ESORTAZIONE
APOSTOLICA
POST-SINODALE
CHRISTIFIDELES
LAICI
DI SUA SANTITA'
GIOVANNI PAOLO II
SU VOCAZIONE E MISSIONE DEI LAICI
NELLA CHIESA E NEL MONDO
Ai Vescovi
Ai sacerdoti e ai diaconi
Ai religiosi e alle religiose
A tutti i fedeli laici
INTRODUZIONE
1. I FEDELI LAICI (Christifideles
laici), la cui « vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo a
vent'anni dal Concilio Vaticano II » è stato l'argomento del Sinodo
dei Vescovi del 1987, appartengono a quel Popolo di Dio che è
raffigurato dagli operai della vigna, dei quali parla il Vangelo di
Matteo: « Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì
all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.
Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua
vigna » (Mt 20, 1-2).
La parabola evangelica spalanca
davanti al nostro sguardo l'immensa vigna del Signore e la moltitudine
di persone, uomini e donne, che da Lui sono chiamate e mandate perché
in essa abbiano a lavorare. La vigna è il mondo intero (cf. Mt 13,
38), che dev'essere trasformato secondo il disegno di Dio in vista
dell'avvento definitivo del Regno di Dio.
Andate anche voi nella mia
vigna
2. « Uscito poi verso le nove del
mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse
loro: "andate anche voi nella mia vigna" » (Mt 20,
3-4).
L'appello del Signore Gesù «Andate
anche voi nella mia vigna » non cessa di risuonare da quel
lontano giorno nel corso della storia: è rivolto a ogni uomo che
viene in questo mondo.
Ai nostri tempi, nella rinnovata
effusione dello Spirito pentecostale avvenuta con il Concilio Vaticano
II, la Chiesa ha maturato una più viva coscienza della sua natura
missionaria e ha riascoltato la voce del suo Signore che la manda nel
mondo come « sacramento universale di salvezza »(1).
Andate anche voi. La
chiamata non riguarda soltanto i Pastori, i sacerdoti, i religiosi e
le religiose, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono
personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione
per la Chiesa e per il mondo. Lo ricorda S. Gregorio Magno che,
predicando al popolo, così commenta la parabola degli operai della
vigna: « Guardate al vostro modo di vivere, fratelli carissimi, e
verificate se siete già operai del Signore. Ciascuno valuti quello
che fa e consideri se lavora nella vigna del Signore »(2).
In particolare il Concilio, con il
suo ricchissimo patrimonio dottrinale, spirituale e pastorale, ha
riservato pagine quanto mai splendide sulla natura, dignità,
spiritualità, missione e responsabilità dei fedeli laici. E i
Padri conciliari, riecheggiando l'appello di Cristo, hanno
chiamato tutti i fedeli laici, uomini e donne, a lavorare nella sua
vigna: «Il sacro Concilio scongiura nel Signore tutti i laici a
rispondere volentieri, con animo generoso e con cuore pronto, alla
voce di Cristo, che in quest'ora li invita con maggiore insistenza, e
all'impulso dello Spirito Santo. In modo speciale i più giovani
sentano questo appello come rivolto a se stessi, e l'accolgano con
slancio e magnanimità. Il Signore stesso infatti ancora una volta per
mezzo di questo Santo Sinodo invita tutti i laici ad unirsi sempre più
intimamente a Lui e, sentendo come proprio tutto ciò che è di Lui (cf.
Fil 2, 5), si associno alla sua missione salvifica; li manda
ancora in ogni città e in ogni luogo dov'egli sta per venire (cf. Lc
10, 1)»(3).
Andate anche voi nella mia
vigna. Queste parole sono
spiritualmente risuonate, ancora una volta, durante la celebrazione
del Sinodo dei Vescovi, tenutosi a Roma dal 1° al 30 ottobre
1987. Ponendosi sui sentieri del Concilio e aprendosi alla luce delle
esperienze personali e comunitarie di tutta la Chiesa, i Padri,
arricchiti dai Sinodi precedenti, hanno affrontato in modo specifico e
ampio l'argomento riguardante la vocazione e la missione dei laici
nella Chiesa e nel mondo.
In questa Assemblea episcopale non
è mancata una qualificata rappresentanza di fedeli laici, uomini e
donne, che hanno portato un contributo prezioso ai lavori del Sinodo,
come è stato pubblicamente riconosciuto nell'omelia di conclusione:
«Ringraziamo per il fatto che nel corso del Sinodo abbiamo potuto non
solo gioire per la partecipazione dei laici (auditores e auditrices),
ma ancor di più perché lo svolgimento delle discussioni sinodali
ci ha permesso di ascoltare la voce degli invitati, i rappresentanti
del laicato provenienti da tutte le parti del mondo, dai diversi
Paesi, e ci ha consentito di profittare delle loro esperienze, dei
loro consigli, dei suggerimenti che scaturiscono dal loro amore per la
causa comune»(4).
Con lo sguardo rivolto al
dopo-Concilio i Padri sinodali hanno potuto costatare come lo Spirito
abbia continuato a ringiovanire la Chiesa, suscitando nuove energie di
santità e di partecipazione in tanti fedeli laici. Ciò è
testimoniato, tra l'altro, dal nuovo stile di collaborazione tra
sacerdoti, religiosi e fedeli laici; dalla partecipazione attiva nella
liturgia, nell'annuncio della Parola di Dio e nella catechesi; dai
molteplici servizi e compiti affidati ai fedeli laici e da essi
assunti; dal rigoglioso fiorire di gruppi, associazioni e movimenti di
spiritualità e di impegno laicali; dalla partecipazione più ampia e
significativa delle donne nella vita della Chiesa e nello sviluppo
della società.
Nello stesso tempo, il Sinodo ha
rilevato come il cammino postconciliare dei fedeli laici non sia stato
esente da difficoltà e da pericoli. In particolare si possono
ricordare due tentazioni alle quali non sempre essi hanno saputo
sottrarsi: la tentazione di riservare un interesse così forte ai
servizi e ai compiti ecclesiali, da giungere spesso a un pratico
disimpegno nelle loro specifiche responsabilità nel mondo
professionale, sociale, economico, culturale e politico; e la
tentazione di legittimare l'indebita separazione tra la fede e la
vita, tra l'accoglienza del Vangelo e l'azione concreta nelle più
diverse realtà temporali e terrene.
Nel corso dei suoi lavori il
Sinodo ha fatto costante riferimento al Concilio Vaticano II, il cui
insegnamento sul laicato, a distanza di vent'anni, è apparso di
sorprendente attualità e talvolta di portata profetica: tale
insegnamento è capace di illuminare e di guidare le risposte che oggi
devono essere date ai nuovi problemi. In realtà, la sfida che i Padri
sinodali hanno accolto è stata quella di individuare le strade
concrete perché la splendida «teoria» sul laicato espressa dal
Concilio possa diventare un'autentica «prassi» ecclesiale. Alcuni
problemi poi s'impongono per una certa loro «novità», tanto da
poterli chiamare postconciliari, almeno in senso cronologico: ad essi
i Padri sinodali hanno giustamente riservato una particolare
attenzione nel corso della loro discussione e riflessione. Tra questi
problemi sono da ricordare quelli riguardanti i ministeri e i servizi
ecclesiali affidati o da affidarsi ai fedeli laici, la diffusione e la
crescita di nuovi «movimenti» accanto ad altre forme aggregative di
laici, il posto e il ruolo della donna sia nella Chiesa che nella
società.
I Padri sinodali, al termine dei
loro lavori, svolti con grande impegno, competenza e generosità, mi
hanno manifestato il desiderio e mi hanno rivolto la preghiera perché,
a tempo opportuno, offrissi alla Chiesa universale un documento
conclusivo sui fedeli laici(5).
Questa Esortazione Apostolica
post-sinodale intende valorizzare tutta quanta la ricchezza dei lavori
sinodali, dai Lineamenta all'Instrumentum laboris, dalla
relazione introduttiva agli interventi dei singoli vescovi e laici e
alla relazione di sintesi dopo la discussione in aula, dalle
discussioni e relazioni dei «circoli minori» alle «proposizioni» e
al Messaggio finale. Per questo il presente documento non si
pone a lato del Sinodo, ma ne costituisce la fedele e coerente
espressione, è il frutto d'un lavoro collegiale, al cui esito finale
hanno apportato il loro contributo il Consiglio della Segreteria
Generale del Sinodo e la stessa Segreteria.
Suscitare e alimentare una più
decisa presa di coscienza del dono e della responsabilità che tutti i
fedeli laici, e ciascuno di essi in particolare, hanno nella comunione
e nella missione della Chiesa è lo scopo che l'Esortazione intende
perseguire.
Le urgenze attuali del
mondo: perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?
3. Il significato fondamentale di
questo Sinodo, e quindi il frutto più prezioso da esso desiderato, è
l'ascolto da parte dei fedeli laici dell'appello di Cristo a
lavorare nella sua vigna, a prendere parte viva, consapevole e
responsabile alla missione della Chiesa in quest'ora magnifica e
drammatica della storia, nell'imminenza del terzo millennio.
Situazioni nuove, sia ecclesiali
sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con
una forza del tutto particolare, l'azione dei fedeli laici. Se il
disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende
ancora più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio.
Riprendiamo la lettura della
parabola evangelica: «Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri
che se ne stavano là e disse loro: "Perché ve ne state qui
tutto il giorno oziosi?". Gli risposero: "Perché nessuno ci
ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi
nella mia vigna"» (Mt 20, 6-7).
Non c'è posto per l'ozio, tanto
è il lavoro che attende tutti nella vigna del Signore. Il «padrone
di casa» ripete con più forza il suo invito: «Andate anche voi
nella mia vigna».
La voce del Signore risuona
certamente nell'intimo dell'essere stesso d'ogni cristiano, che
mediante la fede e i sacramenti dell'iniziazione cristiana è
configurato a Gesù Cristo, è inserito come membro vivo nella Chiesa
ed è soggetto attivo della sua missione di salvezza. La voce del
Signore passa però anche attraverso le vicende storiche della Chiesa
e dell'umanità, come ci ricorda il Concilio: «Il Popolo di Dio,
mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del
Signore, che riempie l'universo, cerca di discernere negli
avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte
insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri
segni della presenza e del disegno di Dio. La fede infatti tutto
rischiara di una luce nuova e svela le intenzioni di Dio sulla
vocazione integrale dell'uomo, e perciò guida l'intelligenza verso
soluzioni pienamente umane»(6).
E' necessario, allora, guardare in
faccia questo nostro mondo, con i suoi valori e problemi, le sue
inquietudini e speranze, le sue conquiste e sconfitte: un mondo le cui
situazioni economiche, sociali, politiche e culturali presentano
problemi e difficoltà più gravi rispetto a quello descritto dal
Concilio nella Costituzione pastorale Gaudium et spes(7). E'
comunque questa la vigna, è questo il campo nel quale i
fedeli laici sono chiamati a vivere la loro missione. Gesù li vuole,
come tutti i suoi discepoli, sale della terra e luce del mondo (cf. Mt
5, 13-14). Ma qual è il volto attuale della «terra» e
del «mondo», di cui i cristiani devono essere «sale» e «luce»?
E' assai grande la diversità
delle situazioni e delle problematiche che oggi esistono nel mondo,
peraltro caratterizzate da una crescente accelerazione di mutamento.
Per questo è del tutto necessario guardarsi dalle generalizzazioni e
dalle semplificazioni indebite. E' però possibile rilevare alcune
linee di tendenza che emergono nella società attuale. Come nel
campo evangelico insieme crescono la zizzania e il buon grano, così
nella storia, teatro quotidiano di un esercizio spesso contraddittorio
della libertà umana, si trovano, accostati e talvolta profondamente
aggrovigliati tra loro, il male e il bene, l'ingiustizia e la
giustizia, l'angoscia e la speranza.
Secolarismo e bisogno
religioso
4. Come non pensare alla
persistente diffusione dell'indifferentismo religioso e dell'ateismo
nelle sue più diverse forme, in particolare nella forma, oggi forse
più diffusa, del secolarismo? Inebriato dalle prodigiose
conquiste di un inarrestabile sviluppo scientifico-tecnico e
soprattutto affascinato dalla più antica e sempre nuova tentazione,
quella di voler diventare come Dio (cf. Gen 3, 5) mediante
l'uso d'una libertà senza limiti, l'uomo taglia le radici religiose
che sono nel suo cuore: dimentica Dio, lo ritiene senza significato
per la propria esistenza, lo rifiuta ponendosi in adorazione dei più
diversi «idoli».
E' veramente grave il fenomeno
attuale del secolarismo: non riguarda solo i singoli, ma in qualche
modo intere comunità, come già rilevava il Concilio: «Moltitudini
crescenti praticamente si staccano dalla religione»(8). Più volte io
stesso ho ricordato il fenomeno della scristianizzazione che colpisce
i popoli cristiani di vecchia data e che reclama, senza alcuna
dilazione, una nuova evangelizzazione.
Eppure l'aspirazione e il
bisogno religiosi non possono essere totalmente estinti. La
coscienza di ogni uomo, quando ha il coraggio di affrontare gli
interrogativi più gravi dell'esistenza umana, in particolare
l'interrogativo sul senso del vivere, del soffrire e del morire, non
può non fare propria la parola di verità gridata da Sant'Agostino:
«Tu ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto
sino a quando non riposa in Te»(9). Così anche il mondo attuale
testimonia, in forme sempre più ampie e vive, l'apertura ad una
visione spirituale e trascendente della vita, il risveglio della
ricerca religiosa, il ritorno al senso del sacro e alla preghiera, la
richiesta di essere liberi nell'invocare il Nome del Signore.
La persona umana: dignità
calpestata ed esaltata
5. Pensiamo, inoltre, alle
molteplici violazioni alle quali viene oggi sottoposta la persona
umana. Quando non è riconosciuto e amato nella sua dignità di
immagine vivente di Dio (cf. Gen 1, 26), l'essere umano è
esposto alle più umilianti e aberranti forme di «strumentalizzazione»,
che lo rendono miseramente schiavo del più forte. E «il più forte»
può assumere i nomi più diversi: ideologia, potere economico,
sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei
mass-media. Di nuovo ci troviamo di fronte a moltitudini di persone,
nostri fratelli e sorelle, i cui diritti fondamentali sono violati,
anche in seguito all'eccessiva tolleranza e persino alla palese
ingiustizia di certe leggi civili: il diritto alla vita e all'integrità,
il diritto alla casa e al lavoro, il diritto alla famiglia e alla
procreazione responsabile, il diritto alla partecipazione alla vita
pubblica e politica, il diritto alla libertà di coscienza e di
professione di fede religiosa.
Chi può contare i bambini non
nati perché uccisi nel seno delle loro madri, i bambini abbandonati e
maltrattati dagli stessi genitori, i bambini che crescono senza
affetto ed educazione? In alcuni Paesi intere popolazioni sono
sprovviste di casa e di lavoro, mancano dei mezzi assolutamente
indispensabili per condurre una vita degna di esseri umani e sono
private persino del necessario per la stessa sussistenza. Tremende
sacche di povertà e di miseria, fisica e morale ad un tempo, stanno
oramai di casa ai margini delle grandi metropoli e colpiscono
mortalmente interi gruppi umani.
Ma la sacralità della persona non
può essere annullata, quantunque essa troppo spesso venga disprezzata
e violata: avendo il suo incrollabile fondamento in Dio Creatore e
Padre, la sacralità della persona torna ad imporsi, sempre e di
nuovo.
Di qui il diffondersi sempre più
vasto e l'affermarsi sempre più forte del senso della dignità
personale di ogni essere umano. Una corrente benefica oramai
percorre e pervade tutti i popoli della terra, resi sempre più
consapevoli della dignità dell'uomo: non è affatto una «cosa» o un
«oggetto» di cui servirsi, ma è sempre e solo un «soggetto»,
dotato di coscienza e di libertà, chiamato a vivere responsabilmente
nella società e nella storia, ordinato ai valori spirituali e
religiosi.
E stato detto che il nostro è il
tempo degli «umanesimi»: alcuni, per la loro matrice atea e
secolaristica, finiscono paradossalmente per mortificare e annullare
l'uomo; altri umanesimi invece lo esaltano a tal punto da giungere a
forme di vera e propria idolatria; altri, infine, riconoscono secondo
verità la grandezza e la miseria dell'uomo, manifestando, sostenendo
e favorendo la sua dignità totale.
Segno e frutto di queste correnti
umanistiche è il crescente bisogno della partecipazione. E'
questa, indubbiamente, uno dei tratti distintivi dell'umanità
attuale, un vero «segno dei tempi» che viene maturando in diversi
campi e in diverse direzioni: nel campo soprattutto delle donne e del
mondo giovanile, e nella direzione della vita non solo familiare e
scolastica, ma anche culturale, economica, sociale e politica.
L'essere protagonisti, in qualche modo creatori di una nuova cultura
umanistica, è un'esigenza insieme universale e individuale(10).
Conflittualità e pace
6. Non possiamo infine, non
ricordare un altro fenomeno che contraddistingue l'attuale umanità:
forse come non mai nella sua storia, l'umanità è quotidianamente e
profondamente colpita e scardinata dalla conflittualità. E'
questo un fenomeno pluriforme, che si distingue dal pluralismo
legittimo delle mentalità e delle iniziative, e si manifesta
nell'infausto contrapporsi di persone, gruppi, categorie, nazioni e
blocchi di nazioni. E' una contrapposizione che assume forme di
violenza, di terrorismo, di guerra. Ancora una volta, ma con
proporzioni enormemente ampliate, diversi settori dell'umanità
d'oggi, volendo dimostrare la loro «onnipotenza», rinnovano la
stolta esperienza della costruzione della «torre di Babele» (cf. Gen
11, 1-9), la quale però prolifera confusione, lotta,
disgregazione ed oppressione. La famiglia umana è così in se stessa
drammaticamente sconvolta e lacerata.
D'altra parte, del tutto
insopprimibile è l'aspirazione dei singoli e dei popoli al bene
inestimabile della pace nella giustizia. La beatitudine
evangelica: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5, 9) trova
negli uomini del nostro tempo una nuova e significativa risonanza: per
l'avvento della pace e della giustizia popolazioni intere oggi vivono,
soffrono e lavorano. La partecipazione di tante persone e
gruppi alla vita della società è la strada oggi sempre più percorsa
perché da desiderio la pace diventi realtà. Su questa strada
incontriamo tanti fedeli laici generosamente impegnati nel campo
sociale e politico, nelle più varie forme sia istituzionali che di
volontariato e di servizio agli ultimi.
Gesù Cristo, la speranza
dell'umanità
7. Questo è l'immenso e
travagliato campo che sta davanti agli operai mandati dal «padrone di
casa» a lavorare nella sua vigna.
In questo campo è presente e
operante la Chiesa, noi tutti, pastori e fedeli, sacerdoti, religiosi
e laici. Le situazioni ora ricordate toccano profondamente la Chiesa:
da esse è in parte condizionata, non però schiacciata né tanto meno
sopraffatta, perché lo Spirito Santo, che ne è l'anima, la sostiene
nella sua missione.
La Chiesa sa che tutti gli sforzi
che l'umanità va compiendo per la comunione e la partecipazione,
nonostante ogni difficoltà, ritardo e contraddizione causati dai
limiti umani, dal peccato e dal Maligno, trovano piena risposta
nell'intervento di Gesù Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo.
La Chiesa sa di essere mandata da
Lui come «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità
di tutto il genere umano»(11).
Nonostante tutto, dunque, l'umanità
può sperare, deve sperare: il Vangelo vivente e personale, Gesù
Cristo stesso, è la «notizia» nuova e apportatrice di gioia che
la Chiesa ogni giorno annuncia e testimonia a tutti gli uomini.
In questo annuncio e in questa
testimonianza i fedeli laici hanno un posto originale e
insostituibile: per mezzo loro la Chiesa di Cristo è resa presente
nei più svariati settori del mondo, come segno e fonte di speranza e
di amore.
CAPITOLO
I
IO
SONO LA VITE, VOI I TRALCI
La dignità dei fedeli laici
nella Chiesa-Mistero
Il mistero della vigna
8. L'immagine della vigna viene
usata dalla Bibbia in molti modi e con diversi significati: in
particolare, essa serve ad esprimere il mistero del Popolo di Dio. In
questa prospettiva più interiore i fedeli laici non sono
semplicemente gli operai che lavorano nella vigna, ma sono parte della
vigna stessa: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5),dice
Gesù.
Già nell'Antico Testamento i
profeti per indicare il popolo eletto ricorrono all'immagine della
vigna. Israele è la vigna di Dio, l'opera del Signore, la gioia del
suo cuore: «Io ti avevo piantato come vigna scelta» (Ger 2,
21); «Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque. Era
rigogliosa e frondosa per l'abbondanza dell'acqua» (Ez 19,
10); «Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli
l'aveva vangata e sgombrata dai sassi, e vi aveva piantato scelte viti
(...)» (Is 5, 1-2).
Gesù riprende il simbolo della
vigna e se ne serve per rivelare alcuni aspetti del Regno di Dio: «Un
uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio,
costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne
andò lontano» (Mc 12, 1; cf. Mt 21, 28 ss.).
L'evangelista Giovanni ci invita a
scendere in profondità e ci introduce a scoprire il mistero della
vigna: essa è il simbolo e la figura non solo del Popolo di Dio,
ma di Gesù stesso. Lui è il ceppo e noi, i discepoli, siamo i
tralci; Lui è la «vera vite», nella quale sono vitalmente inseriti
i tralci (cf. Gv 15, 1 ss.).
Il Concilio Vaticano II, riferendo
le varie immagini bibliche che illuminano il mistero della Chiesa,
ripropone l'immagine della vite e dei tralci: «Cristo è la vera
vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo
della Chiesa rimaniamo in Lui, e senza di Lui nulla possiamo fare (Gv
15, 1-5)»(12). La Chiesa stessa è, dunque, la vigna evangelica.
E' mistero perché l'amore e la vita del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo sono il dono assolutamente gratuito offerto a
quanti sono nati dall'acqua e dallo Spirito (cf. Gv 3, 5),
chiamati a rivivere la comunione stessa di Dio e a manifestarla
e comunicarla nella storia (missione): «In quel giorno _ dice
Gesù _ voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi» (Gv
14, 20).
Ora solo all'interno del
mistero della Chiesa come mistero di comunione si rivela l'«identità»
dei fedeli laici, la loro originale dignità. E solo all'interno
di questa dignità si possono definire la loro vocazione e la loro
missione nella Chiesa e nel mondo.
Chi sono i fedeli laici
9. I Padri sinodali hanno
giustamente rilevato la necessità di individuare e di proporre una descrizione
positiva della vocazione e della missione dei fedeli laici,
approfondendo lo studio della dottrina del Concilio Vaticano II alla
luce sia dei più recenti documenti del Magisterio sia dell'esperienza
della vita stessa della Chiesa guidata dallo Spirito Santo(13).
Nel dare risposta
all'interrogativo «chi sono i fedeli laici», il Concilio, superando
precedenti interpretazioni prevalentemente negative, si è aperto ad
una visione decisamente positiva e ha manifestato il suo fondamentale
intento nell'asserire la piena appartenenza dei fedeli laici alla
Chiesa e al suo mistero e il carattere peculiare della loro vocazione,
che ha in modo speciale lo scopo di «cercare il Regno di Dio
trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»(14). «Col
nome di laici _ così la Costituzione Lumen gentium li descrive
_ si intendono qui tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell'ordine
sacro e dello stato religioso sancito dalla Chiesa, i fedeli cioè,
che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti
Popolo di Dio e, a loro modo, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale,
profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa
e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano»(15).
Già Pio XII diceva: «I fedeli, e
più precisamente i laici, si trovano nella linea più avanzata della
vita della Chiesa; per loro la Chiesa è il principio vitale della
società umana. Perciò essi, specialmente essi, debbono avere una
sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla
Chiesa, ma di essere la Chiesa, vale a dire la comunità dei
fedeli sulla terra sotto la condotta del Capo comune, il Papa, e dei
Vescovi in comunione con lui. Essisono la Chiesa(...)»(16).
Secondo l'immagine biblica della
vigna, i fedeli laici, come tutti quanti i membri della Chiesa, sono
tralci radicati in Cristo, la vera vite, da Lui resi vivi e
vivificanti.
L'inserimento in Cristo per mezzo
della fede e dei sacramenti dell'iniziazione cristiana è la radice
prima che origina la nuova condizione del cristiano nel mistero della
Chiesa, che costituisce la sua più profonda «fisionomia», che sta
alla base di tutte le vocazioni e del dinamismo della vita cristiana
dei fedeli laici: in Gesù Cristo, morto e risorto, il battezzato
diventa una «creatura nuova» (Gal 6, 15; 2 Cor 5, 17),
una creatura purificata dal peccato e vivificata dalla grazia.
In tal modo, solo cogliendo la
misteriosa ricchezza che Dio dona al cristiano nel santo Battesimo è
possibile delineare la «figura» del fedele laico.
Il battesimo e la novità
cristiana
10. Non è esagerato dire che
l'intera esistenza del fedele laico ha lo scopo di portarlo a
conoscere la radicale novità cristiana che deriva dal Battesimo,
sacramento della fede, perché possa viverne gli impegni secondo la
vocazione ricevuta da Dio. Per descrivere la «figura» del fedele
laico prendiamo ora in esplicita e più diretta considerazione, tra
gli altri, questi tre fondamentali aspetti: il Battesimo ci
rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesù Cristo e al suo
Corpo che è la Chiesa, ci unge nello Spirito Santo costituendoci
templi spirituali.
Figli nel Figlio
11. Ricordiamo le parole di Gesù
a Nicodemo: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da
acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,
5). Il santo Battesimo è, dunque, una nuova nascita, è una
rigenerazione.
Proprio pensando a questo aspetto
del dono battesimale l'apostolo Pietro prorompe nel canto: «Sia
benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua
grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di
Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che
non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1 Pt 1, 3-4).
E chiama i cristiani coloro che sono stati «rigenerati non da un seme
corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna»
(1 Pt 1, 23).
Con il santo Battesimo diventiamo figli
di Dio nell'Unigenito suo Figlio, Cristo Gesù. Uscendo dalle
acque del sacro fonte, ogni cristiano riascolta la voce che un giorno
si è udita sulle rive del fiume Giordano: «Tu sei il mio figlio
prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Lc 3, 22), e capisce
che è stato associato al Figlio prediletto, diventando figlio di
adozione (cf. Gal 4, 4-7) e fratello di Cristo. Si compie così
nella storia di ciascuno l'eterno disegno del Padre: «quelli che egli
da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi
all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti
fratelli» (Rom 8, 29).
E' lo Spirito Santo che
costituisce i battezzati in figli di Dio e nello stesso tempo membra
del corpo di Cristo. Lo ricorda Paolo ai cristiani di Corinto: «Noi
tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo
corpo» (1 Cor 12, 13), sicché l'apostolo può dire ai fedeli
laici: «Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la
sua parte» (1 Cor 12, 27);«Che voi siete figli ne è prova il
fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio» (Gal
4, 6; cf. Rom 8, 15-16).
Un solo corpo in Cristo
12. Rigenerati come «figli nel
Figlio», i battezzati sono inscindibilmente «membri di Cristo e
membri del corpo della Chiesa», come insegna il Concilio di
Firenze(17).
Il Battesimo significa e produce
un'incorporazione mistica ma reale al corpo crocifisso e glorioso di
Gesù. Mediante il sacramento Gesù unisce il battezzato alla sua
morte per unirlo alla sua risurrezione (cf. Rom 6, 3-5), lo
spoglia dell'«uomo vecchio» e lo riveste dell'«uomo nuovo», ossia
di Se stesso: «Quanti siete stati battezzati in Cristo _ proclama
l'apostolo Paolo _ vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27; cf.
Ef 4, 22-24; Col 3, 9-10). Ne risulta che «noi, pur
essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo» (Rom 12, 5).
Ritroviamo nelle parole di Paolo
l'eco fedele dell'insegnamento di Gesù stesso, il quale ha rivelato
la misteriosa unità dei suoi discepoli con Lui e tra di loro, presentandola
come immagine e prolungamento di quell'arcana comunione che lega il
Padre al Figlio e il Figlio al Padre nel vincolo amoroso dello Spirito
(cf. Gv 17, 21).
E' la stessa unità di cui Gesù
parla con l'immagine della vite e dei tralci: «Io sono la vite, voi i
tralci» (Gv 15, 5), un'immagine che fa luce non solo
sull'intimità profonda dei discepoli con Gesù ma anche sulla
comunione vitale dei discepoli tra loro: tutti tralci dell'unica Vite.
Templi vivi e santi dello
Spirito
13. Con un'altra immagine, quella
di un edificio, l'apostolo Pietro definisce i battezzati come «pietre
vive» fondate su Cristo, la «pietra angolare», e destinate alla «costruzione
di un edificio spirituale» (1 Pt 2, 5 ss). L'immagine ci
introduce a un altro aspetto della novità battesimale, così
presentato dal Concilio Vaticano II: «Per la rigenerazione e
l'unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a
formare una dimora spirituale»(18).
Lo Spirito Santo «unge» il
battezzato, vi imprime il suo indelebile sigillo (cf. 2 Cor 1, 21-22),
e lo costituisce tempio spirituale, ossia lo riempie della santa
presenza di Dio grazie all'unione e alla conformazione a Gesù Cristo.
Con questa spirituale «unzione»,
il cristiano può, a suo modo, ripetere le parole di Gesù: «Lo
Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con
l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la
vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di
grazia del Signore» (Lc 4, 18-19; cf. Is 61, 1-2). Così
con l'effusione battesimale e cresimale il battezzato partecipa alla
medesima missione di Gesù il Cristo, il Messia Salvatore.
Partecipi dell'ufficio
sacerdotale, profetico e regale di Gesù Cristo
14. Rivolgendosi ai battezzati
come a «bambini appena nati», l'apostolo Pietro scrive: «Stringendovi
a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa
davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la
costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per
offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo
(...). Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione
santa, il popoio che Dio si è acquistato perché proclami le opere
meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua
ammirabile luce (...)» (1 Pt 2, 4-5. 9).
Ecco un nuovo aspetto della grazia
e della dignità battesimale: i fedeli laici partecipano, per la loro
parte, al triplice ufficio _ sacerdotale, profetico e regale _ di Gesù
Cristo. E questo un aspetto non mai dimenticato dalla tradizione viva
della Chiesa, come appare, ad esempio, dalla spiegazione che del Salmo
26 offre Sant'Agostino. Scrive: «Davide fu unto re. A quel tempo si
ungevano solo il re e il sacerdote. In queste due persone era
prefigurato il futuro unico re e sacerdote, Cristo (e perciò
"Cristo" viene da "crisma"). Non solo però è
stato unto il nostro capo, ma siamo stati unti anche noi, suo corpo
(...). Perciò l'unzione spetta a tutti i cristiani, mentre al tempo
dell'Antico Testamento apparteneva a due sole persone. Appare chiaro
che noi siamo il corpo di Cristo dal fatto che siamo tutti unti e
tutti in lui siamo cristi e Cristo, perché in certo modo la testa e
il corpo formano il Cristo nella sua integrità»(19).
Nella scia del Concilio Vaticano
II(20), sin dall'inizio del mio servizio pastorale, ho inteso esaltare
la dignità sacerdotale, profetica e regale dell'intero Popolo di Dio
dicendo: «Colui che è nato dalla Vergine Maria, il Figlio del
falegname _ come si riteneva _ il Figlio del Dio vivente, come ha
confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi "un regno di
sacerdoti". Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato il mistero di
questa potestà e il fatto che la missione di Cristo _ Sacerdote,
Profeta-Maestro, Re _ continua nella Chiesa. Tutti, tutto il Popolo di
Dio è partecipe di questa triplice missione»(21).
Con questa Esortazione i fedeli
laici sono invitati ancora una volta a rileggere, a meditare e ad
assimilare con intelligenza e con amore il ricco e fecondo
insegnamento del Concilio circa la loro partecipazione al triplice
ufficio di Cristo(22). Ecco ora in sintesi gli elementi essenziali di
questo insegnamento.
I fedeli laici sono partecipi
dell'ufficio sacerdotale, per il quale Gesù ha offerto
Se stesso sulla Croce e continuamente si offre nella celebrazione
eucaristica a gloria del Padre per la salvezza dell'umanità.
Incorporati a Gesù Cristo, i battezzati sono uniti a Lui e al suo
sacrificio nell'offerta di se stessi e di tutte le loro attività (cf.
Rom 12, 1-2). Parlando dei fedeli laici il Concilio dice: «Tutte
le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita
coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e
corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della
vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici
graditi a Dio per Gesù Cristo (cf. 1 Pt 2, 5), i quali nella
celebrazione dell'Eucaristia sono piissimamente offerti al Padre
insieme all'oblazione del Corpo del Signore. Così anche i laici,
operando santamente dappertutto come adoratori, consacrano a Dio il
mondo stesso»(23).
La partecipazione all'ufficio
profetico di Cristo, «il quale e con la testimonianza della vita
e con la virtù della parola ha proclamato il Regno del Padre»(24),
abilita e impegna i fedeli laici ad accogliere nella fede il Vangelo e
ad annunciarlo con la parola e con le opere non esitando a denunciare
coraggiosamente il male. Uniti a Cristo, il «grande profeta» (Lc
7, 16), e costituiti nello Spirito «testimoni» di Cristo Risorto, i
fedeli laici sono resi partecipi sia del senso di fede soprannaturale
della Chiesa che «non può sbagliarsi nel credere» (25) sia della
grazia della parola (cf. At 2, 17-18; Ap 19, 10); sono
altresì chiamati a far risplendere la novità e la forza del Vangelo
nella loro vita quotidiana, familiare e sociale, come pure ad
esprimere, con pazienza e coraggio, nelle contraddizioni dell'epoca
presente la loro speranza nella gloria «anche attraverso le strutture
della vita secolare»(26).
Per la loro appartenenza a Cristo
Signore e Re dell'universo i fedeli laici partecipano al suo
ufficio regale e sono da Lui chiamati al servizio del Regno di Dio
e alla sua diffusione nella storia. Essi vivono la regalità
cristiana, anzitutto mediante il combattimento spirituale per vincere
in se stessi il regno del peccato (cf. Rom 6, 12), e poi
mediante il dono di sé per servire, nella carità e nella giustizia,
Gesù stesso presente in tutti i suoi fratelli, soprattutto nei più
piccoli (cf. Mt 25, 40).
Ma i fedeli laici sono chiamati in
particolare a ridare alla creazione tutto il suo originario valore.
Nell'ordinare il creato al vero bene dell'uomo con un'attività
sorretta dalla vita di grazia, essi partecipano all'esercizio del
potere con cui Gesù Risorto attrae a sé tutte le cose e le
sottomette, con Se stesso, al Padre, così che Dio sia tutto in tutti
(cf. Gv 12, 32; 1 Cor 15, 28).
La partecipazione dei fedeli laici
al triplice ufficio di Cristo Sacerdote, Profeta e Re trova la sua
radice prima nell'unzione del Battesimo, il suo sviluppo nella
Confermazione e il suo compimento e sostegno dinamico nell'Eucaristia.
E una partecipazione donata ai singoli fedeli laici, ma in
quanto formano l'unico Corpo del Signore. Infatti, Gesù
arricchisce dei suoi doni la Chiesa stessa, quale suo Corpo e sua
Sposa. In tal modo i singoli sono partecipi del triplice ufficio di
Cristo in quanto membra della Chiesa, come chiaramente insegna
l'apostolo Pietro, che definisce i battezzati come «la stirpe eletta,
il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è
acquistato» (1 Pt 2, 9). Proprio perché deriva dalla comunione
ecclesiale, la partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di
Cristo esige d'essere vissuta e attuata nella comunione e per
la crescita della comunione stessa.
Scriveva Sant'Agostino: «Come
chiamiamo tutti cristiani in forza del mistico crisma, così chiamiamo
tutti sacerdoti perché sono membra dell'unico sacerdote»(27).
I fedeli laici e l'indole
secolare
15. La novità cristiana è il
fondamento e il titolo dell'eguaglianza di tutti i battezzati in
Cristo, di tutti i membri del Popolo di Dio: «comune è la dignità
dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei
figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola salvezza, una
sola speranza e indivisa carità»(28). In forza della comune dignità
battesimale il fedele laico è corresponsabile, insieme con i ministri
ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione della
Chiesa.
Ma la comune dignità battesimale
assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza però
separarlo, dal presbitero, dal religioso e dalla religiosa. Il
Concilio Vaticano II ha indicato questa modalità nell'indole
secolare: «L'indole secolare è propria e peculiare dei laici»(29).
Proprio per cogliere in modo
completo, adeguato e specifico la condizione ecclesiale del fedele
laico è necessario approfondire la portata teologica dell'indole
secolare alla luce del disegno salvifico di Dio e del mistero della
Chiesa.
Come diceva Paolo VI, la Chiesa «ha
un'autentica dimensione secolare, inerente alla sua intima natura e
missione, la cui radice affonda nel mistero del Verbo Incarnato, e che
è realizzata in forme diverse per i suoi membri»(30).
La Chiesa, infatti, vive nel mondo
anche se non è del mondo (cf. Gv 17, 16) ed è mandata a
continuare l'opera redentrice di Gesù Cristo, la quale «mentre per
natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la
instaurazione di tutto l'ordine temporale»(31).
Certamente tutti i membri della
Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono in forme
diverse. In particolare la partecipazione dei fedeli laici ha
una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il
Concilio, è loro «propria e peculiare»: tale modalità viene
designata con l'espressione «indole secolare»(32).
In realtà il Concilio descrive la
condizione secolare dei fedeli laici indicandola, anzitutto, come il
luogo nel quale viene loro rivolta la chiamata di Dio: «Ivi sono
da Dio chiamati»(33). Si tratta di un «luogo» presentato in
termini dinamici: i fedeli laici «vivono nel secolo, cioèimplicati
in tutti e singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle
ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro
esistenza è come intessuta»(34). Essi sono persone che vivono la
vita normale nel mondo, studiano, lavorano, stabiliscono rapporti
amicali, sociali, professionali, culturali, ecc. Il Concilio considera
la loro condizione non semplicemente come un dato esteriore e
ambientale, bensì come una realtà destinata a trovare in Gesù
Cristo la pienezza del suo significato(35). Anzi afferma che «lo
stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della convivenza umana
(...) Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari,
dalle quali traggono origine i rapporti sociali, volontariamente
sottomettendosi alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di
un lavoratore del suo tempo e della sua regione»(36).
Il «mondo» diventa così
l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché
esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo. Il
Concilio può allora indicare il senso proprio e peculiare della
vocazione divina rivolta ai fedeli laici. Non sono chiamati ad
abbandonare la posizione ch'essi hanno nel mondo. Il Battesimo non li
toglie affatto dal mondo, come rileva l'apostolo Paolo: «Ciascuno,
fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando
è stato chiamato» (1 Cor 7, 24); ma affida loro una vocazione
che riguarda proprio la situazione intramondana: i fedeli laici,
infatti, «sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a
modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante
l'esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito
evangelico, e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri,
principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore
della fede, della speranza e della carità»(37). Così l'essere e
l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo
antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed
ecclesiale. Nella loro situazione intramondana, infatti, Dio manifesta
il suo disegno e comunica la particolare vocazione di «cercare il
Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»(38).
Proprio in questa prospettiva i
Padri sinodali hanno detto: «L'indole secolare del fedele laico non
è quindi da definirsi soltanto in senso sociologico, ma soprattutto
in senso teologico. La caratteristica secolare va intesa alla luce
dell'atto creativo e redentivo di Dio, che ha affidato il mondo agli
uomini e alle donne, perché essi partecipino all'opera della
creazione, liberino la creazione stessa dall'influsso del peccato e
santifichino se stessi nel matrimonio o nella vita celibe, nella
famiglia, nella professione e nelle varie attività sociali»(39).
La condizione ecclesiale dei
fedeli laici viene radicalmente definita dalla loro novità
cristiana e caratterizzata dalla loro indole secolare(40).
Le immagini evangeliche del sale,
della luce e del lievito, pur riguardando indistintamente tutti i
discepoli di Gesù, trovano una specifica applicazione ai fedeli
laici. Sono immagini splendidamente significative, perché dicono non
solo l'inserimento profondo e la partecipazione piena dei fedeli laici
nella terra, nel mondo, nella comunità umana; ma anche e soprattutto
la novità e l'originalità di un inserimento e di una partecipazione
destinati alla diffusione del Vangelo che salva.
Chiamati alla santità
16. La dignità dei fedeli laici
ci si rivela in pienezza se consideriamo la prima e fondamentale
vocazione che il Padre in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito
rivolge a ciascuno di loro: la vocazione alla santità, ossia alla
perfezione della carità. Il santo è la testimonianza più splendida
della dignità conferita al discepolo di Cristo.
Sull'universale vocazione alla
santità ha avuto parole luminosissime il Concilio Vaticano II. Si può
dire che proprio questa sia stata la consegna primaria affidata a
tutti i figli e le figlie della Chiesa da un Concilio voluto per il
rinnovamento evangelico della vita cristiana(41). Questa consegna non
è una semplice esortazione morale, bensì un'insopprimibile
esigenza del mistero della Chiesa: essa è la Vigna scelta, per
mezzo della quale i tralci vivono e crescono con la stessa linfa santa
e santificante di Cristo; è il Corpo mistico, le cui membra
partecipano della stessa vita di santità del Capo che è Cristo; è
la Sposa amata dal Signore Gesù, che ha consegnato se stesso per
santificarla (cf. Ef 5, 25 ss.). Lo Spirito che santificò la
natura umana di Gesù nel seno verginale di Maria (cf. Lc 1,
35) è lo stesso Spirito che è dimorante e operante nella Chiesa al
fine di comunicarle la santità del Figlio di Dio fatto uomo.
E' quanto mai urgente che oggi
tutti i cristiani riprendano il cammino del rinnovamento evangelico,
accogliendo con generosità l'invito apostolico ad «essere santi in
tutta la condotta» (1 Pt 1, 15). Il Sinodo straordinario del
1985, a vent'anni dalla conclusione del Concilio, ha opportunamente
insistito su questa urgenza:
«Poiché la Chiesa in Cristo è
mistero, deve essere considerata segno e strumento di santità (...).
I santi e le sante sempre sono stati fonte e origine di rinnovamento
nelle più difficili circostanze in tutta la storia della Chiesa. Oggi
abbiamo grandissimo bisogno di santi, che dobbiamo implorare da Dio
con assiduità»(42).
Tutti nella Chiesa, proprio perché
ne sono membri, ricevono e quindi condividono la comune vocazione alla
santità. A pieno titolo, senz'alcuna differenza dagli altri membri
della Chiesa, ad essa sono chiamati i fedeli laici: «Tutti i fedeli
di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita
cristiana e alla perfezione della carità»(43); «Tutti i fedeli sono
invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfezione del
proprio stato»(44).
La vocazione alla santità affonda
le sue radici nel Battesimo e viene riproposta dagli altri
Sacramenti, principalmente dall'Eucaristia: rivestiti di Gesù
Cristo e abbeverati dal suo Spirito, i cristiani sono «santi» e
sono, perciò, abilitati e impegnati a manifestare la santità del
loro essere nella santità di tutto il loro operare. L'apostolo
Paolo non si stanca di ammonire tutti i cristiani perché vivano «come
si addice a santi» (Ef 5, 3).
La vita secondo lo Spirito, il cui
frutto è la santificazione (cf. Rom 6, 22; Gal 5, 22),
suscita ed esige da tutti e da ciascun battezzato la sequela e
l'imitazione di Gesù Cristo, nell'accoglienza delle sue
Beatitudini, nell'ascolto e nella meditazione della Parola di Dio,
nella consapevole e attiva partecipazione alla vita liturgica e
sacramentale della Chiesa, nella preghiera individuale, familiare e
comunitaria, nella fame e nella sete di giustizia, nella pratica del
comandamento dell'amore in tutte le circostanze della vita e nel
servizio ai fratelli, specialmente se piccoli, poveri e sofferenti.
Santificarsi nel mondo
17. La vocazione dei fedeli laici
alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in
modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e
nella loro partecipazione alle attività terrene. E' ancora
l'apostolo ad ammonirci: «Tutto quello che fate in parole ed opere,
tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui
grazie a Dio Padre» (Col 3, 17). Riferendo le parole
dell'apostolo ai fedeli laici, il Concilio afferma categoricamente: «Né
la cura della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere
estranei all'orientamento spirituale della vita»(45). A loro volta i
Padri sinodali hanno detto: «L'unità della vita dei fedeli laici è
di grandissima importanza: essi, infatti, debbono santificarsi
nell'ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano
rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono
guardare alle attività della vita quotidiana come occasione di unione
con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli
altri uomini, portandoli alla comunione con Dio in Cristo»(46).
La vocazione alla santità dev'essere
percepita e vissuta dai fedeli laici, prima che come obbligo esigente
e irrinunciabile, come segno luminoso dell'infinito amore del Padre
che li ha rigenerati alla sua vita di santità. Tale vocazione,
allora, deve dirsi una componente essenziale e inseparabile della
nuova vita battesimale, e pertanto un elemento costitutivo della
loro dignità. Nello stesso tempo la vocazione alla santità è intimamente
connessa con la missione e con la responsabilità affidate ai
fedeli laici nella Chiesa e nel mondo. Infatti, già la stessa santità
vissuta, che deriva dalla partecipazione alla vita di santità della
Chiesa, rappresenta il primo e fondamentale contributo
all'edificazione della Chiesa stessa, quale «Comunione dei Santi».
Agli occhi illuminati dalla fede si spalanca uno scenario
meraviglioso: quello di tantissimi fedeli laici, uomini e donne, che
proprio nella vita e nelle attività d'ogni giorno, spesso inosservati
o addirittura incompresi, sconosciuti ai grandi della terra ma
guardati con amore dal Padre, sono gli operai instancabili che
lavorano nella vigna del Signore, sono gli artefici umili e grandi _
certo per la potenza della grazia di Dio _ della crescita del Regno di
Dio nella storia.
La santità, poi, deve dirsi un
fondamentale presupposto e una condizione del tutto insostituibile per
il compiersi della missione di salvezza nella Chiesa. E' la santità
della Chiesa la sorgente segreta e la misura infallibile della sua
operosità apostolica e del suo slancio missionario. Solo nella misura
in cui la Chiesa, Sposa di Cristo, si lascia amare da Lui e Lo riama,
essa diventa Madre feconda nello Spirito.
Riprendiamo di nuovo l'immagine
biblica: lo sbocciare e l'espandersi dei tralci dipendono dal loro
inserimento nella vite. «Come il tralcio non può far frutto da se
stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in
me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa
molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv
15, 4-5).
E' naturale qui ricordare la
solenne proclamazione di fedeli laici, uomini e donne, come beati e
santi, avvenuta durante il mese del Sinodo. L'intero Popolo di Dio, e
i fedeli laici in particolare, possono trovare ora nuovi modelli di
santità e nuove testimonianze di virtù eroiche vissute nelle
condizioni comuni e ordinarie dell'esistenza umana. Come hanno detto i
Padri sinodali: «Le Chiese locali e soprattutto le cosiddette Chiese
più giovani debbono riconoscere attentamente fra i propri membri
quegli uomini e quelle donne che hanno offerto in tali condizioni (le
condizioni quotidiane del mondo e lo stato coniugale) la testimonianza
della santità e che possono essere di esempio agli altri affinché,
se si dia il caso, li propongano per la beatificazione e la
canonizzazione»(47).
Al termine di queste riflessioni,
destinate a definire la condizione ecclesiale del fedele laico,
ritorna alla mente il celebre monito di San Leone Magno: «Agnosce,
o Christiane, dignitatem tuam»(48). E' lo stesso monito di San
Massimo, vescovo di Torino, rivolto a quanti avevano ricevuto
l'unzione del santo Battesimo: «Considerate l'onore che vi è fatto
in questo mistero!»(49). Tutti i battezzati sono invitati a
riascoltare le parole di Sant'Agostino: «Rallegriamoci e ringraziamo:
siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo (...). Stupite e gioite:
Cristo siamo diventati!»(50).
La dignità cristiana, fonte
dell'eguaglianza di tutti i membri della Chiesa, garantisce e promuove
lo spirito di comunione e di fraternità, e, nello stesso tempo,
diventa il segreto e la forza del dinamismo apostolico e missionario
dei fedeli laici. E' una dignità esigente, la dignità degli
operai chiamati dal Signore a lavorare nella sua vigna: «Grava su
tutti i laici _ leggiamo nel Concilio _ il glorioso peso di lavorare,
perché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno di più
tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra»(51).
CAPITOLO
II
TUTTI
TRALCI DELL'UNICA VITE
La partecipazione dei fedeli laici
alla vita della Chiesa-Comunione
Il mistero della
Chiesa-Comunione
18. Riascoltiamo le parole di Gesù:
«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo (...). Rimanete
in me e io in voi» (Gv 15, 1-4).
Con queste semplici parole ci
viene rivelata la comunione misteriosa che vincola in unità il
Signore e i discepoli, Cristo e i battezzati: una comunione viva e
vivificante, per la quale i cristiani non appartengono a se stessi ma
sono proprietà di Cristo, come i tralci inseriti nella vite.
La comunione dei cristiani con Gesù
ha quale modello, fonte e meta la comunione stessa del Figlio con il
Padre nel dono dello Spirito Santo: uniti al Figlio nel vincolo
amoroso dello Spirito, i cristiani sono uniti al Padre.
Gesù continua: «Io sono la
vite, voi i tralci» (Gv 15, 5). Dalla comunione dei cristiani con
Cristo scaturisce la comunione dei cristiani tra di loro: tutti sono
tralci dell'unica Vite, che è Cristo. In questa comunione fraterna il
Signore Gesù indica il riflesso meraviglioso e la misteriosa
partecipazione all'intima vita d'amore del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo. Per questa comunione Gesù prega: «Tutti siano una
sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in
noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv
17, 21).
Tale comunione è il mistero
stesso della Chiesa, come
ci ricorda il Concilio Vaticano II, con la celebre parola di San
Cipriano: «La Chiesa universale si presenta come "un popolo
adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"»(52).
A questo mistero della Chiesa-Comunione siamo abitualmente richiamati
all'inizio della celebrazione eucaristica, allorquando il sacerdote ci
accoglie con il saluto dell'apostolo Paolo: «La grazia del Signore
Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano
con tutti voi» (2 Cor 13, 13).
Dopo aver delineato la «figura»
dei fedeli laici nella loro dignità dobbiamo ora riflettere sulla
loro missione e responsabilità nella Chiesa e nel mondo: ma queste si
possono comprendere adeguatamente solo nel contesto vivo della
Chiesa-Comunione.
Il Concilio e
l'ecclesiologia di comunione
19. E' questa l'idea centrale che
di se stessa la Chiesa ha riproposto nel Concilio Vaticano II, come ci
ha ricordato il Sinodo straordinario del 1985, celebratosi a vent'anni
dall'evento conciliare: «L'ecclesiologia di comunione è l'idea
centrale e fondamentale nei documenti del Concilio. La koinonia-comunione,
fondata sulla Sacra Scrittura, è tenuta in grande onore nella Chiesa
antica e nelle Chiese orientali fino ai nostri giorni. Perciò molto
è stato fatto dal Concilio Vaticano II perché la Chiesa come
comunione fosse più chiaramente intesa e concretamente tradotta nella
vita. Che cosa significa la complessa parola "comunione"? Si
tratta fondamentalmente della comunione con Dio per mezzo di Gesù
Cristo, nello Spirito Santo. Questa comunione si ha nella parola di
Dio e nei sacramenti. Il Battesimo è la porta ed il fondamento della
comunione nella Chiesa. L'Eucaristia è la fonte ed il culmine di
tutta la vita cristiana (cf. LG, 11). La comunione del corpo
eucaristico di Cristo significa e produce, cioè edifica l'intima
comunione di tutti i fedeli nel corpo di Cristo che è la Chiesa (cf. 1
Cor 10, 16 s.)»(53).
All'indomani del Concilio così
Paolo VI si rivolgeva ai fedeli: «La Chiesa è una comunione. Che
cosa vuol dire in questo caso: comunione? Noi vi rimandiamo al
paragrafo del catechismo che parla della sanctorum communionem, la
comunione dei santi. Chiesa vuol dire comunione dei santi. E comunione
dei santi vuol dire una duplice partecipazione vitale:
l'incorporazione dei cristiani nella vita di Cristo, e la circolazione
della medesima carità in tutta la compagine dei fedeli, in questo
mondo e nell'altro. Unione a Cristo ed in Cristo; e unione fra i
cristiani, nella Chiesa»(54).
Le immagini bibliche, con cui il
Concilio ha voluto introdurci a contemplare il mistero della Chiesa,
pongono in luce la realtà della Chiesa-Comunione nella sua
inscindibile dimensione di comunione dei cristiani con Cristo e di
comunione dei cristiani tra loro. Sono le immagini dell'ovile, del
gregge, della vite, dell'edificio spirituale, della città santa(55).
Soprattutto è l'immagine del corpo presentata dall'apostolo
Paolo, la cui dottrina rifluisce fresca e attraente in numerose pagine
del Concilio(56). A sua volta il Concilio riprende dall'intera storia
della salvezza e ripropone l'immagine della Chiesa come Popolo di
Dio: «Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non
individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di
loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente Lo
servisse»(57). Già nelle sue primissime righe, la Costituzione Lumen
gentium compendia in modo mirabile questa dottrina scrivendo: «La
Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento
dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano»(58).
La realtà della
Chiesa-Comunione è, allora,
parte integrante, anzi rappresenta il contenuto centrale del «mistero»,
ossia del disegno divino della salvezza dell'umanità. Per questo
la comunione ecclesiale non può essere interpretata in modo adeguato
se viene intesa come una realtà semplicemente sociologica e
psicologica. La Chiesa-Comunione è il popolo «nuovo», il popolo «messianico»,
il popolo che «ha per Capo Cristo (...) per condizione la dignità e
la libertà dei figli di Dio (...) per legge il nuovo precetto di
amare come lo stesso Cristo ci ha amati (...) per fine il Regno di Dio
(... ed è) costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità
e di verità»(59). I vincoli che uniscono i membri del nuovo Popolo
tra di loro _ e prima ancora con Cristo _ non sono quelli della «carne»
e del «sangue», bensì quelli dello spirito, più precisamente
quelli dello Spirito Santo, che tutti i battezzati ricevono (cf. Gl
3, 1).
Infatti, quello Spirito che
dall'eternità vincola l'unica e indivisa Trinità, quello Spirito che
«nella pienezza del tempo» (Gal 4, 4) unisce
indissolubilmente la carne umana al Figlio di Dio, quello stesso e
identico Spirito è nel corso delle generazioni cristiane la sorgente
ininterrotta e inesauribile della comunione nella e della Chiesa.
Una comunione organica:
diversità e complementarietà
20. La comunione ecclesiale si
configura, più precisamente, come una comunione «organica», analoga
a quella di un corpo vivo e operante: essa, infatti, è caratterizzata
dalla compresenza della diversità e della complementarietà
delle vocazioni e condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi e
delle responsabilità. Grazie a questa diversità e complementarietà
ogni fedele laico si trova in relazione con tutto il corpo e ad
esso offre il suo proprio contributo.
Sulla comunione organica del Corpo
mistico di Cristo insiste in modo tutto particolare l'apostolo Paolo,
il cui ricco insegnamento possiamo riascoltare nella sintesi tracciata
dal Concilio: Gesù Cristo _ leggiamo nella Costituzione Lumen
gentium _ «comunicando il suo Spirito, costituisce misticamente
come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti. In quel
corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti (...). Come tutte le
membra del corpo umano, anche se numerose, formano un solo corpo, così
i fedeli in Cristo (cf. 1 Cor 12, 12). Anche nell'edificazione
del corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle funzioni.
Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce i
suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e
alle necessità dei servizi (cf. 1 Cor 12, 1-11 ). Fra questi
doni viene al primo posto la grazia degli Apostoli, alla cui autorità
lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cf. 1 Cor 14). Ed
è ancora lo Spirito stesso che, con la sua forza e mediante l'intima
connessione delle membra, produce e stimola la carità tra i fedeli. E
quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra;
se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cf.
1 Cor 12, 26)»(60).
E' sempre l'unico e identico
Spirito il principio dinamico della varietà e dell'unità nella e
della Chiesa. Leggiamo di nuovo nella Costituzione Lumen gentium:
«Perché poi ci rinnovassimo continuamente in Lui (Cristo) (cf.
Ef 4, 23), ci ha dato del suo Spirito, il quale, unico e identico
nel Capo e nelle membra, dà a tutto il corpo la vita, l'unità e il
movimento, così che i santi Padri poterono paragonare la sua funzione
con quella che esercita il principio vitale, cioè l'anima, nel corpo
umano»(61). E in un altro testo, particolarmente denso e prezioso per
cogliere l'«organicità» propria della comunione ecclesiale anche
nel suo aspetto di crescita incessante verso la perfetta comunione, il
Concilio scrive: «Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei
fedeli come in un tempio (cf. 1 Cor 3, 16; 6, 19) e in
essi prega e rende testimonianza dell'adozione filiale (cf. Gal 4,
6; Rom 8, 15-16. 26). Egli guida la Chiesa verso tutta intera
la verità (cf. Gv 16, 13), la unifica nella comunione e nel
servizio, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e
carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef 4, 11-12; 1
Cor 12, 4; Gal 5, 22). Con la forza del Vangelo fa
ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla
perfetta unione con il suo Sposo. Poiché lo Spirito e la Sposa dicono
al Signore Gesù: Vieni! (cf. Ap 22, 17»(62).
La comunione ecclesiale è, dunque,
un dono, un grande dono dello Spirito Santo, che i fedeli laici
sono chiamati ad accogliere con gratitudine e, nello stesso tempo, a
vivere con profondo senso di responsabilità. Ciò si attua
concretamente mediante la loro partecipazione alla vita e alla
missione della Chiesa, al cui servizio i fedeli laici pongono i loro
diversi e complementari ministeri e carismi.
Il fedele laico «non può mai
chiudersi in se stesso, isolandosi spiritualmente dalla comunità, ma
deve vivere in un continuo scambio con gli altri, con un vivo senso di
fraternità, nella gioia di una uguale dignità e nell'impegno di far
fruttificare insieme l'immenso tesoro ricevuto in eredità. Lo Spirito
del Signore dona a lui, come agli altri, molteplici carismi, lo invita
a differenti ministeri e incarichi, gli ricorda, come anche lo ricorda
agli altri in rapporto con lui, che tutto ciò che lo distingue non
è un di più di dignità, ma una speciale e complementare
abilitazione al servizio (...).Così, i carismi, i ministeri, gli
incarichi ed i servizi del Fedele Laico esistono nella comunione e per
la comunione. Sono ricchezze complementari a favore di tutti, sotto la
saggia guida dei Pastori»(63).
I ministeri e i carismi,
doni dello Spirito alla Chiesa
21. Il Concilio Vaticano II
presenta i ministeri e i carismi come doni dello Spirito Santo per
l'edificazione del Corpo di Cristo e per la sua missione di salvezza
nel mondo(64). La Chiesa, infatti, è diretta e guidata dallo Spirito
che elargisce diversi doni gerarchici e carismatici a tutti i
battezzati chiamandoli ad essere, ciascuno a suo modo, attivi e
corresponsabili.
Consideriamo ora i ministeri e i
carismi in diretto riferimento ai fedeli laici e alla loro
partecipazione alla vita della Chiesa-Comunione.
Ministeri, uffici e funzioni
I ministeri presenti e operanti
nella Chiesa sono tutti, anche se in modalità diverse, una
partecipazione al ministero di Gesù Cristo, il buon Pastore che dà
la vita per le sue pecore (cf. Gv 10, 11 ), il servo umile e
totalmente sacrificato per la salvezza di tutti (cf. Mc 10,
45). Paolo è oltremodo chiaro nel parlare della costituzione
ministeriale delle Chiese apostoliche. Nella Prima Lettera ai Corinzi
scrive: «Alcuni Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come
apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri
(...)» (1 Cor 12, 28). Nella Lettera agli Efesini
leggiamo: «A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la
misura del dono di Cristo (...). E' lui che ha dato da una parte gli
apostoli, d'altra parte i profeti, gli evangelisti, i pastori e i
maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al
fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità
della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo
perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef
4, 7. 11-13; cf. Rom 12, 4-8). Come appare da questi e da altri
testi del Nuovo Testamento, i ministeri, come pure i doni e i compiti
ecclesiali, sono molteplici e diversi.
I ministeri derivanti
dall'Ordine
22. Nella Chiesa si trovano in
primo luogo, i ministeri ordinati, ossia i ministeri che
derivano dal sacramento dell'Ordine. Il Signore Gesù, infatti, ha
scelto e costituito gli Apostoli, seme del Popolo della Nuova Alleanza
e origine della sacra Gerarchia(65), affidando loro il mandato di fare
discepole tutte le genti (cf. Mt 28, 19), di formare e di
reggere il popolo sacerdotale. La missione degli Apostoli, che il
Signore Gesù continua a trasmettere ai pastori del suo popolo, è un
vero servizio, significativamente chiamato nella Sacra Scrittura «diakonia»,
ossia servizio, ministero. Nella ininterrotta successione
apostolica i ministri ricevono il carisma dello Spirito Santo dal
Cristo Risorto mediante il sacramento dell'Ordine: ricevono così
l'autorità e il potere sacro di agire «in persona Christi Capitis»
(nella persona di Cristo Capo)(66) per servire la Chiesa e per
radunarla nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e dei sacramenti.
I ministeri ordinati, prima ancora
che per le persone che li ricevono, sono una grazia per l'intera
Chiesa. Essi esprimono e attuano una partecipazione al sacerdozio di
Gesù Cristo che è diversa, non solo per grado ma per essenza, dalla
partecipazione donata con il Battesimo e con la Confermazione a tutti
i fedeli. D'altra parte il sacerdozio ministeriale, come ha ricordato
il Concilio Vaticano II, è essenzialmente finalizzato al sacerdozio
regale di tutti i fedeli e ad esso ordinato(67).
Per questo, per assicurare e per
far crescere la comunione nella Chiesa, in particolare nell'ambito dei
diversi e complementari ministeri, i pastori devono riconoscere che il
loro ministero è radicalmente ordinato al servizio di tutto il Popolo
di Dio (cf. Eb 5, 1), e, a loro volta, i fedeli laici
devono riconoscere che il sacerdozio ministeriale è del tutto
necessario per la loro vita e per la loro partecipazione alla missione
nella Chiesa(68).
Ministeri, uffici e funzioni
dei laici
23. La missione salvifica della
Chiesa nel mondo è attuata non solo dai ministri in virtù del
sacramento dell'Ordine ma anche da tutti i fedeli laici: questi,
infatti, in virtù della loro condizione battesimale e della loro
specifica vocazione, nella misura a ciascuno propria, partecipano
all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo.
I pastori, pertanto, devono
riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei
fedeli laici, che hanno il loro fondamento sacramentale nel
Battesimo e nella Confermazione, nonché, per molti di loro, nel
Matrimonio.
Quando poi la necessità o
l'utilità della Chiesa lo esige, i pastori possono affidare ai fedeli
laici, secondo le norme stabilite dal diritto universale, alcuni
compiti che sono connessi con il loro proprio ministero di pastori ma
che non esigono il carattere dell'Ordine. Il Codice di Diritto
Canonico scrive: «Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in
mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o
accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il
ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche,
amministrare il Battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le
disposizioni del diritto»(69).L'esercizio però di questi
compiti non fa del fedele laico un pastore: in realtà non è il
compito a costituire il ministero, bensì l'ordinazione sacramentale.
Solo il sacramento dell'Ordine attribuisce al ministero ordinato una
peculiare partecipazione all'ufficio di Cristo Capo e Pastore e al suo
sacerdozio eterno(70). Il compito esercitato in veste di supplente
deriva la sua legittimazione immediatamente e formalmente dalla
deputazione ufficiale data dai pastori, e nella sua concreta
attuazione è diretto dall'autorità ecclesiastica(71).
La recente Assemblea del Sinodo ha
presentato un ampio e significativo panorama della situazione
ecclesiale circa i ministeri, gli uffici e le funzioni dei battezzati.
I Padri hanno vivamente apprezzato l'apporto apostolico dei fedeli
laici, uomini e donne, in favore dell'evangelizzazione, della
santificazione e dell'animazione cristiana delle realtà temporali,
come pure la loro generosa disponibilità alla supplenza in situazioni
di emergenza e di croniche necessità(72).
In seguito al rinnovamento
liturgico promosso dal Concilio, gli stessi fedeli laici hanno
acquisito più viva coscienza dei loro compiti nell'assemblea
liturgica e nella sua preparazione, e si sono resi ampiamente
disponibili a svolgerli: la celebrazione liturgica, infatti, è
un'azione sacra non soltanto del clero, ma di tutta l'assemblea. E'
naturale, pertanto, che i compiti non propri dei ministri ordinati
siano svolti dai fedeli laici(73). Il passaggio poi da un effettivo
coinvolgimento dei fedeli laici nell'azione liturgica a quello
nell'annuncio della Parola di Dio e nella cura pastorale è stato
spontaneo(74).
Nella stessa Assemblea sinodale
non sono mancati però, insieme a quelli positivi, giudizi critici
circa l'uso troppo indiscriminato del termine «ministero», la
confusione e talvolta il livellamento tra il sacerdozio comune e il
sacerdozio ministeriale, la scarsa osservanza di certe leggi e norme
ecclesiastiche, l'interpretazione arbitraria del concetto di «supplenza»,
la tendenza alla «clericalizzazione» dei fedeli laici e il rischio
di creare di fatto una struttura ecclesiale di servizio parallela a
quella fondata sul sacramento dell'Ordine.
Proprio per superare questi
pericoli i Padri sinodali hanno insistito sulla necessità che siano
espresse con chiarezza, anche servendosi di una terminologia più
precisa(75), l'unità di missione della Chiesa, alla quale
partecipano tutti i battezzati, ed insieme l'essenziale diversità
di ministero dei pastori, radicato nel sacramento dell'Ordine,
rispetto agli altri ministeri, uffici e funzioni ecclesiali, che sono
radicati nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione.
E' necessario allora, in primo
luogo, che i pastori, nel riconoscere e nel conferire ai fedeli laici
i vari ministeri, uffici e funzioni, abbiano la massima cura di
instruirli sulla radice battesimale di questi compiti. E' necessario
poi che i pastori siano vigilanti perché si eviti un facile ed
abusivo ricorso a presunte «situazioni di emergenza» o di «necessaria
supplenza», là dove obiettivamente non esistono o là dove è
possibile ovviarvi con una programmazione pastorale più razionale.
I vari ministeri, uffici e
funzioni che i fedeli laici possono legittimamente svolgere nella
liturgia, nella trasmissione della fede e nelle strutture pastorali
della Chiesa, dovranno essere esercitati in conformità alla loro
specifica vocazione laicale, diversa da quella dei sacri ministri.
In tal senso, l'Esortazione Evangelii nuntiandi, che tanta e
benefica parte ha avuto nello stimolare la diversificata
collaborazione dei fedeli laici alla vita e alla missione
evangelizzatrice della Chiesa, ricorda che «il campo proprio della
loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della
politica, della realtà sociale, dell'economia; così pure della
cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli
strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà
particolarmente aperte all'evangelizzazione, quali l'amore, la
famiglia, l'educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro
professionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati di
spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente
impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover
sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e
soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né
sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una
dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio
dell'edificazione del Regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù
Cristo»(76).
Durante i lavori del Sinodo i
Padri hanno dedicato non poca attenzione al Lettorato e all'Accolitato.
Mentre in passato esistevano nella Chiesa Latina soltanto come
tappe spirituali dell'itinerario verso i ministeri ordinati, con il
Motu proprio di Paolo VI Ministeria quaedam (15Agosto 1972)
essi hanno ricevuto una loro autonomia e stabilità, come pure una
loro possibile destinazione agli stessi fedeli laici, sia pure
soltanto uomini. Nello stesso senso si è espresso il nuovo Codice di
Diritto Canonico(77). Ora i Padri sinodali hanno espresso il desiderio
che «il Motu proprio "Ministeria quaedam" sia rivisto,
tenendo conto dell'uso delle Chiese locali e soprattutto indicando i
criteri secondo cui debbano essere scelti i destinatari di ciascun
ministero»(78).
In tal senso è stata costituita
un'apposita Commissione non solo per rispondere a questo desiderio
espresso dai Padri sinodali, ma anche e ancor più per studiare in
modo approfondito i diversi problemi teologici, liturgici, giuridici e
pastorali sollevati dall'attuale grande fioritura di ministeri
affidati ai fedeli laici.
In attesa che la Commissione
concluda il suo studio, perché la prassi ecclesiale dei ministeri
affidati ai fedeli laici risulti ordinata e fruttuosa, dovranno essere
fedelmente rispettati da tutte le Chiese particolari i principi
teologici sopra ricordati, in particolare la diversità essenziale tra
il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune e, conseguentemente,
la diversità tra i ministeri derivanti dal sacramento dell'Ordine e i
ministeri derivanti dai sacramenti del Battesimo e della
Confermazione.
I carismi
24. Lo Spirito Santo, mentre
affida alla Chiesa-Comunione i diversi ministeri, l'arricchisce di
altri particolari doni e impulsi, chiamati carismi. Possono
assumere le forme più diverse, sia come espressione dell'assoluta
libertà dello Spirito che li elargisce, sia come risposta alle
esigenze molteplici della storia della Chiesa. La descrizione e la
classificazione che di questi doni fanno i testi del Nuovo Testamento
sono un segno della loro grande varietà: «E a ciascuno è data una
manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno
viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro
invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a
uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far
guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli,
a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere
gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine
l'interpretazione delle lingue» (1 Cor 12, 7-10; cf. 1 Cor
12, 4-6. 28-31; Rom 12, 6-8; 1 Pt 4, 10-11).
Straordinari o semplici e umili, i
carismi sono grazie dello Spirito Santo che hanno, direttamente
o indirettamente, un'utilità ecclesiale, ordinati come sono
all'edificazione della Chiesa, al bene degli uomini e alle necessità
del mondo.
Anche ai nostri tempi non manca la
fioritura di diversi carismi tra i fedeli laici, uomini e donne. Sono
dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri
e in tal modo vengono continuati nel tempo come una preziosa e viva
eredità, che genera una particolare affinità spirituale tra le
persone. Proprio in riferimento all'apostolato dei laici il Concilio
Vaticano II scrive: «Per l'esercizio di tale apostolato lo Spirito
Santo, che opera la santificazione del Popolo di Dio per mezzo del
ministero e dei sacramenti, elargisce ai fedeli anche dei doni
particolari (cf. 1 Cor 12, 7), "distribuendoli a
ciascuno come vuole" (1 Cor 12, 11), affinché,
"mettendo ciascuno a servizio degli altri la grazia
ricevuta", contribuiscano anch'essi, "come buoni
dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio" (1 Pt
4, 10), alla edificazione di tutto il corpo nella carità (cf. Ef 4,
16)»(79).
Nella logica dell'originaria
donazione da cui sono scaturiti, i doni dello Spirito esigono che
quanti li hanno ricevuti li esercitino per la crescita di tutta la
Chiesa, come ci ricorda il Concilio(80).
I carismi vanno accolti con
gratitudine: da parte di chi li riceve, ma anche da parte di tutti
nella Chiesa. Sono, infatti, una singolare ricchezza di grazia per la
vitalità apostolica e per la santità dell'intero Corpo di Cristo:
purché siano doni che derivino veramente dallo Spirito e vengano
esercitati in piena conformità agli impulsi autentici dello Spirito.
In tal senso si rende sempre necessario il discernimento dei
carismi. In realtà, come hanno detto i Padri sinodali, «l'azione
dello Spirito Santo, che soffia dove vuole, non è sempre facile da
riconoscere e da accogliere. Sappiamo che Dio agisce in tutti i fedeli
cristiani e siamo coscienti dei benefici che vengono dai carismi sia
per i singoli sia per tutta la comunità cristiana. Tuttavia, siamo
anche coscienti della potenza del peccato e dei suoi sforzi per
turbare e per confondere la vita dei fedeli e della comunità»(81).
Per questo nessun carisma dispensa
dal riferimento e dalla sottomissione ai Pastori della Chiesa. Con
chiare parole il Concilio scrive: «Il giudizio sulla loro (dei
carismi) genuinità e sul loro esercizio ordinato appartiene a quelli
che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente, non di
estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è
buono (cf. 1 Tess 5, 12 e 19-21)»(82), affinché tutti i
carismi cooperino, nella loro diversità e complementarietà, al bene
comune(83).
La pertecipazione dei fedeli
laici alla vita della Chiesa
25. I fedeli laici partecipano
alla vita della Chiesa non solo mettendo in opera i loro compiti e
carismi, ma anche in molti altri modi.
Tale partecipazione trova la sua
prima e necessaria espressione nella vita e missione delle Chiese
particolari, delle diocesi, nelle quali «è veramente presente e
agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica»(84).
Chiese particolari e Chiesa
universale
Per un'adeguata partecipazione
alla vita ecclesiale è del tutto urgente che i fedeli laici abbiano
una visione chiara e precisa della Chiesa particolare nel suo
originale legame con la Chiesa universale. La Chiesa particolare
non nasce da una specie di frammentazione della Chiesa universale, né
la Chiesa universale viene costituita dalla semplice somma delle
Chiese particolari; ma un vivo, essenziale e costante vincolo le
unisce tra loro, in quanto la Chiesa universale esiste e si manifesta
nelle Chiese particolari. Per questo il Concilio dice che le Chiese
particolari sono «formate a immagine della Chiesa universale, nelle
quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica»(85).
Lo stesso Concilio stimola con
forza i fedeli laici a vivere operosamente la loro appartenenza alla
Chiesa particolare, assumendo nello stesso tempo un respiro sempre più
«cattolico»: «Coltivino costantemente _ leggiamo nel Decreto
sull'apostolato dei laici _ il senso della diocesi, di cui la
parrocchia è come una cellula, sempre pronti, all'invito del loro
Pastore, ad unire anche le proprie forze alle iniziative diocesane.
Anzi, per venire incontro alle necessità delle città e delle zone
rurali, non limitino la loro propria cooperazione entro i confini
della parrocchia o della diocesi, ma procurino di allargarla
all'ambito interparrocchiale, interdiocesano, nazionale o
internazionale, tanto più che il crescente spostamento delle
popolazioni, lo sviluppo delle mutue relazioni e la facilità delle
comunicazioni non consentono più ad alcuna parte della società di
rimanere chiusa in se stessa. Così abbiano a cuore le necessità del
Popolo di Dio sparso su tutta la terra»(86).
Il recente Sinodo ha chiesto, in
tal senso, che si favorisca la creazione dei Cansigli Pastorali
diocesani, ai quali ricorrere secondo le opportunità. Si tratta,
in realtà, della principale forma di collaborazione e di dialogo,
come pure di discernimento, a livello diocesano. La partecipazione dei
fedeli laici a questi Consigli potrà ampliare il ricorso alla
consultazione e il principio della collaborazione _ che in certi casi
è anche di decisione _ verrà applicato in un modo più esteso e
forte(87).
La partecipazione dei fedeli laici
nei Sinodi diocesani e nei Concili particolari, provinciali
o plenari, è prevista dal Codice di Diritto Canonico(88); essa potrà
contribuire alla comunione e alla missione ecclesiale della Chiesa
particolare, sia nel suo proprio ambito sia in relazione con le altre
Chiese particolari della provincia ecclesiastica o della Conferenza
Episcopale.
Le Conferenze Episcopali sono
chiamate a valutare il modo più opportuno di sviluppare, a livello
nazionale o regionale, la consultazione e la collaborazione dei fedeli
laici, uomini e donne: si potranno così soppesare bene i problemi
comuni e meglio si manifesterà la comunione ecclesiale di tutti(89).
La parrocchia
26. La comunione ecclesiale, pur
avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più
immediata e visibile nella parrocchia: essa è l'ultima
localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa
che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie(90).
E' necessario che tutti
riscopriamo, nella fede, il vero volto della parrocchia, ossia il «mistero»
stesso della Chiesa presente e operante in essa: anche se a volte
povera di persone e di mezzi, anche se altre volte dispersa su
territori quanto mai vasti o quasi introvabile all'interno di popolosi
e caotici quartieri moderni, la parrocchia non è principalmente una
struttura, un territorio, un edificio; è piuttosto «la famiglia di
Dio, come una fraternità animata dallo spirito d'unità»(91), è «una
casa di famiglia, fraterna ed accogliente»(92), è la «comunità di
fedeli»(93). In definitiva, la parrocchia è fondata su di una realtà
teologica, perché essa è unacomunità eucaristica(94). Ciò
significa che essa è una comunità idonea a celebrare l'Eucaristia,
nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo
sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa.
Tale idoneità si radica nel fatto che la parrocchia è una comunità
di fede e una comunità organica, ossia costituita
dai ministri ordinati e dagli altri cristiani, nella quale il parroco
_ che rappresenta il Vescovo diocesano(95) _ è il vincolo gerarchico
con tutta la Chiesa particolare.
E' certamente immane il compito
della Chiesa ai nostri giorni e ad assolverlo non può certo bastare
la parrocchia da sola. Per questo il Codice di Diritto Canonico
prevede forme di collaborazione tra parrocchie nell'ambito del
territorio(96) e raccomanda al Vescovo la cura di tutte le categorie
di fedeli, anche di quelle che non sono raggiunte dalla cura pastorale
ordinaria(97). Infatti, molti luoghi e forme di presenza e di azione
sono necessari per recare la parola e la grazia del Vangelo nelle
svariate condizioni di vita degli uomini d'oggi, e molte altre
funzioni di irradiazione religiosa e d'apostolato d'ambiente, nel
campo culturale, sociale, educativo, professionale, ecc., non possono
avere come centro o punto di partenza la parrocchia. Eppure anche oggi
la parrocchia vive una nuova e promettente stagione. Come diceva Paolo
VI, all'inizio del suo pontificato, rivolgendosi al Clero romano: «Crediamo
semplicemente che questa antica e venerata struttura della parrocchia
ha una missione indispensabile e di grande attualità; ad essa spetta
creare la prima comunità del popolo cristiano; ad essa iniziare e
raccogliere il popolo nella normale espressione della vita liturgica;
ad essa conservare e ravvivare la fede nella gente d'oggi; ad essa
fornirle la scuola della dottrina salvatrice di Cristo; ad essa
praticare nel sentimento e nell'opera l'umile carità delle opere
buone e fraterne»(98).
I Padri sinodali, dal canto loro,
hanno attentamente considerato l'attuale situazione di molte
parrocchie, sollecitando un loro più deciso rinnovamento : «Molte
parrocchie, sia in regioni urbanizzate sia in territorio missionario,
non possono funzionare con pienezza effettiva per la mancanza di mezzi
materiali o di uomini ordinati, o anche per l'eccessiva estensione
geografica e per la speciale condizione di alcuni cristiani (come, per
esempio, gli esuli e gli emigranti). Perché tutte queste parrocchie
siano veramente comunità cristiane, le autorità locali devono
favorire: a) l'adattamento delle strutture parrocchiali con la
flessibilità ampia concessa dal Diritto Canonico, soprattutto
promuovendo la partecipazione dei laici alle responsabilità
pastorali; b) le piccole comunità ecclesiali di base, dette
anche comunità vive, dove i fedeli possano comunicarsi a vicenda la
Parola di Dio ed esprimersi nel servizio e nell'amore; queste comunità
sono vere espressioni della comunione ecclesiale e centri di
evangelizzazione, in comunione con i loro Pastori»(99). Per il
rinnovamento delle parrocchie e per meglio assicurare la loro
efficacia operativa si devono favorire forme anche istituzionali di
cooperazione tra le diverse parrocchie di un medesimo territorio.
L'impegno apostolico nella
parrocchia
27. E' necessario ora considerare
più da vicino la comunione e la partecipazione dei fedeli laici alla
vita della parrocchia. In tal senso è da richiamarsi l'attenzione di
tutti i fedeli laici, uomini e donne, su di una parola tanto vera,
significativa e stimolante del Concilio: «All'interno delle comunità
della Chiesa _ leggiamo nel Decreto sull'apostolato dei laici _ la
loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso
apostolato dei pastori non può per lo più raggiungere la sua piena
efficacia»(100). E', questa, un'affermazione radicale, che dev'essere
evidentemente intesa nella luce della «ecclesiologia di comunione»:
essendo diversi e complementari, i ministeri e i carismi sono tutti
necessari alla crescita della Chiesa, ciascuno secondo la propria
modalità.
I fedeli laici devono essere
sempre più convinti del particolare significato che assume l'impegno
apostolico nella loro parrocchia. E' ancora il Concilio a rilevarlo
autorevolmente: «La parrocchia offre un luminoso esempio di
apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le differenze umane che
vi si trovano e inserendole nell'universalità della Chiesa. Si
abituino i laici a lavorare nella parrocchia intimamente uniti ai loro
sacerdoti, ad esporre alla comunità della Chiesa i propri problemi e
quelli del mondo e le questioni che riguardano la salvezza degli
uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti; a
dare, secondo le proprie possibilità, il loro contributo ad ogni
iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia
ecclesiastica»(101).
L'accenno conciliare all'esame e
alla risoluzione dei problemi pastorali «con il concorso di tutti»
deve trovare il suo adeguato e strutturato sviluppo nella
valorizzazione più convinta, ampia e decisa dei Consigli pastorali
parrocchiali, sui quali hanno giustamente insistito i Padri
sinodali(102).
Nelle circostanze attuali i fedeli
laici possono e devono fare moltissimo per la crescita di un'autentica
comunione ecclesiale all'interno delle loro parrocchie e per
ridestare lo slancio missionario verso i non credenti e verso
gli stessi credenti che hanno abbandonato o affievolito la pratica
della vita cristiana.
Se la parrocchia è la Chiesa
posta in mezzo alle case degli uomini, essa vive e opera profondamente
inserita nella società umana e intimamente solidale con le sue
aspirazioni e i suoi drammi. Spesso il contesto sociale, soprattutto
in certi paesi e ambienti, è violentemente scosso da forze di
disgregazione e di disumanizzazione: l'uomo è smarrito e
disorientato, ma nel cuore gli rimane sempre più il desiderio di
poter sperimentare e coltivare rapporti più fraterni e più umani La
risposta a tale desiderio può venire dalla parrocchia, quando questa,
con la viva partecipazione dei fedeli laici, rimane coerente alla sua
originaria vocazione e missione: essere nel mondo «luogo» della
comunione dei credenti e insieme «segno» e «strumento» della
vocazione di tutti alla comunione; in una parola, essere la casa
aperta a tutti e al servizio di tutti o, come amava dire il Papa
Giovanni XXIII, la fontana del villaggio alla quale tutti
ricorrono per la loro sete.
Forme di partecipazione
nella vita della Chiesa
28. I fedeli laici, unitamente ai
sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, formano l'unico Popolo di
Dio e Corpo di Cristo.
L'essere «membri» della Chiesa
nulla toglie al fatto che ciascun cristiano sia un essere «unico e
irripetibile», bensì garantisce e promuove il senso più profondo
della sua unicità e irripetibilità, in quanto fonte di varietà e di
ricchezza per l'intera Chiesa. In tal senso Dio in Gesù Cristo chiama
ciascuno col proprio inconfondibile nome. L'appello del Signore: «Andate
anche voi nella mia vigna» si rivolge a ciascuno personalmente e
suona: «Vieni anche tu nella mia vigna!».
Così ciascuno nella sua unicità
e irripetibilità, con il suo essere e con il suo agire, si pone al
servizio della crescita della comunione ecclesiale, come peraltro
singolarmente riceve e fa sua la comune ricchezza di tutta la Chiesa.
E' questa la «Comunione dei Santi», da noi professata nel Credo: il bene
di tutti diventa il bene di ciascuno e il bene di ciascuno diventa il
bene di tutti. «Nella santa Chiesa _ scrive San Gregorio Magno _
ognuno è sostegno degli altri e gli altri sono suo sostegno»(103).
Forme personali di
partecipazione
E' del tutto necessario che
ciascun fedele laico abbia sempre viva coscienza di essere un «membro
della Chiesa», al quale è affidato un compito originale
insostituibile e indelegabile, da svolgere per il bene di tutti. In
una simile prospettiva assume tutto il suo significato l'affermazione
conciliare circa l'assoluta necessità dell'apostolato della
singola persona: «L'apostolato che i singoli devono svolgere,
sgorgando abbondantemente dalla fonte di una vita veramente cristiana
(cf. Gv 4, 14), è la prima forma e la condizione di ogni
apostolato dei laici, anche di quello associato, ed è insostituibile.
A tale apostolato, sempre e dovunque proficuo, ma in certe circostanze
l'unico adatto e possibile, sono chiamati e obbligati tutti i laici,
di qualsiasi condizione, anche se manca loro l'occasione o la
possibilità di collaborare nelle associazioni»(104).
Nell'apostolato personale ci sono
grandi ricchezze che chiedono di essere scoperte per
un'intensificazione del dinamismo missionario di ciascun fedele laico.
Con tale forma di apostolato, l'irradiazione del Vangelo può farsi
quanto mai capillare, giungendo a tanti luoghi e ambienti
quanti sono quelli legati alla vita quotidiana e concreta dei laici.
Si tratta, inoltre, di un'irradiazione costante, essendo legata
alla continua coerenza della vita personale con la fede; come pure di
un'irradiazione particolarmente incisiva, perché, nella piena
condivisione delle condizioni di vita, del lavoro, delle difficoltà e
speranze dei fratelli, i fedeli laici possono giungere al cuore dei
loro vicini o amici o colleghi, aprendolo all'orizzonte totale, al
senso pieno dell'esistenza: la comunione con Dio e tra gli uomini.
Forme aggregative di
partecipazione
29. La comunione ecclesiale, già
presente e operante nell'azione della singola persona, trova una sua
specifica espressione nell'operare associato dei fedeli laici, ossia
nell'azione solidale da essi svolta nel partecipare responsabilmente
alla vita e alla missione della Chiesa.
In questi ultimi tempi il fenomeno
dell'aggregarsi dei laici tra loro è venuto ad assumere caratteri di
particolare varietà e vivacità. Se sempre nella storia della Chiesa
l'aggregarsi dei fedeli ha rappresentato in qualche modo una linea
costante, come testimoniano sino ad oggi le varie confraternite, i
terzi ordini e i diversi sodalizi, esso ha però ricevuto uno speciale
impulso nei tempi moderni, che hanno visto il nascere e il diffondersi
di molteplici forme aggregative: associazioni, gruppi, comunità,
movimenti. Possiamo parlare di una nuova stagione aggregativa dei
fedeli laici. Infatti, «accanto all'associazionismo tradizionale, e
talvolta alle sue stesse radici, sono germogliati movimenti e sodalizi
nuovi, con fisionomia e finalità specifiche: tanta è la ricchezza e
la versatilità delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto
ecclesiale, e tanta è pure la capacità d'iniziativa e la generosità
del nostro laicato»(105).
Queste aggregazioni di laici si
presentano spesso assai diverse le une dalle altre in vari
aspetti, come la configurazione esteriore, i cammini e metodi
educativi, e i campi operativi. Trovano però le linee di un'ampia e profonda
convergenza nella finalità che le anima: quella di partecipare
responsabilmente alla missione della Chiesa di portare il Vangelo di
Cristo come fonte di speranza per l'uomo e di rinnovamento per la
società.
L'aggregarsi dei fedeli laici per
motivi spirituali e apostolici scaturisce da più fonti e corrisponde
ad esigenze diverse: esprime, infatti, la natura sociale della persona
e obbedisce all'istanza di una più vasta ed incisiva efficacia
operativa. In realtà, l'incidenza «culturale», sorgente e stimolo
ma anche frutto e segno di ogni altra trasformazione dell'ambiente e
della società, può realizzarsi solo con l'opera non tanto dei
singoli quanto di un «soggetto sociale», ossia di un gruppo, di una
comunità, di un'associazione, di un movimento. Ciò è
particolarmente vero nel contesto della società pluralistica e
frantumata _ com'è quella attuale in tante parti del mondo _ e di
fronte a problemi divenuti enormemente complessi e difficili. D'altra
parte, soprattutto in un mondo secolarizzato, le varie forme
aggregative possono rappresentare per tanti un aiuto prezioso per una
vita cristiana coerente alle esigenze del Vangelo e per un impegno
missionario e apostolico.
Al di là di questi motivi, la
ragione profonda che giustifica ed esige l'aggregarsi dei fedeli laici
è di ordine teologico: è una ragione ecclesiologica, come
apertamente riconosce il Concilio Vaticano II che indica
nell'apostolato associato un «segno della comunione e dell'unità
della Chiesa in Cristo»(106).
E' un «segno» che deve
manifestarsi nei rapporti di «comunione» sia all'interno che
all'esterno delle varie forme aggregative nel più ampio contesto
della comunità cristiana. Proprio la ragione ecclesiologica indicata
spiega, da un lato il «diritto» di aggregazione proprio dei fedeli
laici, dall'altro lato la necessità di «criteri» di discernimento
circa l'autenticità ecclesiale delle loro forme aggregative.
E' anzitutto da riconoscersi la libertà
associativa dei fedeli laici nella Chiesa. Tale libertà è un
vero e proprio diritto che non deriva da una specie di «concessione»
dell'autorità, ma che scaturisce dal Battesimo, quale sacramento che
chiama i fedeli laici a partecipare attivamente alla comunione e alla
missione della Chiesa. Al riguardo è del tutto chiaro il Concilio: «Salva
la dovuta relazione con l'autorità ecclesiastica, i laici hanno il
diritto di creare e guidare associazioni e dare nome a quelle fondate»(107).
E il recente Codice testualmente afferma: «I fedeli hanno il diritto
di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un
fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano
l'incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il
diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali
finalità»(108).
Si tratta di una libertà
riconosciuta e garantita dall'autorità ecclesiastica e che dev'essere
esercitata sempre e solo nella comunione della Chiesa: in tal senso il
diritto dei fedeli laici ad aggregarsi è essenzialmente relativo alla
vita di comunione e alla missione della Chiesa stessa.
Criteri di ecclesialità per
le aggregazioni laicali
30. E' sempre nella prospettiva
della comunione e della missione della Chiesa, e dunque non in
contrasto con la libertà associativa, che si comprende la necessità
di criteri chiari e precisi di discernimento e di riconoscimento delle
aggregazioni laicali, detti anche «criteri di ecclesialità».
Come criteri fondamentali per il
discernimento di ogni e qualsiasi aggregazione dei fedeli laici nella
Chiesa si possono considerare, in modo unitario, i seguenti:
-Il primato dato alla vocazione
di ogni cristiano alla santità, manifestata «nei frutti della
grazia che lo Spirito produce nei fedeli»(109) come crescita verso la
pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità(110). In
tal senso ogni e qualsiasi aggregazione di fedeli laici è chiamata ad
essere sempre più strumento di santità nella Chiesa, favorendo e
incoraggiando «una più intima unità tra la vita pratica dei membri
e la loro fede»(111).
-La responsabilità di
confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità
su Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo in obbedienza al Magistero della
Chiesa, che autenticamente la interpreta. Per questo ogni aggregazione
di fedeli laici dev'essere luogo di annuncio e di proposta della fede
e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto.
-La testimonianza di una
comunione salda e convinta, in relazione filiale con il Papa,
perpetuo e visibile centro dell'unità della Chiesa universale(112), e
con il Vescovo «principio visibile e fondamento dell'unità»(113)
della Chiesa particolare, e nella «stima vicendevole fra tutte le
forme di apostolato nella Chiesa»(114).
La comunione con il Papa e con il
Vescovo è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad
accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali. La
comunione ecclesiale esige, inoltre, il riconoscimento della legittima
pluralità delle forme aggregative dei fedeli laici nella Chiesa e,
nello stesso tempo, la disponibilità alla loro reciproca
collaborazione.
- La conformità e la
partecipazione al fine apostolico della Chiesa, ossia «l'evangelizzazione
e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro
coscienza, in modo che riescano a permeare di spirito evangelico le
varie comunità e i vari ambienti»(115).
In questa prospettiva, da tutte le
forme aggregative di fedeli laici, e da ciascuna di esse, è richiesto
uno slancio missionario che le renda sempre più soggetti di una nuova
evangelizzazione.
- L'impegno di una presenza
nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della
Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell'uomo.
In tal senso le aggregazioni dei
fedeli laici devono diventare correnti vive di partecipazione e di
solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne
all'interno della società.
I criteri fondamentali ora esposti
trovano la loro verifica nei frutti concreti che accompagnano
la vita e le opere delle diverse forme associative quali: il gusto
rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e
sacramentale; l'animazione per il fiorire di vocazioni al matrimonio
cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata; la
disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della
Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale; l'impegno
catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani;
l'impulso a una presenza cristiana nei diversi ambienti della vita
sociale e la creazione e animazione di opere caritative, culturali e
spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più
generosa carità verso tutti; la conversione alla vita cristiana o il
ritorno alla comunione di battezzati «lontani».
Il servizio dei Pastori per
la comunione
31. I Pastori nella Chiesa, sia
pure di fronte a possibili e comprensibili difficoltà di alcune forme
aggregative e all'imporsi di nuove forme, non possono rinunciare al
servizio della loro autorità, non solo per il bene della Chiesa, ma
anche per il bene delle stesse aggregazioni laicali. In tal senso
devono accompagnare l'opera di discernimento con la guida e
soprattutto con l'incoraggiamento per una crescita delle aggregazioni
dei fedeli laici nella comunione e nella missione della Chiesa.
E' oltremodo opportuno che alcune
nuove associazioni e alcuni nuovi movimenti, per la loro diffusione
spesso nazionale o anche internazionale, abbiano a ricevere un riconoscimento
ufficiale, un'approvazione esplicita della competente autorità
ecclesiastica. In questo senso già il Concilio affermava: «L'apostolato
dei laici ammette certo vari tipi di rapporti con la Gerarchia secondo
le diverse forme e oggetti dell'apostolato stesso (...). Alcune forme
di apostolato dei laici vengono in vari modi esplicitamente
riconosciute dalla Gerarchia. L'autorità ecclesiastica, per le
esigenze del bene comune della Chiesa, fra le associazioni e
iniziative apostoliche aventi un fine immediatamente spirituale, può
inoltre sceglierne in modo particolare e promuoverne alcune per le
quali assume una speciale responsabilità»(116).
Tra le diverse forme apostoliche
dei laici che hanno un particolare rapporto con la Gerarchia i Padri
sinodali hanno esplicitamente ricordato vari movimenti e associazioni
di Azione Cattolica, in cui «i laici si associano liberamente
in forma organica e stabile, sotto la spinta dello Spirito Santo,
nella comunione con il Vescovo e con i sacerdoti, per poter servire,
nel modo proprio della loro vocazione, con un particolare metodo,
all'incremento di tutta la comunità cristiana, ai progetti pastorali
e all'animazione evangelica di tutti gli ambiti della vita, con fedeltà
e operosità»(117).
Il Pontificio Consiglio per i
Laici è incaricato di preparare un elenco delle associazioni che
ricevono l'approvazione ufficiale della Santa Sede e di definire,
insieme al Segretariato per l'Unione dei Cristiani, le condizioni in
base alle quali può essere approvata un'associazione ecumenica in cui
la maggioranza sia cattolica e una minoranza non cattolica, stabilendo
anche in quali casi non si può dare un giudizio positivo(118).
Tutti, Pastori e fedeli, siamo
obbligati a favorire e ad alimentare di continuo vincoli e rapporti
fraterni di stima, di cordialità, di collaborazione tra le varie
forme aggregative di laici. Solo così la ricchezza dei doni e dei
carismi che il Signore ci offre può portare il suo fecondo e ordinato
contributo all'edificazione della casa comune: «Per la solidale
edificazione della casa comune è necessario, inoltre, che sia deposto
ogni spirito di antagonismo e di contesa, e che si gareggi piuttosto
nello stimarsi a vicenda (cf. Rom 12, 10), nel prevenirsi
reciprocamente nell'affetto e nella volontà di collaborazione, con la
pazienza, la lungimiranza, la disponibilità al sacrificio che ciò
potrà talvolta comportare»(119).
Ritorniamo ancora una volta alle
parole di Gesù: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5),
per rendere grazie a Dio del grande dono della comunione
ecclesiale, riflesso nel tempo dell'eterna e ineffabile comunione
d'amore di Dio Uno e Trino. La coscienza del dono si deve accompagnare
ad un forte senso di responsabilità: è, infatti, un dono che,
come il talento evangelico, esige d'essere trafficato in una vita di
crescente comunione.
Essere responsabili del dono della
comunione significa, anzitutto, essere impegnati a vincere ogni
tentazione di divisione e di contrapposizione, che insidia la vita e
l'impegno apostolico dei cristiani. Il grido di dolore e di sconcerto
dell'apostolo Paolo: «Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice:
"Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo",
"E io di Cefa", "E io di Cristo!". Cristo è stato
forse diviso?» (1 Cor 1, 12-13 ) continua a suonare come
rimprovero per le «lacerazioni del Corpo di Cristo». Risuonino,
invece, come appello persuasivo queste altre parole dell'apostolo: «Vi
esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad
essere unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma
siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti» (1 Cor 1,
10).
Così la vita di comunione
ecclesiale diventa un segno per il mondo e una forza attrattiva
che conduce a credere in Cristo: «Come tu, Padre, sei in me e io in
te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che
tu mi hai mandato» (Gv 17, 21). In tal modo la comunione si
apre alla missione, si fa essa stessa missione.
CAPITOLO
III
VI
HO COSTITUITI PERCHÉ ANDIATE E PORTIATE FRUTTO
La corresponsabilità dei fedeli laici nella Chiesa-Missione
Comunione missionaria
32. Riprendiamo l'immagine biblica
della vite e dei tralci. Essa ci apre, in modo immediato e naturale,
alla considerazione della fecondità e della vita. Radicati e
vivificati dalla vite, i tralci sono chiamati a portare frutto: «Io
sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto
frutto» (Gv 15, 5). Portare frutto è un'esigenza essenziale
della vita cristiana ed ecclesiale. Chi non porta frutto non rimane
nella comunione: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, (il Padre
mio) lo toglie» (Gv 15, 2).
La comunione con Gesù, dalla
quale deriva la comunione dei cristiani tra loro, è condizione
assolutamente indispensabile per portare frutto: «Senza di me non
potete far nulla» (Gv 15, 5). E la comunione con gli altri è
il frutto più bello che i tralci possono dare: essa, infatti, è dono
di Cristo e del suo Spirito.
Ora la comunione genera
comunione, e si configura essenzialmente come comunione
missionaria. Gesù, infatti, dice ai suoi discepoli: «Non voi
avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché
andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv
15, 16).
La comunione e la missione sono
profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano
mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e
insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la
missione è per la comunione. E' sempre l'unico e identico Spirito
colui che convoca e unisce la Chiesa e colui che la manda a predicare
il Vangelo «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8).
Da parte sua, la Chiesa sa che la comunione, ricevuta in dono, ha una
destinazione universale. Così la Chiesa si sente debitrice all'umanità
intera e a ciascun uomo del dono ricevuto dallo Spirito che effonde
nei cuori dei credenti la carità di Gesù Cristo, prodigiosa forza di
coesione interna ed insieme di espansione esterna. La missione della
Chiesa deriva dalla sua stessa natura, così come Cristo l'ha voluta:
quella di «segno e strumento (...) di unità di tutto il genere umano»(120).
Tale missione ha lo scopo di far conoscere e di far vivere a tutti la
«nuova» comunione che nel Figlio di Dio fatto uomo è entrata nella
storia del mondo. In tal senso la testimonianza dell'evangelista
Giovanni definisce oramai in modo irrevocabile il termine beatificante
al quale punta l'intera missione della Chiesa: «Quello che abbiamo
veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate
in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio
suo Gesù Cristo» (1 Gv 1, 3).
Ora nel contesto della missione
della Chiesa il Signore affida ai fedeli laici, in comunione con
tutti gli altri membri del Popolo di Dio, una grande parte di
responsabilità. Ne erano pienamente consapevoli i Padri del
Concilio Vaticano II: «I sacri Pastori, infatti, sanno benissimo
quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non
essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la
missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del
mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di
riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti
concordemente cooperino, nella loro misura, all'opera comune»(121).
La loro consapevolezza è ritornata poi, con rinnovata chiarezza e con
vigore accresciuto, in tutti i lavori del Sinodo.
Annunciare il Vangelo
33. I fedeli laici, proprio perché
membri della Chiesa, hanno la vocazione e la missione di essere
annunciatori del Vangelo: per quest'opera sono abilitati e impegnati
dai sacramenti dell'iniziazione cristiana e dai doni dello Spirito
Santo.
Leggiamo in un testo limpido e
denso del Concilio Vaticano II: «In quanto partecipi dell'ufficio di
Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva
nella vita e nell'azione della Chiesa (...). Nutriti dell'attiva
partecipazione alla vita liturgica della propria comunità,
partecipano con sollecitudine alle opere apostoliche della medesima;
conducono alla Chiesa gli uomini che forse ne vivono lontani;
cooperano con dedizione nel comunicare la parola di Dio, specialmente
mediante l'insegnamento del catechismo; mettendo a disposizione la
loro competenza rendono più efficace la cura delle anime ed anche
l'amministrazione dei beni della Chiesa»(122).
Ora è nell' evangelizzazione che
si concentra e si dispiega l'intera missione della Chiesa, il cui
cammino storico si snoda sotto la grazia e il comando di Gesù Cristo:
«Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc
16, 15); «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine
del mondo» (Mt 28, 20). «Evangelizzare _ scrive Paolo VI _ è la
grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più
profonda»(123).
Dall'evangelizzazione la Chiesa
viene costruita e plasmata come comunità di fede: più
precisamente, come comunità di una fede confessata nell'adesione
alla Parola di Dio, celebrata nei sacramenti, vissuta nella
carità, quale anima dell'esistenza morale cristiana. Infatti, la «buona
novella» tende a suscitare nel cuore e nella vita dell'uomo la
conversione e l'adesione personale a Gesù Cristo Salvatore e Signore;
dispone al Battesimo e all'Eucaristia e si consolida nel proposito e
nella realizzazione della vita nuova secondo lo Spirito.
Certamente l'imperativo di Gesù:
«Andate e predicate il Vangelo» mantiene sempre vivo il suo valore
ed è carico di un'urgenza intramontabile. Tuttavia la situazione
attuale, non solo del mondo ma anche di tante parti della Chiesa, esige
assolutamente che la parola di Cristo riceva un'obbedienza più pronta
e generosa. Ogni discepolo è chiamato in prima persona; nessun
discepolo può sottrarsi nel dare la sua propria risposta: «Guai a
me, se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9, 16).
L'ora è venuta per
intraprendere una nuova evangelizzazione
34. Interi paesi e nazioni, dove
la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti e
capaci di dar origine a comunità di fede viva e operosa, sono ora
messi a dura prova, e talvolta sono persino radicalmente trasformati,
dal continuo diffondersi dell'indifferentismo, del secolarismo e
dell'ateismo. Si tratta, in particolare, dei paesi e delle nazioni del
cosiddetto Primo Mondo, nel quale il benessere economico e il
consumismo, anche se frammisti a paurose situazioni di povertà e di
miseria, ispirano e sostengono una vita vissuta «come se Dio non
esistesse». Ora l'indifferenza religiosa e la totale insignificanza
pratica di Dio per i problemi anche gravi della vita non sono meno
preoccupanti ed eversivi rispetto all'ateismo dichiarato. E anche la
fede cristiana, se pure sopravvive in alcune sue manifestazioni
tradizionali e ritualistiche, tende ad essere sradicata dai momenti più
significativi dell'esistenza, quali sono i momenti del nascere, del
soffrire e del morire. Di qui l'imporsi di interrogativi e di enigmi
formidabili che, rimanendo senza risposta, espongono l'uomo
contemporaneo alla delusione sconsolata o alla tentazione di eliminare
la stessa vita umana che quei problemi pone.
In altre regioni o nazioni,
invece, si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di
religiosità popolare cristiana; ma questo patrimonio morale e
spirituale rischia oggi d'essere disperso sotto l'impatto di
molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la
diffusione delle sette. Solo una nuova evangelizzazione può
assicurare la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare
di queste tradizioni una forza di autentica libertà.
Certamente urge dovunque rifare il
tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si
rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che
vivono in questi paesi e in queste nazioni.
Ora i fedeli laici, in forza della
loro partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, sono pienamente
coinvolti in questo compito della Chiesa. Ad essi tocca, in
particolare, testimoniare come la fede cristiana costituisca l'unica
risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti
percepita e invocata, dei problemi e delle speranze che la vita pone
ad ogni uomo e ad ogni società. Ciò sarà possibile se i fedeli
laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la
vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul
lavoro e nella società, l'unità d'una vita che nel Vangelo trova
ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza.
A tutti gli uomini contemporanei
ripeto, ancora una volta, il grido appassionato con il quale ho
iniziato il mio servizio pastorale: «Non abbiate paura! Aprite,
anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla Sua salvatrice potestà
aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli
politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non
abbiate paura! Cristo sa "cosa è dentro l'uomo". Solo Lui
lo sa! Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel
profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è in certo del
senso della sua vita su questa terra. E' invaso dal dubbio che si
tramuta in disperazione. Permettete, quindi _ vi prego, vi imploro con
umiltà e con fiducia _ permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo
Lui ha parole di vita, sì! di vita eterna»(124).
Spalancare le porte a Cristo,
accoglierlo nello spazio della propria umanità non è affatto una
minaccia per l'uomo, bensì è l'unica strada da percorrere se si
vuole riconoscere l'uomo nell'intera sua verità ed esaltarlo nei suoi
valori.
Sarà la sintesi vitale che i
fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani
della vita la più splendida e convincente testimonianza che, non la
paura, ma la ricerca e l'adesione a Cristo sono il fattore
determinante perché l'uomo viva e cresca, e perché si costituiscano
nuovi modi di vivere più conformi alla dignità umana.
L'uomo è amato da Dio! E'
questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è
debitrice all'uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e
devono far risuonare questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per
te, per te Cristo è «Via, Verità, Vita!» (Gv 14, 6).
Questa nuova evangelizzazione,
rivolta non solo alle singole persone ma anche ad intere fasce di
popolazioni nelle loro varie situazioni, ambienti e culture, è
destinata alla formazione dicomunità ecclesiali mature, nelle
quali cioè la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originario
significato di adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo, di
incontro e di comunione sacramentale con Lui, di esistenza vissuta
nella carità e nel servizio.
I fedeli laici hanno la loro parte
da compiere nella formazione di simili comunità ecclesiali, non solo
con una partecipazione attiva e responsabile nella vita comunitaria, e
pertanto con la loro insostituibile testimonianza, ma anche con lo
slancio e l'azione missionaria verso quanti ancora non credono o non
vivono più la fede ricevuta con il Battesimo.
In rapporto alle nuove generazioni
un contributo prezioso, quanto mai necessario, deve essere offerto dai
fedeli laici con una sistematica opera di catechesi. I Padri
sinodali hanno accolto con gratitudine il lavoro dei catechisti,
riconoscendo che essi «hanno un compito di grande peso
nell'animazione delle comunità ecclesiali»(125). Certamente i
genitori cristiani sono i primi e insostituibili catechisti dei loro
figli, a ciò abilitati dal sacramento del Matrimonio; nello stesso
tempo però dobbiamo essere tutti coscienti del «diritto» che ogni
battezzato ha di venire istruito, educato, accompagnato nella fede e
nella vita cristiana.
Andate in tutto il mondo
35. La Chiesa, mentre avverte e
vive l'urgenza attuale di una nuova evangelizzazione, non può
sottrarsi alla missione permanente di portare il Vangelo a quanti _
e sono milioni e milioni di uomini e di donne _ ancora non
conoscono Cristo Redentore dell'uomo. E' questo il compito più
specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente
riaffida alla sua Chiesa.
L'opera dei fedeli laici, che
peraltro non è mai mancata in questo ambito, si rivela oggi sempre più
necessaria e preziosa. In realtà, il comando del Signore «Andate in
tutto il mondo» continua a trovare molti laici generosi, pronti a
lasciare il loro ambiente di vita, il loro lavoro, la loro regione o
patria per recarsi, almeno per un determinato tempo, in zone di
missione. Anche coppie di sposi cristiani, a imitazione di Aquila e
Priscilla (cf. At 18; Rom 16, 3 s), vanno offrendo una
confortante testimonianza di amore appassionato a Cristo e alla Chiesa
mediante la loro presenza operosa nelle terre di missione. Autentica
presenza missionaria è anche quella di coloro che, vivendo per vari
motivi in paesi o ambienti dove la Chiesa non è ancora stabilita,
testimoniano la loro fede.
Ma il problema missionario si
presenta attualmente alla Chiesa con un'ampiezza e con una gravità
tali che solo un'assunzione veramente solidale di responsabilità da
parte di tutti i membri della Chiesa, sia come singoli sia come
comunità, può far sperare in una risposta più efficace.
L'invito che il Concilio Vaticano
II ha rivolto alle Chiese particolari conserva tutto il suo valore,
anzi esige oggi un'accoglienza più generalizzata e più decisa: «La
Chiesa particolare, dovendo rappresentare nel modo più perfetto la
Chiesa universale, abbia la piena coscienza di essere inviata anche a
coloro che non credono in Cristo»(126).
La Chiesa deve fare oggi un
grande passo in avanti nella sua evangelizzazione, deve entrare in
una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario. In un
mondo che con il crollare delle distanze si fa sempre più piccolo, le
comunità ecclesiali devono collegarsi tra loro, scambiarsi energie e
mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione di annunciare e
di vivere il Vangelo. «Le Chiese cosiddette più giovani _ hanno
detto i Padri sinodali _ abbisognano della forza di quelle antiche,
mentre queste hanno bisogno della testimonianza e della spinta delle
più giovani, in modo che le singole Chiese attingano dalle ricchezze
delle altre Chiese»(127).
In questa nuova tappa, la
formazione non solo del clero locale ma anche di un laicato maturo e
responsabile si pone nelle giovani Chiese come elemento essenziale e
irrinunciabile della plantatio Ecclesiae(128). In tal modo le
stesse comunità evangelizzate si slanciano verso nuove contrade del
mondo per rispondere anch'esse alla missione di annunciare e
testimoniare il Vangelo di Cristo.
I fedeli laici, con l'esempio
della loro vita e con la propria azione, possono favorire il
miglioramento dei rapporti tra i seguaci delle diverse religioni, come
hanno opportunamente rilevato i Padri sinodali: «Oggi la Chiesa vive
dappertutto in mezzo a uomini di religioni diverse (...). Tutti i
fedeli, specialmente i laici che vivono in mezzo ai popoli di altre
religioni, sia nelle regioni di origine, sia in terre di emigrazione,
debbono essere per costoro un segno del Signore e della sua Chiesa, in
modo adatto alle circostanze di vita di ciascun luogo. Il dialogo tra
le religioni ha un'importanza preminente perché conduce all'amore e
al rispetto reciproco, elimina, o almeno diminuisce, i pregiudizi tra
i seguaci delle diverse religioni e promuove l'unità e l'amicizia tra
i popoli»(129).
Per l'evangelizzazione del mondo
occorrono, anzitutto, gli evangelizzatori. Per questo tutti, a
cominciare dalle famiglie cristiane, dobbiamo sentire la responsabilità
di favorire il sorgere e il maturare di vocazioni specificamente
missionarie, sia sacerdotali e religiose sia laicali, ricorrendo
ad ogni mezzo opportuno, senza mai trascurare il mezzo privilegiato
della preghiera, secondo la parola stessa del Signore Gesù: «La
messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone
della messe che mandi operai nella sua messe!» (Mt 9, 37-38).
Vivere il Vangelo servendo
la persona e la società
36. Accogliendo e annunciando il
Vangelo nella forza dello Spirito la Chiesa diviene comunità
evangelizzata ed evangelizzante e proprio per questo si fa serva
degli uomini. In essa i fedeli laici partecipano alla missione di
servire la persona e la società. Certamente la Chiesa ha come supremo
fine il Regno di Dio, del quale «costituisce in terra il germe e
l'inizio»(130), ed è quindi totalmente consacrata alla
glorificazione del Padre. Ma il Regno è fonte di liberazione piena e
di salvezza totale per gli uomini: con questi, allora, la Chiesa
cammina e vive, realmente e intimamente solidale con la loro storia.
Avendo ricevuto l'incarico di
manifestare al mondo il mistero di Dio che splende in Cristo Gesù, al
tempo stesso la Chiesa svela l'uomo all'uomo, gli fa noto il
senso della sua esistenza, lo apre alla verità intera su di sé e sul
suo destino(131). In questa prospettiva la Chiesa è chiamata, in
forza della sua stessa missione evangelizatrice, a servire l'uomo.
Tale servizio si radica primariamente nel fatto prodigioso e
sconvolgente che «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in
certo modo a ogni uomo»(132).
Per questo l'uomo «è la prima
strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua
missione: egli è la prima fondamentale via della Chiesa, via
tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il
mistero dell'Incarnazione e della Redenzione»(133).
Proprio in questo senso si è
espresso, ripetutamente e con singolare chiarezza e forza, il Concilio
Vaticano II nei suoi diversi documenti. Rileggiamo un testo
particolarmente illuminante della Costituzione Gaudium et spes: «La
Chiesa, certo, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo
comunica all'uomo la vita divina, ma anche diffonde la sua luce con
ripercussione, in qualche modo, su tutto il mondo, soprattutto per il
fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida
la compagine dell'umana società, e immette nel lavoro quotidiano
degli uomini un più profondo senso e significato. Così la Chiesa,
con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede
di poter contribuire molto a rendere più umana la famiglia degli
uomini e la sua storia»(134).
In questo contributo alla famiglia
degli uomini, del quale è responsabile l'intera Chiesa, un posto
particolare compete ai fedeli laici, in ragione della loro «indole
secolare», che li impegna, con modalità proprie e insostituibili,
nell'animazione cristiana dell'ordine temporale.
Promuovere la dignità della
persona
37. Riscoprire e far riscoprire
la dignità inviolabile di ogni persona umana costituisce un
compito essenziale, anzi, in un certo senso, il compito centrale e
unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli laici sono
chiamati a rendere alla famiglia degli uomini.
Tra tutte le creature terrene, solo
l'uomo è «persona», soggetto cosciente e libero e, proprio per
questo, «centro e vertice» di tutto quanto esiste sulla terra(135).
La dignità personale è il
bene più prezioso che l'uomo possiede, grazie al quale egli
trascende in valore tutto il mondo materiale. La parola di Gesù: «Che
giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria
anima?» (Mc 8, 36) implica una luminosa e stimolante
affermazione antropologica: l'uomo vale non per quello che «ha» _
possedesse pure il mondo intero! _ , quanto per quello che «è».
Contano non tanto i beni del mondo, quanto il bene della persona, il
bene che è la persona stessa.
La dignità della persona
manifesta tutto il suo fulgore quando se ne considerano l'origine e la
destinazione: creato da Dio a sua immagine e somiglianza e redento dal
sangue preziosissimo di Cristo, l'uomo è chiamato ad essere «figlio
nel Figlio» e tempio vivo dello Spirito, ed è destinato all'eterna
vita di comunione beatificante con Dio. Per questo ogni violazione
della dignità personale dell'essere umano grida vendetta al cospetto
di Dio e si configura come offesa al Creatore dell'uomo.
In forza della sua dignità
personale l'essere umano è sempre un valore in sé e per sé, e
come tale esige d'essere considerato e trattato, mai invece può
essere considerato e trattato come un oggetto utilizzabile, uno
strumento, una cosa.
La dignità personale costituisce
il fondamento dell'eguaglianza di tutti gli uomini tra loro. Di
qui l'assoluta inaccettabilità di tutte le più svariate forme di
discriminazione che, purtroppo, continuano a dividere e a umiliare la
famiglia umana, da quelle razziali ed economiche a quelle sociali e
culturali, da quelle politiche a quelle geografiche, ecc. Ogni
discriminazione costituisce un'ingiustizia del tutto intollerabile,
non tanto per le tensioni e per i conflitti ch'essa può generare nel
tessuto sociale, quanto per il disonore inferto alla dignità della
persona: non solo alla dignità di chi è vittima dell'ingiustizia, ma
ancor più di chi quell'ingiustizia compie.
Fondamento dell'uguaglianza di
tutti gli uomini tra loro, la dignità personale è anche il fondamento
della partecipazione e della solidarietà degli uomini tra loro: il
dialogo e la comunione si radicano ultimamente su ciò che gli uomini
«sono», prima e più ancora che su quanto essi «hanno».
La dignità personale è proprietà
indistruttibile di ogni essere umano. E' fondamentale avvertire
tutta la forza dirompente di questa affermazione, che si basa sull'unicità
e sull'irripetibilità di ogni persona. Ne deriva che
l'individuo è assolutamente irriducibile a tutto ciò che lo vorrebbe
schiacciare e annullare nell'anonimato della collettività,
dell'istituzione, della struttura, del sistema. La persona, nella sua
individualità, non è un numero, non è un anello d'una catena, né
un ingranaggio di un sistema. L'affermazione più radicale ed
esaltante del valore di ogni essere umano è stata fatta dal Figlio di
Dio nel suo incarnarsi nel seno d'una donna. Anche di questo continua
a parlarci il Natale cristiano(136).
Venerare l'inviolabile
diritto alla vita
38. Il riconoscimento effettivo
della dignità personale di ogni essere umano esige il rispetto, la
difesa e la promozione dei diritti della persona umana. Si tratta
di diritti naturali, universali e inviolabili: nessuno, né il
singolo, né il gruppo, né l'autorità, né lo Stato, li può
modificare né tanto meno li può eliminare, perché tali diritti
provengono da Dio stesso.
Ora l'inviolabilità della
persona, riflesso dell'assoluta inviolabilità di Dio stesso, trova la
sua prima e fondamentale espressione nell'inviolabilità della vita
umana. E' del tutto falso e illusorio il comune discorso, che
peraltro giustamente viene fatto, sui diritti umani _ come ad esempio
sul diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia e alla
cultura _ se non si difende con la massima risolutezza il diritto
alla vita, quale diritto primo e fontale, condizione per tutti gli
altri diritti della persona.
La Chiesa non si è mai data per
vinta di fronte a tutte le violazioni che il diritto alla vita,
proprio di ogni essere umano, ha ricevuto e continua a ricevere sia
dai singoli sia dalle stesse autorità. Titolare di tale diritto è
l'essere umano in ogni fase del suo sviluppo, dal concepimento
sino alla morte naturale; e in ogni sua condizione, sia essa di
salute o di malattia, di perfezione o di handicap, di ricchezza o di
miseria. Il Concilio Vaticano II proclama apertamente: «Tutto ciò
che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il
genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario;
tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le
mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per
violentare l'intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità
umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni
arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il
mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni
di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici
strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte
queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e, mentre
guastano la civiltà umana, ancor più inquinano coloro che così si
comportano, che non quelli che le subiscono; e ledono grandemente
l'onore del Creatore»(137).
Ora se di tutti sono la missione e
la responsabilità di riconoscere la dignità personale di ogni essere
umano e di difenderne il diritto alla vita, alcuni fedeli laici vi
sono chiamati ad un titolo particolare: tali sono i genitori, gli
educatori, gli operatori della salute, e quanti detengono il potere
economico e politico.
Nell'accoglienza amorosa e
generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole o malata, la Chiesa
vive oggi un momento fondamentale della sua missione, tanto più
necessaria quanto più dominante si è fatta una «cultura di morte».
Infatti «la Chiesa fermamente crede che la vita umana, anche se
debole e sofferente, è sempre uno splendido dono del Dio della bontà.
Contro il pessimismo e l'egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta
dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo
splendore di quel "Sì", di quell' "Amen", che è
Cristo stesso (cf. 2 Cor 1, 19; Ap 3, 14). Al
"no" che invade e affligge il mondo, contrappone questo
vivente "Sì", difendendo in tal modo l'uomo e il mondo da
quanti insidiano e mortificano la vita»(138). Tocca ai fedeli laici,
che più direttamente o per vocazione o per professione sono coinvolti
nell'accoglienza della vita, rendere concreto ed efficace il «sì»
della Chiesa alla vita umana.
Sulle frontiere della vita umana
possibilità e responsabilità nuove si sono oggi spalancate con
l'enorme sviluppo delle scienze biologiche e mediche, unitamente
al sorprendente potere tecnologico: l'uomo, infatti, è in
grado oggi non solo di «osservare», ma anche di «manipolare» la
vita umana nello stesso suo inizio e nei suoi primi stadi di sviluppo.
La coscienza morale dell'umanità
non può rimanere estranea o indifferente di fronte ai passi
giganteschi compiuti da una potenza tecnologica che acquista un
dominio sempre più vasto e profondo sui dinamismi che presiedono alla
procreazione e alle prime fasi dello sviluppo della vita umana. Forse
non mai come oggi e in questo campo la sapienza si dimostra l'unica
àncora di salvezza, perché l'uomo nella ricerca scientifica e in
quella applicata possa agire sempre con intelligenza e con amore,
ossia rispettando, anzi venerando l'inviolabile dignità personale di
ogni essere umano, sin dal primo istante della sua esistenza. Ciò
avviene quando con mezzi leciti, la scienza e la tecnica si impegnano
nella difesa della vita e nella cura della malattia sin dagli inizi,
rifiutando invece _ per la dignità stessa della ricerca _ interventi
che risultano alterativi del patrimonio genetico dell'individuo e
della generazione umana(139).
I fedeli laici, a vario titolo e a
diverso livello impegnati nella scienza e nella tecnica, come pure
nell'ambito medico, sociale, legislativo ed economico devono coraggiosamente
accettare le «sfide» poste dai nuovi problemi della bioetica. Come
hanno detto i Padri sinodali, «i cristiani debbono esercitare la loro
responsabilità come padroni della scienza e della tecnologia, non
come servi di essa (...). Nella prospettiva di quelle «sfide»
morali, che stanno per essere provocate dalla nuova e immensa potenza
tecnologica e che mettono in pericolo non solo i diritti fondamentali
degli uomini, ma la stessa essenza biologica della specie umana, è
della massima importanza che i laici cristiani _ con l'aiuto di tutta
la Chiesa _ si prendano a carico di richiamare la cultura ai principi
di un autentico umanesimo, affinché la promozione e la difesa dei
diritti dell'uomo possano trovare fondamento dinamico e sicuro nella
stessa sua essenza, quella essenza che la predicazione evangelica ha
rivelato agli uomini»(140).
Urge oggi, da parte di tutti, la
massima vigilanza di fronte al fenomeno della concentrazione del
potere, e in primo luogo di quello tecnologico. Tale concentrazione,
infatti, tende a manipolare non solo l'essenza biologica ma anche i
contenuti della stessa coscienza degli uomini e i loro modelli di
vita, aggravando in tal modo la discriminazione e l'emarginazione di
interi popoli.
Liberi di invocare il Nome
del Signore
39. Il rispetto della dignità
personale, che comporta la difesa e la promozione dei diritti umani,
esige il riconoscimento della dimensione religiosa dell'uomo. Non è,
questa, un'esigenza semplicemente «confessionale», bensì
un'esigenza che trova la sua radice inestirpabile nella realtà stessa
dell'uomo. Il rapporto con Dio, infatti, è elemento costitutivo dello
stesso «essere» ed «esistere» dell'uomo: è in Dio che noi «viviamo,
ci muoviamo ed esistiamo» (At 17, 28). Se non tutti credono a
tale verità, quanti ne sono convinti hanno il diritto di essere
rispettati nella loro fede e nelle scelte di vita, individuale e
comunitaria, che da essa derivano. E' questo il diritto alla libertà
di coscienza e alla libertà religiosa, il cui riconoscimento
effettivo è tra i beni più alti e tra i doveri più gravi di ogni
popolo che voglia veramente assicurare il bene della persona e della
società: «La libertà religiosa, esigenza insopprimibile della
dignità di ogni uomo, è una pietra angolare dell'edificio dei
diritti umani e, pertanto, è un fattore insostituibile del bene delle
persone e di tutta la società, così come della propria realizzazione
di ciascuno. Ne consegue che la libertà dei singoli e delle comunità
di professare e di praticare la propria religione è un elemento
essenziale della pacifica convivenza degli uomini (...): Il diritto
civile e sociale alla libertà religiosa, in quanto attinge la sfera
più intima dello spirito, si rivela punto di riferimento e, in certo
modo, diviene misura degli altri diritti fondamentali»(141).
Il Sinodo non ha dimenticato i
tanti fratelIi e sorelle che ancora non godono di tale diritto e che
devono affrontare disagi, emarginazioni, sofferenze, persecuzioni, e
talvolta la morte a causa della confessione della fede. Nella
maggioranza sono fratelli e sorelle del laicato cristiano. L'annuncio
del Vangelo e la testimonianza cristiana della vita nella sofferenza e
nel martirio costituiscono l'apice dell'apostolato dei discepoli di
Cristo, così come l'amore al Signore Gesù sino al dono della propria
vita costituisce una sorgente di fecondità straordinaria per
l'edificazione della Chiesa. La mistica vite testimonia così la sua
rigogliosità, come rilevava Sant'Agostino: «Ma quella vite, com'era
stato preannunciato dai Profeti e dallo stesso Signore, che diffondeva
in tutto il mondo i suoi tralci fruttuosi, tanto più diveniva
rigogliosa quanto più era irrigata dal molto sangue dei martiri»(142).
La Chiesa tutta è profondamente
grata per questo esempio e per questo dono: da questi suoi figli essa
trae motivo per rinnovare il suo slancio di vita santa e apostolica.
In tal senso i Padri sinodali hanno ritenuto loro speciale dovere «ringraziare
quei laici i quali vivono come instancabili testimoni della fede, in
fedele unione con la Sede Apostolica, nonostante le restrizioni della
libertà e la privazione dei ministri sacri. Essi si giocano tutto,
perfino la vita. I laici in questo modo danno testimonianza di una
proprietà essenziale della Chiesa: la Chiesa di Dio nasce dalla
grazia di Dio e ciò si manifesta nel modo più sublime nel martirio»(143).
Quanto abbiamo sinora detto sul
rispetto della dignità personale e sul riconoscimento dei diritti
umani riguarda senza dubbio la responsabilità di ciascun cristiano,
di ciascun uomo. Ma dobbiamo immediatamente rilevare come tale
problema rivesta oggi una dimensione mondiale: è, infatti, una
questione che investe oramai interi gruppi umani, anzi interi popoli
che sono violentemente vilipesi nei loro fondamentali diritti. Di qui
quelle forme di disuguaglianza dello sviluppo tra i diversi Mondi che
nella recente Enciclica Sollicitudo rei socialis sono state
apertamente denunciate.
Il rispetto della persona umana va
oltre la esigenza di una morale individuale e si pone come criterio
basilare, quasi pilastro fondamentale, per la strutturazione della
società stessa, essendo la società finalizzata interamente alla
persona.
Così, intimamente congiunta alla
responsabilità di servire la persona, si pone la responsabilità
di servire la società, quale compito generale di quella
animazione cristiana dell'ordine temporale alla quale i fedeli laici
sono chiamati secondo loro proprie e specifiche modalità.
La famiglia, primo spazio
per l'impegno sociale
40. La persona umana ha una nativa
e strutturale dimensione sociale in quanto è chiamata dall'intimo di
sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli
altri: «Dio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che gli uomini
formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro con animo di
fratelli»(144). E così la società, frutto e segno della socialità
dell'uomo, rivela la sua piena verità nell'essere una comunità
di persone.
Si dà interdipendenza e
reciprocità tra persona e società: tutto ciò che viene compiuto a
favore della persona è anche un servizio reso alla società, e tutto
ciò che viene compiuto a favore della società si risolve a beneficio
della persona. Per questo l'impegno apostolico dei fedeli laici
nell'ordine temporale riveste sempre e in modo inscindibile il
significato del servizio all'uomo singolo nella sua unicità e
irripetibilità e il significato del servizio a tutti gli uomini.
Ora la prima e originaria
espressione della dimensione sociale della persona è la coppia e
la famiglia: «Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da
principio "uomo e donna li creò" (Gen 1, 27) e la
loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone»(145).
Gesù si è preoccupato di restituire alla coppia l'intera sua dignità
e alla famiglia la saldezza sua propria (cf. Mt 19, 3-9); San
Paolo ha mostrato il rapporto profondo del matrimonio con il mistero
di Cristo e della Chiesa (cf. Ef 5, 22-6, 4; Col 3, 18-21;
1 Pt 3, 1-7).
La coppia e la famiglia
costituiscono il primo spazio per l'impegno sociale dei fedeli
laici. E' un impegno che può essere assolto adeguatamente solo
nella convinzione del valore unico e insostituibile della famiglia per
lo sviluppo della società e della stessa Chiesa.
Culla della vita e dell'amore,
nella quale l'uomo «nasce» e «cresce», la famiglia è la cellula
fondamentale della società. A questa comunità è da riservarsi una
privilegiata sollecitudine, soprattutto ogniqualvolta l'egoismo umano,
le campagne antinataliste, le politiche totalitarie, ma anche le
situazioni di povertà e di miseria fisica, culturale e morale, nonché
la mentalità edonistica e consumistica fanno disseccare le sorgenti
della vita, mentre le ideologie e i diversi sistemi, insieme a forme
di disinteresse e di disamore, attentano alla funzione educativa
propria della famiglia.
Urge così un'opera vasta,
profonda e sistematica, sostenuta non solo dalla cultura ma anche dai
mezzi economici e dagli strumenti legislativi, destinata ad assicurare
alla famiglia il suo compito di essere il luogo primario della «umanizzazione»
della persona e della società.
L'impegno apostolico dei fedeli
laici è anzitutto quello di rendere la famiglia cosciente della sua
identità di primo nucleo sociale di base e del suo originale ruolo
nella società, perché divenga essa stessa sempre più protagonista
attiva e responsabile della propria crescita e della propria
partecipazione alla vita sociale. In tal modo la famiglia potrà e
dovrà esigere da tutti, a cominciare dalle autorità pubbliche, il
rispetto di quei diritti che, salvando la famiglia, salvano la società
stessa.
Quanto è scritto nell'Esortazione
Familiaris consortio circa la partecipazione allo sviluppo
della società(146) e quanto la Santa Sede, su invito del Sinodo dei
Vescovi del 1980, ha formulato con la «Carta dei Diritti della
Famiglia» rappresentano un programma operativo completo e organico
per tutti quei fedeli laici che, a diverso titolo, sono interessati
alla promozione dei valori e delle esigenze della famiglia: un
programma la cui realizzazione è da urgere con tanta maggior
tempestività e decisione quanto più gravi si fanno le minacce alla
stabilità e alla fecondità della famiglia e quanto più pesante e
sistematico si fa il tentativo di emarginare la famiglia e di
vanificarne il peso sociale.
Come l'esperienza attesta, la
civiltà e la saldezza dei popoli dipendono soprattutto dalla qualità
umana delle loro famiglie. Per questo l'impegno apostolico verso la
famiglia acquista un incomparabile valore sociale. La Chiesa, da parte
sua, ne è profondamente convinta, ben sapendo che «l'avvenire
dell'umanità passa attraverso la famiglia»(147).
La carità anima e sostegno
della solidarietà
41. Il servizio alla società si
esprime e si realizza in diversissime modalità: da quelle libere e
informali a quelle istituzionali, dall'aiuto dato ai singoli a quello
rivolto a vari gruppi e comunità di persone.
Tutta la Chiesa come tale è
direttamente chiamata al servizio della carità: «La santa Chiesa,
come nelle sue origini unendo l'agape con la Cena Eucaristica
si manifestava tutta unita nel vincolo della carità attorno a Cristo,
così, in ogni tempo, si riconosce da questo contrassegno della carità
e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità
come suo dovere e diritto inalienabile. Perciò la misericordia verso
i poveri e gli infermi come pure le cosiddette opere caritative e di
mutuo aiuto, destinate ad alleviare le necessità umane di ogni
genere, sono tenute dalla Chiesa in particolare onore»(148). La
carità verso il prossimo, nelle forme antiche e sempre nuove
delle opere di misericordia corporale e spirituale, rappresenta il
contenuto più immediato, comune e abituale di quell'animazione
cristiana dell'ordine temporale che costituisce l'impegno specifico
dei fedeli laici.
Con la carità verso il prossimo i
fedeli laici vivono e manifestano la loro partecipazione alla regalità
di Gesù Cristo, al potere cioè del Figlio dell'uomo che «non è
venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10, 45): essi
vivono e manifestano tale regalità nel modo più semplice, possibile
a tutti e sempre, ed insieme nel modo più esaltante, perché la carità
è il più alto dono che lo Spirito offre per l'edificazione della
Chiesa (cf. 1 Cor 13, 13) e per il bene dell'umanità. La
carità, infatti, anima e sostiene un'operosa solidarietà
attenta alla totalità dei bisogni dell'essere umano.
Una simile carità, attuata non
solo dai singoli ma anche in modo solidale dai gruppi e dalle comunità,
è e sarà sempre necessaria: niente e nessuno la può e la potrà
sostituire, neppure le molteplici istituzioni e iniziative pubbliche,
che pure si sforzano di dare risposta ai bisogni _ spesso oggi così
gravi e diffusi _ d'una popolazione. Paradossalmente tale carità si
fa più necessaria quanto più le istituzioni, diventando complesse
nell'organizzazione e pretendendo di gestire ogni spazio disponibile,
finiscono per essere rovinate dal funzionalismo impersonale,
dall'esagerata burocrazia, dagli ingiusti interessi privati, dal
disimpegno facile e generalizzato.
Proprio in questo contesto
continuano a sorgere e a diffondersi, in particolare nelle società
organizzate, varie forme di volontariato che si esprimono in
una molteplicità di servizi e di opere. Se vissuto nella sua verità
di servizio disinteressato al bene delle persone, specialmente le più
bisognose e le più dimenticate dagli stessi servizi sociali, il
volontariato deve dirsi una espressione importante di apostolato, nel
quale i fedeli laici, uomini e donne, hanno un ruolo di primo piano.
Tutti destinatari e
protagonisti della politica
42. La carità che ama e serve la
persona non può mai essere disgiunta dalla giustizia: e l'una
e l'altra, ciascuna a suo modo, esigono il pieno riconoscimento
effettivo dei diritti della persona, alla quale è ordinata la società
con tutte le sue strutture ed istituzioni(149).
Per animare cristianamente
l'ordine temporale, nel senso detto di servire la persona e la società,
i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione
alla «politica», ossia alla molteplice e varia azione economica,
sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a
promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Come
ripetutamente hanno affermato i Padri sinodali, tutti e ciascuno hanno
diritto e dovere di partecipare alla politica, sia pure con diversità
e complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità. Le
accuse di arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo e di
corruzione che non infrequentemente vengono rivolte agli uomini del
governo, del parlamento, della classe dominante, del partito politico;
come pure l'opinione non poco diffusa che la politica sia un luogo di
necessario pericolo morale, non giustificano minimamente né lo
scetticismo né l'assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica.
E', invece, quanto mai
significativa la parola del Concilio Vaticano II: «La Chiesa stima
degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che per servire
gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso
delle relative responsabilità»(150).
Una politica per la persona e per
la società trova il suo criterio basilare nel perseguimento
del bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto
l'uomo, bene offerto e garantito alla libera e responsabile
accoglienza delle persone, sia singole che associate: «La comunità
politica _ leggiamo nella Costituzione Gaudium et spes _ esiste
proprio in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova piena
giustificazione e significato e dal quale ricava il suo ordinamento
giuridico, originario e proprio. Il bene comune si concreta
nell'insieme di quelle condizioni della vita sociale, con le quali gli
uomini, le famiglie e le associazioni possono ottenere il
conseguimento più pieno della propria perfezione»(151).
Inoltre, una politica per la
persona e per la società trova la sua linea costante di cammino nella
difesa e nella promozione della giustizia, intesa come
«virtù» alla quale tutti devono essere educati e come «forza»
morale che sostiene l'impegno a favorire i diritti e i doveri di tutti
e di ciascuno, sulla base della dignità personale dell'essere umano.
Nell'esercizio del potere politico
è fondamentale lo spirito di servizio, che solo, unitamente
alla necessaria competenza ed efficienza, può rendere «trasparente»
o «pulita» l'attività degli uomini politici, come del resto la
gente giustamente esige. Ciò sollecita la lotta aperta e il deciso
superamento di alcune tentazioni, quali il ricorso alla slealtà e
alla menzogna, lo sperpero del pubblico denaro per il tornaconto di
alcuni pochi e con intenti clientelari, l'uso di mezzi equivoci o
illeciti per conquistare, mantenere e aumentare ad ogni costo il
potere.
I fedeli laici impegnati nella
politica devono certamente rispettare l'autonomia rettamente intesa
delle realtà terrene, così come leggiamo nella Costituzione Gaudium
et spes: «E' di grande importanza, soprattutto in una società
pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la
comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione
tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in
proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le
azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro
pastori. La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua
competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e
non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la
salvaguardia del carattere trascendente della persona umana»(152).
Nello stessotempo _ e questo è sentito oggi come urgenza e
responsabilità _ i fedeli laici devono testimoniare quei valori umani
ed evangelici che sono intimamente connessi con l'attività politica
stessa, come la libertà e la giustizia, la solidarietà, la dedizione
fedele e disinteressata al bene di tutti, lo stile semplice di vita,
l'amore preferenziale per i poveri e gli ultimi. Ciò esige che i
fedeli laici siano sempre più animati da una reale partecipazione
alla vita della Chiesa e illuminati dalla sua dottrina sociale. In
questo potranno essere accompagnati e aiutati dalla vicinanza delle
comunità cristiane e dei loro Pastori(153).
Stile e mezzo per il realizzarsi
d'una politica che intenda mirare al vero sviluppo umano è la solidarietà:
questa sollecita la partecipazione attiva e responsabile di
tutti alla vita politica, dai singoli cittadini ai gruppi vari, dai
sindacati ai partiti: insieme, tutti e ciascuno, siamo destinatari e
protagonisti della politica. In questo ambito, come ho scritto
nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, la solidarietà «non
è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento
per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la
determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene
comune:ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti
siamo veramente responsabili di tutti»(154).
La solidarietà politica esige
oggi d'attuarsi secondo un orizzonte che, superando la singola nazione
o il singolo blocco di nazioni, si configura come propriamente
continentale e mondiale.
Il frutto dell'attività politica
solidale, da tutti tanto desiderato ma pur sempre tanto immaturo, è la
pace. I fedeli laici non possono rimanere indifferenti, estranei e
pigri di fronte a tutto ciò che è negazione e compromissione della
pace: violenza e guerra, tortura e terrorismo, campi di
concentramento, militarizzazione della politica, corsa agli armamenti,
minaccia nucleare. Al contrario, come discepoli di Gesù Cristo «Principe
della pace» (Is 9, 5) e «Nostra Pace» (Ef 2,
14), i fedeli laici devono assumersi il compito di essere «operatori
di pace» (Mt 5, 9), sia mediante la conversione del «cuore»,
sia mediante l'azione a favore della verità, della libertà, della
giustizia e della carità, che della pace sono gli irrinunciabili
fondamenti(155).
Collaborando con tutti coloro che
cercano veramente la pace e servendosi degli specifici organismi e
istituzioni nazionali e internazionali, i fedeli laici devono
promuovere un'opera educativa capillare destinata a sconfiggere
l'imperante cultura dell'egoismo, dell'odio, della vendetta e
dell'inimicizia e a sviluppare la cultura della solidarietà ad ogni
livello. Tale solidarietà, infatti, «è via alla pace e insieme
allo sviluppo»(156). In questa prospettiva i Padri sinodali hanno
invitato i cristiani a rifiutare forme inaccettabili di violenza, a
promuovere atteggiamenti di dialogo e di pace e ad impegnarsi per
instaurare un ordine sociale e internazionale giusto(157).
Porre l'uomo al centro della
vita economico-sociale
43. Il servizio alla società da
parte dei fedeli laici trova un suo momento essenziale nella questione
economico-sociale, la cui chiave è data dall'organizzazione del lavoro.
La gravità attuale di tali
problemi, colta nel panorama dello sviluppo e secondo la proposta di
soluzione da parte della dottrina sociale della Chiesa, è stata
ricordata recentemente nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, alla
quale desidero caldamente rimandare tutti, in particolare i fedeli
laici.
Tra i caposaldi della dottrina
sociale della Chiesa sta il principio della destinazione universale
dei beni: i beni della terra sono, nel disegno di Dio, offerti a
tutti gli uomini e a ciascun uomo come mezzo per lo sviluppo d'una
vita autenticamente umana. Al servizio di questa destinazione si pone
la proprietà privata, la quale _ proprio per questo _ possiede
un'intrinseca funzione sociale. Concretamente il lavoro dell'uomo
e della donna rappresenta lo strumento più comune e più immediato
per lo sviluppo della vita economica, strumento che insieme
costituisce un diritto e un dovere d'ogni uomo.
Tutto questo rientra in modo
particolare nella missione dei fedeli laici. Il fine e il criterio
della loro presenza e della loro azione sono formulati in termini
generali dal Concilio Vaticano II: «Anche nella vita
economico-sociale sono da onorare e da promuovere la dignità e
l'integrale vocazione della persona umana come pure il bene
dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine
di tutta la vita economico-sociale»(158).
Nel contesto delle sconvolgenti
trasformazioni in atto nel mondo dell'economia e del lavoro, i fedeli
laici siano impegnati in prima fila a risolvere i gravissimi problemi
della crescente disoccupazione, a battersi per il superamento più
tempestivo di numerose ingiustizie che derivano da distorte
organizzazioni del lavoro, a far diventare il luogo di lavoro una
comunità di persone rispettate nella loro soggettività e nel loro
diritto alla partecipazione, a sviluppare nuove solidarietà tra
coloro che partecipano al lavoro comune, a suscitare nuove forme di
imprenditorialità e a rivedere i sistemi di commercio, di finanza e
di scambi tecnologici.
A tal fine i fedeli laici devono
compiere il loro lavoro con competenza professionale, con onestà
umana, con spirito cristiano, come via della propria
santificazione(159), secondo l'esplicito invito del Concilio: «Con il
lavoro, l'uomo ordinariamente provvede alla vita propria e dei suoi
familiari, comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi
fratelli, può praticare una vera carità e collaborare con la propria
attività al completarsi della divina creazione. Ancor più: sappiamo
che, offrendo a Dio il proprio lavoro, l'uomo si associa all'opera
stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una
elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth»(160).
In rapporto alla vita
economico-sociale e al lavoro si pone oggi, in modo sempre più acuto,
la questione cosiddetta «ecologica». Certamente l'uomo ha da
Dio stesso il compito di «dominare» le cose create e di «coltivare
il giardino» del mondo; ma è un compito, questo, che l'uomo deve
assolvere nel rispetto dell'immagine divina ricevuta, e quindi con
intelligenza e con amore: egli deve sentirsi responsabile dei doni che
Dio gli ha elargito e continuamente gli elargisce. L'uomo ha fra le
mani un dono che deve passare _ e, se possibile, persino migliorato _
alle generazioni future, anch'esse destinatarie dei doni del Signore:
«Il dominio accordato dal Creatore all'uomo (...) non è un potere
assoluto, né si può parlare di libertà di "usare e
abusare", o di disporre delle cose come meglio aggrada. La
limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed
espressa simbolicamente con la proibizione di "mangiare il frutto
dell'albero" (cf. Gen 2, 16-17), mostra con sufficiente
chiarezza che, nei confronti della natura visibile (...), siamo
sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si
possono impunemente trasgredire. Una giusta concezione dello sviluppo
non può prescindere da queste considerazioni _ relative all'uso degli
elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle
conseguenze di una industrializzazione disordinata _, le quali
ripropongono alla nostra coscienza la dimensione morale, che
deve distinguere lo sviluppo»(161).
Evangelizzare la cultura e
le culture dell'uomo
44. Il servizio alla persona e
alla società umana si esprime e si attua attraverso la creazione e
la trasmissione della cultura, che, specialmente ai nostri giorni,
costituisce uno dei più gravi compiti della convivenza umana e
dell'evoluzione sociale. Alla luce del Concilio, intendiamo per «cultura»
tutti quei «mezzi con i quali l'uomo affina ed esplica le molteplici
sue doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il
cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita
sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante
il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andare del
tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi
esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al
progresso di molti, anzi di tutto il genere umano»(162). In questo
senso, la cultura deve ritenersi come il bene comune di ciascun
popolo, l'espressione della sua dignità, libertà e creatività; la
testimonianza del suo cammino storico. In particolare, solo
all'interno e tramite la cultura la fede cristiana diventa storica e
creatrice di storia.
Di fronte allo sviluppo di una
cultura che si configura dissociata non solo dalla fede cristiana, ma
persino dagli stessi valori umani(163); come pure di fronte ad una
certa cultura scientifica e tecnologica impotente nel dare risposta
alla pressante domanda di verità e di bene che brucia nel cuore degli
uomini, la Chiesa è pienamente consapevole dell'urgenza pastorale che
alla cultura venga riservata un'attenzione del tutto speciale.
Per questo la Chiesa sollecita i
fedeli laici ad essere presenti, all'insegna del coraggio e della
creatività intellettuale, nei posti privilegiati della cultura, quali
sono il mondo della scuola e dell'università, gli ambienti della
ricerca scientifica e tecnica, i luoghi della creazione artistica e
della riflessione umanistica. Tale presenza è destinata non solo al
riconoscimento e all'eventuale purificazione degli elementi della
cultura esistente criticamente vagliati, ma anche alla loro elevazione
mediante le originali ricchezze del Vangelo e della fede cristiana.
Quanto il Concilio Vaticano II scrive circa il rapporto tra il Vangelo
e la cultura rappresenta un fatto storico costante ed insieme un
ideale operativo di singolare attualità e urgenza; è un programma
impegnativo consegnato alla responsabilità pastorale dell'intera
Chiesa e in essa alla responsabilità specifica dei fedeli laici: «La
buona novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura
dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali, derivanti
dalla sempre minacciosa seduzione del peccato. Continuamente purifica
ed eleva la moralità dei popoli (...). In tal modo la Chiesa,
compiendo la sua missione, già con questo stesso fatto stimola e dà
il suo contributo alla cultura umana e civile e, mediante la sua
azione, anche liturgica, educa l'uomo alla libertà interiore»(164).
Meritano di essere qui riascoltate
alcune espressioni particolarmente significative della Esortazione Evangelii
nuntiandi di Paolo VI:
«La Chiesa evangelizza
allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che
essa proclama (cf. Rom 1, 16; 1 Cor 1, 18; 2, 4), cerca
di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli
uomini, l'attività nella quale essi sono impegnati, la vita e
l'ambiente concreto loro propri. Strati dell'umanità che si
trasformano: per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il
Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre
più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la
forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i
punti d'interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i
modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la Parola di
Dio e col disegno della salvezza. Si potrebbe esprimere tutto ciò
dicendo così: occorre evangelizzare _ non in maniera decorativa, a
somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità
e fino alle radici _ la cultura e le culture dell'uomo (...). La
rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra
epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi
in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più
esattamente delle culture»(165).
La via attualmente privilegiata
per la creazione e per la trasmissione della cultura sono gli strumenti
della comunicazione sociale(166). Anche il mondo dei mass-media,
in seguito all'accelerato sviluppo innovativo e all'influsso insieme
planetario e capillare sulla formazione della mentalità e del
costume, rappresenta una nuova frontiera della missione della Chiesa.
In particolare, la responsabilità professionale dei fedeli laici in
questo campo, esercitata sia a titolo personale sia mediante
iniziative ed istituzioni comunitarie, esige di essere riconosciuta in
tutto il suo valore e sostenuta con più adeguate risorse materiali,
intellettuali e pastorali.
Nell'impiego e nella recezione
degli strumenti di comunicazione urgono sia un'opera educativa al
senso critico, animato dalla passione per la verità, sia un'opera di
difesa della libertà, del rispetto alla dignità personale,
dell'elevazione dell'autentica cultura dei popoli, mediante il rifiuto
fermo e coraggioso di ogni forma di monopolizzazione e di
manipolazione.
Né a quest'opera di difesa si
ferma la responsabilità pastorale dei fedeli laici: su tutte le
strade del mondo, anche su quelle maestre della stampa, del cinema,
della radio, della televisione e del teatro, dev'essere annunciato il
Vangelo che salva.
CAPITOLO
IV
GLI
OPERAI DELLA VIGNA DEL SIGNORE
Buoni amministratori della multiforme grazia di Dio
La varietà delle vocazioni
45. Secondo la parabola
evangelica, il «padrone di casa» chiama gli operai alla sua vigna
nelle diverse ore della giornata: alcuni all'alba, altri verso
le nove del mattino, altri ancora verso mezzogiorno e le tre, gli
ultimi verso le cinque (cf. Mt 20, 1 ss.). Nel commento a
questa pagina del Vangelo, San Gregorio Magno interpreta le ore
diverse della chiamata rapportandole alle età della vita: «E'
possibile applicare la diversità delle ore _ egli scrive _ alle
diverse età dell'uomo. Il mattino può certo rappresentare, in questa
nostra interpretazione, la fanciullezza. L'ora terza, poi, si può
intendere come l'adolescenza: il sole si muove verso l'alto del cielo,
cioè cresce l'ardore dell'età. La sesta ora è la giovinezza: il
sole sta come nel mezzo del cielo, ossia in quest'età si rafforza la
pienezza del vigore. L'anzianità rappresenta l'ora nona, perché come
il sole declina dal suo alto asse così quest'età comincia a perdere
l'ardore della giovinezza. L'undicesima ora è l'età di quelli molto
avanzati negli anni (...). Gli operai sono, dunque, chiamati alla
vigna in diverse ore, come per dire che alla vita santa uno è
condotto durante la fanciullezza, un altro nella giovinezza, un altro
nell'anzianità e un altro nell'età più avanzata»(167).
Possiamo riprendere ed estendere
il commento di San Gregorio Magno in rapporto alla straordinaria
varietà di presenze nella Chiesa, tutte e ciascuna chiamate a
lavorare per l'avvento del Regno di Dio secondo la diversità di
vocazioni e situazioni, carismi e ministeri. E' una varietà legata
non solo all'età, ma anche alla differenza di sesso e alla diversità
delle doti, come pure alle vocazioni e alle condizioni di vita; è una
varietà che rende più viva e concreta la ricchezza della Chiesa.
Giovani, bambini, anziani
I giovani, speranza della
Chiesa
46. Il Sinodo ha voluto riservare un'attenzione
particolare ai giovani. E giustamente. In tanti paesi del mondo,
essi rappresentano la metà dell'intera popolazione e, spesso, la metà
numerica dello stesso Popolo di Dio che in quei paesi vive.
Già sotto questo aspetto i
giovani costituiscono una forza eccezionale e sono una grande sfida
per l'avvenire della Chiesa. Nei giovani, infatti, la Chiesa legge
il suo camminare verso il futuro che l'attende e trova l'immagine e il
richiamo di quella lieta giovinezza di cui lo Spirito di Cristo
costantemente l'arricchisce. In questo senso il Concilio ha definito i
giovani «speranza della Chiesa»(168).
Nella lettera scritta ai giovani e
alle giovani del mondo, il 31 marzo 1985, leggiamo: «La Chiesa guarda
i giovani; anzi, la Chiesa in modo speciale guarda se stessa nei
giovani, in voi tutti ed insieme in ciascuna e in ciascuno di voi.
Così è stato sin dall'inizio, dai tempi apostolici. Le parole di san
Giovanni nella sua Prima Lettera possono essere una particolare
testimonianza: "Scrivo a voi, giovani, perché avete
vinto il maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché avete
conosciuto il Padre (...). Ho scritto a voi, giovani, perché
siete forti, e la parola di Dio dimora in voi" (1 Gv 2,
13 ss.) (...). Nella nostra generazione, al termine del secondo
Millennio dopo Cristo, anche la Chiesa guarda se stessa nei giovani»(169).
I giovani non devono essere
considerati semplicemente come l'oggetto della sollecitudine pastorale
della Chiesa: sono di fatto, e devono venire incoraggiati ad esserlo,
soggetti attivi, protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del
rinnovamento sociale(170). La giovinezza è il tempo di una scoperta
particolarmente intensa del proprio «io» e del proprio «progetto
di vita», è il tempo di una crescita che deve avvenire «in
sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,
52).
Come hanno detto i Padri sinodali,
«la sensibilità dei giovani percepisce profondamente i valori della
giustizia, della non violenza e della pace. Il loro cuore è aperto
alla fraternità, alla amicizia e alla solidarietà. Sono mobilitati
al massimo per le cause che riguardano la qualità della vita e la
conservazione della natura. Ma essi sono anche carichi di
inquietudini, di delusioni, di angosce e paure del mondo, oltre che
delle tentazioni proprie del loro stato»(171).
La Chiesa deve rivivere l'amore di
predilezione che Gesù ha testimoniato al giovane del Vangelo: «Gesù,
fissatolo, lo amò» (Mc 10, 21). Per questo la Chiesa non si
stanca di annunciare Gesù Cristo, di proclamare il suo Vangelo come
l'unica e sovrabbondante risposta alle più radicali aspirazioni dei
giovani, come la proposta forte ed esaltante di una sequela personale
(«vieni e seguimi» [Mc 10, 21]), che comporta la condivisione
all'amore filiale di Gesù per il Padre e la partecipazione alla sua
missione di salvezza per l'umanità.
La Chiesa ha tante cose da dire
ai giovani, e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa. Questo
reciproco dialogo, da attuarsi con grande cordialità, chiarezza e
coraggio, favorirà l'incontro e lo scambio tra le generazioni, e sarà
fonte di ricchezza e di giovinezza per la Chiesa e per la società
civile. Nel suo messaggio ai giovani il Concilio dice: «La Chiesa vi
guarda con fiducia e con amore (...). Essa è la vera giovinezza del
mondo (...), guardatela e troverete in lei il volto di Cristo»(172).
I bambini e il regno dei
cieli
47. I bambini sono certamente il
termine dell'amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi
riserva la sua benedizione e ancor più assicura il regno dei cieli
(cf. Mt 19, 13-15; Mc 10, 14). In particolare Gesù
esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il
simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali
e spirituali che sono essenziali per entrare nel Regno di Dio e per
viverne la logica di totale affidamento al Signore: «In verità vi
dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non
entrerete nel regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo
come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi
accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me» (Mt
18, 3-5; cf. Lc 9, 48).
I bambini ci ricordano che la
fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non
nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di
Dio. La vita di innocenza e di grazia dei bambini, come pure le
sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della
Croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l'intera
Chiesa: di questo tutti dobbiamo prendere più viva e grata coscienza.
Si deve riconoscere, inoltre, che
anche nell'età dell'infanzia e della fanciullezza sono aperte
preziose possibilità operative sia per l'edificazione della Chiesa
che per l'umanizzazione della società. Quanto il Concilio dice della
presenza benefica e costruttiva dei figli all'interno della famiglia
«chiesa domestica»: «I figli, come membra vive della famiglia,
contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori»(173)
dev'essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa particolare e
universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del xv
secolo, per il quale «i fanciulli e gli adolescenti non sono certo
una parte trascurabile della Chiesa»(174).
Gli anziani e il dono della
sapienza
48. Alle persone anziane, spesso
ingiustamente ritenute inutili se non addirittura d'insopportabile
peso, ricordo che la Chiesa chiede e attende che esse abbiano a
continuare la loro missione apostolica e missionaria, non solo
possibile e doverosa anche a quest'età, ma da questa stessa età resa
in qualche modo specifica e originale.
La Bibbia ama presentare l'anziano
come il simbolo della persona ricca di sapienza e di timore di Dio
(cf. Sir 25, 4-6). In questo senso il «dono» dell'anziano
potrebbe qualificarsi come quello di essere, nella Chiesa e nella
società, il testimone della tradizione di fede (cf. Sal 44, 2;
Es 12, 26-27), il maestro di vita (cf. Sir 6, 34; 8,
11-12), l'operatore di carità.
Ora l'aumentato numero di persone
anziane in diversi paesi del mondo e la cessazione anticipata
dell'attività professionale e lavorativa aprono uno spazio nuovo al
compito apostolico degli anziani: è un compito da assumersi superando
con decisione la tentazione di rifugiarsi nostalgicamente in un
passato che non ritorna più o di rifuggire da un impegno presente per
le difficoltà incontrate in un mondo dalle continue novità; e
prendendo sempre più chiara coscienza che il proprio ruolo nella
Chiesa e nella società non conosce affatto soste dovute all'età,
bensì conosce solo modi nuovi. Come dice il salmista: «Nella
vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per
annunziare quanto è retto il Signore» (Sal 92, 15-16). Ripeto
quanto ho detto durante la celebrazione del Giubileo degli Anziani: «L'ingresso
nella terza età è da considerarsi un privilegio: non solo perché
non tutti hanno la fortuna di raggiungere questo traguardo, ma anche e
soprattutto perché questo è il periodo delle possibilità concrete
di riconsiderare meglio il passato, di conoscere e di vivere più
profondamente il mistero pasquale, di divenire esempio nella Chiesa a
tutto il Popolo di Dio (...). Nonostante la complessità dei vostri
problemi da risolvere, le forze che progressivamente si
affievoliscono, e malgrado le insufficienze delle organizzazioni
sociali, i ritardi della legislazione ufficiale, le incomprensioni di
una società egoistica, voi non siete né dovete sentirvi ai margini
della vita della Chiesa, elementi passivi di un mondo in eccesso di
movimento, ma soggetti attivi di un periodo umanamente e
spiritualmente fecondo dell'esistenza umana. Avete ancora una missione
da compiere, un contributo da dare. Secondo il progetto divino ogni
singolo essere umano è una vita in crescita, dalla prima scintilla
dell'esistenza fino all'ultimo respiro»(175).
Donne e uomini
49. I Padri sinodali hanno
riservato una speciale attenzione alla condizione e al ruolo della
donna, secondo un duplice intento: riconoscere e invitare a
riconoscere, da parte di tutti ed ancora una volta, l'indispensabile
contributo della donna all'edificazione della Chiesa e allo sviluppo
della società; operare, inoltre, un'analisi più specifica circa la
partecipazione della donna alla vita e alla missione della Chiesa.
Riferendosi a Giovanni XXIII, che
vide nella coscienza femminile della propria dignità e nell'ingresso
delle donne nella vita pubblica un segno dei nostri tempi(176), i
Padri del Sinodo hanno affermato ripetutamente e fortemente, di fronte
alle forme più varie di discriminazioni e di emarginazioni alle quali
soggiace la donna a motivo del suo semplice essere donna, l'urgenza di
difendere e di promuovere la dignità personale della donna, e
quindi la sua eguaglianza con l'uomo.
Se di tutti nella Chiesa e nella
società è questo compito, lo è in particolare delle donne, che si
devono sentire impegnate come protagoniste in prima linea. C'è ancora
tanto sforzo da compiere, in più parti del mondo e in diversi ambiti,
perché sia distrutta quella ingiusta e deleteria mentalità che
considera l'essere umano come una cosa, come un oggetto di
compra-vendita, come uno strumento dell'interesse egoistico o del solo
piacere, tanto più che di tale mentalità la prima vittima è proprio
la donna stessa. Al contrario, solo l'aperto riconoscimento della
dignità personale della donna costituisce il primo passo da compiere
per promuoverne la piena partecipazione sia alla vita ecclesiale che a
quella sociale e pubblica. Si deve dare risposta più ampia e decisiva
alla richiesta fatta dall'Esortazione Familiaris consortio circa
le molteplici discriminazioni delle quali le donne sono vittime: «che
da parte di tutti si svolga un'azione pastorale specifica più
vigorosa e incisiva, affinché esse siano definitivamente vinte, così
da giungere alla stima piena dell'immagine di Dio che risplende in
tutti gli esseri umani, nessuno escluso»(177). Nella stessa linea i
Padri sinodali hanno affermato: «La Chiesa, come espressione della
sua missione, deve opporsi con fermezza contro tutte le forme di
discriminazione e di abuso delle donne»(178). E ancora: «La dignità
della donna, gravemente ferita nell'opinione pubblica, dev'essere
ricuperata per mezzo dell'effettivo rispetto dei diritti della persona
umana e per mezzo della pratica della dottrina della Chiesa»(179).
In particolare, circa la
partecipazione attiva e responsabile alla vita e alla missione della
Chiesa, è da rilevarsi come già il Concilio Vaticano II sia
stato oltre modo esplicito nel sollecitarla: «Poiché ai nostri
giorni le donne prendono sempre più parte attiva in tutta la vita
della società, è di grande importanza una loro più larga
partecipazione anche nei vari campi dell'apostolato della Chiesa»(180).
La coscienza che la donna, con i
doni e i compiti propri, ha una sua specifica vocazione è
andata crescendo e approfondendosi nel periodo post-conciliare,
ritrovando la sua ispirazione più originale nel Vangelo e nella
storia della Chiesa. Per il credente, infatti, il Vangelo, ossia la
parola e l'esempio di Gesù Cristo, rimane il punto di riferimento
necessario e decisivo: ed è quanto mai fecondo ed innovativo anche
per l'attuale momento storico.
Pur non chiamate all'apostolato
proprio dei Dodici, e quindi al sacerdozio ministeriale, molte donne
accompagnano Gesù nel suo ministero e assistono il gruppo degli
Apostoli (cf. Lc 8, 2-3); sono presenti sotto la Croce (cf. Lc
23, 49); assistono alla sepoltura di Gesù (cf. Lc 23, 55) e il
mattino di Pasqua ricevono e trasmettono l'annuncio della risurrezione
(cf. Lc 24, 1-10); pregano con gli Apostoli nel Cenacolo
nell'attesa della Pentecoste (cf. At 1, 14).
Nella scia del Vangelo, la Chiesa
delle origini si distacca dalla cultura del tempo e chiama la donna a
compiti connessi con l'evangelizzazione. Nelle sue Lettere l'apostolo
Paolo ricorda, anche per nome, numerose donne per le loro varie
funzioni all'interno e al servizio delle prime comunità ecclesiali
(cf. Rom 16, 1-15; Fil 4, 2-3; Col 4, 15 e 1
Cor 11, 5; 1 Tim 5, 16). «Se la testimonianza degli
Apostoli fonda la Chiesa _ ha detto Paolo VI _, quella delle donne
contribuisce grandemente a nutrire la fede delle comunità cristiane»(181).
E come alle origini, così nello
sviluppo successivo la Chiesa ha sempre conosciuto, anche se in
differenti modi e con accentuazioni diverse, donne che hanno
esercitato un ruolo talvolta decisivo e svolto compiti di valore
considerevole per la Chiesa stessa. E' una storia d'immensa operosità,
il più delle volte umile e nascosta ma non per questo meno decisiva
per la crescita e per la santità della Chiesa. E' necessario che
questa storia sia continuata, anzi che si allarghi e si intensifichi
di fronte all'accresciuta e universalizzata consapevolezza della
dignità personale della donna e della sua vocazione, nonché di
fronte all'urgenza di una «nuova evangelizzazione» e di una maggiore
«umanizzazione» delle relazioni sociali.
Raccogliendo la consegna del
Concilio Vaticano II, nella quale si specchia il messaggio del Vangelo
e della storia della Chiesa, i Padri del Sinodo hanno formulato, tra
le altre, questa precisa «raccomandazione»: «E' necessario che la
Chiesa, per la sua vita e la sua missione, riconosca tutti i doni
delle donne e degli uomini e li traduca in pratica»(182). E ancora:
«Questo Sinodo proclama che la Chiesa esige il riconoscimento e
l'utilizzazione di tutti questi doni, esperienze e attitudini degli
uomini e delle donne perché la sua missione risulti più efficace
(cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Instructio de
libertate christiana et liberatione, 72)»(183).
Fondamenti antropologici e
teologici
50. La condizione per assicurare
la giusta presenza della donna nella Chiesa e nella società è una
considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti
antropologici della condizione maschile e femminile, destinata a
precisare l'identità personale propria della donna nel suo rapporto
di diversità e di reciproca complementarietà con l'uomo, non solo
per quanto riguarda i ruoli da tenere e le funzioni da svolgere, ma
anche e più profondamente per quanto riguarda la sua struttura e il
suo significato personale. I Padri sinodali hanno sentito vivamente
questa esigenza affermando che «i fondamenti antropologici e
teologici hanno bisogno di studi approfonditi per la risoluzione dei
problemi relativi al vero significato e alla dignità di ambedue i
sessi»(184).
Impegnandosi nella riflessione sui
fondamenti antropologici e teologici della condizione femminile, la
Chiesa si rende presente nel processo storico dei vari movimenti di
promozione della donna e, scendendo alle radici stesse dell'essere
personale della donna, vi apporta il suo contributo più prezioso. Ma
prima e più ancora la Chiesa intende, in tal modo, obbedire a Dio
che, creando l'uomo «a sua immagine», «maschio e femmina li creò»
(Gen 1, 27); così come intende accogliere la chiamata di Dio a
conoscere, ad ammirare e a vivere il suo disegno. E' un disegno che «al
principio» è stato indelebilmente impresso nello stesso essere della
persona umana _ uomo e donna _ e, pertanto, nelle sue strutture
significative e nei suoi profondi dinamismi. Proprio questo disegno,
sapientissimo e amoroso, chiede di essere esplorato in tutta la
ricchezza del suo contenuto: è la ricchezza che dal «principio» si
è venuta poi progressivamente manifestando e attuando lungo l'intera
storia della salvezza, ed è culminata nella «pienezza del tempo»,
allorquando «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,
4). Quella «pienezza» continua nella storia: la lettura del
disegno di Dio sulla donna è incessantemente operata e da operarsi
nella fede della Chiesa, anche grazie alla vita vissuta di tante donne
cristiane. Senza dimenticare l'aiuto che può venire dalle diverse
scienze umane e dalle varie culture: queste, grazie ad un illuminato
discernimento, potranno aiutare a cogliere e a precisare i valori e le
esigenze che appartengono all'essenza perenne della donna e quelli
legati all'evolversi storico delle culture stesse. Come ci ricorda il
Concilio Vaticano II, «la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i
mutamenti ci sono molte cose che non cambiano: esse trovano il loro
ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei
secoli (cf. Ebr 13, 8)»(185).
Sui fondamenti antropologici e
teologici della dignità personale della donna si sofferma la Lettera
Apostolica sulla dignità e sulla vocazione della donna. Il documento,
che riprende, prosegue e specifica le riflessioni della catechesi del
mercoledì dedicata per lungo tempo alla «teologia del corpo», vuole
essere insieme l'adempimento di una promessa fatta nell'Enciclica Redemptoris
Mater(186) e la risposta alla richiesta dei Padri sinodali.
La lettura della Lettera Mulieris
dignitatem, anche per il suo carattere di meditazione
biblicoteologica, potrà stimolare tutti, uomini e donne, e in
particolare i cultori delle scienze umane e delle discipline
teologiche, a proseguire nello studio critico così da approfondire
sempre meglio, sulla base della dignità personale dell'uomo e della
donna e della loro reciproca relazione, i valori ed i doni specifici
della femminilità e della mascolinità, non solo nell'ambito del
vivere sociale ma anche e soprattutto in quello dell'esistenza
cristiana ed ecclesiale.
La meditazione sui fondamenti
antropologici e teologici della donna deve illuminare e guidare la
risposta cristiana alla domanda così frequente, e talvolta così
acuta, circa lo «spazio» che la donna può e deve avere nella
Chiesa e nella società.
Dalla parola e dall'atteggiamento
di Cristo, che sono normativi per la Chiesa, risulta con grande
chiarezza che nessuna discriminazione esiste sul piano del rapporto
con Cristo, nel quale «non c'è più uomo né donna, poiché tutti
voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28) e sul piano della
partecipazione alla vita e alla santità della Chiesa, come
splendidamente attesta la profezia di Gioele realizzatasi con la
Pentecoste: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e
diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie» (Gl 3,
1; cf. At 2, 17 ss.). Come si legge nella Lettera Apostolica
sulla dignità e sulla vocazione della donna, «tutt'e due _ la donna
come l'uomo _ (...) sono suscettibili in eguale misura
dell'elargizione della verità divina e dell'amore nello Spirito
Santo. Ambedue accolgono le sue "visite" salvifiche e
santificanti»(187).
Missione nella Chiesa e nel
mondo
51. Circa poi la partecipazione
alla missione apostolica della Chiesa, non c'è dubbio che, in forza
del Battesimo e della Cresima, la donna _ come l'uomo _ è resa
partecipe del triplice ufficio di Gesù Cristo Sacerdote, Profeta, Re,
e quindi è abilitata e impegnata all'apostolato fondamentale della
Chiesa: l'evangelizzazione. D'altre parte, proprio nel compimento di
questo apostolato, la donna è chiamata a mettere in opera i suoi «doni»
propri: anzitutto, il dono che è la sua stessa dignità personale,
mediante la parola e la testimonianza di vita; i doni, poi, connessi
con la sua vocazione femminile.
Nella partecipazione alla vita e
alla missione della Chiesa la donna non può ricevere il sacramento
dell'Ordine e, pertanto, non può compiere le funzioni proprie del
sacerdozio ministeriale. E' questa una disposizione che la Chiesa ha
sempre ritrovato nella precisa volontà, totalmente libera e sovrana,
di Gesù Cristo che ha chiamato solo uomini come suoi apostoli(188);
una disposizione che può trovare luce nel rapporto tra Cristo Sposo e
la Chiesa Sposa(189). Siamo nell'ambito della funzione, non
della dignità e della santità. Si deve, in realtà,
affermare: «Anche se la Chiesa possiede una struttura
"gerarchica", tuttavia tale struttura è totalmente ordinata
alla santità delle membra di Cristo»(190).
Ma, come già diceva Paolo VI, se
«noi non possiamo cambiare il comportamento di nostro Signore né la
chiamata da Lui rivolta alle donne, però dobbiamo riconoscere e
promuovere il ruolo delle donne nella missione evangelizzatrice e
nella vita della comunità cristiana»(191).
E' del tutto necessario passare
dal riconoscimento teorico della presenza attiva e responsabile
della donna nella Chiesa alla realizzazione pratica. E in
questo preciso senso deve leggersi la presente Esortazione che si
rivolge ai fedeli laici, con la deliberata e ripetuta specificazione
«uomini e donne». Inoltre il nuovo Codice di Diritto Canonico
contiene molteplici disposizioni sulla partecipazione della donna alla
vita e alla missione della Chiesa: sono disposizioni che esigono
d'essere più comunemente conosciute e, sia pure secondo le diverse
sensibilità culturali e opportunità pastorali, attuate con maggiore
tempestività e risoluzione.
Si pensi, ad esempio, alla
partecipazione delle donne ai Consigli pastorali diocesani e
parrocchiali, come pure ai Sinodi diocesani e ai Concili particolari.
In questo senso i Padri sinodali hanno scritto: «Le donne partecipino
alla vita della Chiesa senza alcuna discriminazione, anche nelle
consultazioni e nell'elaborazione di decisioni»(192). E ancora: «Le
donne, le quali hanno già una grande importanza nella trasmissione
della fede e nel prestare servizi di ogni genere nella vita della
Chiesa, devono essere associate alla preparazione dei documenti
pastorali e delle iniziative missionarie e devono essere riconosciute
come cooperatrici della missione della Chiesa nella famiglia, nella
professione e nella comunità civile»(193).
Nell'ambito più specifico
dell'evangelizzazione e della catechesi è da promuovere con più
forza il compito particolare che la donna ha nella trasmissione della
fede, non solo nella famiglia ma anche nei più diversi luoghi
educativi e, in termini più ampi, in tutto ciò che riguarda
l'accoglienza della Parola di Dio, la sua comprensione e la sua
comunicazione, anche mediante lo studio, la ricerca e la docenza
teologica.
Mentre adempirà il suo impegno di
evangelizzazione, la donna sentirà più vivo il bisogno di essere
evangelizzata. Così, con gli occhi illuminati dalla fede (cf. Ef
1, 18), la donna potrà distinguere ciò che veramente risponde alla
sua dignità personale e alla sua vocazione da tutto ciò che, magari
sotto il pretesto di questa «dignità» e nel nome della «libertà»
e del «progresso», fa sì che la donna non serva al consolidamento
dei veri valori ma, al contrario, diventi responsabile del degrado
morale delle persone, degli ambienti e della società. Operare un
simile «discernimento» è un'urgenza storica indilazionabile e,
nello stesso tempo, è una possibilità e un'esigenza che derivano
dalla partecipazione all'ufficio profetico di Cristo e della sua
Chiesa da parte della donna cristiana. Il «discernimento», di cui
parla più volte l'apostolo Paolo, non è solo valutazione delle realtà
e degli avvenimenti alla luce della fede; è anche decisione concreta
e impegno operativo, non solo nell'ambito della Chiesa ma anche in
quello della società umana.
Si può dire che tutti i problemi
del mondo contemporaneo, di cui già parlava la seconda parte della
Costituzione conciliare Gaudium et spes e che il tempo non ha
affatto né risolto né attutito, devono vedere le donne presenti e
impegnate, e precisamente con il loro contributo tipico e
insostituibile.
In particolare, due grandi compiti
affidati alla donna meritano di essere riproposti all'attenzione di
tutti.
Il compito, anzitutto, di dare
piena dignità alla vita matrimoniale e alla maternità. Nuove
possibilità si aprono oggi alla donna per una comprensione più
profonda e per una realizzazione più ricca dei valori umani e
cristiani implicati nella vita coniugale e nell'esperienza della
maternità: l'uomo stesso _ il marito e il padre _ può superare forme
di assenteismo o di presenza episodica e parziale, anzi può
coinvolgersi in nuove e significative relazioni di comunione
interpersonale, proprio grazie all'intervento intelligente, amorevole
e decisivo della donna.
Il compito, poi, di assicurare
la dimensione morale della cultura, la dimensione cioè di una cultura
degna dell'uomo, della sua vita personale e sociale. Il Concilio
Vaticano II sembra collegare la dimensione morale della cultura con la
partecipazione dei laici alla missione regale di Cristo: «I laici,
anche mettendo in comune la loro forza, risanino le istituzioni e le
condizioni di vita del mondo, se ve ne sono che spingono i costumi al
peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della
giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l'esercizio delle virtù.
Così agendo impregneranno di valore morale la cultura e i lavori
dell'uomo»(194).
Man mano che la donna partecipa
attivamente e responsabilmente alla funzione delle istituzioni, dalle
quali dipende la salvaguardia del primato dovuto ai valori umani nella
vita delle comunità politiche, le parole del Concilio ora citate
indicano un importante campo d'apostolato della donna: in tutte le
dimensioni della vita di queste comunità, dalla dimensione
socio-economica a quella socio-politica, devono essere rispettate e
promosse la dignità personale della donna e la sua specifica
vocazione: nell'ambito non solo individuale ma anche comunitario, non
solo in forme lasciate alla libertà responsabile delle persone ma
anche in forme garantite da leggi civili giuste.
«Non è bene che l'uomo sia solo:
gli voglio fare un aiuto a lui simile» (Gen 2, 18). Alla
donna Dio Creatore ha affidato l'uomo. Certo, l'uomo è stato
affidato ad ogni uomo, ma in modo particolare alla donna, perché
proprio la donna sembra avere una specifica sensibilità, grazie
alla speciale esperienza della sua maternità, per l'uomo e per
tutto ciò che costituisce il suo vero bene, a cominciare dal
fondamentale valore della vita. Quanto grandi sono le possibilità e
le responsabilità della donna in questo campo, in un tempo nel quale
lo sviluppo della scienza e della tecnica non è sempre ispirato e
misurato dalla vera sapienza, con l'inevitabile rischio di «disumanizzare»
la vita umana, soprattutto quando essa esigerebbe amore più intenso e
più generosa accoglienza.
La partecipazione della donna alla
vita della Chiesa e della società, mediante i suoi doni, costituisce
insieme la strada necessaria per la sua realizzazione personale _
sulla quale oggi giustamente tanto si insiste _ e il contributo
originale della donna all'arricchimento della comunione ecclesiale e
al dinamismo apostolico del Popolo di Dio.
In questa prospettiva si deve
considerare la presenza anche dell'uomo, insieme alla donna.
Compresenza e collaborazione
degli uomini e delle donne
52. Non è mancata nell'aula
sinodale la voce di quanti hanno espresso il timore che un'eccessiva
insistenza portata sulla condizione e sul ruolo delle donne potesse
sfociare in un'inaccettabile dimenticanza: quella, appunto,
riguardante gli uomini. In realtà diverse situazioni
ecclesiali devono lamentare l'assenza o la troppo scarsa presenza
degli uomini, una parte dei quali abdica alle proprie responsabilità
ecclesiali, lasciando che siano assolte soltanto dalle donne: così,
ad esempio, la partecipazione alla preghiera liturgica in Chiesa,
l'educazione e in particolare la catechesi ai propri figli e ad altri
fanciulli, la presenza ad incontri religiosi e culturali, la
collaborazione ad iniziative caritative e missionarie.
E' allora da urgere pastoralmente
la presenza coordinata degli uomini e delle donne perché sia resa più
completa, armonica e ricca la partecipazione dei fedeli laici alla
missione salvifica della Chiesa.
La ragione fondamentale che esige
e spiega la compresenza e la collaborazione degli uomini e delle donne
non è solo, come ora si è rilevato, la maggiore significatività ed
efficacia dell'azione pastorale della Chiesa; né, tanto meno, il
semplice dato sociologico di una convivenza umana che è naturalmente
fatta di uomini e di donne. E', piuttosto, il disegno originario del
Creatore che dal «principio» ha voluto l'essere umano come «unità
dei due», ha voluto l'uomo e la donna come prima comunità di
persone, radice di ogni altra comunità, e, nello stesso tempo, come
«segno» di quella comunione interpersonale d'amore che costituisce
la misteriosa vita intima di Dio Uno e Trino.
Proprio per questo il modo più
comune e capillare, e nello stesso tempo fondamentale, per assicurare
questa presenza coordinata e armonica di uomini e di donne nella vita
e nella missione della Chiesa, è l'esercizio dei compiti e delle
responsabilità della coppia e della famiglia cristiana, nel quale
traspare e si comunica la varietà delle diverse forme di amore e di
vita: la forma coniugale, paterna e materna, filiale e fraterna.
Leggiamo nell'Esortazione Familiaris consortio: «Se la
famiglia cristiana è comunità, i cui vincoli sono rinnovati da
Cristo mediante la fede e i sacramenti, la sua partecipazione alla
missione della Chiesa deve avvenire secondo una modalità
comunitaria: insieme, dunque i coniugi in quanto coppia, i
genitori e i figli in quanto famiglia, devono vivere il loro
servizio alla Chiesa e al mondo (...). La famiglia cristiana, poi,
edifica il Regno di Dio nella storia mediante quelle stesse realtà
quotidiane che riguardano e contraddistinguono la sua condizione di
vita: è allora nell'amore coniugale e familiare _ vissuto
nella sua straordinaria ricchezza di valori ed esigenze di totalità,
unicità, fedeltà e fecondità _ che si esprime e si realizza la
partecipazione della famiglia cristiana alla missione profetica,
sacerdotale e regale di Gesù Cristo e della sua Chiesa»(195).
Situandosi in questa prospettiva,
i Padri sinodali hanno ricordato il significato che il sacramento del
Matrimonio deve assumere nella Chiesa e nella società per illuminare
e ispirare tutte le relazioni tra l'uomo e la donna. In tal senso
hanno ribadito «l'urgente necessità che ciascun cristiano viva e
annunci il messaggio di speranza contenuto nella relazione tra l'uomo
e la donna Il sacramento del Matrimonio, che consacra questa relazione
nella sua forma coniugale e la rivela come segno della relazione di
Cristo con la sua Chiesa, contiene un insegnamento di grande
importanza per la vita della Chiesa; questo insegnamento deve arrivare
per mezzo della Chiesa al mondo di oggi; tutte le relazioni tra l'uomo
e la donna debbono ispirarsi a questo spirito. La Chiesa deve
utilizzare queste ricchezze ancora più pienamente»(196). Gli stessi
Padri hanno giustamente rilevato che «la stima della verginità e il
rispetto della maternità debbono ambedue essere ricuperate»(197):
ancora una volta per lo sviluppo di vocazioni diverse e complementari
nel contesto vivo della comunione ecclesiale e al servizio della sua
continua crescita.
Malati e sofferenti
53. L'uomo è chiamato alla gioia
ma fa quotidiana esperienza di tantissime forme di sofferenza e di
dolore. Agli uomini e alle donne colpiti dalle più varie forme di
sofferenza e di dolore i Padri sinodali si sono rivolti nel loro
finale Messaggio con queste parole: «Voi abbandonati ed
emarginati dalla nostra società consumistica; voi malati,
handicappati, poveri, affamati, emigranti, profughi, prigionieri,
disoccupati, anziani, bambini abbandonati e persone sole; voi, vittime
della guerra e di ogni violenza emananti dalla nostra società
permissiva. La Chiesa partecipa alla vostra sofferenza conducente al
Signore, che vi associa alla sua Passione redentrice e vi fa vivere
alla luce della sua Redenzione. Contiamo su di voi per insegnare al
mondo intero che cosa è l'amore. Faremo tutto il possibile perché
troviate il posto di cui avete diritto nella società e nella Chiesa»(198).
Nel contesto di un mondo
sconfinato come quello della sofferenza umana, rivolgiamo ora
l'attenzione a quanti sono colpiti dalla malattia nelle sue diverse
forme: i malati, infatti, sono l'espressione più frequente e più
comune del soffrire umano.
A tutti e a ciascuno è rivolto
l'appello del Signore: anche i malati sono mandati come operai
nella sua vigna. Il peso, che affatica le membra del corpo e
scuote la serenità dell'anima, lungi dal distoglierli dal lavorare
nella vigna, li chiama a vivere la loro vocazione umana e cristiana ed
a partecipare alla crescita del Regno di Dio in modalità nuove,
anche più preziose. Le parole dell'apostolo Paolo devono divenire
il loro programma e, prima ancora, sono luce che fa splendere ai loro
occhi il significato di grazia della loro stessa situazione: «Completo
quello che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne, in favore del
suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1, 24). Proprio
facendo questa scoperta, l'apostolo è approdato alla gioia: «Perciò
sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi» (Col 1, 24).
Similmente molti malati possono diventare portatori della «gioia
dello Spirito Santo in molte tribolazioni» (1 Tess 1, 6)
ed essere testimoni della Risurrezione di Gesù. Come ha espresso un
handicappato nel suo intervento in aula sinodale, «è di grande
importanza porre in luce il fatto che i cristiani che vivono in
situazioni di malattia, di dolore e di vecchiaia, non sono invitati da
Dio soltanto ad unire il proprio dolore con la Passione di Cristo, ma
anche ad accogliere già ora in se stessi e a trasmettere agli altri
la forza del rinnovamento e la gioia di Cristo risuscitato (cf. 2 Cor
4, 10-11; 1 Pt 4, 13; Rm 8, 18 ss.)»(199). Da parte
sua _ come si legge nella Lettera Apostolica Salvifici doloris _ «la
Chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella Croce di Cristo,
è tenuta a cercare l'incontro con l'uomo in modo particolare
sulla via della sofferenza. In un tale incontro l'uomo "diventa
la via della Chiesa", ed è, questa, una delle vie più
importanti»(200). Ora l'uomo sofferente è via della Chiesa perché
egli è, anzitutto, via di Cristo stesso, il buon Samaritano che «non
passa oltre», ma «ne ha compassione, si fa vicino (...) gli fascia
le ferite (...) si prende cura di lui» (Lc 10, 32-34).
La comunità cristiana ha
ritrascritto, di secolo in secolo nell'immensa moltitudine delle
persone malate e sofferenti, la parabola evangelica del buon
Samaritano, rivelando e comunicando l'amore di guarigione e di
consolazione di Gesù Cristo. Ciò è avvenuto mediante la
testimonianza della vita religiosa consacrata al servizio degli
ammalati e mediante l'infaticabile impegno di tutti gli operatori
sanitari. Oggi, anche negli stessi ospedali e case di cura cattolici
si fa sempre più numerosa, e talvolta anche totale ed esclusiva, la
presenza dei fedeli laici, uomini e donne: proprio loro, medici,
infermieri, altri operatori della salute, volontari, sono chiamati ad
essere l'immagine viva di Cristo e della sua Chiesa nell'amore verso i
malati e i sofferenti.
Azione pastorale rinnovata
54. E' necessario che questa
preziosissima eredità, che la Chiesa ha ricevuto da Gesù Cristo «medico
di carne e di spirito»(201), non solo non venga mai meno, ma sia
sempre più valorizzata e arricchita attraverso una ripresa e un
rilancio deciso di un'azione pastorale per e con i malati e
i sofferenti. Dev'essere un'azione capace di sostenere e di
promuovere attenzione, vicinanza, presenza, ascolto, dialogo,
condivisione e aiuto concreto verso l'uomo nei momenti nei quali, a
causa della malattia e della sofferenza, sono messe a dura prova non
solo la sua fiducia nella vita ma anche la sua stessa fede in Dio e
nel suo amore di Padre. Questo rilancio pastorale ha la sua
espressione più significativa nella celebrazione sacramentale con e
per gli ammalati, come fortezza nel dolore e nella debolezza, come
speranza nella disperazione, come luogo d'incontro e di festa.
Uno dei fondamentali obiettivi di
questa rinnovata e intensificata azione pastorale, che non può non
coinvolgere e in modo coordinato tutte le componenti della comunità
ecclesiale, è di considerare il malato, il portatore di handicap, il
sofferente non semplicemente come termine dell'amore e del servizio
della Chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile dell'opera
di evangelizzazione e di salvezza. In questa prospettiva la Chiesa
ha una buona novella da far risuonare all'interno di società e di
culture che, avendo smarrito il senso del soffrire umano, «censurano»
ogni discorso su tale dura realtà della vita. E la buona novella sta
nell'annuncio che il soffrire può avere anche un significato positivo
per l'uomo e per la stessa società, chiamato com'è a divenire una
forma di partecipazione alla sofferenza salvifica di Cristo e alla sua
gioia di risorto, e pertanto una forza di santificazione e di
edificazione della Chiesa.
L'annuncio di questa buona novella
diventa credibile allorquando non risuona semplicemente sulle labbra,
ma passa attraverso la testimonianza della vita, sia di tutti coloro
che curano con amore i malati, gli handicappati e i sofferenti, sia di
questi stessi, resi sempre più coscienti e responsabili del loro
posto e del loro compito nella Chiesa e per la Chiesa.
Di grande utilità perché «la
civiltà dell'amore» possa fiorire e fruttificare nell'immenso mondo
del dolore umano, potrà essere la rinnovata meditazione della Lettera
Apostolica Salvifici doloris, di cui ricordiamo ora le righe
conclusive: «Occorre pertanto, che sotto la Croce del Calvario
idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo e,
particolarmente, coloro che soffrono a causa della loro fede in lui
Crocifisso e Risorto, affinché l'offerta delle loro sofferenze
affretti il compimento della preghiera dello stesso Salvatore per
l'unità di tutti (cf. Gv 17, 11. 21-22). Là pure convengano
gli uomini di buona volontà, perché sulla Croce sta il
"Redentore dell'uomo", l'Uomo dei dolori, che in sé ha
assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi,
affinché nell'amore possano trovare il senso salvifico del
loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi. Insieme
con Maria, Madre di Cristo, che stava sotto la Croce (cf. Gv
19, 25), ci fermiamo accanto a tutte le croci dell'uomo d'oggi (...).
E chiediamo a tutti voi, che soffrite, di sostenerci. Proprio a
voi, che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di
forza per la Chiesa e per l'umanità. Nel terribile combattimento
tra le forze del bene e del male, di cui ci offre spettacolo il nostro
mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la Croce
di Cristo!»(202).
Stati di vita e vocazioni
55. Operai della vigna sono tutti
i membri del Popolo di Dio: i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i
fedeli laici, tutti ad un tempo oggetto e soggetto della comunione
della Chiesa e della partecipazione alla sua missione di salvezza.
Tutti e ciascuno lavoriamo nell'unica e comune vigna del Signore con
carismi e con ministeri diversi e complementari.
Già sul piano dell'essere,
prima ancora che su quello dell'agire, i cristiani sono tralci
dell'unica feconda vite che è Cristo, sono membra vive dell'unico
Corpo del Signore edificato nella forza dello Spirito. Sul piano
dell'essere: non significa solo mediante la vita di grazia e di santità,
che è la prima e più rigogliosa sorgente della fecondità apostolica
e missionaria della santa Madre Chiesa; ma significa anche mediante lo
stato di vita che caratterizza i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e
le religiose, i membri degli istituti secolari, i fedeli laici.
Nella Chiesa-Comunione gli stati
di vita sono tra loro così collegati da essere ordinati l'uno
all'altro. Certamente comune, anzi unico è il loro significato
profondo: quello di essere modalità secondo cui vivere l'eguale
dignità cristiana e l'universale vocazione alla santità nella
perfezione dell'amore. Sono modalità insieme diverse e
complementari, sicché ciascuna di esse ha una sua originale e
inconfondibile fisionomia e nello stesso tempo ciascuna di esse si
pone in relazione alle altre e al loro servizio.
Così lo stato di vita laicale ha
nell'indole secolare la sua specificità e realizza un servizio
ecclesiale nel testimoniare e nel richiamare, a suo modo, ai
sacerdoti, ai religiosi e alle religiose il significato che le realtà
terrene e temporali hanno nel disegno salvifico di Dio. A sua volta il
sacerdozio ministeriale rappresenta la permanente garanzia
della presenza sacramentale, nei diversi tempi e luoghi, di Cristo
Redentore. Lo stato religioso testimonia l'indole escatologica
della Chiesa, ossia la sua tensione verso il Regno di Dio, che viene
prefigurato e in qualche modo anticipato e pregustato dai voti di
castità, povertà e obbedienza.
Tutti gli stati di vita, sia nel
loro insieme sia ciascuno di essi in rapporto agli altri, sono al
servizio della crescita della Chiesa, sono modalità diverse che si
unificano profondamente nel «mistero di comunione» della Chiesa e
che si coordinano dinamicamente nella sua unica missione.
In tal modo, l'unico e identico
mistero della Chiesa rivela e rivive, nella diversità degli stati di
vita e nella varietà delle vocazioni, l'infinita ricchezza del
mistero di Gesù Cristo. Come amano ripetere i Padri, la Chiesa è
come un campo dall'affascinante e meravigliosa varietà di erbe,
piante, fiori e frutti. Sant'Ambrogio scrive: «Un campo produce molti
frutti, ma migliore è quello che abbonda di frutti e di fiori.
Orbene, il campo della santa Chiesa è fecondo degli uni e degli
altri. Qui puoi vedere le gemme della verginità metter fiori, là la
vedovanza dominare austera come le foreste nella pianura; altrove la
ricca mietitura delle nozze benedette dalla Chiesa riempire i grandi
granai del mondo di messe abbondante, e i torchi del Signore Gesù
ridondare come di frutti di vite rigogliosa, frutti dei quali sono
ricche le nozze cristiane»(203).
Le varie vocazioni laicali
56. La ricca varietà della Chiesa
trova una sua ulteriore manifestazione all'interno di ciascun stato di
vita. Così entro lo stato di vita laicale si danno diverse «vocazioni»,
ossia diversi cammini spirituali e apostolici che riguardano i
singoli fedeli laici. Nell'alveo d'una vocazione laicale «comune»
fioriscono vocazioni laicali «particolari». In questo ambito
possiamo ricordare anche l'esperienza spirituale che è maturata
recentemente nella Chiesa con il fiorire di diverse forme di Istituti
secolari: ai fedeli laici, ma anche agli stessi sacerdoti, è aperta
la possibilità di professare i consigli evangelici di povertà,
castità e obbedienza per mezzo dei voti o delle promesse, conservando
pienamente la propria condizione laicale o clericale(204). Come hanno
rilevato i Padri sinodali, «lo Spirito Santo suscita anche altre
forme di offerta di se stessi cui si dedicano persone che rimangono
pienamente nella vita laicale»(205).
Possiamo concludere rileggendo una
bella pagina di San Francesco di Sales, che tanto ha promosso la
spiritualità dei laici(206). Parlando della «devozione», ossia
della perfezione cristiana o «vita secondo lo Spirito», egli
presenta in una maniera semplice e splendida la vocazione di tutti i
cristiani alla santità e nello stesso tempo la forma specifica con
cui i singoli cristiani la realizzano: «Nella creazione Dio comandò
alle piante di produrre i loro frutti, ognuna "secondo la propria
specie" (Gen 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai
cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano
frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo,
dall'artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna
non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche
accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai
doveri di ogni persona (...). E' un errore, anzi un'eresia, voler
escludere l'esercizio della devozione dall'ambiente militare, dalla
bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei
coniugati. E' vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa,
monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma,
oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di
rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò,
dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta»(207).
Ponendosi nella stessa linea il
Concilio Vaticano II scrive: «Questo comportamento spirituale dei
laici deve assumere una peculiare caratteristica dallo stato di
matrimonio e di famiglia, di celibato o di vedovanza, dalla condizione
di infermità, dall'attività professionale e sociale. Non tralascino,
dunque, di coltivare costantemente le qualità e le doti ad essi
conferite corrispondenti a tali condizioni, e di servirsi dei propri
doni ricevuti dallo Spirito Santo»(208).
Ciò che vale delle vocazioni
spirituali vale anche, e in un certo senso a maggior ragione, delle
infinite varie modalità secondo cui tutti e singoli i membri della
Chiesa sono operai che lavorano nella vigna del Signore, edificando il
Corpo mistico di Cristo. Veramente ciascuno è chiamato per nome,
nell'unicità e irripetibilità della sua storia personale, a portare
il suo proprio contributo per l'avvento del Regno di Dio. Nessun
talento, neppure il più piccolo, può essere nascosto e lasciato
inutilizzato (cf. Mt 25, 24-27).
L'apostolo Pietro ci ammonisce: «Ciascuno
viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri,
come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1 Pt
4, 10).
CAPITOLO
V
PERCHÉ
PORTIATE PIÙ FRUTTO
La formazione dei fedeli laici
Maturare in continuità
57. L'immagine evangelica della
vite e dei tralci ci rivela un altro aspetto fondamentale della vita e
della missione dei fedeli laici: la chiamata a crescere, a maturare
in continuità, a portare sempre più frutto.
Come solerte vignaiolo, il Padre
si prende cura della sua vigna. La presenza premurosa di Dio è
ardentemente invocata da Israele, che così prega: «Dio degli
eserciti, volgiti, / guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna,
/ proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, / il germoglio che
ti sei coltivato» (Sal 80, 15-16). Gesù stesso parla
dell'opera del Padre: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il
vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni
tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv
15, 1-2).
La vitalità dei tralci è legata
al loro rimanere radicati nella vite, che è Cristo Gesù: «Chi
rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non
potete far nulla» (Gv 15, 5).
L'uomo è interpellato nella sua
libertà dalla chiamata di Dio a crescere, a maturare, a portare
frutto. Non può non rispondere, non può non assumersi la sua
personale responsabilità. E' a questa responsabilità, tremenda ed
esaltante, che alludono le gravi parole di Gesù: «Chi non rimane in
me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e
lo gettano nel fuoco e lo bruciano» (Gv 15, 6).
In questo dialogo tra Dio che
chiama e la persona interpellata nella sua responsabilità si situa la
possibilità, anzi la necessità di una formazione integrale e
permanente dei fedeli laici, alla quale i Padri sinodali hanno
giustamente riservato un'ampia parte del loro lavoro. In particolare,
dopo aver descritto la formazione cristiana come «un continuo
processo personale di maturazione nella fede e di configurazione con
il Cristo, secondo la volontà del Padre, con la guida dello Spirito
Santo», hanno chiaramente affermato che «la formazione dei fedeli
laici va posta tra le priorità della diocesi e va collocata nei
programmi di azione pastorale in modo che tutti gli sforzi della
comunità (sacerdoti, laici e religiosi) convergano a questo fine»(209).
Scoprire e vivere la propria
vocazione e missione
58. La formazione dei fedeli laici
ha come obiettivo fondamentale la scoperta sempre più chiara della
propria vocazione e la disponibilità sempre più grande a viverla nel
compimento della propria missione.
Dio chiama me e manda me come
operaio nella sua vigna; chiama me e manda me a lavorare per l'avvento
del suo Regno nella storia: questa vocazione e missione personale
definisce la dignità e la responsabilità dell'intera opera
formativa, ordinata al riconoscimento gioioso e grato di tale dignità
e all'assolvimento fedele e generoso di tale responsabilità.
Infatti, Dio dall'eternità ha
pensato a noi e ci ha amato come persone uniche e irripetibili,
chiamando ciascuno di noi con il suo proprio nome, come il buon
Pastore che «chiama le sue pecore per nome» (Gv 10, 3). Ma il
piano eterno di Dio si rivela a ciascuno di noi solo nello sviluppo
storico della nostra vita e delle sue vicende, e pertanto solo
gradualmente: in un certo senso, di giorno in giorno.
Ora per poter scoprire la concreta
volontà del Signore sulla nostra vita sono sempre indispensabili
l'ascolto pronto e docile della parola di Dio e della Chiesa, la
preghiera filiale e costante, il riferimento a una saggia e amorevole
guida spirituale, la lettura nella fede dei doni e dei talenti
ricevuti e nello stesso tempo delle diverse situazioni sociali e
storiche entro cui si è inseriti.
Nella vita di ciascun fedele laico
ci sono poi momenti particolarmente significativi e decisivi per
discernere la chiamata di Dio e per accogliere la missione da Lui
affidata: tra questi ci sono i momenti dell'adolescenza e della
giovinezza. Nessuno però dimentichi che il Signore, come il
padrone con gli operai della vigna, chiama _ nel senso di rendere
concreta e puntuale la sua santa volontà _ a tutte le ore della
vita: per questo la vigilanza, quale attenzione premurosa alla voce di
Dio, è un atteggiamento fondamentale e permanente del discepolo.
Non si tratta, comunque, soltanto
di sapere quello che Dio vuole da noi, da ciascuno di noi nelle
varie situazioni della vita. Occorre fare quello che Dio vuole:
così ci ricorda la parola di Maria, la Madre di Gesù, rivolta ai
servi di Cana: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2, 5). E per
agire in fedeltà alla volontà di Dio occorre essere capaci e
rendersi sempre più capaci. Certo, con la grazia del Signore,
che non manca mai, come dice San Leone Magno: «Darà il vigore Colui
che conferì la dignità!»(210); ma anche con la libera e
responsabile collaborazione di ciascuno di noi.
Ecco il compito meraviglioso e
impegnativo che attende tutti i fedeli laici, tutti i cristiani, senza
sosta alcuna: conoscere sempre più le ricchezze della fede e del
Battesimo e viverle in crescente pienezza. L'apostolo Pietro, parlando
di nascita e di crescita come delle due tappe della vita cristiana, ci
esorta: «Come bambini appena nati, bramate il puro latte spirituale,
per crescere con esso verso la salvezza» (1 Pt 2, 2).
Una formazione integrale da
vivere in unità
59. Nello scoprire e nel vivere la
propria vocazione e missione, i fedeli laici devono essere formati a
quell'unità di cui è segnato il loro stesso essere di
membri della Chiesa e di cittadini della società umana.
Nella loro esistenza non possono
esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta «spirituale»,
con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita
cosiddetta «secolare», ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei
rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura. Il tralcio,
radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore
dell'attività e dell'esistenza. Infatti, tutti i vari campi della
vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il «luogo
storico» del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù
Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività,
ogni situazione, ogni impegno concreto _ come, ad esempio, la
competenza e la solidarietà nel lavoro, l'amore e la dedizione nella
famiglia e nell'educazione dei figli, il servizio sociale e politico,
la proposta della verità nell'ambito della cultura _ sono occasioni
provvidenziali per un «continuo esercizio della fede, della speranza
e della carità»(211).
A questa unità di vita il
Concilio Vaticano II ha invitato tutti i fedeli laici denunciando con
forza la gravità della frattura tra fede e vita, tra Vangelo e
cultura: «Il Concilio esorta i cristiani, che sono cittadini dell'una
e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri
doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano
coloro che, sapendo che qui non abbiamo una cittadinanza stabile ma
cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i
propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li
obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno
(...). Il distacco, che si costata in molti, tra la fede che
professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi
errori del nostro tempo»(212). Perciò ho affermato che una fede che
non diventa cultura è una fede «non pienamente accolta, non
interamente pensata non fedelmente vissuta»(213).
Aspetti della formazione
60. Entro questa sintesi di vita
si situano i molteplici e coordinati aspetti della formazione
integrale dei fedeli laici.
Non c'è dubbio che la formazione spirituale
debba occupare un posto privilegiato nella vita di ciascuno,
chiamato a crescere senza sosta nell'intimità con Gesù Cristo, nella
conformità alla volontà del Padre, nella dedizione ai fratelli nella
carità e nella giustizia. Scrive il Concilio: «Questa vita d'intima
unione con Cristo si alimenta nella Chiesa con gli aiuti spirituali,
che sono comuni a tutti i fedeli, soprattutto con la partecipazione
attiva alla sacra Liturgia, e questi aiuti i laici devono usarli in
modo che, mentre compiono con rettitudine gli stessi doveri del mondo
nelle condizioni ordinarie di vita, non separino dalla propria vita
l'unione con Cristo, ma, svolgendo la propria attività secondo il
volere divino, crescano in essa»(214).
Sempre più urgente si rivela oggi
la formazione dottrinale dei fedeli laici, non solo per il
naturale dinamismo di approfondimento della loro fede, ma anche per
l'esigenza di «rendere ragione della speranza» che è in loro di
fronte al mondo e ai suoi gravi e complessi problemi.
Si rendono così assolutamente
necessarie una sistematica azione di catechesi, da graduarsi in
rapporto all'età e alle diverse situazioni di vita, e una più decisa
promozione cristiana della cultura, come risposta agli eterni
interrogativi che agitano l'uomo e la società d'oggi.
In particolare, soprattutto per i
fedeli laici variamente impegnati nel campo sociale e politico, è del
tutto indispensabile una conoscenza più esatta della dottrina
sociale della Chiesa, come ripetutamente i Padri sinodali hanno
sollecitato nei loro interventi. Parlando della partecipazione
politica dei fedeli laici, si sono così espressi: «Perché i laici
possano realizzare attivamente questo nobile proposito nella politica
(ossia il proposito di far riconoscere e stimare i valori umani e
cristiani), non bastano le esortazioni, ma bisogna offrire loro la
dovuta formazione della coscienza sociale, specialmente nella dottrina
sociale della Chiesa, la quale contiene i principi di riflessione, i
criteri di giudizio e le direttrici pratiche (cf. Congregazione per la
Dottrina della Fede, Istruzione su libertà cristiana e liberazione,
72). Tale dottrina deve essere già presente nella istruzione
catechistica generale, negli incontri specializzati e nelle scuole ed
università. Questa dottrina sociale della Chiesa è, tuttavia,
dinamica, cioè adattata alle circostanze dei tempi e dei luoghi. E'
diritto e dovere dei pastori proporre i principi morali anche
sull'ordine sociale; è dovere di tutti i cristiani dedicarsi alla
difesa dei diritti umani; tuttavia, la partecipazione attiva nei
partiti politici è riservata ai laici»(215).
E, infine, nel contesto della
formazione integrale e unitaria dei fedeli laici, è particolarmente
significativa per la loro azione missionaria e apostolica la personale
crescita nei valori umani. Proprio in questo senso il Concilio
ha scritto: «(i laici) facciano pure gran conto della competenza
professionale, del senso della famiglia e del senso civico e di quelle
virtù che riguardano i rapporti sociali, cioè la probità, lo
spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo,
senza le quali non ci può essere neanche vera vita cristiana»(216).
Nel maturare la sintesi organica
della loro vita, che insieme è espressione dell'unità del loro
essere e condizione per l'efficace compimento della loro missione, i
fedeli laici saranno interiormente guidati e sostenuti dallo Spirito
Santo, quale Spirito di unità e di pienezza di vita.
Collaboratori di Dio
educatore
61. Quali sono i luoghi e i mezzi
della formazione dei fedeli laici? Quali sono le persone e le
comunità chiamate ad assumersi il compito della formazione
integrale e unitaria dei fedeli laici?
Come l'opera educativa umana è
intimamente congiunta con la paternità e la maternità, così la
formazione cristiana trova la sua radice e la sua forza in Dio, il
Padre che ama ed educa i suoi figli. Sì, Dio è il primo e grande
educatore del suo Popolo, come dice lo stupendo passo del Cantico
di Mosè: «Egli lo trovò in terra deserta, / in una landa di ululati
solitari. / Lo circondò, lo allevò, / lo custodì come pupilla del
suo occhio. / Come un'aquila che veglia la sua nidiata, / che vola
sopra i suoi nati, / egli spiegò le sue ali e lo prese, / lo sollevò
sulle sue ali. / Il Signore lo guidò da solo, / non c'era con lui
alcun dio straniero» (Deut 32, 10-12; cf. 8, 5).
L'opera educativa di Dio si rivela
e si compie in Gesù, il Maestro, e raggiunge dal di dentro il cuore
d'ogni uomo grazie alla presenza dinamica dello Spirito. A prendere
parte all'opera educativa divina è chiamata la Chiesa madre, sia
in se stessa, sia nelle sue varie articolazioni ed espressioni. E' così
che i fedeli laici sono formati dalla Chiesa e nella Chiesa, in
una reciproca comunione e collaborazione di tutti i suoi membri:
sacerdoti, religiosi e fedeli laici. Così l'intera comunità
ecclesiale, nei suoi diversi membri, riceve la fecondità dello
Spirito e ad essa coopera attivamente. In tal senso Metodio di Olimpo
scriveva: «Gli imperfetti (...) sono portati e formati, come nel seno
di una madre, dai più perfetti finché siano generati e partoriti per
la grandezza e la bellezza della virtù»(217), come avvenne per
Paolo, portato e introdotto nella Chiesa dai perfetti (nella persona
di Anania) e diventato poi a sua volta perfetto e fecondo di tanti
figli.
Educatrice è, anzi tutto, la Chiesa
universale, nella quale il Papa svolge il ruolo di primo formatore
dei fedeli laici. A lui, come successore di Pietro, spetta il
ministero di «confermare nella fede i fratelli», insegnando a tutti
i credenti i contenuti essenziali della vocazione e missione cristiana
ed ecclesiale. Non solo la sua parola diretta, ma anche la sua parola
veicolata dai documenti dei vari Dicasteri della Santa Sede chiede
l'ascolto docile e amoroso dei fedeli laici.
La Chiesa una e universale è
presente nelle varie parti del mondo nelle Chiese particolari. In
ognuna di esse il Vescovo ha una responsabilità personale nei
riguardi dei fedeli laici, che deve formare mediante l'annuncio della
Parola, la celebrazione dell'Eucaristia e dei sacramenti, l'animazione
e la guida della loro vita cristiana.
Entro la Chiesa particolare o
diocesi si situa ed opera la parrocchia, la quale ha un compito
essenziale per la formazione più immediata e personale dei fedeli
laici. Infatti, in un rapporto che può raggiungere più facilmente le
singole persone e i singoli gruppi, la parrocchia è chiamata a
educare i suoi membri all'ascolto della Parola, al dialogo liturgico e
personale con Dio, alla vita di carità fraterna, facendo percepire in
modo più diretto e concreto il senso della comunione ecclesiale e
della responsabilità missionaria.
All'interno poi di talune
parrocchie, soprattutto se vaste e disperse, le piccole comunità
ecclesiali presenti possono essere di notevole aiuto nella
formazione dei cristiani, potendo rendere più capillari e incisive la
coscienza e l'esperienza della comunione e della missione ecclesiale.
Un aiuto può essere dato, come hanno detto i Padri sinodali, anche da
una catechesi postbattesimale a modo di catecumenato, mediante la
riproposizione di alcuni elementi del «Rituale dell'Iniziazione
Cristiana degli Adulti», destinati a far cogliere e vivere le immense
e straordinarie ricchezze e responsabilità del Battesimo
ricevuto(218).
Nella formazione che i fedeli
laici ricevono nella diocesi e nella parrocchia, in particolare al
senso della comunione e della missione, di speciale importanza è
l'aiuto che i diversi membri della Chiesa reciprocamente si danno: è
un aiuto che insieme rivela e attua il mistero della Chiesa Madre ed
Educatrice. I sacerdoti e i religiosi devono aiutare i fedeli laici
nella loro formazione. In questo senso i Padri del Sinodo hanno
invitato i presbiteri e i candidati agli Ordini a «prepararsi
accuratamente ad essere capaci di favorire la vocazione e la missione
dei laici»(219).
A loro volta, gli stessi fedeli
laici possono e devono aiutare i sacerdoti e i religiosi nel loro
cammino spirituale e pastorale.
Altri ambiti educativi
62 . Pure la famiglia
cristiana, in quanto «Chiesa domestica», costituisce una scuola
nativa e fondamentale per la formazione della fede: il padre e la
madre ricevono dal sacramento del Matrimonio la grazia e il ministero
dell'educazione cristiana nei riguardi dei figli, ai quali
testimoniano e trasmettono insieme valori umani e valori religiosi.
Imparando le prime parole, i figli imparano anche a lodare Dio, che
sentono vicino come Padre amorevole e provvidente; imparando i primi
gesti d'amore, i figli imparano anche ad aprirsi agli altri, cogliendo
nel dono di sé il senso del vivere umano. La stessa vita quotidiana
di una famiglia autenticamente cristiana costituisce la prima «esperienza
di Chiesa», destinata a trovare conferma e sviluppo nel graduale
inserimento attivo e responsabile dei figli nella più ampia comunità
ecclesiale e nella società civile. Quanto più i coniugi e i genitori
cristiani cresceranno nella consapevolezza che la loro «Chiesa
domestica» è partecipe della vita e della missione della Chiesa
universale, tanto più i figli potranno essere formati al «senso
della Chiesa» e sentiranno tutta la bellezza di dedicare le loro
energie al servizio del Regno di Dio.
Luoghi importanti di formazione
sono anche le scuole e le università cattoliche, come pure i
centri di rinnovamento spirituale che oggi vanno sempre più
diffondendosi. Come hanno rilevato i Padri sinodali, nell'attuale
contesto sociale e storico, segnato da una profonda svolta culturale,
non basta più la partecipazione _ peraltro sempre necessaria e
insostituibile _ dei genitori cristiani alla vita della scuola;
occorre preparare fedeli laici che si dedichino all'opera educativa
come a una vera e propria missione ecclesiale; occorre costituire e
sviluppare delle «comunità educative», formate insieme da genitori,
docenti, sacerdoti, religiosi e religiose, rappresentanti di giovani.
E perché la scuola possa degnamente svolgere la sua funzione
formativa, i fedeli laici si devono sentire impegnati a esigere da
tutti e a promuovere per tutti una vera libertà di educazione, anche
mediante un'opportuna legislazione civile(220).
I Padri sinodali hanno avuto
parole di stima e d'incoraggiamento verso tutti quei fedeli laici,
uomini e donne, che con spirito civile e cristiano svolgono un compito
educativo nella scuola e negli istituti formativi. Hanno inoltre
rilevato l'urgente necessità che i fedeli laici maestri e professori
nelle diverse scuole, cattoliche o no, siano veri testimoni del
Vangelo, mediante l'esempio della vita, la competenza e la rettitudine
professionale, l'ispirazione cristiana dell'insegnamento, salva sempre
_ com'è evidente _ l'autonomia delle varie scienze e discipline. E
di singolare importanza che la ricerca scientifica e tecnica
svolta dai fedeli laici sia retta dal criterio del servizio all'uomo
nella totalità dei suoi valori e delle sue esigenze: a questi fedeli
laici la Chiesa affida il compito di rendere a tutti più
comprensibile l'intimo legame che esiste tra la fede e la scienza, tra
il Vangelo e la cultura umana(221).
«Questo Sinodo _ leggiamo in una
proposizione _ fa appello al ruolo profetico delle scuole e delle
università cattoliche e loda la dedizione dei maestri e degli
insegnanti, al presente in massima parte laici, perché negli istituti
di educazione cattolica possano formare uomini e donne in cui si
incarni il "comandamento nuovo". La presenza contemporanea
di sacerdoti e laici, e anche di religiosi e religiose, offre agli
alunni un'immagine viva della Chiesa e rende più facile la conoscenza
delle sue ricchezze (cf. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Il
laico educatore, testimone della fede nella scuola)»(222).
Anche i gruppi, le associazioni
e i movimenti hanno un loro posto nella formazione dei fedeli
laici: hanno, infatti, la possibilità, ciascuno con i propri metodi,
di offrire una formazione profondamente inserita nella stessa
esperienza di vita apostolica, come pure hanno l'opportunità di
integrare, concretizzare e specificare la formazione che i loro
aderenti ricevono da altre persone e comunità.
La formazione reciprocamente
ricevuta e donata da tutti
63. La formazione non è il
privilegio di alcuni, bensì un diritto e un dovere per tutti. I Padri
sinodali al riguardo hanno detto: «Sia offerta a tutti la possibilità
della formazione, soprattutto ai poveri, i quali possono essere essi
stessi fonte di formazione per tutti», e hanno aggiunto: «Per la
formazione si usino mezzi adatti che aiutino ciascuno ad assecondare
la piena vocazione umana e cristiana»(223).
Ai fini d'una pastorale veramente
incisiva ed efficace è da svilupparsi, anche mettendo in atto
opportuni corsi o scuole apposite, la formazione dei formatori. Formare
coloro che, a loro volta, dovranno essere impegnati nella formazione
dei fedeli laici costituisce un'esigenza primaria per assicurare la
formazione generale e capillare di tutti i fedeli laici.
Nell'opera formativa un'attenzione
particolare dovrà essere riservata alla cultura locale, secondo
l'esplicito invito dei Padri del Sinodo: «La formazione dei cristiani
terrà nel massimo conto la cultura umana del luogo, la quale
contribuisce alla stessa formazione e aiuterà a giudicare il valore
sia insito nella cultura tradizionale, sia proposto in quella moderna.
Si dia la dovuta attenzione anche alle diverse culture che possono
coesistere in uno stesso popolo e in una stessa nazione. La Chiesa,
Madre e Maestra dei popoli, si sforzerà di salvare, dove ne sia il
caso, la cultura delle minoranze che vivono in grandi nazioni»(224).
Nell'opera formativa alcune
convinzioni si rivelano particolarmente necessarie e feconde. La
convinzione, anzitutto, che non si dà formazione vera ed efficace se
ciascuno non si assume e non sviluppa da se stesso la responsabilità
della formazione: questa, infatti, si configura essenzialmente come «auto-formazione».
La convinzione, inoltre, che
ognuno di noi è il termine e insieme il principio della formazione:
più veniamo formati e più sentiamo l'esigenza di proseguire e
approfondire tale formazione, come pure più veniamo formati e più ci
rendiamo capaci di formare gli altri.
Di singolare importanza è la
coscienza che l'opera formativa, mentre ricorre con intelligenza ai
mezzi e ai metodi delle scienze umane, è tanto più efficace quanto
più è disponibile alla azione di Dio: solo il tralcio che non
teme di lasciarsi potare dal vignaiolo produce più frutto per sé e
per gli altri.
Appello e preghiera
64. A conclusione di questo
documento post-sinodale ripropongo ancora una volta l'invito del «padrone
di casa» di cui ci parla il Vangelo: Andate anche voi nella mia
vigna. Si può dire che il significato del Sinodo sulla vocazione
e missione dei laici stia proprio in questo appello del Signore Gesù
rivolto a tutti, e in particolare ai fedeli laici, uomini e donne.
I lavori sinodali hanno costituito
per tutti i partecipanti una grande esperienza spirituale: quella di
una Chiesa attenta, nella luce e nella forza dello Spirito, a
discernere e ad accogliere il rinnovato appello del suo Signore in
ordine a riproporre al mondo d'oggi il mistero della sua comunione e
il dinamismo della sua missione di salvezza, in particolare cogliendo
il posto e il ruolo specifici dei fedeli laici. Il frutto poi del
Sinodo, che questa Esortazione intende sollecitare il più abbondante
possibile in tutte le Chiese sparse nel mondo, sarà dato
dall'effettiva accoglienza che l'appello del Signore riceverà da
parte dell'intero Popolo di Dio e, in esso, da parte dei fedeli laici.
Per questo rivolgo a tutti e a
ciascuno, Pastori e fedeli, la vivissima esortazione a non stancarsi
mai di mantenere vigile, anzi di rendere sempre più radicata nella
mente, nel cuore e nella vita la coscienza ecclesiale, la
coscienza cioè di essere membri della Chiesa di Gesù Cristo,
partecipi del suo mistero di comunione e della sua energia apostolica
e missionaria.
E' di particolare importanza che
tutti i cristiani siano consapevoli di quella straordinaria dignità
che è stata loro donata mediante il santo Battesimo: per grazia
siamo chiamati ad essere figli amati dal Padre, membra incorporate a
Gesù Cristo e alla sua Chiesa, templi vivi e santi dello Spirito.
Riascoltiamo, commossi e grati, le parole di Giovanni Evangelista: «Quale
grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e
lo siamo realmente!» (1 Gv 3, 1).
Questa «novità cristiana»
donata ai membri della Chiesa, mentre costituisce per tutti la radice
della loro partecipazione all'ufficio sacerdotale, profetico e regale
di Cristo e della loro vocazione alla santità nell'amore, si esprime
e si attua nei fedeli laici secondo «l'indole secolare» loro «propria
e peculiare».
La coscienza ecclesiale comporta,
unitamente al senso della comune dignità cristiana, il senso di
appartenere al mistero della Chiesa-Comunione: è questo un
aspetto fondamentale e decisivo per la vita e per la missione della
Chiesa. Per tutti e per ciascuno la preghiera ardente di Gesù
nell'ultima Cena: «Ut unum sint!» deve diventare, ogni
giorno, un esigente e irrinunciabile programma di vita e di azione.
Il senso vivo della comunione
ecclesiale, dono dello Spirito che sollecita la nostra libera
risposta, avrà come suo prezioso frutto la valorizzazione armonica
nella Chiesa «una e cattolica» della ricca varietà delle vocazioni
e condizioni di vita, dei carismi, dei ministeri e dei compiti e
responsabilità, come pure una più convinta e decisa collaborazione
dei gruppi, delle associazioni e dei movimenti di fedeli laici nel
solidale compimento della comune missione salvifica della Chiesa
stessa. Questa comunione è già in se stessa il primo grande segno
della presenza di Cristo Salvatore nel mondo; nello stesso tempo essa
favorisce e stimola la diretta azione apostolica e missionaria della
Chiesa.
Alle soglie del terzo millennio,
la Chiesa tutta, Pastori e fedeli, deve sentire più forte la sua
responsabilità di obbedire al comando di Cristo: «Andate in tutto il
mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15), rinnovando
il suo slancio missionario. Una grande, impegnativa e magnifica
impresa è affidata alla Chiesa: quella di una nuova
evangelizzazione, di cui il mondo attuale ha immenso bisogno. I
fedeli laici devono sentirsi parte viva e responsabile di
quest'impresa, chiamati come sono ad annunciare e a vivere il Vangelo
nel servizio ai valori e alle esigenze della persona e della società.
Il Sinodo dei Vescovi, celebratosi
nel mese di ottobre durante l'Anno Mariano, ha affidato i suoi lavori,
in modo del tutto particolare, alla intercessione di Maria Santissima,
Madre del Redentore. Ed ora alla stessa intercessione affido la
fecondità spirituale dei frutti del Sinodo. Alla Vergine mi rivolgo
al termine di questo documento post-sinodale, in unione con i Padri e
i fedeli laici presenti al Sinodo e con tutti gli altri membri del
Popolo di Dio. L'appello si fa preghiera.
O Vergine santissima,
Madre di Cristo e Madre della Chiesa,
con gioia e con ammirazione,
ci uniamo al tuo Magnificat,
al tuo canto di amore riconoscente.
Con Te rendiamo grazie a Dio,
«la cui misericordia si stende
di generazione in generazione»,
per la splendida vocazione
e per la multiforme missione
dei fedeli laici,
chiamati per nome da Dio
a vivere in comunione di amore
e di santità con Lui
e ad essere fraternamente uniti
nella grande famiglia dei figli di Dio,
mandati a irradiare la luce di Cristo
e a comunicare il fuoco dello Spirito
per mezzo della loro vita evangelica
in tutto il mondo.
Vergine del Magnificat,
riempi i loro cuori
di riconoscenza e di entusiasmo
per questa vocazione e per questa missione.
Tu che sei stata,
con umiltà e magnanimità,
«la serva del Signore»,
donaci la tua stessa disponibilità
per il servizio di Dio
e per la salvezza del mondo.
Apri i nostri cuori
alle immense prospettive
del Regno di Dio
e dell'annuncio del Vangelo
ad ogni creatura.
Nel tuo cuore di madre
sono sempre presenti i molti pericoli
e i molti mali
che schiacciano gli uomini e le donne
del nostro tempo.
Ma sono presenti anche
le tante iniziative di bene,
le grandi aspirazioni ai valori,
i progressi compiuti
nel produrre frutti abbondanti di salvezza.
Vergine coraggiosa,
ispiraci forza d'animo
e fiducia in Dio,
perché sappiamo superare
tutti gli ostacoli che incontriamo
nel compimento della nostra missione.
Insegnaci a trattare le realtà del mondo
con vivo senso di responsabilità cristiana
e nella gioiosa speranza
della venuta del Regno di Dio,
dei nuovi cieli e della terra nuova.
Tu che insieme agli Apostoli in
preghiera
sei stata nel Cenacolo
in attesa della venuta dello Spirito di Pentecoste,
invoca la sua rinnovata effusione
su tutti i fedeli laici, uomini e donne,
perché corrispondano pienamente
alla loro vocazione e missione,
come tralci della vera vite,
chiamati a portare molto frutto
per la vita del mondo.
Vergine Madre,
guidaci e sostienici perché viviamo sempre
come autentici figli e figlie
della Chiesa di tuo Figlio
e possiamo contribuire a stabilire sulla terra
la civiltà della verità e dell'amore,
secondo il desiderio di Dio
e per la sua gloria.
Amen.
Dato a Roma, presso San Pietro,
il 30 dicembre, festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe,
dell'anno 1988, undicesimo del mio Pontificato.