa cattolica,
la comunione dei cristiani non è altro che la manifestazione
in loro della grazia per mezzo della quale Dio li rende partecipi
della sua propria comunione, che è la sua vita eterna. Le
parole di Cristo « che tutti siano una cosa sola », sono dunque la
preghiera rivolta al Padre perché il suo disegno si compia
pienamente, così che risplenda « agli occhi di tutti qual è
l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio,
Creatore dell'universo » (Ef 3, 9). Credere in Cristo
significa volere l'unità; volere l'unità significa volere la Chiesa;
volere la Chiesa significa volere la comunione di grazia che
corrisponde al disegno del Padre da tutta l'eternità. Ecco qual è il
significato della preghiera di Cristo: « Ut unum sint ».
10. Nell'attuale situazione di
divisione fra i cristiani e di fiduciosa ricerca della piena
comunione, i fedeli cattolici si sentono profondamente interpellati
dal Signore della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha rafforzato il
loro impegno con una visione ecclesiologica lucida e aperta a tutti i
valori ecclesiali presenti tra gli altri cristiani. I fedeli cattolici
affrontano la problematica ecumenica in spirito di fede.
Il Concilio dice che « la Chiesa
di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di
Pietro e dai vescovi in comunione con lui » e nel contempo riconosce
che « al di fuori del suo organismo visibile si trovino parecchi
elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della
Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica ».11
« Perciò le Chiese e Comunità
separate, quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero
della salvezza non sono affatto prive di significato e valore. Lo
spirito di Cristo infatti non ricusa di servirsi di esse come di
strumenti di salvezza, la cui efficacia deriva dalla stessa pienezza
di grazia e di verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica ».12
11. In questo modo la Chiesa
cattolica afferma che, durante i duemila anni della sua storia, è
stata conservata nell'unità con tutti i beni con i quali Dio vuole
dotare la sua Chiesa, e ciò malgrado le crisi spesso gravi che
l'hanno scossa, le carenze di fedeltà di alcuni suoi ministri e gli
errori in cui quotidianamente si imbattono i suoi membri. La Chiesa
cattolica sa che, in nome del sostegno che le proviene dallo Spirito,
le debolezze, le mediocrità, i peccati, a volte i tradimenti di
alcuni dei suoi figli, non possono distruggere ciò che Dio ha infuso
in essa in funzione del suo disegno di grazia. Anche « le porte degli
inferi non prevarranno contro di essa » (Mt 16, 18). Tuttavia
la Chiesa cattolica non dimentica che molti nel suo seno opacizzano il
disegno di Dio. Evocando la divisione dei cristiani, il Decreto
sull'ecumenismo non ignora la « colpa di uomini di entrambe le parti
»,13 riconoscendo che la responsabilità non può essere attribuita
unicamente agli « altri ». Per grazia di Dio, non è stato però
distrutto ciò che appartiene alla struttura della Chiesa di Cristo e
neppure quella comunione che permane con le altre Chiese e Comunità
ecclesiali.
Infatti, gli elementi di
santificazione e di verità presenti nelle altre Comunità cristiane,
in grado differenziato dall'una all'altra, costituiscono la base
oggettiva della pur imperfetta comunione esistente tra loro e la
Chiesa cattolica.
Nella misura in cui tali elementi
si trovano nelle altre Comunità cristiane, l'unica Chiesa di Cristo
ha in esse una presenza operante. Per questo motivo il Concilio
Vaticano II parla di una certa comunione, sebbene imperfetta. La
Costituzione Lumen gentium sottolinea che la Chiesa cattolica
« sa di essere per più ragioni unita » 14 a queste Comunità con
una certa vera unione nello Spirito Santo.
12. La stessa Costituzione ha
lungamente esplicitato « gli elementi di santificazione e verità »
che, in modo diversificato, si trovano ed agiscono oltre le frontiere
visibili della Chiesa cattolica: « Ci sono infatti molti che hanno in
onore la Sacra Scrittura come norma della fede e della vita, mostrano
un sincero zelo religioso, credono con amore in Dio Padre onnipotente
e in Cristo, Figlio di Dio e Salvatore, sono segnati dal Battesimo,
col quale vengono uniti con Cristo; anzi riconoscono e accettano nelle
proprie chiese e comunità ecclesiali anche altri sacramenti. Molti
fra loro hanno anche l'Episcopato, celebrano la sacra Eucaristia e
coltivano la devozione alla Vergine Madre di Dio. A questo si aggiunge
la comunione di preghiere e di altri benefici spirituali; anzi una
certa vera unione nello Spirito Santo, poiché anche in loro lo
Spirito con la sua virtù vivificante opera per mezzo di doni e
grazie, e ha fortificati alcuni di loro fino allo spargimento del
sangue. Così lo Spirito suscita in tutti i discepoli di Cristo il
desiderio e l'azione, affinché tutti, nel modo da Cristo stabilito,
pacificamente si uniscano in un solo gregge sotto un solo pastore ».15
Il Decreto conciliare
sull'ecumenismo, riferendosi alle Chiese ortodosse, è pervenuto in
particolare a dichiarare che « per mezzo della celebrazione
dell'Eucaristia del Signore in queste singole chiese la Chiesa di Dio
è edificata e cresce ».16 Riconoscere tutto questo è una esigenza
di verità.
13. Di questa situazione, il
medesimo Documento enuclea con sobrietà le implicazioni dottrinali. A
proposito dei membri di tali Comunità, esso dichiara: « Giustificati
nel Battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo e perciò sono a
ragione insigniti del nome di cristiani e dai figli della Chiesa
cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore ».17
Riferendosi ai molteplici beni
presenti nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali, il Decreto
aggiunge: « Tutte queste cose, che provengono da Cristo e a lui
conducono, giustamente appartengono all'unica Chiesa di Cristo. Anche
non poche azioni sacre della religione cristiana vengono compiute dai
fratelli da noi separati, e queste in vari modi, secondo la diversa
condizione di ciascuna chiesa o comunità, possono senza dubbio
produrre realmente la vita della grazia e si devono dire atte ad
aprire l'ingresso nella comunione della salvezza ».18
Si tratta di testi ecumenici della
massima importanza. Oltre i limiti della comunità cattolica non c'è
il vuoto ecclesiale. Parecchi elementi di grande valore (eximia)
che, nella Chiesa cattolica sono integrati alla pienezza dei mezzi di
salvezza e dei doni di grazia che fanno la Chiesa, si trovano anche
nelle altre Comunità cristiane.
14. Tutti questi elementi portano
in sé il richiamo all'unità per trovare in essa la loro pienezza.
Non si tratta di sommare insieme tutte le ricchezze disseminate nelle
Comunità cristiane, al fine di pervenire ad una Chiesa a cui Dio
mirerebbe per il futuro. Secondo la grande Tradizione attestata dai
Padri d'Oriente e d'Occidente, la Chiesa cattolica crede che
nell'evento di Pentecoste Dio ha già manifestato la Chiesa
nella sua realtà escatologica, che egli preparava « sin dal tempo di
Abele il Giusto ».19 Essa è già data. Per questo motivo noi siamo
già nei tempi ultimi. Gli elementi di questa Chiesa già data
esistono, congiunti nella loro pienezza, nella Chiesa cattolica e,
senza tale pienezza, nelle altre Comunità,20 dove certi aspetti del
mistero cristiano sono stati a volte messi più efficacemente in luce.
L'ecumenismo intende precisamente far crescere la comunione parziale
esistente tra i cristiani verso la piena comunione nella verità e
nella carità.
Rinnovamento e conversione
15. Passando dai principi,
dall'imperativo della coscienza cristiana, alla realizzazione della
via ecumenica verso l'unità, il Concilio Vaticano II mette
soprattutto in rilievo la necessità della conversione del cuore.
L'annuncio messianico « il tempo è compiuto e il Regno di Dio è
vicino » e l'appello conseguente « convertitevi e credete al Vangelo
» (Mc 1, 15) con cui Gesù inaugura la sua missione, indicano
l'elemento essenziale che deve caratterizzare ogni nuovo inizio: la
fondamentale esigenza dell'evangelizzazione in ogni tappa del cammino
salvifico della Chiesa. Ciò riguarda, in modo particolare, il
processo al quale il Concilio Vaticano II ha dato avvio, inscrivendo
nel rinnovamento il compito ecumenico di unire i cristiani tra loro
divisi. «Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione
».21
Il Concilio chiama sia alla
conversione personale che a quella comunitaria. L'aspirazione di ogni
Comunità cristiana all'unità va di pari passo con la sua fedeltà al
Vangelo. Quando si tratta di persone che vivono la loro vocazione
cristiana, esso parla di conversione interiore, di un rinnovamento
della mente.22
Ciascuno deve dunque convertirsi
più radicalmente al Vangelo e, senza mai perdere di vista il disegno
di Dio, deve mutare il suo sguardo. Con l'ecumenismo la contemplazione
delle « meraviglie di Dio » (mirabilia Dei) si è arricchita
di nuovi spazi nei quali il Dio Trinitario suscita l'azione di grazie:
la percezione che lo Spirito agisce nelle altre Comunità cristiane,
la scoperta di esempi di santità, l'esperienza delle ricchezze
illimitate della comunione dei santi, il contatto con aspetti
insospettabili dell'impegno cristiano. Per correlazione, il bisogno di
penitenza si è anch'esso esteso: la consapevolezza di certe
esclusioni che feriscono la carità fraterna, di certi rifiuti a
perdonare, di un certo orgoglio, di quel rinchiudersi non evangelico
nella condanna degli « altri », di un disprezzo che deriva da una
malsana presunzione. Così la vita intera dei cristiani è
contrassegnata dalla preoccupazione ecumenica ed essi sono chiamati a
farsi come plasmare da essa.
16. Nel magistero del Concilio vi
è un chiaro nesso tra rinnovamento, conversione e riforma. Esso
afferma: « La Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa
continua riforma di cui essa stessa, in quanto istituzione umana e
terrena, ha sempre bisogno, in modo che se alcune cose [...] sono
state, secondo le circostanze di fatto e di tempo, osservate meno
accuratamente, siano in tempo opportuno rimesse nel giusto e debito
ordine ».23 Nessuna Comunità cristiana può sottrarsi a tale
appello.
Dialogando con franchezza, le
Comunità si aiutano a guardarsi insieme alla luce della Tradizione
apostolica. Questo le induce a chiedersi se veramente esse esprimano
in modo adeguato tutto ciò che lo Spirito ha trasmesso per mezzo
degli Apostoli.24 Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, a più
riprese, come ad esempio in occasione dell'anniversario del Battesimo
della Rus',25 o del ricordo, dopo undici secoli, dell'opera
evangelizzatrice dei santi Cirillo e Metodio,26 ho richiamato tali
esigenze e prospettive. Più recentemente, il Direttorio per
l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo,
pubblicato con la mia approvazione dal Pontificio Consiglio per la
Promozione dell'Unità dei Cristiani, le ha applicate al campo
pastorale.27
17. Per quanto riguarda gli altri
cristiani, i principali documenti della Commissione Fede e
Costituzione 28 e le dichiarazioni di numerosi dialoghi bilaterali
hanno già fornito alle Comunità cristiane utili strumenti per
discernere ciò che è necessario al movimento ecumenico e alla
conversione che esso deve suscitare. Tali studi sono importanti sotto
una duplice angolatura: essi mostrano i notevoli progressi già
raggiunti ed infondono speranza perché costituiscono una base sicura
per la ricerca che va proseguita ed approfondita.
La crescente comunione in una
continua riforma, realizzata alla luce della Tradizione apostolica, è
senza dubbio, nell'attuale situazione del popolo cristiano, uno dei
tratti distintivi e più importanti dell'ecumenismo. D'altra parte,
essa è anche una essenziale garanzia per il suo avvenire. I fedeli
della Chiesa cattolica non possono ignorare che lo slancio ecumenico
del Concilio Vaticano II è uno dei risultati di quanto la Chiesa si
era allora adoperata a fare per scrutarsi alla luce del Vangelo e
della grande Tradizione. Il mio Predecessore, Papa Giovanni XXIII, lo
aveva ben compreso, lui che, convocando il Concilio, rifiutò di
separare aggiornamento e apertura ecumenica.29 Al termine di quell'assise
conciliare, Papa Paolo VI, riannodando il dialogo della carità con le
Chiese in comunione con il Patriarca di Costantinopoli e compiendo con
lui il gesto concreto e altamente significativo che ha « relegato
nell'oblio » — e ha fatto « sparire dalla memoria e dal mezzo
della Chiesa » — le scomuniche del passato, ha consacrato la
vocazione ecumenica del Concilio. Vale ricordare che la creazione di
uno speciale organismo per l'ecumenismo coincide con l'avvio stesso
della preparazione del Concilio Vaticano II 30 e che, per il tramite
di tale organismo, i pareri e le valutazioni delle altre Comunità
cristiane hanno avuto la loro parte nei grandi dibattiti sulla
Rivelazione, sulla Chiesa, sulla natura dell'ecumenismo e sulla libertà
religiosa.
Importanza fondamentale della
dottrina
18. Riprendendo un'idea che lo
stesso Papa Giovanni XXIII aveva espresso in apertura del Concilio,31
il Decreto sull'ecumenismo menziona il modo di esporre la dottrina tra
gli elementi della continua riforma.32 Non si tratta in questo
contesto di modificare il deposito della fede, di cambiare il
significato dei dogmi, di eliminare da essi delle parole essenziali,
di adattare la verità ai gusti di un'epoca, di cancellare certi
articoli del Credo con il falso pretesto che essi non sono più
compresi oggi. L'unità voluta da Dio può realizzarsi soltanto nella
comune adesione all'integrità del contenuto della fede rivelata. In
materia di fede, il compromesso è in contraddizione con Dio che è
Verità. Nel Corpo di Cristo, il quale è « via, verità e vita » (Gv
14, 6), chi potrebbe ritenere legittima una riconciliazione attuata a
prezzo della verità? La Dichiarazione conciliare sulla libertà
religiosa Dignitatis humanae attribuisce alla dignità umana la
ricerca della verità, « specialmente in ciò che riguarda Dio e la
sua Chiesa » 33 e l'adesione alle sue esigenze. Uno « stare insieme
» che tradisse la verità sarebbe dunque in opposizione con la natura
di Dio che offre la sua comunione e con l'esigenza di verità che
alberga nel più profondo di ogni cuore umano.
19. Tuttavia, la dottrina deve
essere presentata in un modo che la renda comprensibile a coloro ai
quali Dio stesso la destina. Nell'Epistola enciclica Slavorum
apostoli, ricordavo come Cirillo e Metodio, per questo stesso
motivo, si adoperassero a tradurre le nozioni della Bibbia e i
concetti della teologia greca in un contesto di esperienze storiche e
di pensiero molto diversi. Essi volevano che l'unica parola di Dio
fosse « resa così accessibile secondo le forme espressive, proprie
di ciascuna civiltà ».34 Compresero di non poter dunque « imporre
ai popoli assegnati alla loro predicazione neppure l'indiscutibile
superiorità della lingua greca e della cultura bizantina, o gli usi e
i comportamenti della società più progredita, in cui essi erano
cresciuti ».35 Essi mettevano così in atto quella « perfetta
comunione nell'amore [che] preserva la Chiesa da qualsiasi forma di
particolarismo o di esclusivismo etnico o di pregiudizio razziale,
come da ogni alterigia nazionalistica ».36 Nello stesso spirito, non
ho esitato a dire agli aborigeni d'Australia: « Non dovete essere un
popolo diviso in due parti [...]. Gesù vi chiama ad accettare le sue
parole e i suoi valori all'interno della vostra propria cultura ».37
Poiché per sua natura il dato di fede è destinato a tutta l'umanità,
esso esige di essere tradotto in tutte le culture. Infatti, l'elemento
che decide della comunione nella verità è il significato della
verità. L'espressione della verità può essere multiforme. E il
rinnovamento delle forme di espressione si rende necessario per
trasmettere all'uomo di oggi il messaggio evangelico nel suo
immutabile significato.38
« Questo rinnovamento ha quindi
un'importanza ecumenica singolare ».39 E non soltanto rinnovamento
nel modo di esprimere la fede, ma della stessa vita di fede. Ci si
potrebbe allora chiedere: chi deve attuarlo? Il Concilio risponde
chiaramente a questa domanda: esso « riguarda tutta la Chiesa, sia i
fedeli che i Pastori, e tocca ognuno secondo la propria capacità,
tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi teologici
e storici ».40
20. Tutto ciò è estremamente
importante e di fondamentale significato per l'attività ecumenica. Ne
risulta inequivocabilmente che l'ecumenismo, il movimento a favore
dell'unità dei cristiani, non è soltanto una qualche « appendice
», che s'aggiunge all'attività tradizionale della Chiesa. Al
contrario, esso appartiene organicamente alla sua vita e alla sua
azione e deve, di conseguenza, pervadere questo insieme ed essere come
il frutto di un albero che, sano e rigoglioso, cresce fino a
raggiungere il suo pieno sviluppo.
Così credeva nell'unità della
Chiesa Papa Giovanni XXIII e così egli guardava all'unità di tutti i
cristiani. Riferendosi agli altri cristiani, alla grande famiglia
cristiana, egli constatava: « È molto più forte quanto ci unisce di
quanto ci divide ». Ed il Concilio Vaticano II, da parte sua, esorta:
« Si ricordino tutti i fedeli che tanto meglio promuoveranno, anzi
vivranno in pratica l'unione dei cristiani, quanto più si studieranno
di condurre una vita conforme al Vangelo. Pertanto con quanta più
stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito
Santo, con tanta più intima e facile azione potranno accrescere la
mutua fraternità ».41
Primato della preghiera
21. « Questa conversione del
cuore e questa santità della vita, insieme con le preghiere private e
pubbliche per l'unità dei cristiani, si devono ritenere come
l'anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente
chiamare ecumenismo spirituale ».42
Si avanza sulla via che conduce
alla conversione dei cuori al ritmo dell'amore che si rivolge a Dio e,
allo stesso tempo, ai fratelli: a tutti i fratelli, anche quelli che
non sono in piena comunione con noi. Dall'amore nasce il desiderio
dell'unità anche in coloro che ne hanno sempre ignorato l'esigenza.
L'amore è artefice di comunione tra le persone e tra le Comunità. Se
ci amiamo, noi tendiamo ad approfondire la nostra comunione, ad
orientarla verso la perfezione. L'amore si rivolge a Dio quale
fonte perfetta di comunione — l'unità del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo —, per attingervi la forza di suscitare la comunione
tra le persone e le Comunità, o di ristabilirla tra i cristiani
ancora divisi. L'amore è la corrente profondissima che dà vita ed
infonde vigore al processo verso l'unità.
Tale amore trova la sua più
compiuta espressione nella preghiera comune. Quando i fratelli che
non sono in perfetta comunione tra loro si riuniscono insieme per
pregare, il Concilio Vaticano II definisce la loro preghiera anima
dell'intero movimento ecumenico. Essa è « un mezzo molto
efficace per impetrare la grazia dell'unità », « una genuina
manifestazione dei vincoli, con i quali i cattolici sono ancora uniti
con i fratelli separati ».43 Anche quando non si prega in senso
formale per l'unità dei cristiani, ma per altri motivi, come, ad
esempio, per la pace, la preghiera diventa di per sé espressione e
conferma dell'unità. La preghiera comune dei cristiani invita Cristo
stesso a visitare la comunità di coloro che lo implorano: « Dove
sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro » (Mt
18, 20).
22. Quando si prega insieme tra
cristiani, il traguardo dell'unità appare più vicino. La lunga
storia dei cristiani segnata da molteplici frammentazioni sembra
ricomporsi, tendendo a quella Fonte della sua unità che è Gesù
Cristo. Egli « è lo stesso ieri, oggi e sempre! » (Eb 13,
8). Nella comunione di preghiera Cristo è realmente presente; prega
« in noi », « con noi » e « per noi ». È Lui che guida la
nostra preghiera nello Spirito Consolatore che ha promesso e ha dato
alla sua Chiesa già nel Cenacolo di Gerusalemme, quando Egli l'ha
costituita nella sua originaria unità.
Sulla via ecumenica verso l'unità,
il primato spetta senz'altro alla preghiera comune, all'unione
orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso. Se
i cristiani, nonostante le loro divisioni, sapranno sempre di più
unirsi in preghiera comune attorno a Cristo, crescerà la loro
consapevolezza di quanto sia limitato ciò che li divide a paragone di
ciò li unisce. Se si incontreranno sempre più spesso e più
assiduamente davanti a Cristo nella preghiera, essi potranno trarre
coraggio per affrontare tutta la dolorosa ed umana realtà delle
divisioni, e si ritroveranno insieme in quella comunità della Chiesa
che Cristo forma incessantemente nello Spirito Santo, malgrado tutte
le debolezze e gli umani limiti.
23. Infine, la comunione di
preghiera induce a guardare con occhi nuovi la Chiesa e il
cristianesimo. Non si deve dimenticare, infatti, che il Signore ha
implorato dal Padre l'unità dei suoi discepoli, perché essa rendesse
testimonianza alla sua missione ed il mondo potesse credere che il
Padre lo aveva inviato (cfr Gv 17, 21). Si può dire che il
movimento ecumenico abbia in un certo senso preso l'avvio
dall'esperienza negativa di quanti, annunciando l'unico Vangelo, si
richiamavano ciascuno alla propria Chiesa o Comunità ecclesiale; una
contraddizione che non poteva sfuggire a chi ascoltava il messaggio di
salvezza e che vi trovava un ostacolo all'accoglimento dell'annuncio
evangelico. Purtroppo questo grave impedimento non è superato. È
vero: non siamo ancora in piena comunione. Eppure, malgrado le nostre
divisioni, noi stiamo percorrendo la via verso la piena unità, quell'unità
che caratterizzava la Chiesa apostolica ai suoi esordi, e che noi
cerchiamo sinceramente: guidata dalla fede, la nostra comune preghiera
ne è la prova. In essa, ci raduniamo nel nome di Cristo che è Uno.
Egli è la nostra unità.
La preghiera « ecumenica » è
a servizio della missione cristiana e della sua credibilità.
Per questo essa deve essere particolarmente presente nella vita della
Chiesa ed in ogni attività che abbia lo scopo di favorire l'unità
dei cristiani. È come se noi dovessimo sempre ritornare a radunarci
nel Cenacolo del Giovedì Santo, sebbene la nostra presenza insieme,
in tale luogo, attenda ancora il suo perfetto compimento, fino a
quando, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione
ecclesiale, tutti i cristiani si riuniranno nell'unica celebrazione
dell'Eucaristia.44
24. È motivo di gioia il
costatare come i tanti incontri ecumenici comportino quasi sempre la
preghiera ed anzi culminino con essa. La Settimana di Preghiera per
l'unità dei cristiani, che si celebra nel mese di gennaio, o
intorno a Pentecoste in alcuni Paesi, è diventata una tradizione
diffusa e consolidata. Ma anche al di fuori di essa, molte sono le
occasioni che, durante l'anno, inducono i cristiani a pregare insieme.
In questo contesto, desidero richiamarmi a quell'esperienza
particolare che è il peregrinare del Papa tra le Chiese, nei
diversi continenti e nei vari paesi dell'oikoumene
contemporanea. È stato il Concilio Vaticano II, ne sono ben
consapevole, ad orientare il Papa verso questo particolare esercizio
del suo ministero apostolico. Si può dire di più. Il Concilio ha
fatto di questo peregrinare del Papa un preciso dovere, in adempimento
del ruolo del Vescovo di Roma a servizio della comunione.45 Queste mie
visite hanno quasi sempre comportato un incontro ecumenico e lapreghiera
comune di fratelli che cercano l'unità in Cristo e nella sua Chiesa.
Ricordo con una emozione tutta speciale la preghiera assieme al
Primate della Comunione anglicana nella cattedrale di Canterbury, il
29 maggio 1982, quando, in quel mirabile edificio, riconoscevo una «
dimostrazione eloquente dei nostri lunghi anni di retaggio comune e
dei tristi anni di separazione che ad esso seguirono »; 46 né
posso dimenticare quelle nei Paesi scandinavi e nordici (1-10 giugno
1989), nelle Americhe o in Africa, o quella presso la sede del
Consiglio Ecumenico delle Chiese (12 giugno 1984), l'organismo che si
prefigge lo scopo di chiamare le Chiese e le Comunità ecclesiali che
ne fanno parte « alla mèta dell'unità visibile in un'unica fede ed
in un'unica comunità eucaristica, espressa nel culto e nella vita
comune in Cristo ».47 E come potrei mai dimenticare la mia
partecipazione alla liturgia eucaristica nella chiesa di san Giorgio,
al Patriarcato ecumenico (30 novembre 1979), e la celebrazione nella
Basilica di San Pietro, durante la visita a Roma del mio venerato
Fratello, il Patriarca Dimitrios I (6 dicembre 1987)? In quella
circostanza, presso l'altare della Confessione, noi professammo
insieme il Simbolo niceno-costantinopolitano, secondo il testo
originale greco. Poche parole non bastano a descrivere i tratti
specifici che hanno caratterizzato ciascuno di questi incontri di
preghiera. Per i condizionamenti del passato che, in modo
differenziato, gravavano su ciascuno di essi, tutti hanno una propria
e singolare eloquenza; tutti sono scolpiti nella memoria della Chiesa
che è orientata dal Paraclito alla ricerca dell'unità di tutti i
credenti in Cristo.
25. Non soltanto il Papa si è
fatto pellegrino. In questi anni, tanti degni rappresentanti di altre
Chiese e Comunità ecclesiali mi hanno fatto visita a Roma e con loro
ho potuto pregare, in circostanze pubbliche e private. Ho già
accennato alla presenza del Patriarca ecumenico Dimitrios I. Vorrei
ora anche ricordare quell'incontro di preghiera che mi ha unito, nella
stessa Basilica di San Pietro, per la celebrazione dei Vespri, con gli
Arcivescovi luterani, primati di Svezia e di Finlandia, in occasione
del VI centenario della Canonizzazione di santa Brigida (5 ottobre
1991). Si tratta di un esempio, perché la consapevolezza del dovere
di pregare per l'unità è diventata parte integrante della vita della
Chiesa. Non vi è evento importante, significativo, che non benefici
della presenza reciproca e della preghiera dei cristiani. Mi è
impossibile elencare tutti questi incontri, benché ciascuno meriti di
essere nomi- nato. Veramente il Signore ci ha preso per mano e ci
guida. Questi scambi, queste preghiere hanno già scritto pagine e
pagine del nostro « Libro dell'unità », un « Libro » che dobbiamo
sempre sfogliare e rileggere per trarne ispirazione e speranza.
26. La preghiera, la comunità di
preghiera, ci permette sempre di ritrovare la verità evangelica delle
parole « uno solo è il Padre vostro » (Mt 23, 9),
quel Padre, Abbà, che Cristo stesso interpella, Lui che è Figlio
unigenito e della sua stessa sostanza. E poi: « Uno solo è il
vostro maestro e voi siete tutti fratelli » (Mt 23, 8). La
preghiera « ecumenica » svela questa fondamentale dimensione di
fratellanza in Cristo, che è morto per riunire insieme i figli di Dio
che erano dispersi, perché noi, diventando figli nel Figlio (cfr Ef
1, 5), rispecchiassimo più pienamente l'inscrutabile realtà della
paternità di Dio e, al contempo, la verità sull'umanità propria di
ciascuno e di tutti.
La preghiera « ecumenica », la
preghiera dei fratelli e delle sorelle, esprime tutto questo. Essi,
proprio perché separati tra di loro, con tanta maggiore speranza si
uniscono in Cristo, affidandogli il futuro della loro unità e della
loro comunione. A questo contesto si potrebbe ancora una volta
applicare felicemente l'insegnamento del Concilio: « Il Signore Gesù
quando prega il Padre, "perché tutti siano uno [...] come
noi siamo una cosa sola" (Gv 17, 21-22) mettendoci
davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una
certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei
figli di Dio nella verità e nella carità ».48
La stessa conversione del cuore,
condizione essenziale di ogni autentica ricerca dell'unità,
scaturisce dalla preghiera e da essa è orientata al suo compimento:
« Il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento della
mente, dall'abnegazione di se stesso e dalla liberissima effusione
della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino
la grazia della sincera abnegazione, dell'umiltà e mansuetudine nel
servizio e della fraterna generosità di animo verso gli altri ».49
27. Pregare per l'unità non è
tuttavia riservato a chi vive in un contesto di divisione tra i
cristiani. In quell'intimo e personale dialogo che ciascuno di noi
deve intrattenere con il Signore nella preghiera, la preoccupazione
dell'unità non può essere esclusa. Soltanto così, infatti, essa farà
pienamente parte della realtà della nostra vita e degli impegni che
abbiamo assunto nella Chiesa. Per riaffermare questa esigenza, ho
voluto proporre ai fedeli della Chiesa cattolica un modello che mi
sembra esemplare, quello di una suora trappista, Maria Gabriella
dell'Unità, che ho proclamato beata il 25 gennaio 1983.50 Suor
Maria Gabriella, chiamata dalla sua vocazione ad essere fuori del
mondo, ha dedicato la sua esistenza alla meditazione e alla preghiera
incentrate sul capitolo 17 del vangelo di san Giovanni e l'ha offerta
per l'unità dei cristiani. Ecco, questo è il fulcro di ogni
preghiera: l'offerta totale e senza riserve della propria vita al
Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. L'esempio di suor
Maria Gabriella ci istruisce, ci fa comprendere come non vi siano
tempi, situazioni o luoghi particolari per pregare per l'unità. La
preghiera di Cristo al Padre è modello per tutti, sempre e in ogni
luogo.
Dialogo ecumenico
28. Se la preghiera è l'« anima
» del rinnovamento ecumenico e dell'aspirazione all'unità, su di
essa si fonda e da essa trae sostentamento tutto ciò che il
Concilio definisce « dialogo ». Tale definizione non è certo
senza nesso con il pensiero personalistico odierno.
L'atteggiamento di « dialogo » si situa al livello della natura
della persona e della sua dignità. Dal punto di vista filosofico, una
tale posizione si ricollega alla verità cristiana sull'uomo espressa
dal Concilio: egli infatti « in terra è la sola creatura che Dio
abbia voluto per se stessa »; l'uomo non può pertanto « ritrovarsi
pienamente se non attraverso un dono sincero di sé ».51 Il dialogo
è passaggio obbligato del cammino da percorrere verso l'autocompimento
dell'uomo, del singolo individuo come anche di ciascuna
comunità umana. Sebbene dal concetto di « dialogo » sembri
emergere in primo piano il momento conoscitivo (dia-logos),
ogni dialogo ha in sé una dimensione globale, esistenziale. Esso
coinvolge il soggetto umano nella sua interezza; il dialogo tra le
comunità impegna in modo particolare la soggettività di ciascuna di
esse.
Tale verità sul dialogo, tanto
profondamente espressa dal Papa Paolo VI nella sua Enciclica Ecclesiam
suam,52 è stata assunta anche dalla dottrina e dalla pratica
ecumenica del Concilio. Il dialogo non è soltanto uno scambio di
idee. In qualche modo esso è sempre uno « scambio di doni ».53
29. Per questo motivo, anche il
Decreto conciliare sull'ecumenismo pone in primo piano « tutti gli
sforzi per eliminare parole, giudizi e opere che non rispecchiano con
equità e verità la condizione dei fratelli separati e perciò
rendono più difficili le mutue relazioni con essi ».54 Questo
Documento affronta la questione dal punto di vista della Chiesa
cattolica e si riferisce al criterio che essa deve applicare nei
confronti degli altri cristiani. Vi è però in tutto questo una
esigenza di reciprocità. Attenersi a tale criterio è impegno di
ciascuna delle parti che vogliono fare dialogo ed è condizione previa
per avviarlo. Occorre passare da una posizione di antagonismo e di
conflitto ad un livello nel quale l'uno e l'altro si riconoscono
reciprocamente partner. Quando si inizia a dialogare, ciascuna
delle parti deve presupporre una volontà di riconciliazione nel suo
interlocutore, di unità nella verità. Per realizzare
tutto questo, le manifestazioni del reciproco contrapporsi debbono
sparire. Soltanto così il dialogo aiuterà a superare la divisione e
potrà avvicinare all'unità.
30. Si può affermare, con viva
gratitudine verso lo Spirito di verità, che il Concilio Vaticano II
è stato un tempo benedetto, durante il quale si sono realizzate le
condizioni basilari della partecipazione della Chiesa cattolica al
dialogo ecumenico. D'altra parte, la presenza dei numerosi osservatori
di varie Chiese e Comunità ecclesiali, il loro profondo
coinvolgimento nell'evento conciliare, i tanti incontri e le preghiere
comuni che il Concilio ha reso possibili, hanno contribuito a porre in
atto le condizioni per dialogare insieme. Durante il Concilio,
i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità cristiane hanno
sperimentato la disponibilità al dialogo dell'episcopato cattolico
del mondo intero e, in particolare, della Sede Apostolica.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo
ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio,
lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche
alle singole Chiese locali o particolari. Speciali commissioni per la
promozione dello spirito e dell'azione ecumenica sono state istituite
dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali
cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello delle
singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto
e generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti
conciliari sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del
movimento ecumenico.55 Il dialogo non soltanto è stato intrapreso;
esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità
della Chiesa; si è di conseguenza affinata la « tecnica » per
dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito di
dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al
dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato
tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a
fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza
le caratteristiche ».56 Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il
metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo
rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura
sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del Magistero o
dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo
scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni
espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di
avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente
con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una
importanza essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano
una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina
e della vita di entrambe le Comunioni, e inoltre quelle Comunioni
conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere
richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune e, nel modo
come è permesso, si radunino per pregare insieme. Infine, tutti
esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e,
com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di
riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il
dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità,
in particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed
orienta il loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa
esige che la coscienza dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le
loro opere siano sottomesse alla preghiera di Cristo per l'unità. Vi
è sinergia tra preghiera e dialogo. Una preghiera più profonda e
consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se da una parte, la
preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa,
in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico
possiamo parlare di maggiore maturità della nostra reciproca
preghiera comune. Ciò è possibile in quanto il dialogo adempie
anche e contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza.
Come non ricordare in questo contesto le parole della Prima Lettera di
Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi
e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli
(Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà
da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui
un bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione
tanto radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori
deve anche essere una caratteristica dello spirito con il quale si
affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di
coscienza, come un « dialogo delle coscienze », potremmo noi contare
su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? « Figlioli
miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non
soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2,
1-2). Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio
salvifico di Cristo, e dunque anche quelli commessi contro l'unità
della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non meno che dei
fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche
divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di
essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e
convinti della necessità della nostra conversione. Non soltanto i
peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli
sociali, come a dire le « strutture » stesse del peccato, che hanno
contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo
consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio
Vaticano II ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto
sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di conversione.59 Il dialogo
ecumenico acquista in questo documento un carattere proprio; esso si
trasforma in « dialogo della conversione », e dunque, secondo
l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico « dialogo della salvezza
».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento
esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio di
punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso
tende anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo
orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia,
è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta
nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di
uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad aprire nei
fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della
Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le
divergenze
36. Il dialogo è anche strumento
naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e
soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla
piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo
si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con
le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: « Nel dialogo
ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della
Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri
devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la
dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena
comunione tra i cristiani. Senza quest'amore, sarebbe impossibile
affrontare le obiettive difficoltà teologiche, culturali,
psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le divergenze.
A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso
l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe
richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio
delle divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia
esposta con chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed
il metodo di enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al
dialogo con i fratelli.62 Certamente è possibile testimoniare la
propria fede e spiegarne la dottrina in un modo che sia corretto,
leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente presenti sia le
categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione
dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla
quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed
assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile «
concordi- smo ». Le questioni serie vanno risolte perché se non lo
fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con identica
configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis
redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta
per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si
ricordino che esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della
dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento
della fede cristiana. Così si preparerà la via, nella quale, per
mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più
profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle insondabili
ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le
quali è espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità
ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza per il compito
ecumenico.
In primo luogo, davanti a
formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali alla
comunità alla quale si appartiene, conviene senz'altro appurare se le
parole non sottintendano un identico contenuto, come è stato, ad
esempio, constatato in recenti dichiarazioni comuni, firmate dai miei
Predecessori e da me, assieme a Patriarchi di Chiese con le quali
esisteva da secoli un contenzioso cristologico. Per quanto riguarda la
formulazione delle verità rivelate, la Dichiarazione Mysterium
Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la Chiesa con le sue
formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano
dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse
verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono
di tali concezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche
del Magistero della Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare
la verità rivelata, e che restano sempre adatte a comunicarla a chi
le comprende rettamente ».64 A questo riguardo, il dialogo ecumenico,
che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi, capirsi,
spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e
le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a
scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna
oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza,
permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false
interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo
è che per suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire
l'insondabile ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto
ciò che lo Spirito opera negli « altri » può contribuire
all'edificazione di ogni comunità 65 e in un certo modo ad istruirla
sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli
interlocutori di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la
fede. Soprattutto queste divergenze vanno affrontate con sincero
spirito di carità fraterna, di rispetto delle esigenze della propria
coscienza e della coscienza del prossimo, con profonda umiltà e amore
verso la verità. Il confronto in questa materia ha due punti di
riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale
della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani
non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed
al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile
collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale,
e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i
cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro,
e pone in una luce più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale
cooperazione fondata sulla fede comune, non soltanto è densa di
comunione fraterna, ma è una epifania di Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica
è una vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità.
L'unità di azione conduce alla piena unità di fede: « Da questa
cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare, come
gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e
come si appiani la via verso l'unità dei cristiani ».68
Agli occhi del mondo la
cooperazione tra i cristiani assume le dimensioni della comune
testimonianza cristiana e diventa strumento di evangelizzazione a
beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo
ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio,
lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche
alle singole Chiese locali o particolari. Speciali commissioni per la
promozione dello spirito e dell'azione ecumenica sono state istituite
dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali
cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello delle
singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto
e generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti
conciliari sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del
movimento ecumenico.55 Il dialogo non soltanto è stato intrapreso;
esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità
della Chiesa; si è di conseguenza affinata la « tecnica » per
dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito di
dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al
dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato
tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a
fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza
le caratteristiche ».56 Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il
metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo
rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura
sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del Magistero o
dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo
scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni
espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di
avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente
con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una
importanza essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano
una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina
e della vita di entrambe le Comunioni, e inoltre quelle Comunioni
conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere
richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune e, nel modo
come è permesso, si radunino per pregare insieme. Infine, tutti
esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e,
com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di
riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il
dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità,
in particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed
orienta il loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa
esige che la coscienza dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le
loro opere siano sottomesse alla preghiera di Cristo per l'unità. Vi
è sinergia tra preghiera e dialogo. Una preghiera più profonda e
consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se da una parte, la
preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa,
in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico
possiamo parlare di maggiore maturità della nostra reciproca
preghiera comune. Ciò è possibile in quanto il dialogo adempie
anche e contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza.
Come non ricordare in questo contesto le parole della Prima Lettera di
Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi
e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli
(Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà
da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui
un bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione
tanto radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori
deve anche essere una caratteristica dello spirito con il quale si
affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di
coscienza, come un « dialogo delle coscienze », potremmo noi contare
su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? « Figlioli
miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non
soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2,
1-2). Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio
salvifico di Cristo, e dunque anche quelli commessi contro l'unità
della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non meno che dei
fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche
divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di
essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e
convinti della necessità della nostra conversione. Non soltanto i
peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli
sociali, come a dire le « strutture » stesse del peccato, che hanno
contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo
consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio
Vaticano II ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto
sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di conversione.59 Il dialogo
ecumenico acquista in questo documento un carattere proprio; esso si
trasforma in « dialogo della conversione », e dunque, secondo
l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico « dialogo della salvezza
».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento
esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio di
punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso
tende anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo
orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia,
è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta
nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di
uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad aprire nei
fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della
Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le
divergenze
36. Il dialogo è anche strumento
naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e
soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla
piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo
si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con
le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: « Nel dialogo
ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della
Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri
devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la
dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena
comunione tra i cristiani. Senza quest'amore, sarebbe impossibile
affrontare le obiettive difficoltà teologiche, culturali,
psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le divergenze.
A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso
l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe
richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio
delle divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia
esposta con chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed
il metodo di enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al
dialogo con i fratelli.62 Certamente è possibile testimoniare la
propria fede e spiegarne la dottrina in un modo che sia corretto,
leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente presenti sia le
categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione
dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla
quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed
assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile «
concordi- smo ». Le questioni serie vanno risolte perché se non lo
fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con identica
configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis
redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta
per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si
ricordino che esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della
dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento
della fede cristiana. Così si preparerà la via, nella quale, per
mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più
profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle insondabili
ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le
quali è espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità
ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza per il compito
ecumenico.
In primo luogo, davanti a
formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali alla
comunità alla quale si appartiene, conviene senz'altro appurare se le
parole non sottintendano un identico contenuto, come è stato, ad
esempio, constatato in recenti dichiarazioni comuni, firmate dai miei
Predecessori e da me, assieme a Patriarchi di Chiese con le quali
esisteva da secoli un contenzioso cristologico. Per quanto riguarda la
formulazione delle verità rivelate, la Dichiarazione Mysterium
Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la Chiesa con le sue
formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano
dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse
verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono
di tali concezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche
del Magistero della Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare
la verità rivelata, e che restano sempre adatte a comunicarla a chi
le comprende rettamente ».64 A questo riguardo, il dialogo ecumenico,
che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi, capirsi,
spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e
le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a
scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna
oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza,
permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false
interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo
è che per suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire
l'insondabile ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto
ciò che lo Spirito opera negli « altri » può contribuire
all'edificazione di ogni comunità 65 e in un certo modo ad istruirla
sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli
interlocutori di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la
fede. Soprattutto queste divergenze vanno affrontate con sincero
spirito di carità fraterna, di rispetto delle esigenze della propria
coscienza e della coscienza del prossimo, con profonda umiltà e amore
verso la verità. Il confronto in questa materia ha due punti di
riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale
della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani
non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed
al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile
collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale,
e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i
cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro,
e pone in una luce più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale
cooperazione fondata sulla fede comune, non soltanto è densa di
comunione fraterna, ma è una epifania di Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica
è una vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità.
L'unità di azione conduce alla piena unità di fede: « Da questa
cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare, come
gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e
come si appiani la via verso l'unità dei cristiani ».68
Agli occhi del mondo la
cooperazione tra i cristiani assume le dimensioni della comune
testimonianza cristiana e diventa strumento di evangelizzazione a
beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo
ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio,
lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche
alle singole Chiese locali o particolari. Speciali commissioni per la
promozione dello spirito e dell'azione ecumenica sono state istituite
dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali
cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello delle
singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto
e generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti
conciliari sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del
movimento ecumenico.55 Il dialogo non soltanto è stato intrapreso;
esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità
della Chiesa; si è di conseguenza affinata la « tecnica » per
dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito di
dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al
dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato
tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a
fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza
le caratteristiche ».56 Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il
metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo
rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura
sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del Magistero o
dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo
scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni
espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di
avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente
con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una
importanza essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano
una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina
e della vita di entrambe le Comunioni, e inoltre quelle Comunioni
conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere
richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune e, nel modo
come è permesso, si radunino per pregare insieme. Infine, tutti
esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e,
com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di
riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il
dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità,
in particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed
orienta il loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa
esige che la coscienza dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le
loro opere siano sottomesse alla preghiera di Cristo per l'unità. Vi
è sinergia tra preghiera e dialogo. Una preghiera più profonda e
consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se da una parte, la
preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa,
in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico
possiamo parlare di maggiore maturità della nostra reciproca
preghiera comune. Ciò è possibile in quanto il dialogo adempie
anche e contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza.
Come non ricordare in questo contesto le parole della Prima Lettera di
Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi
e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli
(Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà
da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui
un bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione
tanto radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori
deve anche essere una caratteristica dello spirito con il quale si
affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di
coscienza, come un « dialogo delle coscienze », potremmo noi contare
su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? « Figlioli
miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non
soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2,
1-2). Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio
salvifico di Cristo, e dunque anche quelli commessi contro l'unità
della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non meno che dei
fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche
divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di
essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e
convinti della necessità della nostra conversione. Non soltanto i
peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli
sociali, come a dire le « strutture » stesse del peccato, che hanno
contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo
consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio
Vaticano II ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto
sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di conversione.59 Il dialogo
ecumenico acquista in questo documento un carattere proprio; esso si
trasforma in « dialogo della conversione », e dunque, secondo
l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico « dialogo della salvezza
».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento
esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio di
punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso
tende anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo
orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia,
è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta
nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di
uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad aprire nei
fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della
Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le
divergenze
36. Il dialogo è anche strumento
naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e
soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla
piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo
si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con
le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: « Nel dialogo
ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della
Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri
devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la
dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena
comunione tra i cristiani. Senza quest'amore, sarebbe impossibile
affrontare le obiettive difficoltà teologiche, culturali,
psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le divergenze.
A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso
l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe
richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio
delle divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia
esposta con chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed
il metodo di enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al
dialogo con i fratelli.62 Certamente è possibile testimoniare la
propria fede e spiegarne la dottrina in un modo che sia corretto,
leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente presenti sia le
categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione
dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla
quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed
assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile «
concordi- smo ». Le questioni serie vanno risolte perché se non lo
fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con identica
configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis
redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta
per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si
ricordino che esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della
dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento
della fede cristiana. Così si preparerà la via, nella quale, per
mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più
profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle insondabili
ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le
quali è espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità
ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza per il compito
ecumenico.
In primo luogo, davanti a
formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali alla
comunità alla quale si appartiene, conviene senz'altro appurare se le
parole non sottintendano un identico contenuto, come è stato, ad
esempio, constatato in recenti dichiarazioni comuni, firmate dai miei
Predecessori e da me, assieme a Patriarchi di Chiese con le quali
esisteva da secoli un contenzioso cristologico. Per quanto riguarda la
formulazione delle verità rivelate, la Dichiarazione Mysterium
Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la Chiesa con le sue
formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano
dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse
verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono
di tali concezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche
del Magistero della Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare
la verità rivelata, e che restano sempre adatte a comunicarla a chi
le comprende rettamente ».64 A questo riguardo, il dialogo ecumenico,
che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi, capirsi,
spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e
le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a
scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna
oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza,
permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false
interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo
è che per suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire
l'insondabile ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto
ciò che lo Spirito opera negli « altri » può contribuire
all'edificazione di ogni comunità 65 e in un certo modo ad istruirla
sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli
interlocutori di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la
fede. Soprattutto queste divergenze vanno affrontate con sincero
spirito di carità fraterna, di rispetto delle esigenze della propria
coscienza e della coscienza del prossimo, con profonda umiltà e amore
verso la verità. Il confronto in questa materia ha due punti di
riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale
della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani
non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed
al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile
collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale,
e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i
cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro,
e pone in una luce più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale
cooperazione fondata sulla fede comune, non soltanto è densa di
comunione fraterna, ma è una epifania di Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica
è una vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità.
L'unità di azione conduce alla piena unità di fede: « Da questa
cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare, come
gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e
come si appiani la via verso l'unità dei cristiani ».68
Agli occhi del mondo la
cooperazione tra i cristiani assume le dimensioni della comune
testimonianza cristiana e diventa strumento di evangelizzazione a
beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo
ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio,
lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche
alle singole Chiese locali o particolari. Speciali commissioni per la
promozione dello spirito e dell'azione ecumenica sono state istituite
dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali
cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello delle
singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto
e generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti
conciliari sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del
movimento ecumenico.55 Il dialogo non soltanto è stato intrapreso;
esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità
della Chiesa; si è di conseguenza affinata la « tecnica » per
dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito di
dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al
dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato
tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a
fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza
le caratteristiche ».56 Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il
metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo
rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura
sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del Magistero o
dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo
scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni
espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di
avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente
con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una
importanza essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano
una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina
e della vita di entrambe le Comunioni, e inoltre quelle Comunioni
conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere
richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune e, nel modo
come è permesso, si radunino per pregare insieme. Infine, tutti
esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e,
com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di
riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il
dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità,
in particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed
orienta il loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa
esige che la coscienza dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le
loro opere siano sottomesse alla preghiera di Cristo per l'unità. Vi
è sinergia tra preghiera e dialogo. Una preghiera più profonda e
consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se da una parte, la
preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa,
in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico
possiamo parlare di maggiore maturità della nostra reciproca
preghiera comune. Ciò è possibile in quanto il dialogo adempie
anche e contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza.
Come non ricordare in questo contesto le parole della Prima Lettera di
Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi
e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli
(Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà
da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui
un bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione
tanto radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori
deve anche essere una caratteristica dello spirito con il quale si
affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di
coscienza, come un « dialogo delle coscienze », potremmo noi contare
su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? « Figlioli
miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non
soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2,
1-2). Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio
salvifico di Cristo, e dunque anche quelli commessi contro l'unità
della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non meno che dei
fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche
divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di
essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e
convinti della necessità della nostra conversione. Non soltanto i
peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli
sociali, come a dire le « strutture » stesse del peccato, che hanno
contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo
consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio
Vaticano II ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto
sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di conversione.59 Il dialogo
ecumenico acquista in questo documento un carattere proprio; esso si
trasforma in « dialogo della conversione », e dunque, secondo
l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico « dialogo della salvezza
».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento
esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio di
punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso
tende anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo
orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia,
è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta
nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di
uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad aprire nei
fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della
Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le
divergenze
36. Il dialogo è anche strumento
naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e
soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla
piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo
si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con
le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: « Nel dialogo
ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della
Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri
devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la
dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena
comunione tra i cristiani. Senza quest'amore, sarebbe impossibile
affrontare le obiettive difficoltà teologiche, culturali,
psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le divergenze.
A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso
l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe
richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio
delle divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia
esposta con chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed
il metodo di enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al
dialogo con i fratelli.62 Certamente è possibile testimoniare la
propria fede e spiegarne la dottrina in un modo che sia corretto,
leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente presenti sia le
categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione
dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla
quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed
assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile «
concordi- smo ». Le questioni serie vanno risolte perché se non lo
fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con identica
configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis
redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta
per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si
ricordino che esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della
dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento
della fede cristiana. Così si preparerà la via, nella quale, per
mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più
profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle insondabili
ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le
quali è espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità
ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza per il compito
ecumenico.
In primo luogo, davanti a
formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali alla
comunità alla quale si appartiene, conviene senz'altro appurare se le
parole non sottintendano un identico contenuto, come è stato, ad
esempio, constatato in recenti dichiarazioni comuni, firmate dai miei
Predecessori e da me, assieme a Patriarchi di Chiese con le quali
esisteva da secoli un contenzioso cristologico. Per quanto riguarda la
formulazione delle verità rivelate, la Dichiarazione Mysterium
Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la Chiesa con le sue
formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano
dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse
verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono
di tali concezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche
del Magistero della Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare
la verità rivelata, e che restano sempre adatte a comunicarla a chi
le comprende rettamente ».64 A questo riguardo, il dialogo ecumenico,
che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi, capirsi,
spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e
le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a
scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna
oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza,
permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false
interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo
è che per suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire
l'insondabile ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto
ciò che lo Spirito opera negli « altri » può contribuire
all'edificazione di ogni comunità 65 e in un certo modo ad istruirla
sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli
interlocutori di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la
fede. Soprattutto queste divergenze vanno affrontate con sincero
spirito di carità fraterna, di rispetto delle esigenze della propria
coscienza e della coscienza del prossimo, con profonda umiltà e amore
verso la verità. Il confronto in questa materia ha due punti di
riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale
della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani
non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed
al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile
collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale,
e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i
cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro,
e pone in una luce più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale
cooperazione fondata sulla fede comune, non soltanto è densa di
comunione fraterna, ma è una epifania di Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica
è una vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità.
L'unità di azione conduce alla piena unità di fede: « Da questa
cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare, come
gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e
come si appiani la via verso l'unità dei cristiani ».68
Agli occhi del mondo la
cooperazione tra i cristiani assume le dimensioni della comune
testimonianza cristiana e diventa strumento di evangelizzazione a
beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo
ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio,
lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche
alle singole Chiese locali o particolari. Speciali commissioni per la
promozione dello spirito e dell'azione ecumenica sono state istituite
dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali
cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello delle
singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto
e generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti
conciliari sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del
movimento ecumenico.55 Il dialogo non soltanto è stato intrapreso;
esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità
della Chiesa; si è di conseguenza affinata la « tecnica » per
dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito di
dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al
dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato
tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a
fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza
le caratteristiche ».56 Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il
metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo
rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura
sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del Magistero o
dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo
scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni
espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di
avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente
con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una
importanza essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano
una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina
e della vita di entrambe le Comunioni, e inoltre quelle Comunioni
conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere
richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune e, nel modo
come è permesso, si radunino per pregare insieme. Infine, tutti
esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e,
com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di
riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il
dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità,
in particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed
orienta il loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa
esige che la coscienza dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le
loro opere siano sottomesse alla preghiera di Cristo per l'unità. Vi
è sinergia tra preghiera e dialogo. Una preghiera più profonda e
consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se da una parte, la
preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa,
in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico
possiamo parlare di maggiore maturità della nostra reciproca
preghiera comune. Ciò è possibile in quanto il dialogo adempie
anche e contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza.
Come non ricordare in questo contesto le parole della Prima Lettera di
Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi
e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli
(Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà
da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui
un bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione
tanto radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori
deve anche essere una caratteristica dello spirito con il quale si
affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di
coscienza, come un « dialogo delle coscienze », potremmo noi contare
su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? « Figlioli
miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non
soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2,
1-2). Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio
salvifico di Cristo, e dunque anche quelli commessi contro l'unità
della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non meno che dei
fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche
divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di
essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e
convinti della necessità della nostra conversione. Non soltanto i
peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli
sociali, come a dire le « strutture » stesse del peccato, che hanno
contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo
consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio
Vaticano II ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto
sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di conversione.59 Il dialogo
ecumenico acquista in questo documento un carattere proprio; esso si
trasforma in « dialogo della conversione », e dunque, secondo
l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico « dialogo della salvezza
».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento
esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio di
punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso
tende anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo
orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia,
è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta
nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di
uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad aprire nei
fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della
Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le
divergenze
36. Il dialogo è anche strumento
naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e
soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla
piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo
si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con
le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: « Nel dialogo
ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della
Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri
devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la
dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena
comunione tra i cristiani. Senza quest'amore, sarebbe impossibile
affrontare le obiettive difficoltà teologiche, culturali,
psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le divergenze.
A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso
l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe
richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio
delle divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia
esposta con chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed
il metodo di enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al
dialogo con i fratelli.62 Certamente è possibile testimoniare la
propria fede e spiegarne la dottrina in un modo che sia corretto,
leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente presenti sia le
categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione
dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla
quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed
assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile «
concordi- smo ». Le questioni serie vanno risolte perché se non lo
fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con identica
configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis
redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta
per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si
ricordino che esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della
dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento
della fede cristiana. Così si preparerà la via, nella quale, per
mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più
profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle insondabili
ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le
quali è espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità
ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza per il compito
ecumenico.
In primo luogo, davanti a
formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali alla
comunità alla quale si appartiene, conviene senz'altro appurare se le
parole non sottintendano un identico contenuto, come è stato, ad
esempio, constatato in recenti dichiarazioni comuni, firmate dai miei
Predecessori e da me, assieme a Patriarchi di Chiese con le quali
esisteva da secoli un contenzioso cristologico. Per quanto riguarda la
formulazione delle verità rivelate, la Dichiarazione Mysterium
Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la Chiesa con le sue
formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano
dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse
verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono
di tali concezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche
del Magistero della Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare
la verità rivelata, e che restano sempre adatte a comunicarla a chi
le comprende rettamente ».64 A questo riguardo, il dialogo ecumenico,
che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi, capirsi,
spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e
le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a
scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna
oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza,
permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false
interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo
è che per suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire
l'insondabile ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto
ciò che lo Spirito opera negli « altri » può contribuire
all'edificazione di ogni comunità 65 e in un certo modo ad istruirla
sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli
interlocutori di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la
fede. Soprattutto queste divergenze vanno affrontate con sincero
spirito di carità fraterna, di rispetto delle esigenze della propria
coscienza e della coscienza del prossimo, con profonda umiltà e amore
verso la verità. Il confronto in questa materia ha due punti di
riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale
della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani
non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed
al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile
collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale,
e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i
cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro,
e pone in una luce più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale
cooperazione fondata sulla fede comune, non soltanto è densa di
comunione fraterna, ma è una epifania di Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica
è una vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità.
L'unità di azione conduce alla piena unità di fede: « Da questa
cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare, come
gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e
come si appiani la via verso l'unità dei cristiani ».68
Agli occhi del mondo la
cooperazione tra i cristiani assume le dimensioni della comune
testimonianza cristiana e diventa strumento di evangelizzazione a
beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo
ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio,
lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche
alle singole Chiese locali o particolari. Speciali commissioni per la
promozione dello spirito e dell'azione ecumenica sono state istituite
dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali
cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello delle
singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto
e generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti
conciliari sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del
movimento ecumenico.55 Il dialogo non soltanto è stato intrapreso;
esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità
della Chiesa; si è di conseguenza affinata la « tecnica » per
dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito di
dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al
dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato
tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a
fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza
le caratteristiche ».56 Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il
metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo
rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura
sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del Magistero o
dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo
scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni
espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di
avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente
con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una
importanza essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano
una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina
e della vita di entrambe le Comunioni, e inoltre quelle Comunioni
conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere
richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune e, nel modo
come è permesso, si radunino per pregare insieme. Infine, tutti
esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e,
com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di
riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il
dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità,
in particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed
orienta il loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa
esige che la coscienza dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le
loro opere siano sottomesse alla preghiera di Cristo per l'unità. Vi
è sinergia tra preghiera e dialogo. Una preghiera più profonda e
consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se da una parte, la
preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa,
in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico
possiamo parlare di maggiore maturità della nostra reciproca
preghiera comune. Ciò è possibile in quanto il dialogo adempie
anche e contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza.
Come non ricordare in questo contesto le parole della Prima Lettera di
Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi
e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli
(Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà
da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui
un bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione
tanto radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori
deve anche essere una caratteristica dello spirito con il quale si
affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di
coscienza, come un « dialogo delle coscienze », potremmo noi contare
su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? « Figlioli
miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non
soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2,
1-2). Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio
salvifico di Cristo, e dunque anche quelli commessi contro l'unità
della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non meno che dei
fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche
divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di
essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e
convinti della necessità della nostra conversione. Non soltanto i
peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli
sociali, come a dire le « strutture » stesse del peccato, che hanno
contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo
consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio
Vaticano II ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto
sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di conversione.59 Il dialogo
ecumenico acquista in questo documento un carattere proprio; esso si
trasforma in « dialogo della conversione », e dunque, secondo
l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico « dialogo della salvezza
».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento
esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio di
punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso
tende anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo
orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia,
è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta
nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di
uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad aprire nei
fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della
Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le
divergenze
36. Il dialogo è anche strumento
naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e
soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla
piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo
si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con
le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: « Nel dialogo
ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della
Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri
devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la
dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena
comunione tra i cristiani. Senza quest'amore, sarebbe impossibile
affrontare le obiettive difficoltà teologiche, culturali,
psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le divergenze.
A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso
l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe
richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio
delle divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia
esposta con chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed
il metodo di enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al
dialogo con i fratelli.62 Certamente è possibile testimoniare la
propria fede e spiegarne la dottrina in un modo che sia corretto,
leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente presenti sia le
categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione
dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla
quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed
assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile «
concordi- smo ». Le questioni serie vanno risolte perché se non lo
fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con identica
configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis
redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta
per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si
ricordino che esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della
dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento
della fede cristiana. Così si preparerà la via, nella quale, per
mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più
profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle insondabili
ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le
quali è espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità
ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza per il compito
ecumenico.
In primo luogo, davanti a
formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali alla
comunità alla quale si appartiene, conviene senz'altro appurare se le
parole non sottintendano un identico contenuto, come è stato, ad
esempio, constatato in recenti dichiarazioni comuni, firmate dai miei
Predecessori e da me, assieme a Patriarchi di Chiese con le quali
esisteva da secoli un contenzioso cristologico. Per quanto riguarda la
formulazione delle verità rivelate, la Dichiarazione Mysterium
Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la Chiesa con le sue
formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano
dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse
verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono
di tali concezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche
del Magistero della Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare
la verità rivelata, e che restano sempre adatte a comunicarla a chi
le comprende rettamente ».64 A questo riguardo, il dialogo ecumenico,
che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi, capirsi,
spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e
le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a
scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna
oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza,
permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false
interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo
è che per suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire
l'insondabile ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto
ciò che lo Spirito opera negli « altri » può contribuire
all'edificazione di ogni comunità 65 e in un certo modo ad istruirla
sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli
interlocutori di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la
fede. Soprattutto queste divergenze vanno affrontate con sincero
spirito di carità fraterna, di rispetto delle esigenze della propria
coscienza e della coscienza del prossimo, con profonda umiltà e amore
verso la verità. Il confronto in questa materia ha due punti di
riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale
della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani
non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed
al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile
collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale,
e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i
cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro,
e pone in una luce più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale
cooperazione fondata sulla fede comune, non soltanto è densa di
comunione fraterna, ma è una epifania di Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica
è una vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità.
L'unità di azione conduce alla piena unità di fede: « Da questa
cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare, come
gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e
come si appiani la via verso l'unità dei cristiani ».68
Agli occhi del mondo la
cooperazione tra i cristiani assume le dimensioni della comune
testimonianza cristiana e diventa strumento di evangelizzazione a
beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo
ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio,
lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche
alle singole Chiese locali o particolari. Speciali commissioni per la
promozione dello spirito e dell'azione ecumenica sono state istituite
dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali
cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello delle
singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto
e generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti
conciliari sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del
movimento ecumenico.55 Il dialogo non soltanto è stato intrapreso;
esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità
della Chiesa; si è di conseguenza affinata la « tecnica » per
dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito di
dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al
dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato
tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a
fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza
le caratteristiche ».56 Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il
metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo
rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura
sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del Magistero o
dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo
scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni
espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di
avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente
con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una
importanza essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano
una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina
e della vita di entrambe le Comunioni, e inoltre quelle Comunioni
conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere
richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune e, nel modo
come è permesso, si radunino per pregare insieme. Infine, tutti
esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e,
com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di
riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il
dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità,
in particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed
orienta il loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa
esige che la coscienza dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le
loro opere siano sottomesse alla preghiera di Cristo per l'unità. Vi
è sinergia tra preghiera e dialogo. Una preghiera più profonda e
consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se da una parte, la
preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa,
in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico
possiamo parlare di maggiore maturità della nostra reciproca
preghiera comune. Ciò è possibile in quanto il dialogo adempie
anche e contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza.
Come non ricordare in questo contesto le parole della Prima Lettera di
Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi
e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli
(Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà
da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui
un bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione
tanto radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori
deve anche essere una caratteristica dello spirito con il quale si
affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di
coscienza, come un « dialogo delle coscienze », potremmo noi contare
su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? « Figlioli
miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non
soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2,
1-2). Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio
salvifico di Cristo, e dunque anche quelli commessi contro l'unità
della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non meno che dei
fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche
divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di
essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e
convinti della necessità della nostra conversione. Non soltanto i
peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli
sociali, come a dire le « strutture » stesse del peccato, che hanno
contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo
consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio
Vaticano II ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto
sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di conversione.59 Il dialogo
ecumenico acquista in questo documento un carattere proprio; esso si
trasforma in « dialogo della conversione », e dunque, secondo
l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico « dialogo della salvezza
».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento
esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio di
punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso
tende anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo
orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia,
è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta
nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di
uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad aprire nei
fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della
Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le
divergenze
36. Il dialogo è anche strumento
naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e
soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla
piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo
si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con
le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: « Nel dialogo
ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della
Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri
devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la
dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena
comunione tra i cristiani. Senza quest'amore, sarebbe impossibile
affrontare le obiettive difficoltà teologiche, culturali,
psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le divergenze.
A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso
l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe
richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio
delle divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia
esposta con chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed
il metodo di enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al
dialogo con i fratelli.62 Certamente è possibile testimoniare la
propria fede e spiegarne la dottrina in un modo che sia corretto,
leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente presenti sia le
categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione
dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla
quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed
assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile «
concordi- smo ». Le questioni serie vanno risolte perché se non lo
fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con identica
configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis
redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta
per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si
ricordino che esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della
dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento
della fede cristiana. Così si preparerà la via, nella quale, per
mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più
profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle insondabili
ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le
quali è espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità
ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza per il compito
ecumenico.
In primo luogo, davanti a
formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali alla
comunità alla quale si appartiene, conviene senz'altro appurare se le
parole non sottintendano un identico contenuto, come è stato, ad
esempio, constatato in recenti dichiarazioni comuni, firmate dai miei
Predecessori e da me, assieme a Patriarchi di Chiese con le quali
esisteva da secoli un contenzioso cristologico. Per quanto riguarda la
formulazione delle verità rivelate, la Dichiarazione Mysterium
Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la Chiesa con le sue
formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano
dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse
verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono
di tali concezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche
del Magistero della Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare
la verità rivelata, e che restano sempre adatte a comunicarla a chi
le comprende rettamente ».64 A questo riguardo, il dialogo ecumenico,
che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi, capirsi,
spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e
le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a
scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna
oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza,
permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false
interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo
è che per suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire
l'insondabile ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto
ciò che lo Spirito opera negli « altri » può contribuire
all'edificazione di ogni comunità 65 e in un certo modo ad istruirla
sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli
interlocutori di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la
fede. Soprattutto queste divergenze vanno affrontate con sincero
spirito di carità fraterna, di rispetto delle esigenze della propria
coscienza e della coscienza del prossimo, con profonda umiltà e amore
verso la verità. Il confronto in questa materia ha due punti di
riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale
della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani
non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed
al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile
collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale,
e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i
cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro,
e pone in una luce più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale
cooperazione fondata sulla fede comune, non soltanto è densa di
comunione fraterna, ma è una epifania di Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica
è una vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità.
L'unità di azione conduce alla piena unità di fede: « Da questa
cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare, come
gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e
come si appiani la via verso l'unità dei cristiani ».68
Agli occhi del mondo la
cooperazione tra i cristiani assume le dimensioni della comune
testimonianza cristiana e diventa strumento di evangelizzazione a
beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo
ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio,
lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche
alle singole Chiese locali o particolari. Speciali commissioni per la
promozione dello spirito e dell'azione ecumenica sono state istituite
dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali
cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello delle
singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto
e generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti
conciliari sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del
movimento ecumenico.55 Il dialogo non soltanto è stato intrapreso;
esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità
della Chiesa; si è di conseguenza affinata la « tecnica » per
dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito di
dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al
dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato
tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a
fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza
le caratteristiche ».56 Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il
metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo
rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura
sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del Magistero o
dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo
scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni
espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di
avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente
con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una
importanza essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano
una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina
e della vita di entrambe le Comunioni, e inoltre quelle Comunioni
conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere
richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune e, nel modo
come è permesso, si radunino per pregare insieme. Infine, tutti
esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e,
com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di
riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il
dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità,
in particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed
orienta il loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa
esige che la coscienza dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le
loro opere siano sottomesse alla preghiera di Cristo per l'unità. Vi
è sinergia tra preghiera e dialogo. Una preghiera più profonda e
consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se da una parte, la
preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa,
in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico
possiamo parlare di maggiore maturità della nostra reciproca
preghiera comune. Ciò è possibile in quanto il dialogo adempie
anche e contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza.
Come non ricordare in questo contesto le parole della Prima Lettera di
Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi
e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli
(Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà
da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui
un bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione
tanto radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori
deve anche essere una caratteristica dello spirito con il quale si
affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di
coscienza, come un « dialogo delle coscienze », potremmo noi contare
su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? « Figlioli
miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non
soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2,
1-2). Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio
salvifico di Cristo, e dunque anche quelli commessi contro l'unità
della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non meno che dei
fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche
divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di
essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e
convinti della necessità della nostra conversione. Non soltanto i
peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli
sociali, come a dire le « strutture » stesse del peccato, che hanno
contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo
consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio
Vaticano II ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto
sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di conversione.59 Il dialogo
ecumenico acquista in questo documento un carattere proprio; esso si
trasforma in « dialogo della conversione », e dunque, secondo
l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico « dialogo della salvezza
».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento
esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio di
punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso
tende anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo
orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia,
è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta
nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di
uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad aprire nei
fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della
Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le
divergenze
36. Il dialogo è anche strumento
naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e
soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla
piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo
si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con
le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: « Nel dialogo
ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della
Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri
devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la
dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena
comunione tra i cristiani. Senza quest'amore, sarebbe impossibile
affrontare le obiettive difficoltà teologiche, culturali,
psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le divergenze.
A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso
l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe
richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio
delle divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia
esposta con chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed
il metodo di enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al
dialogo con i fratelli.62 Certamente è possibile testimoniare la
propria fede e spiegarne la dottrina in un modo che sia corretto,
leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente presenti sia le
categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione
dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla
quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed
assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile «
concordi- smo ». Le questioni serie vanno risolte perché se non lo
fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con identica
configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis
redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta
per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si
ricordino che esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della
dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento
della fede cristiana. Così si preparerà la via, nella quale, per
mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più
profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle insondabili
ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le
quali è espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità
ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza per il compito
ecumenico.
In primo luogo, davanti a
formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali alla
comunità alla quale si appartiene, conviene senz'altro appurare se le
parole non sottintendano un identico contenuto, come è stato, ad
esempio, constatato in recenti dichiarazioni comuni, firmate dai miei
Predecessori e da me, assieme a Patriarchi di Chiese con le quali
esisteva da secoli un contenzioso cristologico. Per quanto riguarda la
formulazione delle verità rivelate, la Dichiarazione Mysterium
Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la Chiesa con le sue
formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano
dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse
verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono
di tali concezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche
del Magistero della Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare
la verità rivelata, e che restano sempre adatte a comunicarla a chi
le comprende rettamente ».64 A questo riguardo, il dialogo ecumenico,
che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi, capirsi,
spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e
le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a
scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna
oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza,
permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false
interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo
è che per suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire
l'insondabile ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto
ciò che lo Spirito opera negli « altri » può contribuire
all'edificazione di ogni comunità 65 e in un certo modo ad istruirla
sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli
interlocutori di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la
fede. Soprattutto queste divergenze vanno affrontate con sincero
spirito di carità fraterna, di rispetto delle esigenze della propria
coscienza e della coscienza del prossimo, con profonda umiltà e amore
verso la verità. Il confronto in questa materia ha due punti di
riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale
della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani
non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed
al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile
collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale,
e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i
cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro,
e pone in una luce più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale
cooperazione fondata sulla fede comune, non soltanto è densa di
comunione fraterna, ma è una epifania di Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica
è una vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità.
L'unità di azione conduce alla piena unità di fede: « Da questa
cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare, come
gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e
come si appiani la via verso l'unità dei cristiani ».68
Agli occhi del mondo la
cooperazione tra i cristiani assume le dimensioni della comune
testimonianza cristiana e diventa strumento di evangelizzazione a
beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo
ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio,
lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche
alle singole Chiese locali o particolari. Speciali commissioni per la
promozione dello spirito e dell'azione ecumenica sono state istituite
dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali
cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello delle
singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto
e generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti
conciliari sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del
movimento ecumenico.55 Il dialogo non soltanto è stato intrapreso;
esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità
della Chiesa; si è di conseguenza affinata la « tecnica » per
dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito di
dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al
dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato
tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a
fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza
le caratteristiche ».56 Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il
metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo
rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura
sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del Magistero o
dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo
scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni
espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di
avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente
con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una
importanza essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano
una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina
e della vita di entrambe le Comunioni, e inoltre quelle Comunioni
conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere
richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune e, nel modo
come è permesso, si radunino per pregare insieme. Infine, tutti
esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e,
com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di
riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il
dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità,
in particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed
orienta il loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa
esige che la coscienza dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le
loro opere siano sottomesse alla preghiera di Cristo per l'unità. Vi
è sinergia tra preghiera e dialogo. Una preghiera più profonda e
consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se da una parte, la
preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa,
in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico
possiamo parlare di maggiore maturità della nostra reciproca
preghiera comune. Ciò è possibile in quanto il dialogo adempie
anche e contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza.
Come non ricordare in questo contesto le parole della Prima Lettera di
Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi
e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli
(Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà
da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui
un bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione
tanto radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori
deve anche essere una caratteristica dello spirito con il quale si
affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di
coscienza, come un « dialogo delle coscienze », potremmo noi contare
su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? « Figlioli
miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non
soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2,
1-2). Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio
salvifico di Cristo, e dunque anche quelli commessi contro l'unità
della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non meno che dei
fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche
divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di
essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e
convinti della necessità della nostra conversione. Non soltanto i
peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli
sociali, come a dire le « strutture » stesse del peccato, che hanno
contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo
consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio
Vaticano II ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto
sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di conversione.59 Il dialogo
ecumenico acquista in questo documento un carattere proprio; esso si
trasforma in « dialogo della conversione », e dunque, secondo
l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico « dialogo della salvezza
».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento
esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio di
punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso
tende anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo
orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia,
è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta
nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di
uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad aprire nei
fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della
Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le
divergenze
36. Il dialogo è anche strumento
naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e
soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla
piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo
si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con
le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: « Nel dialogo
ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della
Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri
devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la
dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena
comunione tra i cristiani. Senza quest'amore, sarebbe impossibile
affrontare le obiettive difficoltà teologiche, culturali,
psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le divergenze.
A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso
l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe
richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio
delle divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia
esposta con chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed
il metodo di enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al
dialogo con i fratelli.62 Certamente è possibile testimoniare la
propria fede e spiegarne la dottrina in un modo che sia corretto,
leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente presenti sia le
categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione
dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla
quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed
assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile «
concordi- smo ». Le questioni serie vanno risolte perché se non lo
fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con identica
configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis
redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta
per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si
ricordino che esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della
dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento
della fede cristiana. Così si preparerà la via, nella quale, per
mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più
profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle insondabili
ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le
quali è espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità
ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza per il compito
ecumenico.
In primo luogo, davanti a
formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali alla
comunità alla quale si appartiene, conviene senz'altro appurare se le
parole non sottintendano un identico contenuto, come è stato, ad
esempio, constatato in recenti dichiarazioni comuni, firmate dai miei
Predecessori e da me, assieme a Patriarchi di Chiese con le quali
esisteva da secoli un contenzioso cristologico. Per quanto riguarda la
formulazione delle verità rivelate, la Dichiarazione Mysterium
Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la Chiesa con le sue
formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano
dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse
verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono
di tali concezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche
del Magistero della Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare
la verità rivelata, e che restano sempre adatte a comunicarla a chi
le comprende rettamente ».64 A questo riguardo, il dialogo ecumenico,
che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi, capirsi,
spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e
le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a
scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna
oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza,
permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false
interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo
è che per suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire
l'insondabile ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto
ciò che lo Spirito opera negli « altri » può contribuire
all'edificazione di ogni comunità 65 e in un certo modo ad istruirla
sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli
interlocutori di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la
fede. Soprattutto queste divergenze vanno affrontate con sincero
spirito di carità fraterna, di rispetto delle esigenze della propria
coscienza e della coscienza del prossimo, con profonda umiltà e amore
verso la verità. Il confronto in questa materia ha due punti di
riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale
della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani
non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed
al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile
collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale,
e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i
cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro,
e pone in una luce più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale
cooperazione fondata sulla fede comune, non soltanto è densa di
comunione fraterna, ma è una epifania di Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica
è una vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità.
L'unità di azione conduce alla piena unità di fede: « Da questa
cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare, come
gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e
come si appiani la via verso l'unità dei cristiani ».68
Agli occhi del mondo la
cooperazione tra i cristiani assume le dimensioni della comune
testimonianza cristiana e diventa strumento di evangelizzazione a
beneficio degli uni e degli altri.
II
I
FRUTTI DEL DIALOGO
La fraternità ritrovata
41. Quanto detto sopra a proposito
del dialogo ecumenico dalla conclusione del Concilio in poi induce a
rendere grazie allo Spirito di verità promesso da Cristo Signore agli
Apostoli e alla Chiesa (cfr Gv 14, 26). È la prima volta nella
storia che l'azione in favore dell'unità dei cristiani ha assunto
proporzioni così grandi e si è estesa ad un ambito tanto vasto. Ciò
è già un immenso dono che Dio ha concesso e che merita tutta la
nostra gratitudine. Dalla pienezza di Cristo riceviamo « grazia su
grazia » (Gv 1, 16). Riconoscere quanto Dio ha già concesso
è la condizione che ci predispone a ricevere quei doni ancora
indispensabili per condurre a compimento l'opera ecumenica dell'unità.
Uno sguardo d'insieme sugli ultimi
trent'anni fa meglio comprendere molti dei frutti di questa comune
conversione al Vangelo di cui lo Spirito di Dio ha fatto strumento il
movimento ecumenico.
42. Avviene ad esempio che —
nello stesso spirito del Discorso della montagna — i cristiani
appartenenti ad una confessione non considerino più gli altri
cristiani come nemici o stranieri, ma vedano in essi dei fratelli e
delle sorelle. D'altro canto, persino all'espressione fratelli
separati, l'uso tende a sostituire oggi vocaboli più attenti ad
evocare la profondità della comunione — legata al carattere
battesimale — che lo Spirito alimenta malgrado le rotture storiche e
canoniche. Si parla degli « altri cristiani », degli « altri
battezzati », dei « cristiani delle altre Comunità ». Il
Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme
sull'ecumenismo designa le Comunità alle quali appartengono
questi cristiani come « Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in
piena comunione con la Chiesa cattolica ».69 Tale ampliamento del
lessico traduce una notevole evoluzione delle mentalità. La
consapevolezza della comune appartenenza a Cristo si approfondisce.
L'ho potuto constatare molte volte di persona, durante le celebrazioni
ecumeniche che sono uno degli eventi importanti dei miei viaggi
apostolici nelle varie parti del mondo, o negli incontri e nelle
celebrazioni ecumeniche che hanno avuto luogo a Roma. La « fraternità
universale » dei cristiani è diventata una ferma convinzione
ecumenica. Relegando nell'oblio le scomuniche del passato, le Comunità
un tempo rivali oggi in molti casi si aiutano a vicenda; a volte gli
edifici di culto vengono prestati, si offrono borse di studio per la
formazione dei ministri delle Comunità più prive di mezzi, si
interviene presso le autorità civili per la difesa di altri cristiani
ingiustamente incriminati, si dimostra l'infondatezza delle calunnie
di cui sono vittime certi gruppi.
In una parola, i cristiani si sono
convertiti ad una carità fraterna che abbraccia tutti i discepoli di
Cristo. Se accade che, a motivo di sommovimenti politici violenti,
affiori in situazioni concrete una certa aggressività, oppure uno
spirito di rivalsa, le autorità delle parti in causa si adoperano in
genere per far prevalere la « Legge nuova » dello spirito di carità.
Purtroppo, un tale spirito non ha potuto trasformare tutte le
situazioni di conflitto cruento. L'impegno ecumenico in queste
circostanze richiede non di rado da chi lo esercita scelte di
autentico eroismo.
Bisogna ribadire a questo riguardo
che il riconoscimento della fraternità non è la conseguenza di un
filantropismo liberale o di un vago spirito di famiglia. Esso si
radica nel riconoscimento dell'unico Battesimo e nella conseguente
esigenza che Dio sia glorificato nella sua opera. Il Direttorio per
l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo auspica
un reciproco e ufficiale riconoscimento dei Battesimi70. Ciò che va
ben al di là di un atto di cortesia ecumenica e costituisce una
basilare affermazione ecclesiologica.
Va opportunamente ricordato che il
carattere fondamentale del Battesimo nell'opera di edificazione della
Chiesa è stato chiaramente evidenziato anche grazie al dialogo
multilaterale.71
La solidarietà nel servizio
all'umanità
43. Accade sempre più spesso che
i responsabili delle Comunità cristiane prendano insieme posizione,
in nome di Cristo, su problemi importanti che toccano la vocazione
umana, la libertà, la giustizia, la pace, il futuro del mondo. Così
facendo essi « comunicano » in uno degli elementi costitutivi della
missione cristiana: ricordare alla società, in un modo che sappia
essere realista, la volontà di Dio, mettendo in guardia le autorità
e i cittadini perché non seguano la china che condurrebbe a
calpestare i diritti umani. È chiaro, e l'esperienza lo dimostra, che
in alcune circostanze la voce comune dei cristiani ha più impatto di
una voce isolata.
I responsabili delle Comunità non
sono tuttavia i soli ad unirsi in questo impegno per l'unità.
Numerosi cristiani di tutte le Comunità, a motivo della loro fede,
partecipano insieme a progetti coraggiosi che si propongono di
cambiare il mondo nel senso di far trionfare il rispetto dei diritti e
dei bisogni di tutti, specie dei poveri, degli umiliati e degli
indifesi. Nella Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis ho
constatato con gioia questa collaborazione, sottolineando che la
Chiesa cattolica non può sottrarvisi.72 Infatti i cristiani, che un
tempo agivano in modo indipendente, sono ora impegnati insieme a
servizio di questa causa, perché la benevolenza di Dio possa
trionfare.
La logica è già quella del
Vangelo. Per questo motivo, ribadendo quanto avevo scritto nella mia
prima Lettera enciclica, la Redemptor hominis, ho avuto
occasione « di insistere su questo punto e di incoraggiare ogni
sforzo compiuto in questa direzione, a tutti i livelli in cui ci
incontriamo con gli altri nostri fratelli cristiani » 73 ed ho
ringraziato Dio « di ciò che egli ha già compiuto nelle altre
Chiese e Comunità ecclesiali e per mezzo loro », come anche per
mezzo della Chiesa cattolica.74 Oggi constato con soddisfazione che la
già vasta rete di collaborazione ecumenica si estende sempre di più.
Anche per influsso del Consiglio ecumenico delle Chiese, si compie un
grande lavoro in questo campo.
Convergenze nella parola di Dio
e nel culto divino
44. I progressi della conversione
ecumenica sono significativi anche in un altro settore, quello
relativo alla Parola di Dio. Penso prima di tutto ad un evento così
importante per svariati gruppi linguistici come le traduzioni
ecumeniche della Bibbia. Dopo la promulgazione, da parte del Concilio
Vaticano II, della Costituzione Dei Verbum, la Chiesa cattolica
non poteva non accogliere con gioia questa realizzazione.75 Tali
traduzioni, opera di specialisti, offrono generalmente una base sicura
alla preghiera e all'attività pastorale di tutti i discepoli di
Cristo. Chi ricorda quanto abbiano influito sulle divisioni, specie in
Occidente, i dibattiti attorno alla Scrittura, può comprendere quale
notevole passo avanti rappresentino tali traduzioni comuni.
45. Al rinnovamento liturgico
compiuto dalla Chiesa cattolica, ha corrisposto in diverse Comunità
ecclesiali l'iniziativa di rinnovare il loro culto. Alcune di esse,
sulla base dell'auspicio espresso a livello ecumenico,76 hanno
abbandonato la consuetudine di celebrare la loro liturgia della Cena
soltanto in rare occasioni ed hanno optato per una celebrazione
domenicale. D'altra parte, paragonando i cicli delle letture
liturgiche di diverse Comunità cristiane occidentali, si constata che
essi convergono per l'essenziale. Sempre a livello ecumenico,77 si è
dato un rilievo del tutto speciale alla liturgia e ai segni liturgici
(immagini, icone, paramenti, luce, incenso, gestualità). Inoltre,
negli istituti di teologia dove si formano i futuri ministri, lo
studio della storia e del significato della liturgia comincia a far
parte dei programmi, come un bisogno che si sta riscoprendo.
Si tratta di segni di convergenza
che riguardano vari aspetti della vita sacramentale. Certamente, a
causa di divergenze che toccano la fede, non è ancora possibile
concelebrare la stessa liturgia eucaristica. Eppure noi abbiamo il
desiderio ardente di celebrare insieme l'unica Eucaristia del Signore,
e questo desiderio diventa già una lode comune, una stessa
implorazione. Insieme ci rivolgiamo al Padre e lo facciamo sempre di
più « con un cuore solo ». A volte, il poter finalmente suggellare
questa comunione « reale sebbene non ancora piena » sembra essere più
vicino. Chi avrebbe potuto un secolo fa anche solo pensarlo?
46. In questo contesto, è motivo
di gioia ricordare che i ministri cattolici possano, in determinati
casi particolari, amministrare i sacramenti dell'Eucaristia, della
Penitenza, dell'Unzione degli infermi ad altri cristiani che non sono
in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma che desiderano
ardentemente riceverli, li domandano liberamente, e manifestano la
fede che la Chiesa cattolica confessa in questi sacramenti.
Reciprocamente, in determinati casi e per particolari circostanze,
anche i cattolici possono fare ricorso per gli stessi sacramenti ai
ministri di quelle Chiese in cui essi sono validi. Le condizioni per
tale reciproca accoglienza sono stabilite in norme e la loro
osservanza si impone per la promozione ecumenica.78
Apprezzare i beni presenti tra
gli altri cristiani
47. Il dialogo non si articola
esclusivamente attorno alla dottrina, ma coinvolge tutta la persona:
esso è anche un dialogo d'amore. Il Concilio ha affermato: « È
necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori
veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano
presso i fratelli da noi separati. Riconoscere le ricchezze di Cristo
e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono
testimonianza a Cristo, talora sino all'effusione del sangue, è cosa
giusta e salutare: perché Dio è sempre stupendo e sorprendente nelle
sue opere ».79
48. Le relazioni che i membri
della Chiesa cattolica hanno stabilito con gli altri cristiani dal
Concilio in poi, hanno fatto scoprire ciò che Dio opera in coloro che
appartengono alle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Questo contatto
diretto, a vari livelli, tra i pastori e tra i membri delle Comunità,
ci ha fatto prendere coscienza della testimonianza che gli altri
cristiani rendono a Dio e a Cristo. Si è così aperto un vastissimo
spazio per tutta l'esperienza ecumenica, che è allo stesso tempo la
sfida che si pone a questa nostra epoca. Il XX secolo non è forse un
tempo di grande testimonianza, che va « fino all'effusione del sangue
»? Ed essa non riguarda forse anche le varie Chiese e Comunità
ecclesiali, che traggono il loro nome da Cristo, crocifisso e risorto?
Tale comune testimonianza della
santità, come fedeltà all'unico Signore, è un potenziale ecumenico
straordinariamente ricco di grazia. Il Concilio Vaticano II ha
sottolineato che i beni presenti negli altri cristiani possono
contribuire all'edificazione dei cattolici: « Né si deve dimenticare
che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene fatto nei fratelli
separati, può contribuire alla nostra edificazione. Tutto ciò che è
veramente cristiano mai è contrario ai veri benefici della fede, anzi
può sempre far sì, che lo stesso mistero di Cristo e della Chiesa
sia raggiunto più perfettamente ».80 Il dialogo ecumenico, come vero
dialogo di salvezza, non mancherà di stimolare questo processo, già
in se stesso ben avviato, a progredire verso la vera e piena
comunione.
Crescita della comunione
49. Frutto prezioso delle
relazioni tra i cristiani e del dialogo teologico che essi
intrattengono è la crescita della comunione. Le une e l'altro hanno
reso consapevoli i cristiani degli elementi di fede che essi hanno in
comune. Ciò è servito a cementare ulteriormente il loro impegno
verso la piena unità. In tutto questo il Concilio Vaticano II rimane
potente centro di propulsione e di orientamento.
La Costituzione dogmatica Lumen
gentium collega la dottrina concernente la Chiesa cattolica al
riconoscimento degli elementi salvifici che si trovano nelle altre
Chiese e Comunità ecclesiali.81 Non si tratta di una presa di
coscienza di elementi statici, passivamente presenti in tali Chiese e
Comunità. In quanto beni della Chiesa di Cristo, per loro natura essi
spingono verso il ristabilimento dell'unità. Ne consegue che la
ricerca dell'unità dei cristiani non è un atto facoltativo o di
opportunità, ma un'esigenza che scaturisce dall'essere stesso della
comunità cristiana.
Similmente, i dialoghi teologici
bilaterali con le maggiori Comunità cristiane partono dal
riconoscimento del grado di comunione già in atto, per discutere poi
in modo progressivo le divergenze esistenti con ciascuna. Il Signore
ha concesso ai cristiani del nostro tempo di poter ridurre il
contenzioso tradizionale.
Il dialogo con le Chiese
d'Oriente
50. A questo riguardo, si deve
innanzitutto constatare, con particolare gratitudine alla Provvidenza
divina, che il legame con le Chiese d'Oriente, incrinato durante i
secoli, si è rinsaldato con il Concilio Vaticano II. Gli osservatori
di queste Chiese presenti al Concilio, assieme a rappresentanti delle
Chiese e Comunità ecclesiali di Occidente, hanno manifestato
pubblicamente, in un momento così solenne per la Chiesa cattolica, la
comune volontà di ricercare la comunione.
Il Concilio, da parte sua, ha
considerato con oggettività e con profondo affetto le Chiese
d'Oriente, mettendo in rilievo la loro ecclesialità e gli oggettivi
vincoli di comunione che le legano alla Chiesa cattolica. Il Decreto
sull'ecumenismo afferma: « Per mezzo della celebrazione
dell'Eucaristia del Signore in queste singole chiese la Chiesa di Dio
è edificata e cresce », aggiungendo, di conseguenza, che tali chiese
« quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto in forza
della successione apostolica, il Sacerdozio e l'Eucaristia, per mezzo
dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli ».82
Delle Chiese d'Oriente è stata
riconosciuta la grande tradizione liturgica e spirituale, il carattere
specifico del loro sviluppo storico, le discipline da loro seguite sin
dai primi tempi e sancite dai santi Padri e dai Concili ecumenici, il
modo che è loro proprio di enunciare la dottrina. Tutto ciò nella
convinzione che la legittima diversità non si oppone affatto all'unità
della Chiesa, anzi ne accresce il decoro e contribuisce non poco al
compimento della sua missione.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II
vuole fondare il dialogo sulla comunione esistente e richiama
l'attenzione proprio sulla ricca realtà delle Chiese d'Oriente: «
Perciò il santo Concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che
intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione
tra le Chiese orientali e la Chiesa cattolica, affinché tengano in
debita considerazione questa speciale condizione della nascita e della
crescita delle Chiese d'Oriente, e la natura delle relazioni vigenti
fra esse e la sede di Roma prima della separazione, e si formino un
equo giudizio su tutte queste cose ».83
51. Questo orientamento conciliare
è stato fecondo sia per le relazioni di fraternità, che sono andate
sviluppandosi per mezzo del dialogo della carità, sia per la
discussione dottrinale nell'ambito della Commissione mista
internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la
Chiesa ortodossa nel suo insieme. Esso è stato altrettanto ricco
di frutti nelle relazioni con le antiche Chiese dell'Oriente.
Si è trattato di un processo
lento e laborioso, che è stato però fonte di molta gioia; ed è
stato anche entusiasmante, poiché ha permesso di ritrovare
progressivamente la fraternità.
La ripresa dei contatti
52. Per quanto riguarda la Chiesa
di Roma e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, il processo a
cui abbiamo appena fatto cenno ha preso avvio grazie alla reciproca
apertura mostrata dai Papi Giovanni XXIII e Paolo VI, da una parte, e
dal Patriarca ecumenico Athenagoras I e dai suoi successori,
dall'altra. Il mutamento operato ha la sua espressione storica
nell'atto ecclesiale per il cui tramite « si è tolto dalla memoria e
dal mezzo delle Chiese » 84 il ricordo delle scomuniche che novecento
anni prima, nel 1054, erano diventate simbolo dello scisma tra Roma e
Costantinopoli. Quell'evento ecclesiale, tanto denso di impegno
ecumenico, avvenne negli ultimi giorni del Concilio, il 7 dicembre del
1965. L'assise conciliare si concludeva così con un atto solenne che
era al tempo stesso purificazione della memoria storica, perdono
reciproco e solidale impegno per la ricerca della comunione.
Questo gesto era stato preceduto
dall'incontro di Paolo VI e del Patriarca Athenagoras I a Gerusalemme,
nel gennaio del 1964, durante il pellegrinaggio del Papa in Terra
Santa. In quell'occasione egli poté anche incontrare il Patriarca
ortodosso di Gerusalemme, Benedictos. In seguito, Papa Paolo poteva
far visita al Patriarca Athenagoras al Fanar (Istanbul) il 25 luglio
del 1967 e, nel mese di ottobre dello stesso anno, il Patriarca era
accolto solennemente a Roma. Questi incontri nella preghiera
additavano la via da seguire per il riavvicinamento tra la Chiesa
d'Oriente e la Chiesa d'Occidente ed il ristabilimento dell'unità che
esisteva tra loro nel primo millennio.
Dopo la morte di Papa Paolo VI ed
il breve pontificato di Papa Giovanni Paolo I, quando mi è stato
affidato il ministero di Vescovo di Roma, ho ritenuto che fosse uno
dei primi doveri del mio servizio pontificio rinnovare un personale
contatto con il Patriarca ecumenico Dimitrios I, il quale aveva nel
frattempo assunto, nella sede di Costantinopoli, la successione del
Patriarca Athenagoras. Durante la mia visita al Fanar il 29 novembre
del 1979, potemmo, il Patriarca ed io, decidere di inaugurare il
dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e tutte le Chiese ortodosse
in comunione canonica con la sede di Costantinopoli. Sembra importante
aggiungere, a questo proposito, che allora erano già in corso i
preparativi per la convocazione del futuro Concilio delle Chiese
ortodosse. La ricerca della loro armonia è un contributo alla vita e
alla vitalità di quelle Chiese sorelle, e ciò anche in
considerazione della funzione che esse sono chiamate a svolgere nel
cammino verso l'unità. Il Patriarca ecumenico ha voluto restituirmi
la visita che gli avevo reso, e nel dicembre del 1987 ho avuto la
gioia di accoglierlo a Roma, con affetto sincero e con la solennità
che gli era dovuta. In questo contesto di fraternità ecclesiale, va
ricordata la consuetudine, ormai stabilita da vari anni, di accogliere
a Roma, per la festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, una
delegazione del Patriarcato ecumenico, così come di inviare al Fanar
una delegazione della Santa Sede per la solenne celebrazione di
sant'Andrea.
53. Questi regolari contatti
permettono tra l'altro uno scambio diretto di informazioni e di pareri
per un fraterno coordinamento. D'altra parte, la nostra reciproca
partecipazione alla preghiera ci riabitua a vivere fianco a fianco, ci
induce ad accogliere insieme, e dunque a mettere in pratica, la volontà
del Signore per la sua Chiesa.
Lungo il cammino che abbiamo
percorso dal Concilio Vaticano II in poi, vanno menzionati almeno due
eventi particolarmente eloquenti e di grande rilevanza ecumenica nelle
relazioni tra Oriente ed Occidente: in primo luogo, il Giubileo del
1984, indetto per commemorare l'XI centenario dell'opera
evangelizzatrice di Cirillo e Metodio e che mi ha permesso di
proclamare compatroni d'Europa i due santi apostoli degli Slavi,
messaggeri di fede. Già Papa Paolo VI nel 1964, durante il Concilio,
aveva proclamato san Benedetto patrono d'Europa. Associare i due
Fratelli di Tessalonica al grande fondatore del monachesimo
occidentale vale a mettere indirettamente in risalto quella duplice
tradizione ecclesiale e culturale tanto significativa per i duemila
anni di cristianesimo che hanno caratterizzato la storia del
continente europeo. Non è quindi superfluo ricordare che Cirillo e
Metodio provenivano dall'ambito della Chiesa bizantina del loro tempo,
epoca durante la quale essa era in comunione con Roma. Nel
proclamarli, assieme a san Benedetto, patroni d'Europa, desideravo non
soltanto confermare la verità storica sul cristianesimo nel
continente europeo, ma anche fornire un importante tema a quel dialogo
tra Oriente ed Occidente, che tante speranze ha suscitato nel dopo
Concilio. Come in san Benedetto, nei santi Cirillo e Metodio l'Europa
ritrova le sue radici spirituali. Ora che volge al termine il secondo
millennio dalla nascita di Cristo, essi debbono essere venerati insieme,
come patroni del nostro passato e come santi ai quali le Chiese e le
nazioni del continente europeo affidano il loro avvenire.
54. L'altro evento che mi piace
richiamare alla mente è la celebrazione del Millennio del Battesimo
della Rus' (988-1988). La Chiesa cattolica, ed in modo particolare la
Sede Apostolica, hanno voluto prendere parte alle celebrazioni
giubilari ed hanno cercato di sottolineare come il Battesimo conferito
a Kiev a san Vladimiro sia stato uno degli eventi centrali per
l'evangelizzazione del mondo. Ad esso debbono la loro fede non
soltanto le grandi nazioni slave dell'Est europeo, ma anche quei
popoli che vivono oltre i monti Urali e fino all'Alaska.
In questa prospettiva,
un'espressione che ho più volte adoperato trova il suo motivo più
profondo: la Chiesa deve respirare con i suoi due polmoni! Nel primo
millennio della storia del cristianesimo essa si riferisce soprattutto
alla dualità Bisanzio-Roma; dal Battesimo della Rus' in poi, tale
espressione dilata i suoi confini: l'evangelizzazione si è estesa ad
un ambito ben più vasto, così che essa abbraccia ormai l'intera
Chiesa. Se si considera poi che tale evento salvifico, avvenuto lungo
le sponde del Dniepr, risale ad una epoca durante la quale la Chiesa
in Oriente e quella in Occidente non erano divise, si comprende
chiaramente come la prospettiva secondo la quale la piena comunione va
ricercata sia quella dell'unità nella legittima diversità. È quanto
ho affermato con forza nell'Epistola enciclica Slavorum apostoli
85 dedicata ai santi Cirillo e Metodio e nella Lettera apostolica Euntes
in mundum 86 diretta ai fedeli della Chiesa cattolica nella
commemorazione del Millennio del Battesimo della Rus' di Kiev.
Chiese sorelle
55. Il Decreto conciliare Unitatis
redintegratio nel suo orizzonte storico tiene presente l'unità
che, malgrado tutto, fu vissuta nel primo millennio. Essa assume in un
certo senso configurazione di modello. « È cosa gradita per il sacro
Concilio [...] richiamare alla mente di tutti, che in Oriente
prosperano molte Chiese particolari o locali, tra le quali tengono il
primo posto le Chiese patriarcali, e non poche di queste si gloriano
d'essere state fondate dagli stessi Apostoli ».87 Il cammino della
Chiesa è iniziato a Gerusalemme il giorno di Pentecoste e tutto il
suo originale sviluppo nell'oikoumene di allora si concentrava
attorno a Pietro e agli Undici (cfr At 2, 14). Le strutture
della Chiesa in Oriente e in Occidente si formavano dunque in
riferimento a quel patrimonio apostolico. La sua unità, entro i
limiti del primo millennio, si manteneva in quelle stesse strutture
mediante i Vescovi, successori degli Apostoli, in comunione con il
Vescovo di Roma. Se oggi noi cerchiamo, al termine del secondo
millennio, di ristabilire la piena comunione, è a questa unità così
strutturata che dobbiamo riferirci.
Il Decreto sull'ecumenismo mette
in rilievo un ulteriore aspetto caratteristico, grazie al quale tutte
le Chiese particolari permanevano nell'unità, la « preoccupazione
— cioè — e la cura di conservare, nella comunione della fede e
della carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, ci
devono essere tra le Chiese locali ».88
56. Dopo il Concilio Vaticano II e
ricollegandosi a quella tradizione, si è ristabilito l'uso di
attribuire l'appellativo di « Chiese sorelle » alle Chiese
particolari o locali radunate attorno al loro Vescovo. La soppressione
poi delle reciproche scomuniche, rimovendo un doloroso ostacolo di
ordine canonico e psicologico, è stato un passo molto significativo
nel cammino verso la piena comunione.
Le strutture d'unità esistenti
prima della divisione sono un patrimonio d'esperienza che guida il
nostro cammino verso il ritrovamento della piena comunione.
Ovviamente, durante il secondo millennio, il Signore non ha cessato di
dare alla sua Chiesa abbondanti frutti di grazia e di crescita. Ma
purtroppo il progressivo reciproco allontanamento tra le Chiese
d'Occidente e d'Oriente le ha private delle ricchezze di mutui doni ed
aiuti. Occorre compiere con la grazia di Dio un grande sforzo per
ristabilire fra esse la piena comunione, fonte di tanti beni per la
Chiesa di Cristo. Tale sforzo richiede tutta la nostra buona volontà,
la preghiera umile e una collaborazione perseverante che nulla deve
scoraggiare. San Paolo ci sprona: « Portate i pesi gli uni degli
altri » (Gal 6, 2). Come si adatta a noi e come è attuale
l'esortazione dell'Apostolo! L'appellativo tradizionale di « Chiese
sorelle » dovrebbe incessantemente accompagnarci in questo cammino.
57. Come auspicava Papa Paolo VI,
il nostro scopo dichiarato è di ritrovare insieme la piena unità
nella legittima diversità: « Dio ci ha concesso di ricevere nella
fede questa testimonianza degli Apostoli. Per mezzo del Battesimo noi
siamo uno in Cristo Gesù (cfr Gal 3, 28). In virtù
della successione apostolica, il sacerdozio e l'Eucaristia ci uniscono
più intimamente; partecipando ai doni di Dio alla sua Chiesa, noi
siamo in comunione con il Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito
Santo [...]. In ogni Chiesa locale si realizza questo mistero
dell'amore divino. Non è forse questa la ragione dell'espressione
tradizionale e tanto bella per cui le Chiese locali amavano designarsi
quali Chiese sorelle? (cfr Decr. Unitatis redintegratio, 14).
Questa vita di Chiese sorelle, noi l'abbiamo vissuta durante secoli,
celebrando insieme i Concili ecumenici, che hanno difeso il deposito
della fede da ogni alterazione. Ora, dopo un lungo periodo di
divisione e incomprensione reciproca, il Signore ci concede di
riscoprirci come Chiese sorelle, nonostante gli ostacoli che nel
passato si sono frapposti tra di noi ».89 Se oggi, alle soglie del
terzo millennio, noi ricerchiamo il ristabilimento della piena
comunione, è all'attuazione di questa realtà che dobbiamo tendere ed
è a questa realtà che dobbiamo fare riferimento.
Il contatto con questa gloriosa
tradizione è fecondo per la Chiesa. « Le Chiese d'Oriente —
afferma il Concilio — hanno fin dall'origine un tesoro, dal quale la
Chiesa d'Occidente molte cose ha prese nel campo della liturgia, della
tradizione spirituale e dell'ordine giuridico ».90
Sono parte di questo « tesoro »
anche « le ricchezze di quelle tradizioni spirituali, che sono state
espresse specialmente dal monachesimo. Ivi infatti fin dai gloriosi
tempi dei santi Padri fiorì quella spiritualità monastica, che si
estese poi all'Occidente ».91 Come ho avuto modo di rilevare nella
recente Lettera apostolica Orientale lumen, le Chiese d'Oriente
hanno vissuto con grande generosità l'impegno testimoniato dalla vita
monastica, « a cominciare dalla evangelizzazione, che è il servizio
più alto che il cristiano possa offrire al fratello, per proseguire
in molte altre forme di servizio spirituale e materiale. Si può anzi
dire che il monachesimo sia stato nell'antichità — e, a varie
riprese, anche in tempi successivi — lo strumento privilegiato per
l'evangelizzazione dei popoli ».92
Il Concilio non si limita a
mettere in rilievo tutto ciò che rende le Chiese in Oriente ed in
Occidente simili tra loro. In armonia con la verità storica, esso non
esita ad affermare: « Non fa meraviglia che alcuni aspetti del
mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti
in miglior luce dall'uno che non dall'altro, cosicché si può dire
allora che quelle varie formule teologiche non di rado si completino,
piuttosto che opporsi ».93 Lo scambio di doni fra le Chiese nella
loro complementarità rende feconda la comunione.
58. Dalla riaffermata comunione di
fede già esistente, il Concilio Vaticano II ha tratto delle
conseguenze pastorali utili alla vita concreta dei fedeli e alla
promozione dello spirito d'unità. A ragione degli strettissimi
vincoli sacramentali esistenti tra la Chiesa cattolica e le Chiese
ortodosse, il Decreto Orientalium ecclesiarum ha rilevato che
« la prassi pastorale dimostra, per quanto riguarda i fratelli
orientali, che si possono e si devono considerare varie circostanze di
singole persone, nelle quali né si lede l'unità della Chiesa, né vi
sono pericoli da evitare, e invece urgono la necessità della salvezza
e il bene spirituale delle anime. Perciò la Chiesa cattolica, secondo
le circostanze di tempi, di luoghi e di persone, ha usato spesso e usa
una più mite maniera di agire, offrendo a tutti tra i cristiani i
mezzi della salvezza e la testimonianza della carità, per mezzo della
partecipazione nei sacramenti e nelle altre funzioni e cose sacre ».94
Tale orientamento teologico e
pastorale, con l'esperienza fatta negli anni del dopo Concilio, è
stato assunto dai due Codici di Diritto Canonico.95 Esso è stato
esplicitato dal punto di vista pastorale dal Direttorio per
l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo.96
In questa materia tanto importante
e delicata, è necessario che i Pastori istruiscano con cura i fedeli
affinché essi conoscano con chiarezza le precise ragioni sia di tale
condivisione per quanto riguarda il culto liturgico che delle diverse
discipline esistenti al riguardo.
Non si deve mai perdere di vista
la dimensione ecclesiologica della partecipazione ai sacramenti,
soprattutto della santa Eucaristia.
Progressi del dialogo
59. Dalla sua creazione nel 1979,
la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la
Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme ha lavorato
intensamente, orientando progressivamente la sua ricerca a quelle
prospettive che, di comune accordo, erano state determinate, con lo
scopo di ristabilire la piena comunione tra le due Chiese. Tale
comunione fondata nell'unità di fede, in continuità con l'esperienza
e la tradizione della Chiesa antica, troverà la sua espressione piena
nella concelebrazione della santa Eucaristia. Con spirito positivo,
basandoci su quanto abbiamo in comune, la commissione mista ha potuto
progredire sostanzialmente e, come ho avuto modo di dichiarare insieme
al venerato Fratello, Sua Santità Dimitrios I, Patriarca ecumenico,
essa è pervenuta ad esprimere « ciò che la Chiesa cattolica e la
Chiesa ortodossa possono già professare insieme quale fede comune nel
mistero della Chiesa ed il vincolo tra la fede ed i sacramenti ».97
La commissione ha poi potuto constatare ed affermare che « nelle
nostre Chiese la successione apostolica è fondamentale per la
santificazione e l'unità del popolo di Dio ».98 Si tratta di punti
di riferimento importanti per la continuazione del dialogo. E c'è di
più: queste affermazioni fatte insieme costituiscono la base che
abilita i cattolici e gli ortodossi a rendere sin da ora, nel nostro
tempo, una comune testimonianza fedele e concorde perché il nome del
Signore sia annunciato e glorificato.
60. Più recentemente, la
commissione mista internazionale ha compiuto un significativo passo
nella questione tanto delicata del metodo da seguire nella ricerca
della piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa,
questione che ha spesso inasprito le relazioni fra cattolici ed
ortodossi. Essa ha posto le basi dottrinali per una positiva soluzione
del problema, che si fonda sulla dottrina delle Chiese sorelle. Anche
in questo contesto è apparso chiaramente che il metodo da seguire
verso la piena comunione è il dialogo della verità, nutrito e
sostenuto dal dialogo della carità. Il diritto riconosciuto alle
Chiese orientali cattoliche ad organizzarsi e svolgere il loro
apostolato, così come l'effettivo coinvolgimento di queste Chiese nel
dialogo della carità e in quello teologico, favoriranno non soltanto
un reale e fraterno rispetto reciproco tra gli ortodossi e i cattolici
che vivono in uno stesso territorio, ma anche il loro comune impegno
nella ricerca dell'unità.99 Un passo avanti è stato compiuto.
L'impegno deve continuare. Sin da ora si può constatare, però, una
pacificazione degli spiriti, che rende la ricerca più feconda.
Per quanto riguarda le Chiese
orientali in comunione con la Chiesa cattolica, il Concilio aveva
espresso il seguente apprezzamento: « Questo Sacro Concilio,
ringraziando Dio che molti Orientali figli della Chiesa cattolica 1
vivano già in piena comunione con i fratelli che seguono la
tradizione occidentale, dichiara che tutto questo patrimonio
spirituale e liturgico, disciplinare e teologico, nelle diverse sue
tradizioni, appartiene alla piena cattolicità ed apostolicità della
Chiesa ».100 Certamente le Chiese orientali cattoliche, nello spirito
del Decreto sull'ecumenismo, sapranno partecipare positivamente al
dialogo della carità e al dialogo teologico, sia a livello locale che
a livello universale, contribuendo così alla reciproca comprensione e
ad una dinamica ricerca della piena unità.101
61. In questa prospettiva, la
Chiesa cattolica null'altro vuole se non la piena comunione tra
Oriente ed Occidente. In ciò si ispira alla esperienza del primo
millennio. In tale periodo, infatti, « lo sviluppo di differenti
esperienze di vita ecclesiale non impediva che, mediante reciproche
relazioni, i cristiani potessero continuare a provare la certezza di
essere a casa propria in qualsiasi Chiesa, perché da tutte si levava,
in mirabile varietà di lingue e modulazioni, la lode dell'unico
Padre, per Cristo nello Spirito Santo; tutte erano adunate per
celebrare l'Eucaristia, cuore e modello per la comunità non solo per
quanto riguarda la spiritualità o la vita morale, ma anche per la
struttura stessa della Chiesa, nella varietà dei ministeri e dei
servizi sotto la presidenza del Vescovo successore degli Apostoli. I
primi Concili sono una testimonianza eloquente di questa perdurante
unità nella diversità ».102 In che modo ricomporre tale unità dopo
quasi mille anni? Ecco il grande compito che essa deve assolvere e che
incombe anche alla Chiesa ortodossa. Si comprende da qui tutta
l'attualità del dialogo, sostenuto dalla luce e dalla potenza dello
Spirito Santo.
Relazioni con le antiche Chiese
dell'Oriente
62. Dal Concilio Vaticano II in
poi, la Chiesa cattolica, con modalità e ritmi diversi, ha
riallacciato fraterne relazioni anche con quelle antiche Chiese
dell'Oriente che hanno contestato le formule dogmatiche dei Concili di
Efeso e di Calcedonia. Tutte queste Chiese hanno inviato osservatori
delegati al Concilio Vaticano II; i loro Patriarchi ci hanno onorato
della loro visita e con essi il Vescovo di Roma ha potuto parlare come
a dei fratelli che, dopo lungo tempo, si ritrovano nella gioia.
La ripresa delle relazioni
fraterne con le antiche Chiese dell'Oriente, testimoni della fede
cristiana in situazioni spesso ostili e tragiche, è un segno concreto
di come Cristo ci unisca nonostante le barriere storiche, politiche,
sociali e culturali. E proprio per quanto riguarda il tema
cristologico, abbiamo potuto dichiarare insieme ai Patriarchi di
alcune di queste Chiese la nostra fede comune in Gesù Cristo, vero
Dio e vero uomo. Papa Paolo VI di venerata memoria aveva firmato delle
dichiarazioni in questo senso con Sua Santità Shenouda III, Papa e
Patriarca copto ortodosso; 103 e con il Patriarca siro ortodosso
d'Antiochia, Sua Santità Jacoub III.104 Io stesso ho potuto
confermare tale accordo cristologico e trarne delle conseguenze: per
lo sviluppo del dialogo con il Papa Shenouda,105 e per la
collaborazione pastorale con il Patriarca siro d'Antiochia Mar Ignazio
Zakka I Iwas.106
Con il venerato Patriarca della
Chiesa d'Etiopia, Abuna Paulos, che mi ha fatto visita a Roma l'11
giugno 1993, abbiamo sottolineato la profonda comunione esistente tra
le nostre due Chiese: « Noi condividiamo la fede ricevuta dagli
Apostoli, gli stessi sacramenti e lo stesso ministero radicato nella
successione apostolica[...]. Oggi infatti possiamo affermare di avere
la stessa fede in Cristo, allorché per lungo tempo essa è stata
causa di divisione tra di noi ».107
Più recentemente, il Signore mi
ha dato la grande gioia di sottoscrivere una dichiarazione comune
cristologica con il Patriarca assiro dell'Oriente, Sua Santità Mar
Dinkha IV, che ha voluto per questo motivo farmi visita a Roma nel
mese di novembre 1994. Tenendo conto delle formulazioni teologiche
differenziate, abbiamo così potuto professare insieme la vera fede in
Cristo.108 Voglio dire la mia esultanza per tutto questo con le parole
della Vergine: « L'anima mia magnifica il Signore » (Lc 1,
46).
63. Per le tradizionali
controversie sulla cristologia, i contatti ecumenici hanno reso dunque
possibili chiarimenti essenziali, tanto da permetterci di confessare
insieme quella fede che ci è comune. Ancora una volta, si deve
constatare che tale importante acquisizione è sicuramente frutto
della ricerca teologica e del dialogo fraterno. E non soltanto questo.
Essa ci è di incoraggiamento: ci mostra, infatti, che la via percorsa
è giusta e che si può ragionevolmente sperare di trovare insieme la
soluzione per le altre questioni controverse.
Dialogo con le altre Chiese e
Comunità ecclesiali in Occidente
64. Nell'ampio piano tracciato per
il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani, il Decreto
sull'ecumenismo prende ugualmente in considerazione le relazioni con
le Chiese e Comunità ecclesiali d'Occidente. Con l'intento di
instaurare un clima di fraternità cristiana e di dialogo, il Concilio
situa le sue indicazioni nell'ambito di due considerazioni di ordine
generale: l'una a carattere storico-psicologico e l'altra a carattere
teologico-dottrinale. Da una parte, il suddetto documento rileva: «
Le Chiese e le Comunità ecclesiali, che o in quel gravissimo
sconvolgimento incominciato in Occidente già alla fine del Medioevo o
in tempi posteriori si sono separate dalla sede apostolica romana,
sono unite alla Chiesa cattolica da una speciale affinità e stretta
relazione, dato il lungo periodo di vita che il popolo cristiano nei
secoli passati trascorse nella comunione ecclesiastica ».109 D'altra
parte, con altrettanto realismo si constata: « Bisogna però
riconoscere che tra queste Chiese e Comunità e la Chiesa cattolica vi
sono importanti divergenze, non solo d'indole storica, sociologica,
psicologica e culturale, ma soprattutto d'interpretazione della verità
rivelata ».110
65. Sono comuni le radici e sono
simili, nonostante le differenze, gli orientamenti che hanno guidato
in Occidente lo sviluppo della Chiesa cattolica e delle Chiese e
Comunità sorte dalla Riforma. Di conseguenza esse possiedono una
comune caratteristica occidentale. Le « divergenze », pur importanti
sopra accennate non escludono quindi reciproche influenze e
complementarietà.
Il movimento ecumenico ha preso
avvio proprio nell'ambito delle Chiese e Comunità della Riforma.
Contemporaneamente, e già nel gennaio del 1920, il Patriarcato
ecumenico aveva espresso l'auspicio che si organizzasse una
collaborazione tra le Comunioni cristiane. Questo fatto mostra che
l'incidenza dello sfondo culturale non è decisiva. Essenziale è
invece la questione della fede. La preghiera di Cristo, nostro unico
Signore, Redentore e Maestro, parla a tutti nello stesso modo,
all'Oriente come all'Occidente. Essa diventa un imperativo che impone
di abbandonare le divisioni per ricercare e ritrovare l'unità,
sospinti anche dalle stesse amare esperienze della divisione.
66. Il Concilio Vaticano II non
intende fare la « descrizione » del cristianesimo del « dopo
Riforma », poiché le Chiese e le Comunità ecclesiali «
differiscono non solo da noi, ma anche non poco tra di loro » e
questo « per la loro diversità di origine, di dottrina e di vita
spirituale ».111 Inoltre, lo stesso Decreto osserva che il movimento
ecumenico e il desiderio di pace con la Chiesa cattolica non è ancora
invalso dappertutto.112 Indipendentemente da queste circostanze, però,
il Concilio propone il dialogo.
Il Decreto conciliare cerca poi di
« mettere in risalto alcuni punti che possono 3 costituire il
fondamento di questo dialogo ed un incitamento ad esso ».113
« Il nostro pensiero si rivolge 4
a quei cristiani che apertamente confessano Gesù Cristo come Dio e
Signore e unico mediatore tra Dio e gli uomini, per la gloria di un
solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo ».114
Questi fratelli coltivano amore e
venerazione per le Sacre Scritture: « Invocando lo Spirito Santo,
essi cercano nelle stesse Scritture Dio che parla ad essi in Cristo,
preannunciato dai Profeti, Verbo di Dio per noi incarnato. In esse
contemplano la vita di Cristo e quanto il Divino Maestro ha insegnato
e compiuto per la salvezza degli uomini, specialmente i misteri della
sua morte e della sua resurrezione 5; essi affermano la divina autorità
dei libri sacri ».115
Allo stesso tempo, però, «
pensano diversamente da noi 6 circa il rapporto tra le Sacre Scritture
e la Chiesa, nella quale, secondo la fede cattolica, il Magistero
autentico ha un posto speciale nell'esporre e predicare la parola di
Dio scritta ».116 Malgrado ciò, « la Sacra Scrittura nello stesso
dialogo 7 costituisce l'eccellente strumento nella potente mano di Dio
per il raggiungimento di quella unità, che il Salvatore offre a tutti
gli uomini ».117
Inoltre, il sacramento del
Battesimo che abbiamo in comune rappresenta « il vincolo sacramentale
dell'unità, che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono
stati rigenerati ».118 Le implicazioni teologiche, pastorali ed
ecumeniche del comune Battesimo sono molte ed importanti. Sebbene di
per sé costituisca « soltanto l'inizio e l'esordio », questo
sacramento « è ordinato all'integra professione della fede,
all'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, come lo
stesso Cristo ha voluto e, infine, alla integra inserzione nella
comunione eucaristica ».119
67. Divergenze dottrinali e
storiche del tempo della Riforma sono emerse a proposito della Chiesa,
dei sacramenti e del Ministero ordinato. Il Concilio richiede pertanto
che « la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri sacramenti, il
culto e i ministeri della Chiesa costituiscano l'oggetto del dialogo
».120
Il Decreto Unitatis
redintegratio, rilevando come alle Comunità del dopo Riforma
faccia difetto la « piena unità con noi, derivante dal Battesimo »,
osserva che esse « specialmente per la mancanza del sacramento
dell'Ordine, non hanno conservata la genuina ed integra sostanza del
mistero eucaristico », anche se « nella Santa Cena fanno memoria
della morte e della risurrezione del Signore, professano che nella
comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta
gloriosa ».121
68. Il Decreto non dimentica la
vita spirituale e le conseguenze morali: « La vita cristiana di
questi fratelli è alimentata dalla fede in Cristo ed è aiutata dalla
grazia del Battesimo e dall'ascolto della parola di Dio. Si manifesta
nella preghiera privata, nella meditazione della Bibbia, nella vita
della famiglia cristiana, nel culto della comunità riunita a lodare
Dio. Del resto il loro culto mostra talora importanti elementi della
comune liturgia antica ».122
Il documento conciliare, peraltro,
non si limita a questi aspetti spirituali, morali e culturali, ma
estende il suo apprezzamento al vivo sentimento della giustizia e alla
sincera carità verso il prossimo, che sono presenti in questi
fratelli; esso inoltre non dimentica le loro iniziative per rendere più
umane le condizioni sociali della vita e per ristabilire la pace.
Tutto questo nella sincera volontà di aderire alla parola di Cristo
quale sorgente della vita cristiana.
In tal modo il testo rileva una
problematica che, in campo etico-morale, diventa sempre più urgente
nel nostro tempo: « Molti fra i cristiani non sempre 8 intendono il
Vangelo alla stessa maniera dei cattolici ».123 In questa vasta
materia vi è un grande spazio di dialogo attorno ai principi morali
del Vangelo e alle loro applicazioni.
69. Gli auspici e l'invito del
Concilio Vaticano II sono stati attuati e si è progressivamente
avviato il dialogo teologico bilaterale con le varie Chiese e Comunità
cristiane mondiali d'Occidente.
D'altra parte, per il dialogo
multilaterale, già nel 1964 si iniziava il processo di costituzione
di un « Gruppo Misto di Lavoro » con il Consiglio Ecumenico delle
Chiese e, dal 1968, dei teologi cattolici entravano a far parte, come
membri a pieno titolo, del Dipartimento teologico di detto Consiglio,
la Commissione « Fede e Costituzione ».
Il dialogo è stato ed è fecondo,
ricco di promesse. I temi suggeriti dal Decreto conciliare come
materia di dialogo sono stati già affrontati, o lo saranno a breve
scadenza. La riflessione dei vari dialoghi bilaterali, con una
dedizione che merita l'elogio di tutta la comunità ecumenica, si è
concentrata su molte questioni controverse quali il Battesimo,
l'Eucaristia, il Ministero ordinato, la sacramentalità e l'autorità
della Chiesa, la successione apostolica. Si sono delineate così delle
prospettive di soluzione insperate e nel contempo si è compreso come
fosse necessario scandagliare più profondamente alcuni argomenti.
70. Tale ricerca difficile e
delicata, che implica problemi di fede e rispetto della propria
coscienza e di quella dell'altro, è stata accompagnata e sostenuta
dalla preghiera della Chiesa cattolica e delle altre Chiese e Comunità
ecclesiali. La preghiera per l'unità, già così radicata e diffusa
nel tessuto connettivo ecclesiale, mostra che ai cristiani non sfugge
l'importanza della questione ecumenica. Proprio perché la ricerca
della piena unità esige un confronto di fede fra credenti che si
riferiscono all'unico Signore, la preghiera è la fonte
dell'illuminazione sulla verità da accogliere tutta intera.
Inoltre, attraverso la preghiera,
la ricerca dell'unità, lungi dall'essere confinata nell'ambito di
specialisti, si estende ad ogni battezzato. Tutti, indipendentemente
dal loro ruolo nella Chiesa e dalla loro formazione culturale, possono
dare un contributo attivo, in una dimensione misteriosa e profonda.
Relazioni ecclesiali
71. Bisogna rendere grazie alla
Divina Provvidenza anche per tutti gli eventi che testimoniano il
progresso sulla via della ricerca dell'unità. Accanto al dialogo
teologico vanno opportunamente menzionate le altre forme d'incontro,
la preghiera comune e la collaborazione pratica. Papa Paolo VI ha dato
un forte impulso a questo processo con la sua visita alla sede del
Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, avvenuta il 10 giugno
1969, ed incontrando molte volte i rappresentanti di varie Chiese e
Comunità ecclesiali. Questi contatti contribuiscono efficacemente a
far migliorare la reciproca conoscenza e a far crescere la fraternità
cristiana.
Papa Giovanni Paolo I, durante il
suo tanto breve pontificato, espresse la volontà di continuare il
cammino.124 Il Signore ha concesso a me di operare in questa
direzione. Oltre agli importanti incontri ecumenici a Roma, una parte
significativa delle mie visite pastorali è regolarmente dedicata alla
testimonianza a favore dell'unità dei cristiani. Alcuni dei miei
viaggi mostrano perfino una « priorità » ecumenica, specie nei
paesi in cui le comunità cattoliche costituiscono una minoranza
rispetto alle Comunioni del dopo Riforma; o dove queste ultime
rappresentano una considerevole porzione dei credenti in Cristo di una
data società.
72. Ciò vale soprattutto per i
paesi europei, dove hanno avuto inizio queste divisioni, e per
l'America del Nord. In questo contesto, e senza voler sminuire le
altre visite, meritano speciale attenzione quelle che, nel continente
europeo, mi hanno condotto a due riprese in Germania, nel novembre del
1980 e nell'aprile-maggio del 1987; la visita nel Regno Unito
(Inghilterra, Scozia e Galles), nel maggio-giugno del 1982; in
Svizzera nel giugno del 1984; e nei Paesi scandinavi e nordici
(Finlandia, Svezia, Norvegia, Danimarca e Islanda), dove mi sono
recato nel giugno del 1989. Nella gioia, nel reciproco rispetto, nella
solidarietà cristiana e nella preghiera, ho incontrato tanti e tanti
fratelli, tutti impegnati nella ricerca della fedeltà al Vangelo.
Constatare tutto questo è stato per me fonte di grande
incoraggiamento. Abbiamo sperimentato la presenza del Signore tra di
noi.
Vorrei a questo riguardo
richiamare un atteggiamento dettato da fraterna carità ed improntato
a profonda lucidità di fede che ho vissuto con intensa
partecipazione. Esso si riferisce alle celebrazioni eucaristiche che
ho presieduto in Finlandia ed in Svezia durante il mio viaggio nei
Paesi scandinavi e nordici. Al momento della comunione, i Vescovi
luterani si sono presentati al celebrante. Essi hanno voluto
dimostrare con un gesto concordato il desiderio di giungere al momento
in cui noi, cattolici e luterani, potremo condividere la stessa
Eucaristia, e hanno voluto ricevere la benedizione del celebrante. Con
amore, io li ho benedetti. Lo stesso gesto, tanto ricco di significato
è stato ripetuto a Roma, durante la messa che ho presieduto in Piazza
Farnese in occasione del VI centenario della canonizzazione di santa
Brigida, il 6 ottobre 1991.
Ho incontrato analoghi sentimenti
anche oltre oceano, in Canada, nel settembre del 1984; e specie nel
settembre del 1987 negli Stati Uniti dove si avverte una grande
apertura ecumenica. È il caso, per fare un esempio, dell'incontro
ecumenico a Columbia, in South Carolina l'11 settembre 1987. È per sé
importante il fatto stesso che avvengono con regolarità questi
incontri tra i fratelli del « dopo Riforma » ed il Papa. Sono
profondamente grato perché essi mi hanno accettato di buon grado, sia
i responsabili delle varie Comunità, che le Comunità nel loro
insieme. Da questo punto di vista, ritengo significativa la
celebrazione ecumenica della Parola, svoltasi a Columbia, ed avente
come tema la famiglia.
73. È motivo, poi, di grande
gioia il constatare come nel periodo postconciliare e nelle singole
Chiese locali abbondino le iniziative e le azioni a favore dell'unità
dei cristiani, le quali estendono le loro coinvolgenti incidenze a
livello delle Conferenze episcopali, delle singole diocesi e comunità
parrocchiali, come pure dei diversi ambienti e movimenti ecclesiali.
Collaborazioni realizzate
74. « Non chiunque mi dice:
Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la
volontà del Padre mio che è nei cieli » (Mt 7, 21). La
coerenza e l'onestà delle intenzioni e delle affermazioni di
principio si verificano applicandole alla vita concreta. Il Decreto
conciliare sull'ecumenismo nota che negli altri cristiani « la fede
con cui si crede a Cristo produce i frutti della lode e del
ringraziamento per i benefici ricevuti da Dio; si aggiunge il vivo
sentimento della giustizia e la sincera carità verso il prossimo ».125
Quello appena delineato è un
terreno fertile non soltanto per il dialogo, ma anche per un'attiva
collaborazione: la « fede operosa ha pure creato non poche
istituzioni per sollevare la miseria spirituale e corporale, per
coltivare l'educazione della gioventù, per render più umane le
condizioni sociali della vita, per ristabilire la pace universale ».126
La vita sociale e culturale offre
ampi spazi di collaborazione ecumenica. Sempre più spesso i cristiani
si ritrovano insieme per difendere la dignità umana, per promuovere
il bene della pace, l'applicazione sociale del Vangelo, per rendere
presente lo spirito cristiano nelle scienze e nelle arti. Essi si
ritrovano sempre più insieme quando si tratta di venire incontro ai
bisogni e alle miserie del nostro tempo: la fame, le calamità,
l'ingiustizia sociale.
75. Questa cooperazione, che trae
ispirazione dallo stesso Vangelo, per i cristiani non è mai una mera
azione umanitaria. Essa ha la sua ragione d'essere nella parola del
Signore: « Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare » (Mt
25, 35). Come ho già sottolineato, la cooperazione di tutti i
cristiani manifesta chiaramente quel grado di comunione che già
esiste tra di loro.127
Di fronte al mondo, l'azione
congiunta dei cristiani nella società riveste allora il trasparente
valore di una testimonianza resa insieme al nome del Signore. Essa
assume anche le dimensioni di un annuncio perché rivela il volto di
Cristo.
Le divergenze dottrinali che
permangono esercitano un influsso negativo e pongono dei limiti anche
alla collaborazione. La comunione di fede già esistente tra i
cristiani offre però una solida base non soltanto alla loro azione
congiunta in campo sociale, ma anche nell'ambito religioso.
Questa cooperazione faciliterà la
ricerca dell'unità. Il Decreto sull'ecumenismo notava che da essa «
i credenti in Cristo possono facilmente imparare come gli uni possano
meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri e come si appiani la
via verso l'unità dei cristiani ».128
76. Come non ricordare, in questo
contesto, l'interesse ecumenico per la pace che si esprime nella
preghiera e nell'azione con una crescente partecipazione dei cristiani
ed una motivazione teologica a mano a mano più profonda? Non potrebbe
essere altrimenti. Non crediamo forse noi in Gesù Cristo, Principe
della pace? I cristiani sono sempre più compatti nel rifiutare la
violenza, ogni tipo di violenza, dalle guerre all'ingiustizia sociale.
Siamo chiamati ad un impegno
sempre più attivo, perché appaia ancora più chiaramente che le
motivazioni religiose non sono la vera causa dei conflitti in corso,
anche se, purtroppo, non è scongiurato il rischio di
strumentalizzazioni a fini politici e polemici.
Nel 1986, ad Assisi, durante la Giornata
Mondiale di preghiera per la pace, i cristiani delle varie Chiese
e Comunità ecclesiali hanno invocato con una sola voce il Signore
della storia per la pace nel mondo. In quel giorno, in modo distinto
ma parallelo, hanno pregato per la pace anche gli Ebrei e i
Rappresentanti delle religioni non cristiane, in una sintonia di
sentimenti che hanno fatto vibrare le corde più profonde dello
spirito umano.
Né vorrei dimenticare la Giornata
di preghiera per la pace in Europa specialmente nei Balcani, che
mi ha ricondotto pellegrino nella città di san Francesco il 9 e 10
gennaio 1993 e la Messa per la pace nei Balcani e in particolare
nella Bosnia-Erzegovina, che ho presieduto il 23 gennaio 1994
nella Basilica di San Pietro e nel contesto della Settimana di
preghiera per l'unità dei cristiani.
Quando il nostro sguardo percorre
il mondo, la gioia invade il nostro animo. Constatiamo infatti che i
cristiani si sentono sempre più interpellati dalla questione della
pace. Essi la considerano strettamente connessa con l'annuncio del
Vangelo e con l'avvento del Regno di Dio.
III
QUANTA
EST NOBIS VIA?
Continuare ed intensificare il
dialogo
77. Ora possiamo chiederci quanta
strada ci separa ancora dal quel giorno benedetto in cui sarà
raggiunta la piena unità nella fede e potremo concelebrare nella
concordia la santa Eucaristia del Signore. La migliore conoscenza
reciproca già realizzata tra di noi, le convergenze dottrinali
raggiunte, che hanno avuto come conseguenza una crescita affettiva ed
effettiva di comunione, non possono bastare alla coscienza dei
cristiani che professano la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.
Il fine ultimo del movimento ecumenico è il ristabilimento della
piena unità visibile di tutti i battezzati.
In vista di questa mèta, tutti i
risultati raggiunti sinora non sono che una tappa, anche se
promettente e positiva.
78. Nel movimento ecumenico, non
è soltanto la Chiesa cattolica, insieme con le Chiese ortodosse, a
possedere questa esigente concezione dell'unità voluta da Dio. La
tendenza verso una tale unità è espressa anche da altri.129
L'ecumenismo implica che le
Comunità cristiane si aiutino a vicenda affinché in esse sia
veramente presente tutto il contenuto e tutte le esigenze dell'«
eredità tramandata dagli Apostoli ».130 Senza di ciò, la piena
comunione non sarà mai possibile. Questo vicendevole aiuto nella
ricerca della verità è una forma suprema della carità evangelica.
La ricerca dell'unità si è
espressa nei vari documenti delle numerose Commissioni miste
internazionali di dialogo. In tali testi si tratta del Battesimo,
dell'Eucaristia, del Ministero e dell'autorità partendo da una certa
unità fondamentale di dottrina.
Da tale unità fondamentale, ma
parziale, si deve ora passare all'unità visibile necessaria e
sufficiente, che si iscriva nella realtà concreta, affinché le
Chiese realizzino veramente il segno di quella piena comunione nella
Chiesa una, santa, cattolica e apostolica che si esprimerà nella
concelebrazione eucaristica.
Questo cammino verso l'unità
visibile necessaria e sufficiente, nella comunione dell'unica Chiesa
voluta da Cristo, esige ancora un lavoro paziente e coraggioso. Nel
far ciò bisogna non imporre altri obblighi all'infuori degli
indispensabili (cfr At 15, 28).
79. Sin da ora è possibile
individuare gli argomenti da approfondire per raggiungere un vero
consenso di fede: 1) le relazioni tra sacra Scrittura, suprema autorità
in materia di fede e la sacra Tradizione, indispensabile
interpretazione della parola di Dio; 2) l'Eucaristia, sacramento del
Corpo e del Sangue di Cristo, offerta di lode al Padre, memoriale
sacrificale e presenza reale di Cristo, effusione santificatrice dello
Spirito Santo; 3) l'Ordinazione, come sacramento, al triplice
ministero dell'episcopato, del presbiterato e del diaconato; 4) il
Magistero della Chiesa, affidato al Papa e ai Vescovi in comunione con
lui, inteso come responsabilità e autorità a nome di Cristo per
l'insegnamento e la salvaguardia della fede; 5) la Vergine Maria,
Madre di Dio e icona della Chiesa, Madre spirituale che intercede per
i discepoli di Cristo e tutta l'umanità.
In questo coraggioso cammino verso
l'unità, la lucidità e la prudenza della fede ci impongono di
evitare il falso irenismo e la noncuranza per le norme della
Chiesa.131 Inversamente, la stessa lucidità e la stessa prudenza ci
raccomandano di sfuggire la tiepidezza nell'impegno per l'unità ed
ancor più l'opposizione preconcetta, o il disfattismo che tende a
vedere tutto al negativo.
Mantenere una visione dell'unità
che tenga conto di tutte le esigenze della verità rivelata non
significa mettere un freno al movimento ecumenico.132 Al contrario
significa evitargli di accomodarsi in soluzioni apparenti, che non
perverrebbero a nulla di stabile e di solido.133 L'esigenza della
verità deve andare fino in fondo. E non è forse questa la legge del
Vangelo?
Ricezione dei risultati
raggiunti
80. Mentre prosegue il dialogo su
nuove tematiche o si sviluppa a livelli più profondi, abbiamo un
compito nuovo da assolvere: come recepire i risultati sino ad ora
raggiunti. Essi non possono rimanere affermazioni delle Commissioni
bilaterali, ma debbono diventare patrimonio comune. Perché ciò
avvenga e si rafforzino così i legami di comunione, occorre un serio
esame che, in modi, forme e competenze diverse, deve coinvolgere il
popolo di Dio nel suo insieme. Si tratta infatti di questioni che
spesso riguardano la fede ed esse esigono l'universale consenso, che
si estende dai Vescovi ai fedeli laici, i quali hanno tutti ricevuto
l'unzione dello Spirito Santo.134 È lo stesso Spirito che assiste il
Magistero e suscita il sensus fidei.
Per recepire i risultati del
dialogo occorre pertanto un ampio ed accurato processo critico che li
analizzi e ne verifichi con rigore la coerenza con la Tradizione di
fede ricevuta dagli Apostoli e vissuta nella comunità dei credenti
radunata attorno al Vescovo, suo legittimo Pastore.
81. Questo processo, che si dovrà
fare con prudenza e in atteggiamento di fede, sarà assistito dallo
Spirito Santo. Perché esso dia esito favorevole, è necessario che i
suoi risultati siano opportunamente divulgati da persone competenti.
Di grande rilievo, a tal fine, è il contributo che i teologi e le
facoltà di teologia sono chiamati ad offrire in adempimento al loro
carisma nella Chiesa. È chiaro, inoltre, che le commissioni
ecumeniche hanno, a questo riguardo, responsabilità e compiti del
tutto singolari.
L'intero processo è seguito ed
aiutato dai Vescovi e dalla Santa Sede. L'autorità docente ha la
responsabilità di esprimere il giudizio definitivo.
In tutto questo, sarà di grande
aiuto attenersi metodologicamente alla distinzione fra il deposito
della fede e la formulazione in cui esso è espresso, come
raccomandava Papa Giovanni XXIII nel discorso pronunciato in apertura
del Concilio Vaticano II.135
Continuare l'ecumenismo
spirituale e testimoniare la santità
82. Si comprende come la gravità
dell'impegno ecumenico interpelli in profondità i fedeli cattolici.
Lo Spirito li invita ad un serio esame di coscienza. La Chiesa
cattolica deve entrare in quello che si potrebbe chiamare « dialogo
della conversione », nel quale è posto il fondamento interiore del
dialogo ecumenico. In tale dialogo, che si compie davanti a Dio,
ciascuno deve ricercare i propri torti, confessare le sue colpe, e
rimettere se stesso nelle mani di Colui che è l'Intercessore presso
il Padre, Gesù Cristo.
Certamente, in questa relazione di
conversione alla volontà del Padre e, al tempo stesso, di penitenza e
di fiducia assoluta nella potenza riconciliatrice della verità che è
Cristo, si trova la forza per condurre a buon fine il lungo ed arduo
pellegrinaggio ecumenico. Il « dialogo della conversione » di ogni
comunità con il Padre, senza indulgenze per se stessa, è il
fondamento di relazioni fraterne che siano una cosa diversa da una
cordiale intesa o da una convivialità tutta esteriore. I legami della
koinonia fraterna vanno intrecciati davanti a Dio e in Cristo
Gesù.
Soltanto il porsi davanti a Dio può
offrire una base solida a quella conversione dei singoli cristiani e a
quella continua riforma della Chiesa in quanto istituzione anche umana
e terrena,136 che sono le condizioni preliminari di ogni impegno
ecumenico. Uno dei procedimenti fondamentali del dialogo ecumenico è
lo sforzo di coinvolgere le Comunità cristiane in questo spazio
spirituale, tutto interiore, in cui il Cristo, nella potenza dello
Spirito, le induce tutte, senza eccezioni, ad esaminarsi davanti al
Padre e a chiedersi se sono state fedeli al suo disegno sulla Chiesa.
83. Ho parlato della volontà del
Padre, dello spazio spirituale in cui ogni comunità ascolta l'appello
ad un superamento degli ostacoli all'unità. Ebbene, tutte le Comunità
cristiane sanno che una tale esigenza, un tale superamento, per mezzo
della forza che dà lo Spirito, non sono fuori della loro portata.
Tutte, infatti, hanno dei martiri della fede cristiana.137 Malgrado il
dramma della divisione, questi fratelli hanno conservato in se stessi
un attaccamento a Cristo e al Padre suo tanto radicale e assoluto da
poter arrivare fino all'effusione del sangue. Ma non è forse questo
stesso attaccamento ad essere chiamato in causa in ciò che ho
qualificato come « dialogo della conversione »? Non è proprio
questo dialogo a sottolineare la necessità di andare fino in fondo
all'esperienza di verità per la piena comunione?
84. In una visione teocentrica,
noi cristiani già abbiamo unMartirologio comune. Esso
comprende anche i martiri del nostro secolo, più numerosi di quanto
non si pensi, e mostra come, ad un livello profondo, Dio mantenga fra
i battezzati la comunione nell'esigenza suprema della fede,
manifestata col sacrificio della vita.138 Se si può morire per la
fede, ciò dimostra che si può raggiungere la mèta quando si tratta
di altre forme della stessa esigenza. Ho già constatato, e con gioia,
come la comunione, imperfetta ma reale, è mantenuta e cresce a molti
livelli della vita ecclesiale. Ritengo ora che essa sia già perfetta
in ciò che tutti noi consideriamo l'apice della vita di grazia, la martyria
fino alla morte, la comunione più vera che ci sia con Cristo che
effonde il suo sangue e, in questo sacrificio, fa diventare vicini
coloro che un tempo erano lontani (cfr Ef 2, 13).
Se per tutte le Comunità
cristiane i martiri sono la prova della potenza della grazia, essi non
sono tuttavia i soli a testimoniare di tale potenza. Sebbene in modo
invisibile, la comunione non ancora piena delle nostre comunità è in
verità cementata saldamente nella piena comunione dei santi, cioè di
coloro che, alla conclusione di una esistenza fedele alla grazia, sono
nella comunione di Cristo glorioso. Questi santi vengono da
tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, che hanno aperto loro
l'ingresso nella comunione della salvezza. Quando si parla di un
patrimonio comune si devono iscrivere in esso non soltanto le
istituzioni, i riti, i mezzi di salvezza, le tradizioni che tutte le
comunità hanno conservato e dalle quali esse sono state plasmate, ma
in primo luogo e innanzitutto questa realtà della santità.139
Nell'irradiazione che emana dal «
patrimonio dei santi » appartenenti a tutte le Comunità, il «
dialogo della conversione » verso l'unità piena e visibile appare
allora sotto una luce di speranza. Questa presenza universale dei
santi dà, infatti, la prova della trascendenza della potenza dello
Spirito. Essa è segno e prova della vittoria di Dio sulle forze del
male che dividono l'umanità. Come cantano le liturgie, « incoronando
i santi, Dio incorona i suoi propri doni ».140
Laddove esiste la sincera volontà
di seguire Cristo, spesso lo Spirito sa effondere la sua grazia in
sentieri diversi da quelli ordinari. L'esperienza ecumenica ci ha
permesso di comprenderlo meglio. Se, nello spazio spirituale interiore
che ho descritto, le Comunità sapranno veramente « convertirsi »
alla ricerca della comunione piena e visibile, Dio farà per esse ciò
che ha fatto per i loro santi. Egli saprà superare gli ostacoli
ereditati dal passato e le condurrà sulle sue vie dove egli vuole:
alla koinonia visibile che è al tempo stesso lode della sua
gloria e servizio al suo disegno di salvezza.
85. Poiché nella sua infinita
misericordia, Dio può sempre trarre il bene anche dalle situazioni
che recano offesa al suo disegno, possiamo allora scoprire che lo
Spirito ha fatto sì che le opposizioni servissero in alcune
circostanze ad esplicitare aspetti della vocazione cristiana, come
avviene nella vita dei santi. Malgrado la frammentazione, che è un
male da cui dobbiamo guarire, si è dunque realizzata come una
comunicazione della ricchezza della grazia che è destinata ad
abbellire la koinonia. La grazia di Dio sarà con tutti coloro
che, seguendo l'esempio dei santi, si impegnano ad assecondarne le
esigenze. E noi, come possiamo esitare a convertirci alle attese del
Padre? Egli è con noi.
Contributo della Chiesa
cattolica nella ricerca dell'unità dei cristiani
86. La Costituzione Lumen
gentium in una sua affermazione fondamentale che il Decreto Unitatis
redintegratio riecheggia,141 scrive che l'unica Chiesa di Cristo
sussiste nella Chiesa cattolica.142 Il Decreto sull'ecumenismo
sottolinea la presenza in essa della pienezza (plenitudo) degli
strumenti di salvezza.143 La piena unità si realizzerà quando tutti
parteciperanno alla pienezza dei mezzi di salvezza che Cristo ha
affidato alla sua Chiesa.
87. Lungo il cammino che conduce
verso la piena unità, il dialogo ecumenico si adopera a suscitare un
fraterno aiuto reciproco per mezzo del quale le Comunità si applicano
a darsi scambievolmente ciò di cui ciascuna ha bisogno per crescere
secondo il disegno di Dio verso la pienezza definitiva (cfr Ef
4, 11-13). Ho detto come siamo consapevoli, in quanto Chiesa
cattolica, di aver ricevuto molto dalla testimonianza, dalla ricerca e
finanche dalla maniera in cui sono stati sottolineati e vissuti dalle
altre Chiese e Comunità ecclesiali certi beni cristiani comuni. Tra i
progressi compiuti durante gli ultimi trent'anni, bisogna attribuire
un posto di rilievo a tale fraterno influsso reciproco. Nella tappa
alla quale siamo pervenuti,144 tale dinamismo di mutuo arricchimento
deve essere preso seriamente in considerazione. Basato sulla comunione
che già esiste grazie agli elementi ecclesiali presenti nelle Comunità
cristiane, esso non mancherà di spingere verso la comunione piena e
visibile, mèta sospirata del cammino che stiamo compiendo. È la
forma ecumenica della legge evangelica della condivisione. Questo mi
incita a ripetere: « Occorre dimostrare in ogni cosa la premura di
venire incontro a ciò che i nostri fratelli cristiani,
legittimamente, desiderano e si attendono da noi, conoscendo il loro
modo di pensare e la loro sensibilità [...]. Bisogna che i doni di
ciascuno si sviluppino per l'utilità e a vantaggio di tutti ».145
Il ministero d'unità del
Vescovo di Roma
88. Tra tutte le Chiese e Comunità
ecclesiali, la Chiesa cattolica è consapevole di aver conservato il
ministero del Successore dell'apostolo Pietro, il Vescovo di Roma, che
Dio ha costituito quale « perpetuo e visibile principio e fondamento
dell'unità »,146 e che lo Spirito sostiene perché di questo
essenziale bene renda partecipi tutti gli altri. Secondo la bella
espressione di Papa Gregorio Magno, il mio ministero è quello di
servus servorum Dei. Tale definizione salvaguarda nel modo mi-
gliore dal rischio di separare la potestà (ed in particolare il
primato) dal ministero, ciò che sarebbe in contraddizione con il
significato di potestà secondo il Vangelo: « Io sto in mezzo a voi
come colui che serve » (Lc 22, 27), dice il Signore nostro Gesù
Cristo, Capo della Chiesa. D'altra parte, come ho avuto modo di
affermare nell'importante occasione dell'incontro al Consiglio
Ecumenico delle Chiese a Ginevra, il 12 giugno 1984, la convinzione
della Chiesa cattolica di aver conservato, in fedeltà alla tradizione
apostolica e alla fede dei Padri, nel ministero del Vescovo di Roma,
il segno visibile e il garante dell'unità, costituisce una difficoltà
per la maggior parte degli altri cristiani, la cui memoria è segnata
da certi ricordi dolorosi. Per quello che ne siamo responsabili, con
il mio Predecessore Paolo VI imploro perdono.147
89. È tuttavia significativo ed
incoraggiante che la questione del primato del Vescovo di Roma sia
attualmente diventata oggetto di studio, immediato o in prospettiva, e
significativo ed incoraggiante è pure che tale questione sia presente
quale tema essenziale non soltanto nei dialoghi teologici che la
Chiesa cattolica intrattiene con le altre Chiese e Comunità
ecclesiali, ma anche più generalmente nell'insieme del movimento
ecumenico. Recentemente, i partecipanti alla quinta assemblea mondiale
della Commissione « Fede e Costituzione » del Consiglio ecumenico
delle Chiese, tenutasi a Santiago de Compostela, hanno raccomandato
che essa « dia l'avvio ad un nuovo studio sulla questione di un
ministero universale dell'unità cristiana ».148 Dopo secoli di aspre
polemiche, le altre Chiese e Comunità ecclesiali sempre di più
scrutano con uno sguardo nuovo tale ministero di unità.149
90. Il Vescovo di Roma è il
Vescovo della Chiesa che conserva l'impronta del martirio di Pietro e
di quello di Paolo: « Per un misterioso disegno della Provvidenza, è
a Roma che egli [Pietro] conclude il suo cammino al seguito di Gesù
ed è a Roma che dà questa massima prova d'amore e di fedeltà. A
Roma, Paolo, l'apostolo delle genti, dà anche lui la testimonianza
suprema. La Chiesa di Roma diventava così la Chiesa di Pietro e di
Paolo ».150
Nel Nuovo Testamento, la persona
di Pietro ha un posto eminente. Nella prima parte degli Atti degli
Apostoli, egli appare come il capo ed il portavoce del collegio
apostolico designato come « Pietro [...] con gli altri Undici »
(2,14; cfr anche 2, 37; 5, 29). Il posto assegnato a Pietro è fondato
sulle parole stesse di Cristo, così come esse sono ricordate nelle
tradizioni evangeliche.
91. Il Vangelo di Matteo delinea e
precisa la missione pastorale di Pietro nella Chiesa: « Beato te,
Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno
rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei
Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli
inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno
dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei
cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei
cieli » (16, 17-19). Luca evidenzia che Cristo raccomanda a Pietro di
confermare i fratelli, ma che allo stesso tempo gli fa conoscere la
sua debolezza umana ed il suo bisogno di conversione (cfr Lc
22, 31-32). È proprio come se, sullo sfondo dell'umana debolezza di
Pietro, si manifestasse pienamente che il suo particolare ministero
nella Chiesa proviene totalmente dalla grazia; è come se il Maestro
si dedicasse in modo speciale alla sua conversione per prepararlo al
compito che si appresta ad affidargli nella sua Chiesa e fosse molto
esigente con lui. La stessa funzione di Pietro, sempre legata ad una
realistica affermazione della sua debolezza, si ritrova nel quarto
Vangelo: « Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? [...]
Pasci le mie pecorelle » (cfr Gv 21, 15-19). È
inoltre significativo che secondo la Prima Lettera di Paolo ai
Corinzi, il Cristo risorto appaia a Cefa e quindi ai Dodici (cfr 15,
5).
È importante rilevare come la
debolezza di Pietro e di Paolo manifesti che la Chiesa si fonda sulla
infinita potenza della grazia (cfr Mt 16, 17; 2 Cor 12,
7-10). Pietro, subito dopo la sua investitura, è redarguito con rara
severità da Cristo che gli dice: « Tu mi sei di scandalo » (Mt
16, 23). Come non vedere nella misericordia di cui Pietro ha bisogno
una relazione con il ministero di quella misericordia che egli
sperimenta per primo? Ugualmente, tre volte egli rinnegherà Gesù.
Anche il Vangelo di Giovanni sottolinea che Pietro riceve l'incarico
di pascere il gregge in una triplice professione d'amore (cfr 21,
15-17) che corrisponde al suo triplice tradimento (cfr 13, 38). Luca,
da parte sua, nella parola di Cristo già citata, alla quale aderirà
la prima tradizione nell'intento di delineare la missione di Pietro,
insiste sul fatto che questi dovrà « confermare i suoi fratelli una
volta che si sarà ravveduto » (cfr Lc 22, 32).
92. Quanto a Paolo, egli può
concludere la descrizione del suo ministero con la sconvolgente
affermazione che gli è dato raccogliere dalle labbra del Signore: «
Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente
nella debolezza », e può esclamare quindi: « Quando sono debole, è
allora che sono forte » (2 Cor 12, 9-10). È questa una
caratteristica fondamentale dell'esperienza cristiana.
Erede della missione di Pietro,
nella Chiesa fecondata dal sangue dei corifei degli Apostoli, il
Vescovo di Roma esercita un ministero che ha la sua origine nella
multiforme misericordia di Dio, la quale converte i cuori e infonde la
forza della grazia laddove il discepolo conosce il gusto amaro della
sua debolezza e della sua miseria. L'autorità propria di questo
ministero è tutta per il servizio del disegno misericordioso di Dio e
va sempre vista in questa prospettiva. Il suo potere si spiega con
essa.
93. Ricollegandosi alla triplice
professione d'amore di Pietro che corrisponde al triplice tradimento,
il suo successore sa di dover essere segno di misericordia. Il suo è
un ministero di misericordia nato da un atto di misericordia di
Cristo. Tutta questa lezione del Vangelo deve essere costantemente
riletta, affinché l'esercizio del ministero petrino nulla perda della
sua autenticità e trasparenza.
La Chiesa di Dio è chiamata da
Cristo a manifestare ad un mondo ripiegato nel groviglio delle sue
colpevolezze e dei suoi biechi propositi che, malgrado tutto, Dio può,
nella sua misericordia, convertire i cuori all'unità, facendoli
accedere alla sua propria comunione.
94. Tale servizio dell'unità,
radicato nell'opera della misericordia divina, è affidato,
all'interno stesso del collegio dei Vescovi, ad uno di coloro che
hanno ricevuto dallo Spirito l'incarico, non di esercitare il potere
sul popolo — come fanno i capi delle nazioni e i grandi (cfr Mt
20, 25; Mc 10, 42) —, ma di guidarlo perché possa dirigersi
verso pascoli tranquilli. Questo incarico può esigere di offrire la
propria vita (cfr Gv 10, 11-18). Dopo aver mostrato come Cristo
sia « il solo Pastore, nell'unità del quale tutti sono uno »,
sant'Agostino esorta: « Che tutti i pastori siano dunque nel solo
Pastore, che essi facciano udire la voce unica del Pastore; che le
pecore odano questa voce, seguano il loro Pastore, cioè non questo o
quello, ma il solo; che tutti in lui facciano intendere una sola voce
e non delle voci discordanti [...] la voce sgombra da ogni divisione,
purificata da ogni eresia, che le pecore ascoltano ».151 La missione
del Vescovo di Roma nel gruppo di tutti i Pastori consiste appunto nel
« vegliare » (episkopein) come una sentinella, in modo che,
grazie ai Pastori, si oda in tutte le Chiese particolari la vera voce
di Cristo-Pastore. Così, in ciascuna delle Chiese particolari loro
affidate si realizza l'una, sancta, catholica et apostolica
Ecclesia. Tutte le Chiese sono in comunione piena e visibile,
perché tutti i Pastori sono in comunione con Pietro, e così
nell'unità di Cristo.
Con il potere e l'autorità senza
i quali tale funzione sarebbe illusoria, il Vescovo di Roma deve
assicurare la comunione di tutte le Chiese. A questo titolo, egli è
il primo tra i servitori dell'unità. Tale primato si esercita a
svariati livelli, che riguardano la vigilanza sulla trasmissione della
Parola, sulla celebrazione sacramentale e liturgica, sulla missione,
sulla disciplina e sulla vita cristiana. Spetta al Successore di
Pietro di ricordare le esigenze del bene comune della Chiesa, se
qualcuno fosse tentato di dimenticarlo in funzione dei propri
interessi. Egli ha il dovere di avvertire, mettere in guardia,
dichiarare a volte inconciliabile con l'unità di fede questa o quella
opinione che si diffonde. Quando le circostanze lo esigono, egli parla
a nome di tutti i Pastori in comunione con lui. Egli può anche — in
condizioni ben precise, chiarite dal Concilio Vaticano I —
dichiarare ex cathedra che una dottrina appartiene al deposito
della fede.152 Testimoniando così della verità, egli serve l'unità.
95. Tutto questo si deve però
compiere sempre nella comunione. Quando la Chiesa cattolica afferma
che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo,
essa non separa questa funzione dalla missione affidata all'insieme
dei Vescovi, anch'essi « vicari e delegati di Cristo ».153 Il
Vescovo di Roma appartiene al loro « collegio » ed essi sono i suoi
fratelli nel ministero.
Ciò che riguarda l'unità di
tutte le Comunità cristiane rientra ovviamente nell'ambito delle
preoccupazioni del primato. Quale Vescovo di Roma so bene, e lo ho
riaffermato nella presente Lettera enciclica, che la comunione piena e
visibile di tutte le Comunità, nelle quali in virtù della fedeltà
di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono
convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare,
soprattutto nel constatare l'aspirazione ecumenica della maggior parte
delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di
trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in
nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una
situazione nuova. Per un millennio i cristiani erano uniti « dalla
fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo
per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro
dissensi circa la fede o la disciplina ».154
In tal modo il primato esercitava
la sua funzione di unità. Rivolgendomi al Patriarca ecumenico, Sua
Santità Dimitrios I, ho detto di essere consapevole che « per delle
ragioni molto diverse, e contro la volontà degli uni e degli altri,
ciò che doveva essere un servizio ha potuto manifestarsi sotto una
luce abbastanza diversa. Ma [...] è per il desiderio di obbedire
veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco chiamato, come
Vescovo di Roma, a esercitare tale ministero [...]. Lo Spirito Santo
ci doni la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle
nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le
forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di
amore riconosciuto dagli uni e dagli altri ».155
96. Compito immane, che non
possiamo rifiutare e che non posso portare a termine da solo. La
comunione reale, sebbene imperfetta, che esiste tra tutti noi, non
potrebbe indurre i responsabili ecclesiali e i loro teologi ad
instaurare con me e su questo argomento un dialogo fraterno, paziente,
nel quale potremmo ascoltarci al di là di sterili polemiche, avendo a
mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa, lasciandoci
trafiggere dal suo grido « siano anch'essi una cosa sola, perché il
mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv 17, 21)?
La comunione di tutte
le Chiese particolari con la Chiesa di Roma: condizione
necessaria per l'unità
97. La Chiesa cattolica,
sia nella sua praxis che nei testi ufficiali, sostiene
che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di
Roma, e dei loro Vescovi con il Vescovo di Roma, è un
requisito essenziale — nel disegno di Dio — della
comunione piena e visibile. Bisogna, infatti, che la piena
comunione, di cui l'Eucaristia è la suprema manifestazione
sacramentale, abbia la sua espressione visibile in un
ministero nel quale tutti i Vescovi si riconoscano uniti in
Cristo e tutti i fedeli trovino la conferma della propria
fede. La prima parte degli Atti degli Apostoli presenta Pietro
come colui che parla a nome del gruppo apostolico e serve
l'unità della comunità — e ciò nel rispetto dell'autorità
di Giacomo, capo della Chiesa di Gerusalemme. Questa funzione
di Pietro deve restare nella Chiesa affinché, sotto il suo
solo Capo, che è Cristo Gesù, essa sia visibilmente nel
mondo la comunione di tutti i suoi discepoli.
Non è forse un ministero
di questo tipo di cui molti di coloro che sono impegnati
nell'ecumenismo esprimono oggi il bisogno? Presiedere nella
verità e nell'amore affinché la barca — il bel simbolo che
il Consiglio ecumenico delle Chiese ha scelto come emblema —
non sia squassata dalle tempeste e possa un giorno approdare
alla sua riva.
Piena unità ed
evangelizzazione
98. Il movimento ecumenico
del nostro secolo, più delle imprese ecumeniche dei secoli
scorsi, di cui tuttavia non va sottovalutata l'importanza, è
stato contraddistinto da una prospettiva missionaria. Nel
versetto giovanneo che serve da ispirazione e da motivo
conduttore — « siano anch'essi in noi una cosa sola,
perché il mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv
17, 21) — è stato sottolineato perché il mondo creda
con tanto vigore da correre il rischio di dimenticare a volte
che, nel pensiero dell'evangelista, l'unità è, soprattutto,
per la gloria del Padre. È evidente, comunque, che la
divisione dei cristiani è in contraddizione con la Verità
che essi hanno la missione di diffondere, e dunque essa
ferisce gravemente la loro testimonianza. L'aveva ben compreso
ed affermato il mio Predecessore, Papa Paolo VI, nella sua
Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: « In
quanto evangelizzatori, noi dobbiamo offrire ai fedeli di
Cristo l'immagine non di uomini divisi da litigi che non
edificano affatto, ma di persone mature nella fede, capaci di
ritrovarsi insieme al di sopra delle tensioni concrete, grazie
alla ricerca comune, sincera e disinteressata della verità. Sì,
la sorte dell'evangelizzazione è certamente legata alla
testimonianza di unità della Chiesa [...]. A questo punto
vogliamo sottolineare il segno dell'unità tra tutti i
cristiani come via e strumento di evangelizzazione. La
divisione dei cristiani è un grave stato di fatto che
perviene ad intaccare la stessa opera di Cristo ».156
Come, infatti, annunciare
il Vangelo della riconciliazione, senza al contempo impegnarsi
ad operare per la riconciliazione dei cristiani? Se è vero
che la Chiesa, per impulso dello Spirito Santo e con la
promessa dell'indefettibilità, ha predicato e predica il
Vangelo a tutte le nazioni, è anche vero che essa deve
affrontare le difficoltà derivanti dalle divisioni. Messi di
fronte a missionari in disaccordo fra loro, sebbene essi si
richiamino tutti a Cristo, sapranno gli increduli accogliere
il vero messaggio? Non penseranno che il Vangelo sia fattore
di divisione, anche se esso è presentato come la legge
fondamentale della carità?
99. Quando affermo che per
me, Vescovo di Roma, l'impegno ecumenico è « una delle
priorità pastorali » del mio pontificato,157 il mio pensiero
va al grave ostacolo che la divisione costituisce per
l'annuncio del Vangelo. Una Comunità cristiana che crede a
Cristo e desidera, con l'ardore del Vangelo, la salvezza
dell'umanità, in nessun modo può chiudersi all'appello dello
Spirito che orienta tutti i cristiani verso l'unità piena e
visibile. Si tratta di uno degli imperativi della carità che
va accolto senza compromessi. L'ecumenismo non è soltanto una
questione interna delle Comunità cristiane. Esso riguarda
l'amore che Dio destina in Gesù Cristo all'insieme
dell'umanità, e ostacolare questo amore è una offesa a Lui e
al suo disegno di radunare tutti in Cristo. Papa Paolo VI
scriveva al Patriarca ecumenico Athenagoras I: « Possa lo
Spirito Santo guidarci sulla via della riconciliazione,
affinché l'unità delle nostre Chiese diventi un segno sempre
più luminoso di speranza e di conforto per l'umanità tutta
».158
ESORTAZIONE
100. Rivolgendomi
recentemente ai Vescovi, al clero e ai fedeli della Chiesa
cattolica per indicare la via da seguire verso la celebrazione
del Grande Giubileo dell'Anno Duemila, ho tra l'altro
affermato che « la migliore preparazione alla scadenza
bimillenaria non potrà che esprimersi nel rinnovato
impegno di applicazione, per quanto possibile fedele,
dell'insegnamento del Vaticano II alla vita di ciascuno e di
tutta la Chiesa ».159 Il Concilio è il grande inizio —
come l'Avvento —, di quell'itinerario che ci conduce alle
soglie del Terzo Millennio. Considerando l'importanza che
l'Assise conciliare ha attribuito all'opera di ricomposizione
dell'unità dei cristiani, in questa nostra epoca di grazia
ecumenica, mi è sembrato necessario ribadire le fondamentali
convinzioni che il Concilio ha scolpito nella coscienza della
Chiesa cattolica, ricordandole alla luce dei progressi nel
frattempo compiuti verso la piena comunione di tutti i
battezzati.
Non vi è dubbio che lo
Spirito Santo agisca in quest'opera e che stia conducendo la
Chiesa verso la piena realizzazione del disegno del Padre, in
conformità alla volontà di Cristo, espressa con tanto
accorato vigore nella preghiera che, secondo il quarto
Vangelo, le sue labbra pronunciano nel momento in cui Egli
s'avvia verso il dramma salvifico della sua Pasqua. Così come
allora, anche oggi Cristo chiede che uno slancio nuovo ravvivi
l'impegno di ciascuno per la comunione piena e visibile.
101. Esorto, dunque, i
miei Fratelli nell'episcopato a porre ogni attenzione a tale
impegno. I due Codici di Diritto Canonico annoverano
tra le responsabilità del Vescovo quella di promuovere l'unità
di tutti i cristiani, sostenendo ogni azione o iniziativa
intesa a promuoverla nella consapevolezza che la Chiesa è
tenuta a ciò per volontà stessa di Cristo.160 Ciò fa parte
della missione episcopale ed è un obbligo che deriva
direttamente dalla fedeltà a Cristo, Pastore della Chiesa.
Tutti i fedeli, però, sono invitati dallo Spirito di Dio a
fare il possibile, perché si rinsaldino i legami di comunione
tra tutti i cristiani e cresca la collaborazione dei discepoli
di Cristo: « La cura di ristabilire l'unione riguarda tutta
la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e tocca ognuno secondo
la propria capacità ».161
102. La potenza dello
Spirito di Dio fa crescere ed edifica la Chiesa attraverso i
secoli. Volgendo lo sguardo al nuovo millennio, la Chiesa
domanda allo Spirito la grazia di rafforzare la sua propria
unità e di farla crescere verso la piena comunione con gli
altri cristiani.
Come ottenerlo? In primo
luogo con la preghiera. La preghiera dovrebbe sempre
farsi carico di quell'inquietudine che è anelito verso l'unità,
e perciò una delle forme necessarie dell'amore che nutriamo
per Cristo e per il Padre ricco di misericordia. La preghiera
deve avere la priorità in questo cammino che intraprendiamo
con gli altri cristiani verso il nuovo millennio. Come
ottenerlo? Con l'azione di grazie, perché non ci
presentiamo a mani vuote a questo appuntamento: « Anche lo
Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza [...] e intercede
con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili » (Rm
8, 26), per disporci a chiedere a Dio quello di cui abbiamo
bisogno. Come ottenerlo? Conla speranza nello Spirito,
che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie
dolorose della separazione; Egli sa concederci lucidità,
forza e coraggio per intraprendere i passi necessari, in modo
che il nostro impegno sia sempre più autentico.
E se volessimo chiederci
se tutto ciò è possibile, la risposta sarebbe sempre: sì.
La stessa risposta udita da Maria di Nazaret, perché nulla è
impossibile a Dio.
Mi tornano alla mente le
alle parole con le quali san Cipriano commenta il Padre
Nostro, la preghiera di tutti i cristiani: « Dio non
accoglie il sacrificio di chi è in discordia, anzi comanda di
ritornare indietro dall'altare e di riconciliarsi prima col
fratello. Solo così le nostre preghiere saranno ispirate alla
pace e Dio le gradirà. Il sacrificio più grande da offrire a
Dio è la nostra pace e la fraterna concordia, è il popolo
radunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo ».162
All'alba del nuovo
millennio, come non sollecitare dal Signore, con rinnovato
slancio e più matura consapevolezza, la grazia di
predisporci, tutti, a questo sacrificio dell'unità?
103. Io, Giovanni Paolo,
umile servus servorum Dei, mi permetto di fare mie le
parole dell'apostolo Paolo, il cui martirio, unito a quello
dell'apostolo Pietro, ha conferito a questa sede di Roma lo
splendore della sua testimonianza, e dico a voi, fedeli della
Chiesa cattolica, e a voi, fratelli e sorelle delle altre
Chiese e Comunità ecclesiali, « tendete alla perfezione,
fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti,
vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi
[...]. La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la
comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi » (2
Cor 13, 11.13).
Dato a Roma, presso San
Pietro, il 25 maggio, solennità dell'Ascensione del Signore,
dell'anno 1995, decimosettimo di Pontificato.
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