ESORTAZIONE
APOSTOLICA
POST-SINODALE
PASTORES
DABO VOBIS
DI SUA SANTITA'
GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO
AL CLERO E AI FEDELI
CIRCA LA FORMAZIONE DEI SACERDOTI
NELLE CIRCOSTANZE ATTUALI
Venerati Fratelli e diletti
Figli e Figlie,
salute e Apostolica Benedizione
INTRODUZIONE
« Vi darò Pastori secondo il mio
cuore ».1
Con queste parole del profeta
Geremia Dio promette al suo popolo di non lasciarlo mai privo di
pastori che lo radunino e lo guidino: « Costituirò sopra di esse
(ossia sulle mie pecore) pastori che le faranno pascolare, così che
non dovranno più temere né sgomentarsi ».2
La Chiesa, popolo di Dio,
sperimenta sempre la realizzazione di questo annuncio profetico e
nella gioia continua a rendere grazie al Signore. Essa sa che Gesù
Cristo stesso è il compimento vivo, supremo e definitivo della
promessa di Dio: « Io sono il buon pastore ».3
Egli, « il Pastore grande delle
pecore »,4 ha affidato agli apostoli e ai loro successori il
ministero di pascere il gregge di Dio.5 In particolare, senza
sacerdoti la Chiesa non potrebbe vivere quella fondamentale obbedienza
che è al cuore stesso della sua esistenza e della sua missione nella
storia: l'obbedienza al comando di Gesù: « Andate dunque e
ammaestrate tutte le genti » 6 e « Fate questo in memoria di me »,7
ossia il comando di annunciare il Vangelo e di rinnovare ogni giorno
il sacrificio del suo corpo dato e del suo sangue versato per la vita
del mondo.
Nella fede sappiamo che la
promessa del Signore non può venir meno. Proprio questa promessa è
la ragione e la forza che fa gioire la Chiesa di fronte alla fioritura
e alla crescita numerica delle vocazioni sacerdotali, che oggi si
registrano in alcune parti del mondo, così come rappresenta il
fondamento e lo stimolo per un suo atto di fede più grande e di
speranza più viva di fronte alla grave scarsità di sacerdoti, che
pesa in altre parti del mondo.
Tutti siamo chiamati a condividere
la fiducia piena nell'ininterrotto compiersi della promessa di Dio,
che i Padri sinodali hanno voluto testimoniare in modo chiaro e forte:
« Il Sinodo con piena fiducia nella promessa di Cristo che ha detto:
"Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del
mondo" 8 e consapevole dell'attività costante dello Spirito
Santo nella Chiesa, intimamente crede che non mancheranno mai
completamente nella Chiesa i sacri ministri... Anche se in varie
regioni si dà scarsità di clero, tuttavia l'azione del Padre, che
suscita le vocazioni, non cesserà mai nella Chiesa ».9
Come ho detto a conclusione del
Sinodo, di fronte alla crisi delle vocazioni sacerdotali « la prima
risposta che la Chiesa dà sta in un atto di fiducia totale nello
Spirito Santo. Siamo profondamente convinti che questo fiducioso
abbandono non deluderà, se peraltro restiamo fedeli alla grazia
ricevuta ».10
2. Restare fedeli alla grazia
ricevuta! Infatti, il dono di Dio non annulla la libertà dell'uomo,
ma la suscita, la sviluppa e la esige.
Per questo la fiducia totale
nell'incondizionata fedeltà di Dio alla sua promessa si accompagna
nella Chiesa alla grave responsabilità di cooperare all'azione di Dio
che chiama, di contribuire a creare e a mantenere le condizioni nelle
quali il buon seme, seminato da Dio, possa mettere radici e dare
frutti abbondanti. La Chiesa non può mai cessare di pregare il
padrone della messe perché mandi operai nella sua messe,11 di
rivolgere una limpida e coraggiosa proposta vocazionale alle nuove
generazioni, di aiutarle a discernere la verità della chiamata di Dio
e a corrispondervi con generosità, di riservare una cura particolare
per la formazione dei candidati al presbiterato.
In realtà la formazione dei
futuri sacerdoti, sia diocesani sia religiosi, e l'assidua cura,
protratta lungo tutto il corso della vita, per la loro santificazione
personale nel ministero e per l'aggiornamento costante del loro
impegno pastorale, sono considerate dalla Chiesa come uno dei compiti
di massima delicatezza e importanza per il futuro
dell'evangelizzazione dell'umanità.
Quest'opera formativa della Chiesa
è una continuazione nel tempo dell'opera di Cristo, che l'evangelista
Marco indica con le parole: « Gesù salì sul monte, chiamò a sé
quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì 12 che
stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero
il potere di scacciare i demoni ».12
Si può affermare che nella sua
storia, la Chiesa ha sempre rivissuto, sia pure con intensità e in
modalità diverse, questa pagina del Vangelo mediante l'opera
formativa riservata ai candidati al presbiterato e ai sacerdoti
stessi. Oggi però la Chiesa si sente chiamata a rivivere quanto il
Maestro ha fatto con i suoi apostoli con un impegno nuovo, sollecitata
com'è dalle profonde e rapide trasformazioni delle società e delle
culture del nostro tempo, dalla molteplicità e diversità dei
contesti nei quali essa annuncia e testimonia il Vangelo, dal
favorevole andamento numerico delle vocazioni sacerdotali che si
registra in diverse diocesi, dall'urgenza di una nuova verifica dei
contenuti e dei metodi della formazione sacerdotale, dalla
preoccupazione dei Vescovi e delle loro comunità per la persistente
scarsità di clero, dall'assoluta necessità che la « nuova
evangelizzazione » abbia nei sacerdoti i suoi primi « nuovi
evangelizzatori ».
Proprio in questo contesto storico
e culturale si è collocata l'ultima Assemblea generale ordinaria del
Sinodo dei Vescovi, dedicata a « La formazione dei sacerdoti nelle
circostanze attuali », con l'intento, a distanza di 25 anni dalla
fine del Concilio, di portare a compimento la dottrina conciliare su
questo argomento e di renderla più attuale e incisiva nelle
circostanze odierne.13
3. In continuità con i testi del
Concilio Vaticano II circa l'ordine dei presbiteri e la loro
formazione,14 e nell'intento di applicarne in concreto alle varie
situazioni la ricca ed autorevole dottrina, la Chiesa ha affrontato più
volte i problemi della vita, del ministero e della formazione dei
sacerdoti.
Le occasioni più solenni sono
stati i Sinodi dei Vescovi. Fin dalla prima Assemblea generale,
svoltasi nell'ottobre del 1967, il Sinodo dedicò 5 congregazioni
generali al tema del rinnovamento dei seminari. Questo lavoro diede
impulso decisivo all'elaborazione del documento della Congregazione
per l'Educazione Cattolica: « Norme fondamentali per la formazione
sacerdotale ».15
Fu soprattutto la seconda
Assemblea generale ordinaria del 1971 a impegnare la metà dei suoi
lavori sul sacerdozio ministeriale. I frutti di questo lungo confronto
sinodale, ripresi e condensati in alcune « raccomandazioni »
sottomesse al mio Predecessore, Papa Paolo VI, e lette in apertura del
Sinodo del 1974, riguardavano principalmente la dottrina sul
sacerdozio ministeriale ed alcuni aspetti della spiritualità e del
ministero sacerdotale.
Anche in molte altre occasioni il
Magistero della Chiesa ha continuato a testimoniare la sua
sollecitudine per la vita e per il ministero dei sacerdoti. Si può
dire che negli anni del post-Concilio non ci sia stato intervento
magisteriale che in qualche misura non abbia riguardato, in modo
esplicito o implicito, il senso della presenza dei sacerdoti nella
comunità, il loro ruolo e la loro necessità per la Chiesa e per la
vita del mondo.
In questi anni più recenti e da
più parti è stata avvertita la necessità di ritornare sul tema del
sacerdozio, affrontandolo da un punto di vista relativamente nuovo e
più adatto alle presenti circostanze ecclesiali e culturali.
L'attenzione si è spostata dal problema dell'identità del prete ai
problemi connessi con l'itinerario formativo al sacerdozio e con la
qualità di vita dei sacerdoti. In realtà le nuove generazioni di
chiamati al sacerdozio ministeriale presentano caratteristiche
notevolmente diverse rispetto a quelle dei loro immediati predecessori
e vivono in un mondo per tanti aspetti nuovo e in continua e rapida
evoluzione. E di tutto ciò non si può non tener conto nella
programmazione e nella realizzazione degli itinerari educativi al
sacerdozio ministeriale.
I sacerdoti poi, già inseriti da
un tempo più o meno lungo nell'esercizio del ministero, sembrano oggi
soffrire di eccessiva dispersione nelle sempre crescenti attività
pastorali e, di fronte alle difficoltà della società e della cultura
contemporanea, si sentono costretti a ripensare i loro stili di vita e
le priorità degli impegni pastorali, mentre avvertono sempre più la
necessità di una formazione permanente.
Ora all'incremento delle vocazioni
al presbiterato, alla loro formazione perché i candidati conoscano e
seguano Gesù preparandosi a celebrare e a vivere il sacramento
dell'Ordine che li configura a Cristo Capo e Pastore, Servo e Sposo
della Chiesa, all'individuazione di itinerari di formazione permanente
capaci di sostenere in modo realistico ed efficace il ministero e la
vita spirituale dei sacerdoti sono state dedicate le preoccupazioni e
le riflessioni del Sinodo dei Vescovi 1990.
Questo stesso Sinodo intendeva
anche rispondere a una richiesta fatta dal precedente Sinodo sulla
vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. I laici
stessi avevano sollecitato l'impegno dei sacerdoti alla formazione per
essere opportunamente aiutati nel compimento della comune missione
ecclesiale. E in realtà, « più si sviluppa l'apostolato dei laici e
più fortemente viene percepito il bisogno di avere dei sacerdoti che
siano ben formati. Così la vita stessa del popolo di Dio manifesta
l'insegnamento del Concilio Vaticano II sul rapporto tra sacerdozio
comune e sacerdozio ministeriale o gerarchico: infatti nel mistero
della Chiesa la gerarchia ha un carattere ministeriale.16 Più si
approfondisce il senso della vocazione propria dei laici, più si
evidenzia ciò che è proprio del sacerdozio ».17
4. Nell'esperienza ecclesiale
tipica del Sinodo, quella cioè di « una singolare esperienza di
comunione episcopale nell'universalità, che rafforza il senso della
Chiesa universale, la responsabilità dei Vescovi verso la Chiesa
universale e la sua missione, in comunione affettiva ed effettiva
attorno a Pietro »,18 si è fatta sentire, limpida ed accurata, la
voce delle diverse Chiese particolari — e in questo Sinodo, per
la prima volta, di alcune Chiese dell'Est —, le Chiese hanno
proclamato la loro fede nel compimento della promessa di Dio: « Vi
darò pastori secondo il mio cuore »,19 e hanno rinnovato il loro
impegno pastorale per la cura delle vocazioni e per la formazione dei
sacerdoti, nella consapevolezza che da queste dipendono l'avvenire
della Chiesa, il suo sviluppo e la sua missione universale di
salvezza.
Riprendendo ora il ricco
patrimonio delle riflessioni, degli orientamenti e delle indicazioni
che hanno preparato e accompagnato i lavori dei Padri sinodali, con
questa Esortazione Apostolica post-sinodale unisco alla loro la mia
voce di Vescovo di Roma e di Successore di Pietro e la rivolgo al
cuore di tutti i fedeli e di ciascuno di essi, in particolare al cuore
dei sacerdoti e di quanti sono impegnati nel delicato ministero della
loro formazione. Sì, con tutti i sacerdoti e con ciascuno di
loro, sia diocesani sia religiosi, desidero incontrarmi mediante
questa Esortazione.
Con le labbra e il cuore dei Padri
sinodali faccio mie le parole e i sentimenti del « Messaggio finale
del Sinodo al popolo di Dio »: « Con animo riconoscente e pieno di
ammirazione ci rivolgiamo a voi che siete i nostri primi cooperatori
nel servizio apostolico. La vostra opera nella Chiesa è veramente
necessaria e insostituibile. Voi sostenete il peso del ministero
sacerdotale e avete il contatto quotidiano con i fedeli. Voi siete i
ministri dell'Eucaristia, i dispensatori della misericordia divina nel
Sacramento della Penitenza, i consolatori delle anime, le guide dei
fedeli tutti nelle tempestose difficoltà della vita.
« Vi salutiamo con tutto il
cuore, vi esprimiamo la nostra gratitudine e vi esortiamo a
perseverare in questa via con animo lieto e pronto. Non cedete allo
scoraggiamento. La nostra opera non è nostra ma di Dio.
« Colui che ci ha chiamati e che
ci ha inviati rimane con noi per tutti i giorni della nostra vita. Noi
infatti operiamo per mandato di Cristo ».20
CAPITOLO
I
PRESO
FRA GLI UOMINI
5. « Ogni sommo sacerdote, preso
fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose
che riguardano Dio ».21
La Lettera agli Ebrei afferma
chiaramente l'« umanità » del ministro di Dio: egli
viene dagli uomini ed è al servizio degli uomini, imitando Gesù
Cristo « lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi,
escluso il peccato ».22
Dio chiama i suoi sacerdoti sempre
da determinati contesti umani ed ecclesiali, dai quali sono
inevitabilmente connotati e ai quali sono mandati per il servizio del
Vangelo di Cristo.
Per questo il Sinodo ha
contestualizzato l'argomento dei sacerdoti, collocandolo nell'oggi
della società e della Chiesa e aprendolo alle prospettive del terzo
millennio, come del resto risulta dalla stessa formulazione del tema:
« La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali ».
Certamente « c'è una fisionomia
essenziale del sacerdote che non muta: il sacerdote di domani infatti,
non meno di quello di oggi, dovrà assomigliare a Cristo. Quando
viveva sulla terra, Gesù offrì in se stesso il volto definitivo del
presbitero, realizzando un sacerdozio ministeriale di cui gli apostoli
furono i primi ad essere investiti; esso è destinato a durare, a
riprodursi incessantemente in tutti i periodi della storia. Il
presbitero del terzo millennio sarà, in questo senso, il continuatore
dei presbiteri che, nei precedenti millenni, hanno animato la vita
della Chiesa. Anche nel Duemila la vocazione sacerdotale continuerà
ad essere la chiamata a vivere l'unico e permanente sacerdozio di
Cristo ».23 Altrettanto certamente la vita e il ministero del
sacerdote devono anche « adattarsi a ogni epoca e ad ogni ambiente di
vita... Da parte nostra dobbiamo perciò cercare di aprirci, per
quanto possibile, alla superiore illuminazione dello Spirito Santo,
per scoprire gli orientamenti della società contemporanea,
riconoscere i bisogni spirituali più profondi, determinare i compiti
concreti più importanti, i metodi pastorali da adottare, e così
rispondere in modo adeguato alle attese umane ».24
Dovendo coniugare la permanente
verità del ministero presbiterale con le istanze e le caratteristiche
dell'oggi, i Padri Sinodali hanno cercato di rispondere ad alcune
domande necessarie: quali problemi e, nello stesso tempo, quali
stimoli positivi l'attuale contesto socio-culturale ed ecclesiale
suscita nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani che devono
maturare, per tutta l'esistenza, un progetto di vita sacerdotale?
Quali difficoltà e quali nuove possibilità offre il nostro tempo per
l'esercizio di un ministero sacerdotale coerente col dono del
Sacramento ricevuto e con l'esigenza di una vita spirituale
corrispondente?
Ripresento ora alcuni elementi
dell'analisi della situazione che i Padri sinodali hanno sviluppato,
ben consapevole però che la grande varietà delle circostanze
socio-culturali ed ecclesiali presenti nei diversi paesi consiglia di
segnalare solo i fenomeni più profondi e più diffusi, in particolare
quelli che si rapportano ai problemi educativi e alla formazione
sacerdotale.
6. Molteplici fattori sembrano
favorire negli uomini d'oggi una più matura coscienza della dignità
della persona e una nuova apertura ai valori religiosi, al Vangelo e
al ministero sacerdotale.
Nell'ambito della società
troviamo, nonostante tante contraddizioni, una più diffusa e forte
sete di giustizia e di pace, un senso più vivo della cura dell'uomo
per il creato e per il rispetto della natura, una ricerca più aperta
della verità e della tutela della dignità umana, l'impegno
crescente, in molte fasce della popolazione mondiale, per una più
concreta solidarietà internazionale e per un nuovo ordine planetario,
nella libertà e nella giustizia. Cresce anche, mentre si sviluppa
sempre più il potenziale di energie offerto dalle scienze e dalle
tecniche e si diffondono l'informazione e la cultura, una nuova
domanda etica, la domanda, cioè, di senso e quindi di un'oggettiva
scala di valori che permetta di stabilire le possibilità e i limiti
del progresso.
Nel campo più propriamente
religioso e cristiano, cadono pregiudizi ideologici e chiusure
violente all'annuncio dei valori spirituali e religiosi, mentre
sorgono nuove e insperate possibilità per l'evangelizzazione e la
ripresa della vita ecclesiale in molte parti del mondo. Si notano così
una crescente diffusione della conoscenza delle Sacre Scritture; una
vitalità e forza espansiva di molte Chiese giovani con un ruolo
sempre più rilevante nella difesa e nella promozione dei valori della
persona e della vita umana; una splendida testimonianza del martirio
da parte delle Chiese del Centro-Est europeo, come anche della fedeltà
e del coraggio di altre Chiese, che ancora sono costrette a subire
persecuzioni e tribolazioni per la fede.25
Il desiderio di Dio e di un
rapporto vivo e significativo con Lui si presenta oggi tanto forte da
favorire, là dove manca l'autentico e integrale annuncio del Vangelo
di Gesù, la diffusione di forme di religiosità senza Dio e di
molteplici sette. La loro espansione, anche in alcuni ambienti
tradizionalmente cristiani, è sì per tutti i figli della Chiesa, e
per i sacerdoti in particolare, un costante motivo di esame di
coscienza sulla credibilità della loro testimonianza al Vangelo, ma
insieme anche un segno di quanto sia tuttora profonda e diffusa la
ricerca di Dio.
7. Ma con questi e con altri
fattori positivi si trovano intrecciati molti elementi problematici o
negativi.
Ancora molto diffuso si presenta
il razionalismo, che, in nome di una concezione riduttiva di
scienza, rende insensibile la ragione umana all'incontro con la
Rivelazione e con la trascendenza divina.
È da registrarsi poi una difesa
esasperata della soggettività della persona, che tende a
chiuderla nell'individualismo, incapace di vere relazioni umane. Così
molti, soprattutto tra i ragazzi e i giovani, cercano di compensare
questa solitudine con surrogati di varia natura, con forme più o meno
acute di edonismo, di fuga dalle responsabilità; prigionieri
dell'attimo fuggente, cercano di « consumare » esperienze
individuali il più possibile forti e gratificanti sul piano delle
emozioni e delle sensazioni immediate, trovandosi però
inevitabilmente indifferenti e come paralizzati di fronte all'appello
di un progetto di vita che includa una dimensione spirituale e
religiosa e un impegno di solidarietà.
Si diffonde, inoltre, in ogni
parte del mondo, anche dopo la caduta delle ideologie che avevano
fatto del materialismo un dogma e del rifiuto della religione un
programma, una sorta di ateismo pratico ed esistenziale, che
coincide con una visione secolarista della vita e del destino
dell'uomo. Quest'uomo « tutto occupato di sé, quest'uomo che si fa
non soltanto centro di ogni interesse, ma osa dirsi principio e
ragione di ogni realtà »,26 si trova sempre più impoverito di quel
supplemento d'anima che gli è tanto più necessario quanto più una
larga disponibilità di beni materiali e di risorse lo illude di
autosufficienza. Non c'è più bisogno di combattere Dio, si pensa di
poter fare semplicemente a meno di lui.
In questo quadro, si devono
notare, in particolare, la disgregazione della realtà familiare e
l'oscuramento o il travisamento del vero senso della sessualità umana:
sono fenomeni che incidono in modo fortemente negativo sull'educazione
dei giovani e sulla loro disponibilità ad ogni vocazione religiosa.
Si devono notare, inoltre, l'aggravarsi delle ingiustizie sociali e
il concentrarsi della ricchezza nelle mani di pochi, come frutto di un
capitalismo disumano,27 che allarga sempre più la distanza tra popoli
opulenti e popoli indigenti: vengono così introdotte nella convivenza
umana tensioni e inquietudini che turbano profondamente la vita delle
persone e delle comunità.
Anche nell'ambito ecclesiale, si
registrano fenomeni preoccupanti e negativi, che hanno diretto
influsso sulla vita e sul ministero dei sacerdoti. Così l'ignoranza
religiosa che permane in molti credenti; la scarsa incidenza della
catechesi, soffocata dai più diffusi e più suadenti messaggi dei
mezzi di comunicazione di massa; il malinteso pluralismo teologico,
culturale e pastorale che, pur partendo a volte da buone intenzioni,
finisce per rendere difficile il dialogo ecumenico e per attentare
alla necessaria unità della fede; il persistere di un senso di
diffidenza e quasi di insofferenza per il magistero gerarchico; le
spinte unilaterali e riduttive della ricchezza del messaggio
evangelico, che trasformano l'annuncio e la testimonianza della fede
in un esclusivo fattore di liberazione umana e sociale oppure in un
alienante rifugio nella superstizione e nella religiosità senza Dio.28
Un fenomeno di grande rilievo,
anche se relativamente recente in molti paesi di antica tradizione
cristiana, è la presenza in uno stesso territorio di consistenti
nuclei di razze diverse e di diverse religioni. Si sviluppa così
sempre più la società multirazziale e multireligiosa. Se questo può
essere occasione, da un lato, di un esercizio più frequente e
fruttuoso del dialogo, di un'apertura di mentalità, di esperienze di
accoglienza e di giusta tolleranza, dall'altro lato può essere causa
di confusione e di relativismo, soprattutto in persone e popolazioni
dalla fede meno matura.
A questi fattori, e in stretto
collegamento con la crescita dell'individualismo, si aggiunge il
fenomeno della soggettivizzazione della fede. Si registra cioè,
da parte di un numero crescente di cristiani, una minore sensibilità
all'insieme globale ed oggettivo della dottrina della fede, per
un'adesione soggettiva a ciò che piace, che corrisponde alla propria
esperienza, che non scomoda le proprie abitudini. Anche l'appello
all'inviolabilità della coscienza individuale, in se stesso
legittimo, non manca di assumere, in questo contesto, pericolosi
caratteri di ambiguità.
Di qui deriva anche il fenomeno
delle appartenenze alla Chiesa sempre più parziali e
condizionate, che esercitano un influsso negativo sul nascere di nuove
vocazioni al sacerdozio, sulla stessa autocoscienza del sacerdote e
sul suo ministero nella comunità.
Infine, in molte realtà
ecclesiali è, ancora oggi, la scarsa presenza e disponibilità di
forze sacerdotali a creare i problemi più gravi. I fedeli sono spesso
abbandonati per lunghi periodi, senza adeguato sostegno pastorale: ne
soffrono così la crescita della loro vita cristiana nel suo complesso
e, ancor più, la loro capacità di farsi ulteriormente promotori di
evangelizzazione.
8. Le numerose contraddizioni e
potenzialità di cui sono segnate le nostre società e culture e,
nello stesso tempo, le comunità ecclesiali sono percepite, vissute e
sperimentate con una intensità del tutto particolare dal mondo dei
giovani, con ripercussioni immediate e quanto mai incisive sul loro
cammino educativo. In tal senso il sorgere e lo svilupparsi della
vocazione sacerdotale nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani
incontrano continuamente ad un tempo ostacoli e sollecitazioni.
Quanto mai forte è sui giovani il
fascino della cosiddetta « società dei consumi », che li fa
succubi e prigionieri di un'interpretazione individualista,
materialista ed edonista dell'esistenza umana. Il benessere
materialmente inteso tende ad imporsi come unico ideale di vita, un
benessere da ottenersi a qualsiasi condizione e prezzo: di qui il
rifiuto di tutto ciò che sa di sacrificio e la rinuncia alla fatica
di cercare e di vivere i valori spirituali e religiosi. La «
preoccupazione » esclusiva per l'avere soppianta il primato
dell'essere, con la conseguenza di interpretare e di vivere i
valori personali e interpersonali non secondo la logica del dono e
della gratuità, bensì secondo quella del possesso egoistico e della
strumentalizzazione dell'altro.
Questo si riflette, in
particolare, sulla visione della sessualità umana, che viene
fatta decadere dalla sua dignità di servizio alla comunione e alla
donazione tra le persone per essere semplicemente ricondotta ad un
bene di consumo. Così l'esperienza affettiva di molti giovani si
risolve non in una crescita armoniosa e gioiosa della propria
personalità che si apre all'altro nel dono di sé, ma in una grave
involuzione psicologica ed etica, che non potrà non avere i suoi
pesanti condizionamenti sul loro domani.
Alla radice di queste tendenze si
dà per non pochi giovani un'esperienza distorta della libertà:
lungi dall'essere obbedienza alla verità oggettiva e universale, la
libertà è vissuta come assenso cieco alle forze istintive e alla
volontà di potenza del singolo. Si fanno allora in qualche modo
naturali, sul piano della mentalità e del comportamento, lo
sgretolarsi del consenso intorno ai principii etici, e, sul piano
religioso, se non sempre il rifiuto esplicito di Dio, una larga
indifferenza e comunque una vita che, anche nei suoi momenti più
significativi e nelle sue scelte più decisive, viene vissuta come se
Dio non esistesse. In un simile contesto si fa difficile non solo la
realizzazione ma la stessa comprensione del senso di una vocazione al
sacerdozio, che è una specifica testimonianza del primato dell'essere
sull'avere, è riconoscimento del senso della vita come dono libero e
responsabile di sé agli altri, come disponibilità a porsi
interamente al servizio del Vangelo e del Regno di Dio in quella
particolare forma.
Anche nell'ambito della comunità
ecclesiale il mondo dei giovani costituisce, non poche volte, un «
problema ». In realtà, se nei giovani, ancor più che negli adulti,
sono presenti una forte tendenza alla soggettivizzazione della fede
cristiana e un'appartenenza solo parziale e condizionata alla vita e
alla missione della Chiesa, nella comunità ecclesiale fatica, per una
serie di ragioni, a decollare una pastorale giovanile aggiornata e
coraggiosa: i giovani rischiano di essere lasciati a se stessi, in balìa
della loro fragilità psicologica, insoddisfatti e critici di fronte
ad un mondo di adulti che, non vivendo in modo coerente e maturo la
fede, non si presentano loro come modelli credibili.
Si fa allora evidente la difficoltà
di proporre ai giovani un'esperienza integrale e coinvolgente di vita
cristiana ed ecclesiale e di educarli ad essa. Così la prospettiva
della vocazione al sacerdozio rimane lontana dagli interessi concreti
e vivi dei giovani.
9. Non mancano però situazioni e
stimoli positivi, che suscitano e alimentano nel cuore degli
adolescenti e dei giovani una nuova disponibilità, nonché una vera e
propria ricerca di valori etici e spirituali, che per loro natura
offrono il terreno propizio per un cammino vocazionale verso il dono
totale di sé a Cristo e alla Chiesa nel sacerdozio.
È da rilevare, anzitutto, come si
siano attenuati alcuni fenomeni, che in un recente passato avevano
provocato non pochi problemi, quali la contestazione radicale, le
spinte libertarie, le rivendicazioni utopiche, le forme indiscriminate
di socializzazione, la violenza.
Si deve riconoscere, inoltre, che
anche i giovani d'oggi, con la forza e la freschezza tipiche dell'età,
sono portatori degli ideali che si fanno strada nella storia: la sete
della libertà, il riconoscimento del valore incommensurabile della
persona, il bisogno dell'autenticità e della trasparenza, un nuovo
concetto e stile di reciprocità nei rapporti tra uomo e donna, la
ricerca convinta e appassionata di un mondo più giusto, più
solidale, più unito, l'apertura e il dialogo con tutti, l'impegno per
la pace.
Lo sviluppo, così ricco e vivace
in tanti giovani del nostro tempo, di numerose e varie forme di
volontariato rivolto alle situazioni più dimenticate e disagiate
della nostra società, rappresenta oggi una risorsa educativa
particolarmente importante, perché stimola e sostiene i giovani ad
uno stile di vita più disinteressato e più aperto e solidale con i
poveri. Questo stile di vita può facilitare la comprensione, il
desiderio e l'accoglienza di una vocazione al servizio stabile e
totale verso gli altri anche sulla strada della piena consacrazione a
Dio con una vita sacerdotale.
Il recente crollo delle ideologie,
il modo fortemente critico di porsi di fronte al mondo degli adulti
che non sempre offrono una testimonianza di vita affidata a valori
morali e trascendenti, la stessa esperienza di compagni che cercano
evasioni nella droga e nella violenza, contribuiscono non poco a
rendere più acuta ed ineludibile la fondamentale domanda circa i
valori che sono veramente capaci di dare pienezza di significato alla
vita, alla sofferenza e alla morte. In tanti giovani si fanno più
espliciti la domanda religiosa e il bisogno di spiritualità: di qui
il desiderio di esperienze di deserto e di preghiera, il ritorno ad
una lettura più personale e abituale della Parola di Dio e allo
studio della teologia.
E come già nell'ambito del
volontariato sociale, così in quello della comunità ecclesiale i
giovani si fanno sempre più attivi e protagonisti, soprattutto con la
partecipazione alle varie aggregazioni, da quelle tradizionali ma
rinnovate a quelle più recenti: l'esperienza di una Chiesa «
sollecitata alla nuova evangelizzazione » dalla fedeltà allo Spirito
che la anima e dalle esigenze del mondo lontano da Cristo ma bisognoso
di Lui, come pure l'esperienza di una Chiesa sempre più solidale con
l'uomo e con i popoli nella difesa e nella promozione della dignità
personale e dei diritti umani di tutti e di ciascuno aprono il cuore e
la vita dei giovani a ideali quanto mai affascinanti e impegnativi,
che possono trovare la loro concreta realizzazione nella sequela di
Cristo e nel sacerdozio.
È naturale che da questa
situazione umana ed ecclesiale, caratterizzata da forte ambivalenza,
non si potrà affatto prescindere non solo nella pastorale delle
vocazioni e nell'opera di formazione dei futuri sacerdoti, ma anche
nell'ambito della vita e del ministero dei sacerdoti e della loro
formazione permanente. Così, se si possono comprendere le varie forme
di « crisi » alle quali vanno soggetti i sacerdoti d'oggi
nell'esercizio del ministero, nella loro vita spirituale ed anche
nella stessa interpretazione della natura e del significato del
sacerdozio ministeriale, si devono pure registrare, con gioia e con
speranza, le nuove possibilità positive che il momento storico
attuale offre ai sacerdoti per il compimento della loro missione.
10. La complessa situazione
attuale, rapidamente evocata per cenni e in modo esemplificativo,
chiede di essere non solo conosciuta, ma anche e soprattutto
interpretata. Solo così si potrà rispondere in modo adeguato alla
fondamentale domanda: Come formare sacerdoti che siano veramente
all'altezza di questi tempi, capaci di evangelizzare il mondo di oggi?.29
È importante la conoscenza
della situazione. Non basta una semplice rilevazione dei dati; occorre
un'indagine « scientifica » con la quale delineare un quadro preciso
e concreto delle reali circostanze socio-culturali ed ecclesiali.
Ancor più importante è l'interpretazione
della situazione. Essa è richiesta dall'ambivalenza e talvolta
dalla contraddittorietà di cui è segnata la situazione, che registra
profondamente intrecciati tra loro difficoltà e potenzialità,
elementi negativi e ragioni di speranza, ostacoli e aperture, come il
campo evangelico nel quale sono seminati e « convivono » il buon
grano e la zizzania.30
Non è sempre facile una lettura
interpretativa, che sappia distinguere tra bene e male, tra segni di
speranza e minacce. Nella formazione dei sacerdoti non si tratta solo
e semplicemente di accogliere i fattori positivi e di contrastare
frontalmente quelli negativi. Si tratta di sottoporre gli stessi
fattori positivi ad attento discernimento, perché non si isolino
l'uno dall'altro e non vengano in contrasto tra loro, assolutizzandosi
e combattendosi a vicenda. Altrettanto si dica dei fattori negativi:
non sono da respingere in blocco e senza distinzioni, perché in
ciascuno di essi può nascondersi un qualche valore, che attende di
essere liberato e ricondotto alla sua verità piena.
Per il credente l'interpretazione
della situazione storica trova il principio conoscitivo e il criterio
delle scelte operative conseguenti in una realtà nuova e originale,
ossia nel discernimento evangelico; è l'interpretazione che
avviene nella luce e nella forza del Vangelo, del Vangelo vivo e
personale che è Gesù Cristo, e con il dono dello Spirito Santo. In
tal modo il discernimento evangelico coglie nella situazione storica e
nelle sue vicende e circostanze non un semplice « dato » da
registrare con precisione, di fronte al quale è possibile rimanere
nell'indifferenza o nella passività, bensì un « compito », una
sfida alla libertà responsabile sia della singola persona che della
comunità. È una « sfida » che si collega ad un « appello », che
Dio fa risuonare nella stessa situazione storica: anche in essa e
attraverso di essa Dio chiama il credente, e prima ancora la Chiesa, a
far sì che « il Vangelo della vocazione e del sacerdozio » esprima
la sua verità perenne nelle mutevoli circostanze della vita. Anche
alla formazione dei sacerdoti sono da applicarsi le parole del
Concilio Vaticano II: « È dovere permanente della Chiesa di scrutare
i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che,
in un modo adatto a ogni generazione, possa rispondere ai perenni
interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e
sul loro reciproco rapporto. Bisogna infatti conoscere e comprendere
il mondo in cui viviamo nonché le sue attese, le sue aspirazioni e la
sua indole spesso drammatiche ».31
Questo discernimento evangelico si
fonda sulla fiducia nell'amore di Gesù Cristo, che sempre e
instancabilmente si prende cura della sua Chiesa,32 Lui che è il
Signore e il Maestro, chiave di volta, centro e fine di tutta la
storia umana;33 si nutre della luce e della forza dello Spirito Santo,
che suscita ovunque e in ogni circostanza l'obbedienza della fede, il
coraggio gioioso della sequela di Gesù, il dono della sapienza che
tutto giudica e non è giudicata da nessuno;34 riposa sulla fedeltà
del Padre alle sue promesse.
In questo modo la Chiesa sente di
poter affrontare le difficoltà e le sfide di questo nuovo periodo
della storia e di poter assicurare anche per il presente e per il
futuro sacerdoti ben formati, che siano convinti e ferventi ministri
della « nuova evangelizzazione », servitori fedeli e generosi di Gesù
Cristo e degli uomini.
Non ci nascondiamo le difficoltà.
Non sono né poche né leggere. Ma a vincerle sono la nostra speranza,
la nostra fede nell'indefettibile amore di Cristo, la nostra certezza
della insostituibilità del ministero sacerdotale per la vita della
Chiesa e del mondo.
CAPITOLO
II
MI
HA CONSACRATO CON L'UNZIONE E MI HA MANDATO
La natura e la missione del sacerdozio ministeriale
11. « Gli occhi di tutti nella
sinagoga stavano fissi sopra di lui ».35 Quanto dice l'evangelista
Luca di coloro che erano presenti quel sabato nella sinagoga di
Nazareth in ascolto del commento, che Gesù avrebbe fatto del rotolo
del profeta Isaia da lui stesso letto, può applicarsi a tutti i
cristiani, sempre chiamati a riconoscere in Gesù di Nazareth il
definitivo compimento dell'annuncio profetico: « Allora cominciò a
dire: "Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito
con i vostri orecchi" ».36 E la « scrittura » era questa: «
Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con
l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la
vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di
grazia del Signore ».37 Gesù, dunque, si autopresenta come ripieno
di Spirito, « consacrato con l'unzione », « mandato per annunziare
ai poveri un lieto messaggio »: è il Messia, il Messia sacerdote,
profeta e re.
È questo il volto di Cristo sul
quale gli occhi della fede e dell'amore dei cristiani devono stare
fissi. Proprio a partire da e in riferimento a questa «
contemplazione » i Padri sinodali hanno riflettuto sul problema della
formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali. Tale problema non
può trovare risposta senza una previa riflessione sulla meta alla
quale è ordinato il cammino formativo: la meta è il sacerdozio
ministeriale, più precisamente il sacerdozio ministeriale come
partecipazione nella Chiesa del sacerdozio stesso di Gesù Cristo. La
conoscenza della natura e della missione del sacerdozio ministeriale
è il presupposto irrinunciabile, e nello stesso tempo la guida più
sicura e lo stimolo più incisivo, per sviluppare nella Chiesa
l'azione pastorale di promozione e di discernimento delle vocazioni
sacerdotali e di formazione dei chiamati al ministero ordinato.
La retta e approfondita conoscenza
della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è la via da
seguire, e il Sinodo di fatto l'ha seguita, per uscire dalla crisi
sull'identità del sacerdote: « Questa crisi — dicevo nel
Discorso al termine del Sinodo — era nata negli anni immediatamente
successivi al Concilio. Si fondava su un'errata comprensione, talvolta
persino volutamente tendenziosa, della dottrina del magistero
conciliare. Qui indubbiamente sta una delle cause del gran numero di
perdite subite allora dalla Chiesa, perdite che hanno gravemente
colpito il servizio pastorale e le vocazioni al sacerdozio, in
particolare le vocazioni missionarie. È come se il Sinodo del 1990,
riscoprendo, attraverso tanti interventi che abbiamo ascoltato in
quest'aula, tutta la profondità dell'identità sacerdotale, fosse
venuto a infondere la speranza dopo queste perdite dolorose. Questi
interventi hanno manifestato la coscienza del legame ontologico
specifico che unisce il sacerdote a Cristo, Sommo Sacerdote e Buon
Pastore. Questa identità sottende alla natura della formazione che
deve essere impartita in vista del sacerdozio, e quindi lungo tutta la
vita sacerdotale. Era questo lo scopo proprio del Sinodo ».38
Per questo il Sinodo ha ritenuto
necessario richiamare, in modo sintetico e fondamentale, la natura e
la missione del sacerdozio ministeriale, così come la fede della
Chiesa le ha riconosciute lungo i secoli della sua storia e come il
Concilio Vaticano II le ha ripresentate agli uomini del nostro tempo.39
12. « L'identità sacerdotale —
hanno scritto i Padri sinodali —, come ogni identità cristiana, ha
la sua fonte nella Santissima Trinità »,40 che si rivela e si
autocomunica agli uomini in Cristo, costituendo in Lui e per mezzo
dello Spirito la Chiesa come « germe e inizio del Regno ».41
L'Esortazione « Christifideles Laici », sintetizzando l'insegnamento
conciliare, presenta la Chiesa come mistero, comunione e missione:
essa « è mistero perché l'amore e la vita del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo sono il dono assolutamente gratuito
offerto a quanti sono nati dall'acqua e dallo Spirito,42 chiamati a
rivivere la comunione stessa di Dio e a manifestarla e
comunicarla nella storia (missione) ».43
È all'interno del mistero della
Chiesa, come mistero di comunione trinitaria in tensione missionaria,
che si rivela ogni identità cristiana, e quindi anche la specifica
identità del sacerdote e del suo ministero. Il presbitero, infatti,
in forza della consacrazione che riceve con il sacramento dell'Ordine,
è mandato dal Padre, per mezzo di Gesù Cristo, al quale come Capo e
Pastore del suo popolo è configurato in modo speciale, per vivere e
operare nella forza dello Spirito Santo a servizio della Chiesa e per
la salvezza del mondo.44
Si può così comprendere la
connotazione essenzialmente « relazionale » dell'identità del
presbitero: mediante il sacerdozio, che scaturisce dalle profondità
dell'ineffabile mistero di Dio, ossia dall'amore del Padre, dalla
grazia di Gesù Cristo e dal dono dell'unità dello Spirito Santo, il
presbitero è inserito sacramentalmente nella comunione con il Vescovo
e con gli altri presbiteri,45 per servire il Popolo di Dio che è la
Chiesa e attrarre tutti a Cristo, secondo la preghiera del Signore: «
Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché
siano una cosa sola, come noi... Come tu, Padre, sei in me e io in te,
siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi
hai mandato ».46
Non si può allora definire la
natura e la missione del sacerdozio ministeriale, se non in questa
molteplice e ricca trama di rapporti, che sgorgano dalla Santissima
Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa, come segno e
strumento, in Cristo, dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il
genere umano.47 In questo contesto l'ecclesiologia di comunione
diventa decisiva per cogliere l'identità del presbitero, la sua
originale dignità, la sua vocazione e missione nel Popolo di Dio e
nel mondo. Il riferimento alla Chiesa è, perciò, necessario, anche
se non prioritario nella definizione dell'identità del presbitero. In
quanto mistero, infatti, la Chiesa è essenzialmente
relativa a Gesù Cristo: di Lui, infatti, è la pienezza, il
corpo, la sposa. È il « segno » e il « memoriale » vivo della sua
permanente presenza e azione fra noi e per noi. Il presbitero trova la
verità piena della sua identità nell'essere una derivazione, una
partecipazione specifica ed una continuazione di Cristo stesso, sommo
e unico sacerdote della nuova ed eterna Alleanza: egli è un'immagine
viva e trasparente di Cristo sacerdote. Il sacerdozio di Cristo,
espressione della sua assoluta « novità » nella storia della
salvezza, costituisce la fonte unica e il paradigma insostituibile del
sacerdozio del cristiano e, in specie, del presbitero. Il riferimento
a Cristo è allora la chiave assolutamente necessaria per la
comprensione delle realtà sacerdotali.
13. Gesù Cristo ha manifestato in
se stesso il volto perfetto e definitivo del sacerdozio della nuova
Alleanza:48 questo ha fatto in tutta la sua vita terrena, ma
soprattutto nell'evento centrale della sua passione, morte e
risurrezione.
Come scrive l'autore della Lettera
agli Ebrei, Gesù, essendo uomo come noi e insieme il Figlio unigenito
di Dio, è nel suo stesso essere mediatore perfetto tra il Padre e
l'umanità,49 Colui che ci dischiude l'accesso immediato a Dio, grazie
al dono dello Spirito: « Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito
del Figlio suo che grida: Abbà, Padre! ».50
Gesù porta a piena attuazione il
suo essere mediatore attraverso l'offerta di Se stesso sulla croce,
con la quale ci apre, una volta per tutte, l'accesso al santuario
celeste, alla casa del Padre.51 Al confronto di Gesù, Mosè e tutti i
mediatori dell'Antico Testamento tra Dio e il suo popolo — i re, i
sacerdoti e i profeti — si presentano solo come figure ed ombre dei
beni futuri e non come la realtà stessa.52
Gesù è il Buon Pastore
preannunciato,53 Colui che conosce le sue pecore una ad una, che offre
la sua vita per loro e che tutti vuol raccogliere in un solo gregge
con un solo pastore.54 È il pastore venuto « non per essere servito,
ma per servire »,55 che, nell'atto pasquale della lavanda dei
piedi,56 lascia ai suoi il modello del servizio che dovranno avere gli
uni verso gli altri e che si offre liberamente come agnello innocente
immolato per la nostra redenzione.57
Con l'unico e definitivo
sacrificio della croce, Gesù comunica a tutti i suoi discepoli la
dignità e la missione di sacerdoti della nuova ed eterna Alleanza. Si
adempie così la promessa che Dio ha fatto a Israele: « Voi sarete
per me un regno di sacerdoti e una nazione santa ».58 È tutto il
popolo della nuova Alleanza — scrive San Pietro — ad essere
costituito come « un edificio spirituale », « un sacerdozio santo,
per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù
Cristo ».59 Sono i battezzati le « pietre vive », che costruiscono
l'edificio spirituale stringendosi a Cristo « pietra viva... scelta e
preziosa davanti a Dio ».60 Il nuovo popolo sacerdotale che è la
Chiesa, non solo ha in Cristo la propria autentica immagine, ma anche
da Lui riceve una partecipazione reale e ontologica al suo eterno e
unico sacerdozio, al quale deve conformarsi con tutta la sua vita.
14. A servizio di questo
sacerdozio universale della nuova Alleanza, Gesù chiama a sé, nel
corso della sua missione terrena, alcuni discepoli 61 e con un mandato
specifico e autorevole chiama e costituisce i Dodici, affinché «
stessero con lui e anche per mandarli a predicare, e perché avessero
il potere di scacciare i demoni ».62
Per questo, già durante il suo
ministero pubblico 63 e poi in pienezza dopo la morte e
risurrezione,64 Gesù conferisce a Pietro e ai Dodici poteri del tutto
particolari nei confronti della futura comunità e per
l'evangelizzazione di tutte le genti. Dopo averli chiamati alla sua
sequela, li tiene accanto a sé e vive con loro, impartendo con
l'esempio e con la parola il suo insegnamento di salvezza e, infine,
li manda a tutti gli uomini. E per il compimento di questa missione
Gesù conferisce agli apostoli, in virtù di una specifica effusione
pasquale dello Spirito Santo, la stessa autorità messianica che gli
viene dal Padre e che gli è conferita in pienezza con la
risurrezione: « Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome
del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad
osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti
i giorni, sino alla fine del mondo ».65
Gesù stabilisce così uno stretto
collegamento tra il ministero affidato agli apostoli e la sua propria
missione: « Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie
colui che mi ha mandato »;66 « Chi ascolta voi ascolta me, chi di-
sprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha
mandato ».67 Anzi, il quarto vangelo, nella luce dell'evento pasquale
della morte e della risurrezione, afferma con grande forza e
chiarezza: « Come il Padre ha mandato me, così io mando voi ».68
Come Gesù ha una missione che gli viene direttamente da Dio e che
concretizza l'autorità stessa di Dio,69 così gli apostoli hanno una
missione che viene loro da Gesù. E come « il Figlio non può fare
nulla da se stesso »,70 sicché la sua dottrina non è sua ma di
colui che lo ha mandato,71 così agli apostoli Gesù dice: « Senza di
me non potete far nulla »:72 la loro missione non è loro, ma è la
stessa missione di Gesù. E ciò è possibile non a partire dalle
forze umane, ma solo con il « dono » di Cristo e del suo Spirito,
con il « sacramento »: « Ricevete lo Spirito Santo; a chi
rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete,
resteranno non rimessi ».73 Così, non per qualche loro merito
particolare, ma soltanto per la gratuita partecipazione alla grazia di
Cristo, gli apostoli prolungano nella storia, sino alla consumazione
dei tempi, la stessa missione di salvezza di Gesù a favore degli
uomini.
Segno e presupposto
dell'autenticità e della fecondità di questa missione è l'unità
degli apostoli con Gesù e, in Lui, tra di loro e col Padre, come
testimonia la preghiera sacerdotale del Signore, sintesi della sua
missione.74
15. A loro volta, gli apostoli
costituiti dal Signore assolveranno via via alla loro missione
chiamando, in forme diverse ma alla fine convergenti, altri uomini,
come Vescovi, come presbiteri e come diaconi, per adempiere al mandato
di Gesù risorto che li ha inviati a tutti gli uomini di tutti i
tempi.
Il Nuovo Testamento è unanime nel
sottolineare che è lo stesso Spirito di Cristo a introdurre nel
ministero questi uomini, scelti di mezzo ai fratelli. Attraverso il
gesto dell'imposizione delle mani,75 che trasmette il dono dello
Spirito, essi sono chiamati e abilitati a continuare lo stesso
ministero di riconciliare, di pascere il gregge di Dio e di insegnare.76
Pertanto i presbiteri sono
chiamati a prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo pastore,
attualizzando il suo stile di vita e facendosi quasi sua trasparenza
in mezzo al gregge loro affidato. Come scrive in modo chiaro e preciso
la prima Lettera di Pietro: « Esorto i presbiteri che sono tra
voi, quale com-presbitero, testimone della sofferenza di Cristo
e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di
Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri
secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo: non
spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del
gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona
della gloria che non appassisce ».77
I presbiteri sono, nella Chiesa e
per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e
Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti
di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la
Penitenza e l'Eucaristia, ne esercitano l'amorevole sollecitudine,
fino al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono nell'unità e
conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito. In una parola, i
presbiteri esistono ed agiscono per l'annuncio del Vangelo al mondo e
per l'edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo Capo e
Pastore.78
Questo è il modo tipico e proprio
con il quale i ministri ordinati partecipano all'unico sacerdozio di
Cristo. Lo Spirito Santo mediante l'unzione sacramentale dell'Ordine
li configura, ad un titolo nuovo e specifico, a Gesù Cristo Capo e
Pastore, li conforma ed anima con la sua carità pastorale e li pone
nella Chiesa nella condizione autorevole di servi dell'annuncio del
Vangelo ad ogni creatura e di servi della pienezza della vita
cristiana di tutti i battezzati.
La verità del presbitero quale
emerge dalla Parola di Dio, ossia da Gesù Cristo stesso e dal suo
disegno costitutivo della Chiesa, viene così cantata con gioiosa
gratitudine dalla Liturgia nel Prefazio della Messa del Crisma: « Con
l'unzione dello Spirito Santo hai costituito il Cristo tuo Figlio
Pontefice della nuova ed eterna alleanza, e hai voluto che il suo
unico sacerdozio fosse perpetuato nella Chiesa. Egli comunica il
sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti, e con affetto di
predilezione sceglie alcuni tra i fratelli che mediante l'imposizione
delle mani fa partecipi del suo ministero di salvezza. Tu vuoi che nel
suo nome rinnovino il sacrificio redentore, preparino ai tuoi figli la
mensa pasquale, e, servi premurosi del tuo popolo, lo nutrano con la
tua parola e lo santifichino con i sacramenti. Tu proponi loro come
modello il Cristo, perché, donando la vita per te e per i fratelli,
si sforzino di conformarsi all'immagine del tuo Figlio, e rendano
testimonianza di fedeltà e di amore generoso ».
16. Il sacerdote ha come sua
relazione fondamentale quella con Gesù Cristo Capo e Pastore: egli,
infatti, partecipa, in modo specifico e autorevole, alla «
consacrazioneunzione » e alla « missione » di Cristo.79 Ma,
intimamente intrecciata con questa relazione, sta quella con la
Chiesa. Non si tratta di « relazioni » semplicemente accostate tra
loro, ma interiormente unite in una specie di mutua immanenza. Il
riferimento alla Chiesa è iscritto nell'unico e medesimo riferimento
del sacerdote a Cristo, nel senso che è la « rappresentanza
sacramentale » di Cristo a fondare e ad animare il riferimento del
sacerdote alla Chiesa.
In questo senso i Padri sinodali
hanno scritto: « In quanto rappresenta Cristo capo, pastore e sposo
della Chiesa, il sacerdote si pone non soltanto nella Chiesa ma
anche di fronte alla Chiesa. Il sacerdozio, unitamente alla
Parola di Dio e ai segni sacramentali di cui è al servizio,
appartiene agli elementi costitutivi della Chiesa. Il ministero del
presbitero è totalmente a favore della Chiesa; è per la promozione
dell'esercizio del sacerdozio comune di tutto il popolo di Dio; è
ordinato non solo alla Chiesa particolare, ma anche alla Chiesa
universale,80 in comunione con il Vescovo, con Pietro e sotto Pietro.
Mediante il sacerdozio del Vescovo, il sacerdozio di secondo ordine è
incorporato nella struttura apostolica della Chiesa. Così il
presbitero come gli apostoli funge da ambasciatore per Cristo.81 In
questo si fonda l'indole missionaria di ogni sacerdote ».82
Il ministero ordinato sorge dunque
con la Chiesa ed ha nei Vescovi, e in riferimento e comunione con essi
nei presbiteri, un particolare rapporto al ministero originario degli
apostoli, al quale realmente succede, anche se rispetto ad esso assume
modalità diverse di esistenza.
Non si deve allora pensare al
sacerdozio ordinato come se fosse anteriore alla Chiesa, perché è
totalmente al servizio della Chiesa stessa; ma neppure come se fosse
posteriore alla comunità ecclesiale, quasi che questa possa essere
concepita come già costituita senza tale sacerdozio.
La relazione del sacerdote con Gesù
Cristo e, in Lui, con la sua Chiesa si situa nell'essere stesso
del sacerdote, in forza della sua consacrazioneunzione sacramentale, e
nel suo agire, ossia nella sua missione o ministero. In
particolare « il sacerdote ministro è servitore di Cristo presente
nella Chiesa mistero, comunione e missione. Per il fatto di
partecipare all'"unzione" e alla "missione" di
Cristo, egli può prolungare nella Chiesa la sua preghiera, la sua
parola, il suo sacrificio, la sua azione salvifica. È dunque servitore
della Chiesa mistero perché attua i segni ecclesiali e
sacramentali della presenza di Cristo risorto. È servitore della
Chiesa comunione perché — unito al Vescovo e in stretto
rapporto con il presbiterio — costruisce l'unità della comunità
ecclesiale nell'armonia delle diverse vocazioni, carismi e servizi. È,
infine, servitore della Chiesa missione perché rende la
comunità annunciatrice e testimone del Vangelo ».83
Così, per la sua stessa natura e
missione sacramentale, il sacerdote appare, nella struttura della
Chiesa, come segno della priorità assoluta e della gratuità della
grazia, che alla Chiesa viene donata dal Cristo risorto. Per mezzo del
sacerdozio ministeriale la Chiesa prende coscienza, nella fede, di non
essere da se stessa, ma dalla grazia di Cristo nello Spirito Santo.
Gli apostoli e i loro successori, quali detentori di un'autorità che
viene loro da Cristo Capo e Pastore, sono posti — col loro ministero
— di fronte alla Chiesa come prolungamento visibile e segno
sacramentale di Cristo nel suo stesso stare di fronte alla Chiesa e al
mondo, come origine permanente e sempre nuova della salvezza, « lui
che è il salvatore del suo corpo ».84
17. Il ministero ordinato, in
forza della sua stessa natura, può essere adempiuto solo in quanto il
presbitero è unito con Cristo mediante l'inserimento sacramentale
nell'ordine presbiterale e quindi in quanto è nella comunione
gerarchica con il proprio Vescovo. Il ministero ordinato ha una
radicale « forma comunitaria » e può essere assolto solo
come « un'opera collettiva ».85 Su questa natura comunionale del
sacerdozio si è soffermato a lungo il Concilio,86 esaminando
distintamente il rapporto del presbitero con il proprio Vescovo, con
gli altri presbiteri e con i fedeli laici.
Il ministero dei presbiteri è
innanzi tutto comunione e collaborazione responsabile e necessaria al
ministero del Vescovo, nella sollecitudine per la Chiesa universale e
per le singole Chiese particolari, a servizio delle quali essi
costituiscono con il Vescovo un unico presbiterio.
Ciascun sacerdote, sia diocesano
che religioso, è unito agli altri membri di questo presbiterio, sulla
base del sacramento dell'Ordine, da particolari vincoli di carità
apostolica, di ministero e di fraternità. Tutti i presbiteri infatti,
sia diocesani sia religiosi, partecipano all'unico sacerdozio di
Cristo Capo e Pastore, « lavorano per la stessa causa, cioè per
l'edificazione del corpo di Cristo, la quale esige molteplici funzioni
e nuovi adattamenti, soprattutto in questi tempi »,87 e si
arricchisce nel corso dei secoli di sempre nuovi carismi.
I presbiteri, infine, poiché la
loro figura e il loro compito nella Chiesa non sostituiscono, bensì
promuovono il sacerdozio battesimale di tutto il popolo di Dio,
conducendolo alla sua piena attuazione ecclesiale, si trovano in
relazione positiva e promovente con i laici. Della loro fede, speranza
e carità sono al servizio. Ne riconoscono e sostengono, come fratelli
ed amici, la dignità di figli di Dio e li aiutano ad esercitare in
pienezza il loro ruolo specifico nell'ambito della missione della
Chiesa.88
Il sacerdozio ministeriale
conferito dal sacramento dell'Ordine e quello comune o « regale »
dei fedeli, che differiscono tra loro per essenza e non solo per
grado,89 sono tra loro coordinati, derivando entrambi — in forme
diverse — dall'unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdozio
ministeriale, infatti, non significa di per sé un maggiore grado di
santità rispetto al sacerdozio comune dei fedeli; ma, attraverso di
esso, ai presbiteri è dato da Cristo nello Spirito un particolare
dono, perché possano aiutare il Popolo di Dio ad esercitare con
fedeltà e pienezza il sacerdozio comune che gli è conferito.90
18. Come sottolinea il Concilio,
« il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione
non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì a una
vastissima e universale missione di salvezza sino agli ultimi confini
della terra, dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della
stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli
apostoli ».91 Per la natura stessa del loro ministero, essi debbono
dunque essere penetrati e animati di un profondo spirito missionario e
« di quello spirito veramente cattolico che li abitua a guardare
oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, e ad andare
incontro alle necessità della Chiesa intera, pronti nel loro animo a
predicare dovunque il Vangelo ».92
Inoltre, proprio perché
all'interno della vita della Chiesa è l'uomo della comunione, il
presbitero dev'essere, nel rapporto con tutti gli uomini, l'uomo della
missione e del dialogo. Profondamente radicato nella verità e nella
carità di Cristo, e animato dal desiderio e dall'imperativo di
annunciare a tutti la sua salvezza, egli è chiamato a intessere
rapporti di fraternità, di servizio, di comune ricerca della verità,
di promozione della giustizia e della pace, con tutti gli uomini. In
primo luogo con i fratelli delle altre Chiese e confessioni cristiane;
ma anche con i fedeli delle altre religioni; con gli uomini di buona
volontà, in special modo con i poveri e i più deboli, e con tutti
coloro che anelano, anche senza saperlo ed esprimerlo, alla verità e
alla salvezza di Cristo, secondo la parola di Gesù che ha detto: «
Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono
venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori ».93
Oggi, in particolare, il
prioritario compito pastorale della nuova evangelizzazione, che
investe tutto il Popolo di Dio e postula un nuovo ardore, nuovi metodi
e una nuova espressione per l'annuncio e la testimonianza del Vangelo,
esige dei sacerdoti radicalmente e integralmente immersi nel mistero
di Cristo e capaci di realizzare un nuovo stile di vita pastorale,
segnato dalla profonda comunione con il Papa, i Vescovi e tra di loro,
e da un feconda collaborazione con i fedeli laici, nel rispetto e
nella promozione dei diversi ruoli, carismi e ministeri all'interno
della comunità ecclesiale.94
« Oggi si è adempiuta questa
scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi ».95 Ascoltiamo,
ancora una volta, queste parole di Gesù, alla luce del sacerdozio
ministeriale che abbiamo presentato nella sua natura e missione. L'«
oggi » di cui parla Gesù, proprio perché appartiene alla «
pienezza del tempo », ossia al tempo della salvezza piena e
definitiva, indica il tempo della Chiesa. La consacrazione e la
missione di Cristo: « Lo Spirito del Signore... mi ha consacrato con
l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio... »,96 sono la radice viva da cui germogliano la
consacrazione e la missione della Chiesa, « pienezza » di Cristo:97
con la rigenerazione battesimale, su tutti i credenti si effonde lo
Spirito del Signore, che li consacra a formare un tempio spirituale e
un sacerdozio santo e li manda a far conoscere i prodigi di Colui che
dalle tenebre li ha chiamati all'ammirabile sua luce.98 Il
presbitero partecipa alla consacrazione e alla missione di Cristo in
modo specifico e autorevole, ossia mediante il sacramento
dell'Ordine, in virtù del quale è configurato nel suo essere a Gesù
Cristo Capo e Pastore e condivide la missione di « annunciare ai
poveri un lieto messaggio » nel nome e nella persona di Cristo
stesso.
Nel loro Messaggio finale i Padri
sinodali hanno compendiato in poche ma quanto mai ricche parole la «
verità », meglio, il « mistero » e il « dono » del sacerdozio
ministeriale, dicendo: « La nostra identità ha la sua sorgente
ultima nella carità del Padre. Al Figlio da Lui mandato, Sacerdote
Sommo e buon Pastore, siamo uniti sacramentalmente con il sacerdozio
ministeriale per l'azione dello Spirito Santo. La vita e il ministero
del sacerdote sono continuazione della vita e dell'azione dello stesso
Cristo. Questa è la nostra identità, la nostra vera dignità, la
sorgente della nostra gioia, la certezza della nostra vita ».99
CAPITOLO
III
LO
SPIRITO DEL SIGNORE E' SOPRA DI ME
La vita spirituale del sacerdote
19. « Lo Spirito del Signore è
sopra di me ».100 Lo Spirito non sta semplicemente « sopra » il
Messia, ma lo « riempie », lo penetra, lo raggiunge nel suo essere
ed operare. Lo Spirito, infatti, è il principio della «
consacrazione » e della « missione » del Messia: « per questo mi
ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri
un lieto messaggio... ».101 In forza dello Spirito, Gesù appartiene
totalmente ed esclusivamente a Dio, partecipa all'infinita santità di
Dio che lo chiama, lo elegge e lo manda. Così lo Spirito del Signore
si rivela fonte di santità e appello alla santificazione.
Questo stesso « Spirito del
Signore » è « sopra » l'intero popolo di Dio, che viene costituito
come popolo « consacrato » a Dio e da Dio « mandato » per
l'annuncio del Vangelo che salva. Dallo Spirito i membri del Popolo di
Dio sono « inebriati » e « segnati » 102 e chiamati alla santità.
In particolare, lo Spirito ci
rivela e ci comunica la vocazione fondamentale che il Padre
dall'eternità rivolge a tutti: la vocazione ad essere « santi e
immacolati al suo cospetto nella carità », in virtù della
predestinazione « a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù
Cristo ».103 Non solo. Rivelandoci e comunicandoci questa vocazione, lo
Spirito si fa in noi principio e risorsa della sua realizzazione:
lui, lo Spirito del Figlio,104 ci conforma a Cristo Gesù e ci rende
partecipi della sua vita filiale, ossia della sua carità verso il
Padre e verso i fratelli. « Se viviamo dello Spirito, camminiamo
anche secondo lo Spirito ».105 Con queste parole l'apostolo Paolo ci
ricorda che l'esistenza cristiana è « vita spirituale », ossia vita
animata e guidata dallo Spirito verso la santità o perfezione della
carità.
L'affermazione del Concilio: «
Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza
della vita cristiana e alla perfezione della carità » 106 trova una
sua particolare applicazione per i presbiteri: essi sono chiamati non
solo in quanto battezzati, ma anche e specificamente in quanto
presbiteri, ossia ad un titolo nuovo e con modalità originali,
derivanti dal sacramento dell'Ordine.
20. Della « vita spirituale »
dei presbiteri e del dono e della responsabilità di divenire « santi
» il Decreto conciliare sul ministero e sulla vita sacerdotale ci
offre una sintesi quanto mai ricca e stimolante: « Con il sacramento
dell'Ordine i presbiteri si configurano a Cristo sacerdote come
ministri del Capo, allo scopo di far crescere ed edificare tutto il
Corpo che è la Chiesa, in qualità di cooperatori dell'ordine
episcopale. Già fin dalla consacrazione del Battesimo, essi, come
tutti i fedeli, hanno ricevuto il segno e il dono di una vocazione e
di una grazia così grande che, pur nell'umana debolezza, possono e
devono tendere alla perfezione, secondo quanto ha detto il Signore:
"Siate dunque perfetti così come il Padre vostro celeste è
perfetto".107 Ma i sacerdoti sono specialmente obbligati a
tendere a questa perfezione, poiché essi — che hanno ricevuto una
nuova consacrazione a Dio mediante l'ordinazione — vengono elevati
alla condizione di strumenti vivi di Cristo eterno Sacerdote, per
proseguire nel tempo la sua mirabile opera, che ha reintegrato con
divina efficacia l'intero genere umano. Dato quindi che ogni
sacerdote, nel modo che gli è proprio, agisce a nome e nella persona
di Cristo stesso, fruisce anche di una grazia speciale, in virtù
della quale, mentre è al servizio della gente che gli è affidata e
di tutto il Popolo di Dio, egli può avvicinarsi più efficacemente
alla perfezione di Colui del quale è rappresentante, e l'umana
debolezza della carne viene sanata dalla santità di Lui, il quale è
fatto per noi pontefice "santo, innocente, incontaminato,
segregato dai peccatori" 108 ».109
Il Concilio afferma, anzitutto, la
vocazione « comune » alla santità. Questa vocazione si
radica nel Battesimo, che caratterizza il presbitero come un « fedele
» (Christifidelis), come « fratello tra fratelli », inserito
e unito con il Popolo di Dio, nella gioia di condividere i doni della
salvezza 110 e nell'impegno comune di camminare « secondo lo Spirito
», seguendo l'unico Maestro e Signore. Ricordiamo la celebre parola
di Sant'Agostino: « Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano.
Quello è nome di un ufficio assunto, questo di grazia; quello è nome
di pericolo, questo di salvezza ».111
Con identica chiarezza il testo
conciliare parla anche di una vocazione « specifica » alla santità,
più precisamente di una vocazione che si fonda sul sacramento
dell'Ordine, quale sacramento proprio e specifico del sacerdote, in
forza dunque di una nuova consacrazione a Dio mediante l'ordinazione.
A questa vocazione specifica allude ancora Sant'Agostino, che
all'affermazione « Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano »,
fa seguire queste altre parole: « Se dunque mi è causa di maggior
gioia l'essere stato con voi riscattato che l'esservi posto a capo,
seguendo il comando del Signore, mi dedicherò col massimo impegno a
servirvi, per non essere ingrato a chi mi ha riscattato con quel
prezzo che mi ha fatto vostro conservo ».112
Il testo del Concilio procede
oltre segnalando alcuni elementi necessari a definire il contenuto
della « specificità » della vita spirituale dei presbiteri. Sono
elementi che si connettono con la « consacrazione » propria dei
presbiteri, che li configura a Gesù Cristo Capo e Pastore della
Chiesa; con la « missione » o ministero tipico degli stessi
presbiteri, che li abilita e li impegna ad essere strumenti vivi di
Cristo eterno Sacerdote e ad agire « nel nome e nella persona di
Cristo stesso »; con la loro intera « vita », chiamata a
manifestare e a testimoniare in modo originale il « radicalismo
evangelico ».113
21. Mediante la consacrazione
sacramentale, il sacerdote è configurato a Gesù Cristo in quanto
Capo e Pastore della Chiesa e riceve in dono un « potere spirituale
» che è partecipazione all'autorità con la quale Gesù Cristo
mediante il suo Spirito guida la Chiesa.114
Grazie a questa consacrazione
operata dallo Spirito nell'effusione sacramentale dell'Ordine, la vita
spirituale del sacerdote viene improntata, plasmata, connotata da
quegli atteggiamenti e comportamenti che sono propri di Gesù Cristo
Capo e Pastore della Chiesa e che si compendiano nella sua carità
pastorale.
Gesù Cristo è Capo della
Chiesa, suo Corpo. È « Capo » nel senso nuovo e originale
dell'essere servo, secondo le sue stesse parole: « Il Figlio
dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e
dare la propria vita in riscatto per molti ».115 Il servizio di Gesù
giunge a pienezza con la morte in croce, ossia con il dono totale di sé,
nell'umiltà e nell'amore: « Spogliò se stesso, assumendo la
condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma
umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla
morte di croce... ».116 L'autorità di Gesù Cristo Capo coincide
dunque con il suo servizio, con il suo dono, con la sua dedizione
totale, umile e amorosa nei riguardi della Chiesa. E questo in
perfetta obbedienza al Padre: egli è l'unico vero Servo sofferente
del Signore, insieme Sacerdote e Vittima.
Da questo preciso tipo di autorità,
ossia dal servizio verso la Chiesa, viene animata e vivificata
l'esistenza spirituale di ogni sacerdote, proprio come esigenza della
sua configurazione a Gesù Cristo Capo e servo della Chiesa.117 Così
Sant'Agostino ammoniva un vescovo nel giorno della sua ordinazione: «
Chi è capo del popolo deve per prima cosa rendersi conto che egli è
il servo di molti. E non disdegni di esserlo, ripeto, non disdegni di
essere il servo di molti, poiché non disdegnò di farsi nostro servo
il Signore dei signori ».118
La vita spirituale dei ministri
del Nuovo Testamento dovrà essere improntata, dunque, a questo
essenziale atteggiamento di servizio al popolo di Dio,119 scevro da
ogni presunzione e da ogni desiderio di « spadroneggiare » sul
gregge affidato.120 Un servizio fatto di buon animo, secondo Dio e
volentieri: in questo modo i ministri, gli « anziani » della comunità,
cioè i presbiteri, potranno essere « modello » del gregge, che, a
sua volta, è chiamato ad assumere nei confronti del mondo intero
questo atteggiamento sacerdotale di servizio alla pienezza della vita
dell'uomo e alla sua liberazione integrale.
22. L'immagine di Gesù Cristo Pastore
della Chiesa, suo gregge, riprende e ripropone, con nuove e più
suggestive sfumature, gli stessi contenuti di quella di Gesù Cristo
Capo e servo. Inverando l'annuncio profetico del Messia Salvatore,
cantato gioiosamente dal salmista e dal profeta Ezechiele,121 Gesù si
autopresenta come il « buon Pastore » 122 non solo di Israele, ma di
tutti gli uomini.123 E la sua vita è ininterrotta manifestazione,
anzi quotidiana realizzazione della sua « carità pastorale »: sente
compassione delle folle, perché sono stanche e sfinite, come pecore
senza pastore;124 cerca le smarrite e le disperse 125 e fa festa per
il loro ritrovamento, le raccoglie e le difende, le conosce e le
chiama ad una ad una,126 le conduce ai pascoli erbosi e alle acque
tranquille,127 per loro imbandisce una mensa, nutrendole con la sua
stessa vita. Questa vita il buon Pastore offre con la sua morte e
risurrezione, come la liturgia romana della Chiesa canta: « È
risorto il Pastore buono che ha dato la vita per le sue pecorelle, e
per il suo gregge è andato incontro alla morte. Alleluia ».128
Pietro chiama Gesù il « Principe
dei pastori »,129 perché la sua opera e missione continuano nella
Chiesa attraverso gli apostoli 130 e i loro successori131 e attraverso
i presbiteri. In forza della loro consacrazione, i presbiteri sono
configurati a Gesù Buon Pastore e sono chiamati a imitare e a
rivivere la sua stessa carità pastorale.
Il donarsi di Cristo alla Chiesa,
frutto del suo amore, si connota di quella dedizione originale che è
propria dello sposo nei riguardi della sposa, come più volte
suggeriscono i testi sacri. Gesù è il vero Sposo che offre il
vino della salvezza alla Chiesa.132 Lui, che è il « capo della
Chiesa... e il salvatore del suo corpo »,133 « ha amato la Chiesa e
ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo
del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi
comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga
o alcunché di simile, ma santa e immacolata ».134 La Chiesa è sì
il corpo, nel quale è presente e operante Cristo Capo, ma è anche la
Sposa, che scaturisce come nuova Eva dal costato aperto del Redentore
sulla croce: per questo Cristo sta « davanti » alla Chiesa, « la
nutre e la cura » 135 con il dono della sua vita per lei. Il
sacerdote è chiamato ad essere immagine viva di Gesù Cristo Sposo
della Chiesa:136 certamente egli rimane sempre parte della comunità
come credente, insieme a tutti gli altri fratelli e sorelle convocati
dallo Spirito, ma in forza della sua configurazione a Cristo Capo e
Pastore si trova in tale posizione sponsale di fronte alla comunità.
« In quanto ripresenta Cristo capo, pastore e sposo della Chiesa, il
sacerdote si pone non solo nella Chiesa ma anche di fronte alla Chiesa
».137 È chiamato, pertanto, nella sua vita spirituale a rivivere
l'amore di Cristo sposo nei riguardi della Chiesa sposa. La sua vita
dev'essere illuminata e orientata anche da questo tratto sponsale, che
gli chiede di essere testimone dell'amore sponsale di Cristo, di
essere quindi capace di amare la gente con cuore nuovo, grande e puro,
con autentico distacco da sé, con dedizione piena, continua e fedele,
e insieme con una specie di « gelosia » divina,138 con una tenerezza
che si riveste persino delle sfumature dell'affetto materno, capace di
farsi carico dei « dolori del parto » finché « Cristo non sia
formato » nei fedeli.139
23. Il principio interiore, la
virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto
configurato a Cristo Capo e Pastore è la carità pastorale,
partecipazione della stessa carità pastorale di Gesù Cristo: dono
gratuito dello Spirito Santo, e nello stesso tempo compito e
appello alla risposta libera e responsabile del presbitero.
Il contenuto essenziale della
carità pastorale è il dono di sé, il totale dono di sé
alla Chiesa, ad immagine e in condivisione con il dono di
Cristo. « La carità pastorale è quella virtù con la quale noi
imitiamo Cristo nella sua donazione di sé e nel suo servizio. Non è
soltanto quello che facciamo, ma il dono di noi stessi, che
mostra l'amore di Cristo per il suo gregge. La carità pastorale
determina il nostro modo di pensare e di agire, il nostro modo di
rapportarci alla gente. E risulta particolarmente esigente per noi...
».140
Il dono di sé, radice e sintesi
della carità pastorale, ha come destinataria la Chiesa. Così è
stato di Cristo che « ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei
»;141 così dev'essere del sacerdote. Con la carità pastorale che
impronta l'esercizio del ministero sacerdotale come « amoris
officium »,142 « il sacerdote, che accoglie la vocazione al
ministero, è in grado di fare di questo una scelta di amore, per cui
la Chiesa e le anime diventano il suo interesse principale e, con tale
spiritualità concreta, diventa capace di amare la Chiesa universale e
quella porzione di essa, che gli è affidata, con tutto lo slancio di
uno sposo verso la sposa ».143 Il dono di sé non ha confini, essendo
segnato dallo stesso slancio apostolico e missionario di Cristo, del
buon Pastore, che ha detto: « E ho altre pecore che non sono di
quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e
diventeranno un solo gregge e un solo pastore ».144
All'interno della comunità
ecclesiale, la carità pastorale del sacerdote sollecita ed esige in
un modo particolare e specifico il suo rapporto personale con il
presbiterio, unito nel e con il Vescovo, come esplicitamente scrive il
Concilio: « La carità pastorale esige che i presbiteri, se non
vogliono correre invano, lavorino sempre nel vincolo della comunione
con i Vescovi e gli altri fratelli nel sacerdozio ».145
Il dono di sé alla Chiesa la
riguarda in quanto essa è il corpo e la sposa di Gesù Cristo.
Per questo la carità del sacerdote si riferisce primariamente a Gesù
Cristo: solo se ama e serve Cristo Capo e Sposo, la carità diventa
fonte, criterio, misura, impulso dell'amore e del servizio del
sacerdote alla Chiesa, corpo e sposa di Cristo. È stata questa la
coscienza limpida e forte dell'apostolo Paolo, che ai cristiani della
Chiesa di Corinto scrive: « Quanto a noi, siamo i vostri servitori
per amore di Gesù ».146 È questo, soprattutto, l'insegnamento
esplicito e programmatico di Gesù quando affida a Pietro il ministero
di pascere il gregge solo dopo la sua triplice attestazione di amore,
anzi di un amore di predilezione: « Gli disse per la terza volta:
"Simone di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro gli disse:
"Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli
rispose Gesù: "Pasci le mie pecorelle..." ».147 La carità
pastorale, che ha la sua sorgente specifica nel sacramento
dell'Ordine, trova la sua espressione piena e il suo supremo alimento
nell'Eucaristia: « Questa carità pastorale — leggiamo nel
Concilio — scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico, il
quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del
presbitero, cosicché l'anima sacerdotale si studia di rispecchiare in
sé ciò che viene realizzato sull'altare ».148 È nell'Eucaristia,
infatti, che viene ripresentato, ossia fatto di nuovo presente il
sacrificio della croce, il dono totale di Cristo alla sua Chiesa, il
dono del suo corpo dato e del suo sangue sparso, quale suprema
testimonianza del suo essere Capo e Pastore, Servo e Sposo della
Chiesa. Proprio per questo, la carità pastorale del sacerdote non
solo scaturisce dall'Eucaristia, ma trova nella celebrazione di questa
la sua più alta realizzazione, così come dall'Eucaristia riceve la
grazia e la responsabilità di connotare in senso « sacrificale » la
sua intera esistenza.
Questa stessa carità pastorale
costituisce il principio interiore e dinamico capace di unificare
le molteplici e diverse attività del sacerdote. Grazie ad essa può
trovare risposta l'essenziale e permanente esigenza dell'unità tra la
vita interiore e le tante azioni e responsabilità del ministero,
esigenza quanto mai urgente in un contesto socio-culturale ed
ecclesiale fortemente segnato dalla complessità, dalla frammentarietà
e dalla dispersività. Solo la concentrazione di ogni istante e di
ogni gesto attorno alla scelta fondamentale e qualificante di « dare
la vita per il gregge » può garantire questa unità vitale,
indispensabile per l'armonia e per l'equilibrio spirituale del
sacerdote: « L'unità di vita — ci ricorda il Concilio — può
essere raggiunta dai presbiteri seguendo nello svolgimento del loro
ministero l'esempio di Cristo Signore, il cui cibo era il compimento
della volontà di colui che lo aveva inviato a realizzare la sua
opera... Così, rappresentando il buon Pastore, nello stesso esercizio
pastorale della carità troveranno il vincolo della perfezione
sacerdotale che realizzerà l'unità nella loro vita e attività ».149
24. Lo Spirito del Signore ha
consacrato Cristo e lo ha mandato ad annunciare il Vangelo.150 La
missione non è un elemento esteriore e giustapposto alla
consacrazione, ma ne costituisce la destinazione intrinseca e vitale: la
consacrazione è per la missione. Così, non solo la
consacrazione, ma anche la missione sta sotto il segno dello
Spirito, sotto il suo influsso santificatore.
Così è stato di Gesù. Così è
stato degli apostoli e dei loro successori. Così è dell'intera
Chiesa e in essa dei presbiteri: tutti ricevono lo Spirito come dono e
appello di santificazione all'interno e attraverso il compimento della
missione.151
Esiste dunque un intimo rapporto
tra la vita spirituale del presbitero e l'esercizio del suo
ministero,152 rapporto che il Concilio così esprime: « Esercitando
il ministero dello Spirito e della giustizia essi (presbiteri) vengono
consolidati nella vita dello spirito, a condizione però che siano
docili agli insegnamenti dello Spirito di Cristo che li vivifica e li
conduce. I presbiteri, infatti, sono ordinati alla perfezione della
vita in forza delle stesse azioni che svolgono quotidianamente, come
anche di tutto il loro ministero, che esercitano in stretta unione con
il Vescovo e tra di loro. Ma la stessa santità dei presbiteri, a sua
volta, contribuisce moltissimo al compimento efficace del loro
ministero ».153
« Vivi il mistero che è posto
nelle tue mani »! È
questo l'invito, il monito che la Chiesa rivolge al presbitero nel
rito dell'ordinazione, quando gli vengono consegnate le offerte del
popolo santo per il sacrificio eucaristico. Il « mistero », di cui
il presbitero è dispensatore,154 è, in definitiva, Gesù Cristo
stesso, che nello Spirito è sorgente di santità e appello alla
santificazione. Il « mistero » chiede di essere inserito nella vita
vissuta del presbitero. Per questo esige grande vigilanza e viva
consapevolezza. È ancora il rito dell'ordinazione a far precedere le
parole ricordate dalla raccomandazione: « Renditi conto di ciò che
farai ». Già Paolo ammoniva il vescovo Timoteo: « Non trascurare il
dono spirituale che è in te ».155
Il rapporto tra la vita spirituale
e l'esercizio del ministero sacerdotale può trovare una sua
spiegazione anche a partire dalla carità pastorale donata dal
sacramento dell'Ordine. Il ministero del sacerdote, proprio perché è
una partecipazione al ministero salvifico di Gesù Cristo Capo e
Pastore, non può non riesprimere e rivivere quella sua carità
pastorale che insieme è la sorgente e lo spirito del suo servizio e
del suo dono di sé. Nella sua realtà oggettiva il ministero
sacerdotale è « amoris officium », secondo la citata
espressione di Sant'Agostino: proprio questa realtà oggettiva si pone
come fondamento e appello per un ethos corrispondente, che non può
essere se non quello di vivere l'amore, come rileva lo stesso
Sant'Agostino: « Sit amoris officium pascere dominicum gregem ».156
Tale ethos, e quindi la vita spirituale, altro non è che
l'accoglienza nella coscienza e nella libertà, e pertanto nella
mente, nel cuore, nelle decisioni e nelle azioni, della « verità »
del ministero sacerdotale come « amoris officium ».
25. È essenziale, per una vita
spirituale che si sviluppa attraverso l'esercizio del ministero, che
il sacerdote rinnovi continuamente e approfondisca sempre più la
coscienza di essere ministro di Gesù Cristo in forza della
consacrazione sacramentale e della configurazione a Lui Capo e Pastore
della Chiesa.
Una simile coscienza non soltanto
corrisponde alla vera natura della missione che il sacerdote svolge a
favore della Chiesa e dell'umanità, ma decide anche della vita
spirituale del sacerdote che compie quella missione. Il sacerdote,
infatti, viene scelto da Cristo non come una « cosa », bensì come
una « persona »: egli non è uno strumento inerte e passivo ma uno
« strumento vivo », come si esprime il Concilio, proprio là dove
parla dell'obbligo di tendere alla perfezione.157 È ancora il
Concilio a parlare dei sacerdoti come di « soci e collaboratori » di
Dio « santo e santificatore ».158
In tale senso nell'esercizio del
ministero è profondamente coinvolta la persona cosciente, libera e
responsabile del sacerdote. Il legame con Gesù Cristo, che la
consacrazione e configurazione del sacramento dell'Ordine assicurano,
fonda ed esige nel sacerdote un ulteriore legame che è dato dalla «
intenzione », ossia dalla volontà cosciente e libera di fare,
mediante il gesto ministeriale, ciò che intende fare la Chiesa. Un
simile legame tende, per sua natura, a farsi il più ampio e il più
profondo possibile, investendo la mente, i sentimenti, la vita, ossia
una serie di « disposizioni » morali e spirituali corrispondenti ai
gesti ministeriali che il sacerdote pone.
Non c'è dubbio che l'esercizio
del ministero sacerdotale, in specie la celebrazione dei Sacramenti,
riceve la sua efficacia di salvezza dall'azione stessa di Gesù Cristo
resa presente nei Sacramenti. Ma per un disegno divino, che vuole
esaltare l'assoluta gratuità della salvezza facendo dell'uomo un «
salvato » e insieme un « salvatore » — sempre e solo con Gesù
Cristo —, l'efficacia dell'esercizio del ministero è condizionata
anche dalla maggior o minor accoglienza e partecipazione umana.159 In
particolare, la maggiore o minore santità del ministro influisce
realmente sull'annuncio della Parola, sulla celebrazione dei
Sacramenti, sulla guida della comunità nella carità. È quanto
afferma con chiarezza il Concilio: « La stessa santità dei
presbiteri ... contribuisce moltissimo al compimento efficace del loro
ministero: infatti, se è vero che la grazia di Dio può realizzare
l'opera della salvezza anche attraverso ministri indegni, ciò
nondimeno Dio, ordinariamente, preferisce manifestare le sue grandezze
attraverso coloro i quali, fattisi più docili agli impulsi e alla
direzione dello Spirito Santo, possono dire con l'apostolo, grazie
alla propria intima unione con Cristo e alla santità di vita:
"Ormai non sono più io che vivo, bensì è Cristo che vive in
me"160 ».161
La coscienza di essere ministro di
Gesù Cristo Capo e Pastore comporta anche la coscienza grata e
gioiosa di una singolare grazia ricevuta da Gesù Cristo: la grazia di
essere stato scelto gratuitamente dal Signore come « strumento vivo
» dell'opera della salvezza. Questa scelta testimonia l'amore di Gesù
Cristo per il sacerdote. Proprio quest'amore, come e più d'ogni altro
amore, esige la corrispondenza. Dopo la sua risurrezione, Gesù pone a
Pietro la fondamentale domanda sull'amore: « Simone di Giovanni, mi
vuoi bene tu più di costoro? ». E alla risposta di Pietro segue
l'affidamento della missione: « Pasci i miei agnelli ».162 Gesù
chiede a Pietro se lo ami, prima di e per potergli consegnare il suo
gregge. Ma, in realtà, è l'amore libero e preveniente di Gesù
stesso a originare la sua richiesta all'apostolo e l'affidamento a lui
delle « sue » pecore. Così ogni gesto ministeriale, mentre conduce
ad amare e a servire la Chiesa, spinge a maturare sempre più
nell'amore e nel servizio a Gesù Cristo Capo, Pastore e Sposo della
Chiesa, un amore che si configura sempre come risposta a quello
preveniente, libero e gratuito di Dio in Cristo. A sua volta, la
crescita dell'amore a Gesù Cristo determina la crescita dell'amore
alla Chiesa: « Siamo vostri pastori (pascimus vobis), con voi
siamo nutriti (pascimur vobiscum). Il Signore ci dia la forza
di amarvi a tal punto da poter morire per voi, o di fatto o col cuore
(aut effectu aut affectu) ».163
26. Grazie al prezioso
insegnamento del Concilio Vaticano II,164 possiamo cogliere le
condizioni e le esigenze, le modalità e i frutti dell'intimo rapporto
che esiste tra la vita spirituale del sacerdote e l'esercizio del suo
triplice ministero: della Parola, del Sacramento e del servizio della
Carità.
Il sacerdote è, anzitutto,
ministro della Parola di Dio, è consacrato e mandato ad annunciare a
tutti il Vangelo del Regno, chiamando ogni uomo all'obbedienza della
fede e conducendo i credenti ad una conoscenza e comunione sempre più
profonde del mistero di Dio, rivelato e comunicato a noi in Cristo.
Per questo, il sacerdote stesso per primo deve sviluppare una grande
familiarità personale con la Parola di Dio: non gli basta conoscerne
l'aspetto linguistico o esegetico, che pure è necessario; gli occorre
accostare la Parola con cuore docile e orante, perché essa penetri a
fondo nei suoi pensieri e sentimenti e generi in lui una mentalità
nuova — « il pensiero di Cristo » 165 —, in modo che le sue
parole, le sue scelte e i suoi atteggiamenti siano sempre più una
trasparenza, un annuncio ed una testimonianza del Vangelo. Solo «
rimanendo » nella Parola, il sacerdote diventerà perfetto discepolo
del Signore, conoscerà la verità e sarà veramente libero, superando
ogni condizionamento contrario od estraneo al Vangelo.166 Il sacerdote
dev'essere il primo « credente » alla Parola, nella piena
consapevolezza che le parole del suo ministero non sono « sue », ma
di Colui che lo ha mandato. Di questa Parola egli non è padrone: è
servo. Di questa Parola egli non è unico possessore: è debitore nei
riguardi del Popolo di Dio. Proprio perché evangelizza e perché
possa evangelizzare, il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella
coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato.167 Egli
annuncia la Parola nella sua qualità di « ministro », partecipe
dell'autorità profetica di Cristo e della Chiesa. Per questo, per
avere in se stesso e per dare ai fedeli la garanzia di trasmettere il
Vangelo nella sua integrità il sacerdote è chiamato a coltivare una
sensibilità, un amore e una disponibilità particolari nei confronti
della Tradizione viva della Chiesa e del suo Magistero: questi non
sono estranei alla Parola, ma ne servono la retta interpretazione e ne
custodiscono il senso autentico.168
È soprattutto nella celebrazione
dei Sacramenti e nella celebrazione della Liturgia delle Ore che
il sacerdote è chiamato a vivere e a testimoniare l'unità profonda
tra l'esercizio del suo ministero e la sua vita spirituale: il dono di
grazia offerto alla Chiesa si fa principio di santità e appello di
santificazione. Anche per il sacerdote il posto veramente centrale,
sia nel ministero sia nella vita spirituale, è dell'Eucaristia, perché
in essa « è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè
lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne
vivificata dallo Spirito Santo, dà vita agli uomini, i quali sono in
tal modo invitati e indotti a offrire insieme a lui se stessi, le
proprie fatiche e tutte le cose create ».169
Dai diversi Sacramenti, e in
particolare dalla grazia specifica e propria a ciascuno di essi, la
vita spirituale del presbitero riceve connotazioni particolari. Essa,
infatti, viene strutturata e plasmata dalle molteplici caratteristiche
ed esigenze dei diversi Sacramenti celebrati e vissuti.
Una parola speciale voglio
riservare per il Sacramento della Penitenza, del quale i sacerdoti
sono i ministri ma devono anche esserne i beneficiari, divenendo
testimoni della compassione di Dio per i peccatori. La vita spirituale
e pastorale del sacerdote, come quella dei suoi fratelli laici e
religiosi, dipende, per la sua qualità e il suo fervore, dall'assidua
e coscienziosa pratica personale del Sacramento della Penitenza.
Ripropongo quanto ho scritto nell'Esortazione « Reconciliatio et
Paenitentia »: « La vita spirituale e pastorale del sacerdote, come
quella dei suoi fratelli laici e religiosi, dipende, per la sua qualità
e il suo fervore, dall'assidua e coscienziosa pratica personale del
Sacramento della Penitenza. La celebrazione dell'Eucaristia e il
ministero degli altri Sacramenti, lo zelo pastorale, il rapporto con i
fedeli, la comunione con i confratelli, la collaborazione col Vescovo,
la vita di preghiera, in una parola tutta l'esistenza sacerdotale
subisce un inesorabile scadimento, se viene a mancarle, per negligenza
o per qualsiasi altro motivo, il ricorso, periodico e ispirato
d'autentica fede e devozione, al Sacramento della Penitenza. In un
prete che non si confessasse più o si confessasse male, il suo essere
prete e il suo fare il prete ne risentirebbero molto
presto, e se ne accorgerebbe anche la Comunità, di cui egli è
pastore ».170
Infine, il sacerdote è chiamato a
rivivere l'autorità e il servizio di Gesù Cristo Capo e Pastore
della Chiesa animando e guidando la comunità ecclesiale, ossia
riunendo « la famiglia di Dio come fraternità animata nell'unità »
e conducendola « al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo ».171
Questo « munus regendi » è compito molto delicato e complesso, che
include, oltre all'attenzione alle singole persone e alle diverse
vocazioni, la capacità di coordinare tutti i doni e i carismi che lo
Spirito suscita nella comunità, verificandoli e valorizzandoli per
l'edificazione della Chiesa sempre in unione con i Vescovi. Si tratta
di un ministero che richiede al sacerdote una vita spirituale intensa,
ricca di quelle qualità e virtù che sono tipiche della persona che
« presiede » e « guida » una comunità, dell'« anziano » nel
senso più nobile e ricco del termine: tali sono la fedeltà, la
coerenza, la saggezza, l'accoglienza di tutti, l'affabile bontà,
l'autorevole fermezza sulle cose essenziali, la libertà da punti di
vista troppo soggettivi, il disinteresse personale, la pazienza, il
gusto dell'impegno quotidiano, la fiducia nel lavoro nascosto della
grazia che si manifesta nei semplici e nei poveri.172
27. « Lo Spirito del Signore è
sopra di me ».173 Lo Spirito Santo effuso dal sacramento dell'Ordine
è fonte di santità e appello alla santificazione, non solo perché
configura il sacerdote a Cristo Capo e Pastore della Chiesa e gli
affida la missione profetica, sacerdotale e regale da compiere nel
nome e nella persona di Cristo, ma anche perché anima e vivifica la
sua esistenza quotidiana, arricchendola di doni e di esigenze, di virtù
e di impulsi, che si compendiano nella carità pastorale. Una simile
carità è sintesi unificante dei valori e delle virtù evangeliche e
insieme forza che sostiene il loro sviluppo sino alla perfezione
cristiana.174
Per tutti i cristiani, nessuno
escluso, il radicalismo evangelico è un'esigenza fondamentale e
irrinunciabile, che scaturisce dall'appello di Cristo a seguirlo e ad
imitarlo, in forza dell'intima comunione di vita con lui operata dallo
Spirito.175 Questa stessa esigenza si ripropone per i sacerdoti, non
solo perché sono « nella » Chiesa, ma anche perché sono « di
fronte » alla Chiesa, in quanto sono configurati a Cristo Capo e
Pastore, abilitati e impegnati al ministero ordinato, vivificati dalla
carità pastorale. Ora, all'interno e come manifestazione del
radicalismo evangelico si ritrova una ricca fioritura di molteplici
virtù ed esigenze etiche che sono decisive per la vita pastorale e
spirituale del sacerdote, come, ad esempio, la fede, l'umiltà di
fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza. Espressione
privilegiata del radicalismo sono i diversi « consigli evangelici »,
che Gesù propone nel Discorso della Montagna 176 e tra questi i consigli,
intimamente coordinati tra loro,d'obbedienza, castità e povertà:
177 il sacerdote è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e più
profondamente secondo quelle finalità e quel significato originale,
che derivano dall'identità propria del presbitero e la esprimono.
28. « Tra le virtù che più sono
necessarie nel ministero dei presbiteri, va ricordata quella
disposizione d'animo per cui sempre sono pronti a cercare non la
propria volontà, ma il compimento della volontà di colui che li ha
inviati 178 ».179 È l'obbedienza, che nel caso della vita
spirituale del sacerdote si riveste di alcune caratteristiche
peculiari.
Essa è, anzitutto, un'obbedienza
« apostolica », nel senso che riconosce, ama e serve la Chiesa
nella sua struttura gerarchica. Non si dà, infatti, ministero
sacerdotale se non nella comunione con il sommo Pontefice e con il
Collegio episcopale, in particolare con il proprio Vescovo diocesano,
ai quali sono da riservarsi « il filiale rispetto e l'obbedienza »
promessi nel rito dell'ordinazione. Questa « sottomissione » a
quanti sono rivestiti dell'autorità ecclesiale non ha nulla di
umiliante, ma deriva dalla libertà responsabile del presbitero, che
accoglie non solo le esigenze di una vita ecclesiale organica e
organizzata, ma anche quella grazia di discernimento e di
responsabilità nelle decisioni ecclesiali, che Gesù ha garantito ai
suoi apostoli e ai loro successori, perché sia custodito con fedeltà
il mistero della Chiesa e perché la compagine della comunità
cristiana venga servita nel suo unitario cammino verso la salvezza.
L'obbedienza cristiana autentica,
rettamente motivata e vissuta senza servilismi, aiuta il presbitero ad
esercitare con evangelica trasparenza l'autorità che gli è affidata
nei confronti del Popolo di Dio: senza autoritarismi e senza scelte
demagogiche. Solo chi sa obbedire in Cristo, sa come richiedere,
secondo il Vangelo, l'obbedienza altrui.
L'obbedienza presbiterale presenta
inoltre un'esigenza « comunitaria »: non è l'obbedienza di
un singolo che individualmente si rapporta con l'autorità, ma è
invece profondamente inserita nell'unità del presbiterio, che come
tale è chiamato a vivere la concorde collaborazione con il Vescovo e,
per suo tramite, con il successore di Pietro.180
Questo aspetto dell'obbedienza del
sacerdote richiede una notevole ascesi, sia nel senso di un'abitudine
a non legarsi troppo alle proprie preferenze o ai propri punti di
vista, sia nel senso di lasciare spazio ai confratelli perché possano
valorizzare i loro talenti e le loro capacità, al di fuori di ogni
gelosia, invidia e rivalità. Quella del sacerdote è un'obbedienza
solidale, che parte dalla sua appartenenza all'unico presbiterio e che
sempre all'interno di esso e con esso esprime orientamenti e scelte
corresponsabili.
Infine, l'obbedienza sacerdotale
ha un particolare carattere di « pastorali- tà ». È
vissuta, cioè, in un clima di costante disponibilità a lasciarsi
afferrare, quasi « mangiare », dalle necessità e dalle esigenze del
gregge. Queste ultime devono avere una giusta razionalità, e talvolta
vanno selezionate e sottoposte a verifica, ma è innegabile che la
vita del presbitero è « occupata » in modo pieno dalla fame di
Vangelo, di fede, di speranza e di amore di Dio e del suo mistero, la
quale più o meno consapevolmente è presente nel Popolo di Dio a lui
affidato.
29. Tra i consigli evangelici —
scrive il Concilio — « eccelle questo prezioso dono della grazia
divina, dato dal Padre ad alcuni 181 di votarsi a Dio solo più
facilmente e con un cuore senza divisioni 182 nella verginità e nel
celibato. Questa perfetta continenza per il Regno dei cieli è sempre
stata tenuta in singolare onore dalla Chiesa, come un segno e uno
stimolo della carità e come una speciale sorgente di fecondità nel
mondo ».183 Nella verginità e nel celibato la castità
mantiene il suo significato originario, quello cioè di una sessualità
umana vissuta come autentica manifestazione e prezioso servizio
all'amore di comunione e di donazione interpersonale. Questo
significato sussiste pienamente nella verginità, che realizza, pur
nella rinuncia al matrimonio, il « significato sponsale » del corpo
mediante una comunione e una donazione personale a Gesù Cristo e alla
sua Chiesa che prefigurano e anticipano la comunione e la donazione
perfette e definitive dell'al di là: « Nella verginità l'uomo è in
attesa, anche corporalmente, delle nozze escatologiche di Cristo con
la Chiesa, donandosi integralmente alla Chiesa nella speranza che
Cristo si doni a questa nella piena verità della vita eterna ».184
In questa luce si possono più
facilmente comprendere e apprezzare i motivi della scelta
plurisecolare che la Chiesa di Occidente ha fatto e che ha mantenuto,
nonostante tutte le difficoltà e le obiezioni sollevate lungo i
secoli, di conferire l'ordine presbiterale solo a uomini che diano
prova di essere chiamati da Dio al dono della castità nel celibato
assoluto e perpetuo.
I Padri sinodali hanno espresso
con chiarezza e con forza il loro pensiero con un'importante
Proposizione, che merita di essere integralmente e letteralmente
riferita: « Ferma restante la disciplina delle Chiese Orientali, il
Sinodo, convinto che la castità perfetta nel celibato sacerdotale è
un carisma, ricorda ai presbiteri che essa costituisce un dono
inestimabile di Dio per la Chiesa e rappresenta un valore profetico
per il mondo attuale. Questo Sinodo nuovamente e con forza afferma
quanto la Chiesa Latina e alcuni riti orientali richiedono, che cioè
il sacerdozio venga conferito solo a quegli uomini che hanno ricevuto
da Dio il dono della vocazione alla castità celibe (senza pregiudizio
della tradizione di alcune Chiese orientali e dei casi particolari di
clero uxorato proveniente da conversioni al cattolicesimo, per il
quale si dà eccezione nell'enciclica di Paolo VI, « Sacerdotalis
Caelibatus »). Il Sinodo non vuole lasciare nessun dubbio nella mente
di tutti sulla ferma volontà della Chiesa di mantenere la legge che
esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati
all'ordinazione sacerdotale nel rito latino. Il Sinodo sollecita che
il celibato sia presentato e spiegato nella sua piena ricchezza
biblica, teologica e spirituale, come dono prezioso dato da Dio alla
sua Chiesa e come segno del Regno che non è di questo mondo, segno
dell'amore di Dio verso questo mondo nonché dell'amore indiviso del
sacerdote verso Dio e il Popolo di Dio, così che il celibato sia
visto come arricchimento positivo del sacerdozio ».185
È particolarmente importante che
il sacerdote comprenda la motivazione teologica della legge
ecclesiastica sul celibato. In quanto legge, esprime la volontà
della Chiesa, prima ancora che la volontà del soggetto espressa
dalla sua disponibilità. Ma la volontà della Chiesa trova la sua
ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l'Ordinazione
sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo
della Chiesa. La Chiesa, come Sposa di Gesù Cristo, vuole essere
amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo
Capo e Sposo l'ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé
in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il
servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore.
Per un'adeguata vita spirituale
del sacerdote occorre che il celibato sia considerato e vissuto non
come un elemento isolato o puramente negativo, ma come un aspetto di
un orientamento positivo, specifico e caratteristico del sacerdote:
egli, lasciando il padre e la madre, segue Gesù buon Pastore, in una
comunione apostolica, a servizio del Popolo di Dio. Il celibato è
dunque da accogliere con libera e amorosa decisione da rinnovare
continuamente, come dono inestimabile di Dio, come « stimolo della
carità pastorale »,186 come singolare partecipazione alla paternità
di Dio e alla fecondità della Chiesa, come testimonianza al mondo del
Regno escatologico. Per vivere tutte le esigenze morali, pastorali e
spirituali del celibato sacerdotale è assolutamente necessaria la
preghiera umile e fiduciosa, come ci avverte il Concilio: « Al mondo
d'oggi, quanto più la perfetta continenza viene considerata
impossibile da tante persone, con tanta maggiore umiltà e
perseveranza debbono i presbiteri implorare insieme alla Chiesa la
grazia della fedeltà che mai è negata a chi la richiede, ricorrendo
allo stesso tempo ai mezzi soprannaturali e naturali di cui tutti
dispongono ».187 Sarà ancora la preghiera, unita ai Sacramenti della
Chiesa e all'impegno ascetico, ad infondere speranza nelle difficoltà,
perdono nelle mancanze, fiducia e coraggio nella ripresa del cammino.
30. Della povertà evangelica i
Padri sinodali hanno dato una descrizione quanto mai concisa e
profonda, presentandola come « sottomissione di tutti i beni al Bene
supremo di Dio e del suo Regno ».188 In realtà, solo chi contempla e
vive il mistero di Dio quale unico e sommo Bene, quale vera e
definitiva Ricchezza, può capire e realizzare la povertà, che non è
certamente disprezzo e rifiuto dei beni materiali, ma è uso grato e
cordiale di questi beni ed insieme lieta rinuncia ad essi con grande
libertà interiore, ossia in ordine a Dio e ai suoi disegni.
La povertà del sacerdote, in
forza della sua configurazione sacramentale a Cristo Capo e Pastore,
assume precise connotazioni « pastorali », sulle quali, riprendendo
e sviluppando l'insegnamento conciliare,189 si sono soffermati i Padri
sinodali. Scrivono tra l'altro: « I sacerdoti, sull'esempio di Cristo
che da ricco come era si è fatto povero per nostro amore,190 devono
considerare i poveri e più deboli come loro affidati in una maniera
speciale e devono essere capaci di testimoniare la povertà con una
vita semplice e austera, essendo già abituati a rinunciare
generosamente alle cose superflue 191 ».192
È vero che « l'operaio è degno
della sua mercede » e che « il Signore ha disposto che quelli che
annunziano il Vangelo vivano del Vangelo »,193 ma è altrettanto vero
che questo diritto dell'apostolo non può assolutamente confondersi
con qualsiasi pretesa di piegare il servizio del Vangelo e della
Chiesa ai vantaggi e agli interessi che ne possono derivare. Solo la
povertà assicura al sacerdote la sua disponibilità ad essere mandato
là dove la sua opera è più utile ed urgente, anche con sacrificio
personale. È condizione e premessa indispensabile alla docilità
dell'apostolo allo Spirito, che lo rende pronto ad « andare », senza
zavorre e senza legami, seguendo solo la volontà del Maestro.194
Personalmente inserito nella vita
della comunità e responsabile di essa, il sacerdote deve offrire
anche la testimonianza di una totale « trasparenza »
nell'amministrazione dei beni della comunità stessa, che egli non
tratterà mai come fossero un patrimonio proprio, ma come cosa di cui
deve rendere conto a Dio e ai fratelli, soprattutto ai poveri. La
coscienza poi di appartenere all'unico presbiterio spingerà il
sacerdote ad impegnarsi per favorire sia una più equa distribuzione
dei beni tra i confratelli, sia un certo uso in comune dei beni.195
La libertà interiore, che la
povertà evangelica custodisce e alimenta, abilita il prete a stare
accanto ai più deboli, a farsi solidale con i loro sforzi per
l'instaurazione d'una società più giusta, ad essere più sensibile e
più capace di comprensione e di discernimento dei fenomeni
riguardanti l'aspetto economico e sociale della vita, a promuovere la
scelta preferenziale dei poveri: questa, senza escludere nessuno
dall'annuncio e dal dono della salvezza, sa chinarsi sui piccoli, sui
peccatori, sugli emarginati di ogni specie, secondo il modello dato da
Gesù nello svolgimento del suo ministero profetico e sacerdotale.196
Né va dimenticato il significato
profetico della povertà sacerdotale, particolarmente urgente nelle
società opulente e consumiste: « Il sacerdote veramente povero è di
certo un segno concreto della separazione, della rinuncia e non della
sottomissione alla tirannia del mondo contemporaneo che ripone ogni
sua fiducia nel denaro e nella sicurezza materiale ».197
Gesù Cristo, che sulla croce
conduce a perfezione la sua carità pastorale con un'abissale
spogliazione esteriore e interiore, è il modello e la fonte delle
virtù di obbedienza, castità e povertà, che il sacerdote è
chiamato a vivere come espressione del suo amore pastorale per i
fratelli. Secondo quanto Paolo scrive ai cristiani di Filippi, il
sacerdote deve avere gli « stessi sentimenti » di Gesù,
spogliandosi del proprio « io », per trovare, nella carità
obbediente, casta e povera, la via maestra dell'unione con Dio e
dell'unità con i fratelli.198
31. Come ogni vita spirituale
autenticamente cristiana, anche quella del sacerdote possiede
un'essenziale e irrinunciabile dimensione ecclesiale: è
partecipazione alla santità della Chiesa stessa, che nel Credo
professiamo quale « Comunione dei Santi ». La santità del cristiano
deriva da quella della Chiesa, la esprime e nello stesso tempo
l'arricchisce. Questa dimensione ecclesiale riveste modalità, finalità
e significati particolari nella vita spirituale del presbitero, in
forza del suo specifico rapporto con la Chiesa, sempre a partire dalla
sua configurazione a Cristo Capo e Pastore, dal suo ministero
ordinato, dalla sua carità pastorale.
In questa prospettiva occorre
considerare come valore spirituale del presbitero la sua appartenenza
e la sua dedicazione alla Chiesa particolare. Queste, in realtà, non
sono motivate soltanto da ragioni organizzative e disciplinari. Al
contrario, il rapporto con il Vescovo nell'unico presbiterio, la
condivisione della sua sollecitudine ecclesiale, la dedicazione alla
cura evangelica del Popolo di Dio nelle concrete condizioni storiche e
ambientali della Chiesa particolare sono elementi dai quali non si può
prescindere nel delineare la configurazione propria del sacerdote e
della sua vita spirituale. In questo senso la incardinazione non si
esaurisce in un vincolo puramente giuridico, ma comporta anche una
serie di atteggiamenti e di scelte spirituali e pastorali, che
contribuiscono a conferire una fisionomia specifica alla figura
vocazionale del presbitero.
È necessario che il sacerdote
abbia la coscienza che il suo « essere in una Chiesa particolare »
costituisce, di sua natura, un elemento qualificante per vivere la
spiritualità cristiana. In tal senso il presbitero trova proprio
nella sua appartenenza e dedicazione alla Chiesa particolare una fonte
di significati, di criteri di discernimento e di azione, che
configurano sia la sua missione pastorale sia la sua vita spirituale.
Al cammino verso la perfezione
possono contribuire anche altre ispirazioni o riferimenti ad altre
tradizioni di vita spirituale, capaci di arricchire la vita
sacerdotale dei singoli e di animare il presbiterio di preziosi doni
spirituali. È questo il caso di molte aggregazioni ecclesiali antiche
e nuove, che accolgono nel proprio ambito anche sacerdoti: dalle
società di vita apostolica agli istituti secolari presbiterali, dalle
varie forme di comunione e di condivisione spirituale ai movimenti
ecclesiali. I sacerdoti, che appartengono ad ordini e a congregazioni
religiose, sono una ricchezza spirituale per l'intero presbiterio
diocesano, al quale offrono il contributo di specifici carismi e di
ministeri qualificati, stimolando con la loro presenza la Chiesa
particolare a vivere più intensamente la sua apertura universale.199
L'appartenenza del sacerdote alla
Chiesa particolare e la sua dedicazione, fino al dono della vita, per
l'edificazione della Chiesa « nella persona » di Cristo Capo e
Pastore, a servizio di tutta la comunità cristiana, in cordiale e
filiale riferimento al Vescovo, devono essere rafforzate da ogni altro
carisma che entri a far parte di un'esistenza sacerdotale o si
affianchi ad essa.200
Perché l'abbondanza dei doni
dello Spirito venga accolta nella gioia e fatta fruttificare a gloria
di Dio per il bene della Chiesa intera, si esige da parte di tutti, in
primo luogo, la conoscenza ed il discernimento dei carismi propri ed
altrui, e un loro esercizio accompagnato sempre dall'umiltà
cristiana, dal coraggio dell'autocritica, dall'intenzione, prevalente
su ogni altra preoccupazione, di giovare all'edificazione dell'intera
comunità al cui servizio è posto ogni carisma particolare. Si
chiede, inoltre, a tutti un sincero sforzo di reciproca stima, di
rispetto vicendevole e di coordinata valorizzazione di tutte le
positive e legittime diversità presenti nel presbiterio. Anche tutto
questo fa parte della vita spirituale e della continua ascesi del
sacerdote.
32. L'appartenenza e la
dedicazione alla Chiesa particolare non rinchiudono in essa l'attività
e la vita del presbitero: queste non possono affatto esservi
rinchiuse, per la natura stessa sia della Chiesa particolare 201 sia
del ministero sacerdotale. Il Concilio scrive al riguardo: « Il dono
spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione non li
prepara a una missione limitata e ristretta, bensì ad una vastissima
e universale missione di salvezza, "fino agli ultimi confini
della terra",202 dato che qualunque ministero sacerdotale
partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da
Cristo agli apostoli ».203
Ne deriva che la vita spirituale
dei sacerdoti dev'essere profondamente segnata dall'anelito e dal
dinamismo missionario. Tocca loro, nell'esercizio del ministero e
nella testimonianza della vita, plasmare la comunità loro affidata
come comunità autenticamente missionaria. Come ho scritto
nell'enciclica « Redemptoris Missio », « tutti i sacerdoti debbono
avere cuore e mentalità missionaria, essere aperti ai bisogni della
Chiesa e del mondo, attenti ai più lontani e, soprattutto, ai gruppi
non cristiani del proprio ambiente. Nella preghiera e, in particolare,
nel sacrificio eucaristico sentano la sollecitudine di tutta la Chiesa
per tutta l'umanità ».204
Se questo spirito missionario
animerà generosamente la vita dei sacerdoti, sarà facilitata la
risposta a quell'esigenza sempre più grave oggi nella Chiesa che
nasce da una diseguale distribuzione del clero. In questo senso già
il Concilio è stato quanto mai preciso e forte: « Ricordino i
presbiteri che a loro incombe la sollecitudine di tutte le Chiese.
Pertanto i presbiteri di quelle diocesi che hanno maggior abbondanza
di vocazioni si mostrino disposti ad esercitare volentieri il proprio
ministero, previo il consenso o l'invito del proprio ordinario, in
quelle regioni, missioni o opere che soffrano di scarsezza di clero ».205
33. « Lo Spirito del Signore è
sopra di me; per questo mi ha consacrato, e mi ha mandato ad
annunciare ai poveri un lieto messaggio... ».206 Gesù fa risuonare
anche oggi nel nostro cuore di sacerdoti le parole che ha pronunciato
nella sinagoga di Nazaret. La nostra fede, infatti, ci rivela la
presenza operante dello Spirito di Cristo nel nostro essere, nel
nostro agire e nel nostro vivere così come l'ha configurato,
abilitato e plasmato il sacramento dell'Ordine.
Sì, lo Spirito del Signore è
il grande protagonista della nostra vita spirituale. Egli crea il
« cuore nuovo », lo anima e lo guida con la « legge nuova » della
carità, della carità pastorale. Per lo sviluppo della vita
spirituale è decisiva la consapevolezza che non manca mai al
sacerdote la grazia dello Spirito Santo, come dono totalmente gratuito
e come compito responsabilizzante. La coscienza del dono infonde e
sostiene l'incrollabile fiducia del sacerdote nelle difficoltà, nelle
tentazioni, nelle debolezze che s'incontrano sul cammino spirituale.
Ripropongo a tutti i sacerdoti
quanto dissi a tanti di loro in altra occasione: « La vocazione
sacerdotale è essenzialmente una chiamata alla santità, nella forma
che scaturisce dal sacramento dell'Ordine. La santità è intimità
con Dio, è imitazione di Cristo, povero, casto e umile; è amore
senza riserve alle anime e donazione al loro vero bene; è amore alla
Chiesa che è santa e ci vuole santi, perché tale è la missione che
Cristo le ha affidato. Ciascuno di voi deve essere santo anche per
aiutare i fratelli a seguire la loro vocazione alla santità.
Come non riflettere... sul ruolo
essenziale che lo Spirito Santo svolge nella specifica chiamata alla
santità, che è propria del ministero sacerdotale? Ricordiamo le
parole del rito dell'Ordinazione sacerdotale, che sono ritenute
centrali nella formula sacramentale: "Dona, Padre onnipotente, a
questi tuoi figli la dignità del presbiterato. Rinnova in loro
l'effusione del tuo Spirito di santità; adempiano fedelmente, o
Signore, il ministero del secondo grado sacerdotale da te ricevuto e
con il loro esempio guidino tutti a un'integra condotta di vita".
Mediante l'Ordinazione, carissimi,
avete ricevuto lo stesso Spirito di Cristo, che vi rende simili a Lui,
perché possiate agire nel suo nome e vivere in voi i suoi stessi
sentimenti. Questa intima comunione con lo Spirito di Cristo, mentre
garantisce l'efficacia dell'azione sacramentale che voi ponete
"in persona Christi", chiede anche di esprimersi nel fervore
della preghiera, nella coerenza della vita, nella carità pastorale di
un ministero instancabilmente proteso alla salvezza dei fratelli.
Chiede, in una parola, la vostra personale santificazione ».207
CAPITOLO
IV
VENITE
E VEDRETE
La vocazione sacerdotale nella pastorale della Chiesa
34. « Venite e vedrete ».208
Così Gesù risponde ai due discepoli di Giovanni il Battista, che gli
chiedevano dove abitasse. In queste parole troviamo il significato
della vocazione.
Ecco come l'evangelista racconta
la chiamata di Andrea e di Pietro: « Il giorno dopo Giovanni stava
ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù
che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!". E i due
discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si
voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che cercate?".
Gli risposero: "Rabbi (che significa maestro), dove abiti?".
Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro
dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le
quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di
Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro.
Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse:
"Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)" e lo
condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse:
"Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che
vuol dire Pietro)" ».209
Questa pagina di Vangelo è una
delle tante del Libro Sacro nelle quali si descrive il « mistero »
della vocazione, nel nostro caso il mistero della vocazione ad essere
apostoli di Gesù. La pagina di Giovanni, che ha un significato anche
per la vocazione cristiana come tale, riveste un valore emblematico
per la vocazione sacerdotale. La Chiesa, quale comunità dei discepoli
di Gesù, è chiamata a fissare il suo sguardo su questa scena che, in
qualche modo, si rinnova continuamente nella storia. È invitata ad
approfondire il senso originale e personale della vocazione alla
sequela di Cristo nel ministero sacerdotale e l'inscindibile legame
tra la grazia divina e la responsabilità umana, racchiuso e rivelato
nei due termini che più volte troviamo nel Vangelo: vieni e
seguimi.210 È sollecitata a decifrare e a percorrere il dinamismo
proprio della vocazione, il suo svilupparsi graduale e concreto nelle
fasi del cercare Gesù, del seguirlo e del rimanere
con lui.
La Chiesa coglie in questo « Vangelo
della vocazione » il paradigma, la forza e l'impulso della sua
pastorale vocazionale, ossia della sua missione destinata a curare la
nascita, il discernimento e l'accompagnamento delle vocazioni, in
particolare delle vocazioni al sacerdozio. Proprio perché « la
mancanza di sacerdoti è certamente la tristezza di ogni Chiesa »,211
la pastorale vocazionale esige, oggi soprattutto, di essere assunta
con un nuovo, vigoroso e più deciso impegno da parte di tutti i
fedeli, nella consapevolezza che essa non è un elemento secondario o
accessorio, né un momento isolato o settoriale, quasi una semplice
parte, per quanto rilevante, della pastorale globale della Chiesa: è
piuttosto, come hanno ripetutamente affermato i Padri sinodali,
un'attività intimamente inserita nella pastorale generale di ogni
Chiesa,212 una cura che dev'essere integrata e pienamente identificata
con la « cura delle anime » cosiddetta ordinaria,213 una dimensione
connaturale ed essenziale della pastorale della Chiesa, ossia della
sua vita e della sua missione.214
Sì, la dimensione vocazionale
è connaturale ed essenziale alla pastorale della Chiesa. La
ragione sta nel fatto che la vocazione definisce, in un certo senso,
l'essere profondo della Chiesa, prima ancora che il suo operare. Nel
medesimo nome della Chiesa, Ecclesia, è indicata la sua intima
fisionomia vocazionale, perché essa è veramente « convocazione », assemblea
dei chiamati: « Dio ha convocato l'assemblea di coloro che
guardano nella fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità
e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia per tutti e per i
singoli il sacramento visibile di questa unità salvifica ».215
Una lettura propriamente teologica
della vocazione sacerdotale e della pastorale che la riguarda può
scaturire solo dalla lettura del mistero della Chiesa come mysterium
vocationis.
35. Ogni vocazione cristiana trova
il suo fondamento nell'elezione gratuita e preveniente da parte del
Padre « che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei
cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo,
per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità,
predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù
Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà ».216
Ogni vocazione cristiana viene da
Dio, è dono di Dio. Essa però non viene mai elargita fuori o
indipendentemente dalla Chiesa, ma passa sempre nella Chiesa e
mediante la Chiesa, perché, come ci ricorda il Concilio Vaticano II,
« piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non
individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di
loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo
servisse ».217
La Chiesa non solo raccoglie in sé
tutte le vocazioni che Dio le dona nel suo cammino di salvezza, ma
essa stessa si configura come mistero di vocazione, quale luminoso e
vivo riflesso del mistero della Trinità santissima. In realtà la
Chiesa, « popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo »,218 porta in sé il mistero del Padre che, non
chiamato e non inviato da nessuno,219 tutti chiama a santificare il
suo nome e a compiere la sua volontà; custodisce in sé il mistero
del Figlio che dal Padre è chiamato e mandato ad annunciare a tutti
il Regno di Dio e che tutti chiama alla sua sequela; ed è depositaria
del mistero dello Spirito Santo che consacra per la missione quelli
che il Padre chiama mediante il Figlio suo Gesù Cristo.
La Chiesa, che per nativa
costituzione è « vocazione », è generatrice ed educatrice di
vocazioni. Lo è nel suo essere di « sacramento », in quanto «
segno » e « strumento » in cui risuona e si compie la vocazione di
ogni cristiano; e lo è nel suo operare, ossia nello svolgimento del
suo ministero di annuncio della Parola, di celebrazione dei Sacramenti
e di servizio e testimonianza della carità.
Si può cogliere ora l'essenziale
dimensione ecclesiale della vocazione cristiana: non solo essa
deriva « dalla » Chiesa e dalla sua mediazione, non solo si fa
riconoscere e si compie « nella » Chiesa, ma si configura — nel
fondamentale servizio a Dio — anche e necessariamente come servizio
« alla » Chiesa. La vocazione cristiana, in ogni sua forma, è un
dono destinato all'edificazione della Chiesa, alla crescita del Regno
di Dio nel mondo.220
Ciò che diciamo di ogni vocazione
cristiana trova una sua specifica realizzazione nella vocazione
sacerdotale: questa è chiamata, mediante il sacramento dell'Ordine
ricevuto nella Chiesa, a porsi al servizio del Popolo di Dio con una
peculiare appartenenza e configurazione a Gesù Cristo e con l'autorità
di agire nel nome e nella persona di lui Capo e Pastore della Chiesa.
In questa prospettiva si comprende
quanto scrivono i Padri sinodali: « La vocazione di ciascun
presbitero sussiste nella Chiesa e per la Chiesa: per essa una simile
vocazione si compie. Ne segue che ogni presbitero riceve la vocazione
dal Signore attraverso la Chiesa come un dono grazioso, una gratia
gratis data (charisma). È proprio del Vescovo o del superiore
competente non solo sottoporre ad esame l'idoneità e la vocazione del
candidato, ma anche riconoscerla. Un simile elemento ecclesiastico
inerisce alla vocazione al ministero presbiterale come tale. Il
candidato al presbiterato deve ricevere la vocazione non imponendo le
proprie personali condizioni ma accettando anche le norme e le
condizioni che la Chiesa stessa, per la sua parte di responsabilità,
pone ».221
36. La storia di ogni vocazione
sacerdotale, come peraltro di ogni vocazione cristiana, è la storia
di un ineffabile dialogo tra Dio e l'uomo, tra l'amore di Dio
che chiama e la libertà dell'uomo che nell'amore risponde a Dio.
Questi due aspetti indissociabili della vocazione, il dono gratuito di
Dio e la libertà responsabile dell'uomo, emergono in modo splendido e
quanto mai efficace nelle brevissime parole con le quali l'evangelista
Marco presenta la vocazione dei dodici: Gesù « salì poi sul monte, chiamò
a sé quelli che volle ed essi andarono da lui ».222
Da un lato sta la decisione assolutamente libera di Gesù, dall'altro
l'« andare » dei dodici, ossia il loro « seguire » Gesù.
È questo il paradigma costante,
il dato irrinunciabile di ogni vocazione: quella dei profeti, degli
apostoli, dei sacerdoti, dei religiosi, dei fedeli laici, di ogni
persona.
Ma del tutto prioritario, anzi
preveniente e decisivo è l'intervento libero e gratuito di Dio che
chiama. Sua è l'iniziativa del chiamare. È questa, ad esempio,
l'esperienza del profeta Geremia: « Mi fu rivolta la parola del
Signore: "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo,
prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito
profeta delle nazioni" ».223 È la stessa verità presentata
dall'apostolo Paolo, che radica ogni vocazione nell'eterna elezione in
Cristo, fatta « prima della creazione del mondo e secondo il
beneplacito della sua volontà ».224 L'assoluto primato della grazia
nella vocazione trova la sua perfetta proclamazione nella parola di
Gesù: « Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho
costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto
rimanga ».225
Se la vocazione sacerdotale
testimonia in modo inequivocabile il primato della grazia, la libera e
sovrana decisione di Dio di chiamare l'uomo domanda assoluto rispetto,
non può minimamente essere forzata da qualsiasi pretesa umana, non può
essere sostituita da qualsiasi decisione umana. La vocazione è un
dono della grazia divina e mai un diritto dell'uomo, così che « non
si può mai considerare la vita sacerdotale come una promozione
semplicemente umana, né la missione del ministro come un semplice
progetto personale ».226 È così escluso in radice ogni vanto e ogni
presunzione da parte dei chiamati.227 L'intero spazio spirituale del
loro cuore è per una gratitudine ammirata e commossa, per una fiducia
ed una speranza incrollabili, perché i chiamati sanno di essere
fondati non sulle proprie forze, ma sull'incondizionata fedeltà di
Dio che chiama.
« Chiamò quelli che volle ed
essi andarono da lui ».228 Questo « andare », che s'identifica con
il « seguire » Gesù, esprime la risposta libera dei 12 alla
chiamata del Maestro. Così è stato di Pietro e di Andrea: « E disse
loro: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini". Ed essi
subito, lasciate le reti, lo seguirono ».229 Identica è stata
l'esperienza di Giacomo e di Giovanni.230 Così sempre: nella
vocazione risplendono insieme l'amore gratuito di Dio e l'esaltazione
più alta possibile della libertà dell'uomo: quella dell'adesione
alla chiamata di Dio e dell'affidamento a lui.
In realtà, grazia e libertà non
si oppongono tra loro. Al contrario, la grazia anima e sostiene la
libertà umana, liberandola dalla schiavitù del peccato,231 sanandola
ed elevandola nelle sue capacità di apertura e di accoglienza del
dono di Dio. E se non si può attentare all'iniziativa assolutamente
gratuita di Dio che chiama, neppure si può attentare all'estrema
serietà con la quale l'uomo è sfidato nella sua libertà. Così al
« vieni e seguimi » di Gesù il giovane ricco oppone un rifiuto,
segno — sia pure negativo — della sua libertà: « Ma egli,
rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva
molti beni ».232
La libertà,
dunque, è essenziale alla vocazione, una libertà che nella
risposta positiva si qualifica come adesione personale profonda, come
donazione d'amore, o meglio come ri-donazione al Donatore che è Dio
che chiama, come oblazione. « La chiamata — diceva Paolo VI — si
commisura con la risposta. Non vi possono essere vocazioni, se non
libere; se esse non sono cioè offerte spontanee di sé, coscienti,
generose, totali... Oblazioni, diciamo: qui sta praticamente il vero
problema... È la voce umile e penetrante di Cristo, che dice, oggi
come ieri, più di ieri: vieni. La libertà è posta al suo supremo
cimento: quello appunto dell'oblazione, della generosità, del
sacrificio ».233
L'oblazione libera, che
costituisce il nucleo intimo e più prezioso della risposta dell'uomo
a Dio che chiama, trova il suo incomparabile modello, anzi la sua
radice viva nell'oblazione liberissima di Gesù Cristo, il primo dei
chiamati, alla volontà del Padre: « Per questo, entrando nel mondo,
Cristo dice: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un
corpo invece mi hai preparato... Allora ho detto: Ecco, io vengo...
per fare, o Dio, la tua volontà" ».234
In intima comunione con Cristo,
Maria, la Vergine Madre, è stata la creatura che più di tutte ha
vissuto la piena verità della vocazione, perché nessuno come lei ha
risposto con un amore così grande all'amore immenso di Dio.235
37. « Ma egli, rattristatosi per
quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni ».236
Il giovane ricco del Vangelo, che non segue la chiamata di Gesù, ci
ricorda gli ostacoli che possono bloccare o spegnere la risposta
libera dell'uomo: non soltanto i beni materiali possono chiudere il
cuore umano ai valori dello spirito e alle radicali esigenze del Regno
di Dio, ma anche alcune condizioni sociali e culturali del nostro
tempo possono presentare non poche minacce e imporre visioni distorte
e false circa la vera natura della vocazione, rendendone difficili, se
non impossibili, l'accoglienza e la stessa comprensione.
Molti hanno di Dio un'idea così
generica e confusa da sconfinare in forme di religiosità senza Dio,
nelle quali la volontà di Dio è concepita come un destino immutabile
e ineluttabile, al quale l'uomo deve solo adeguarsi e rassegnarsi in
piena passività. Ma non è questo il volto di Dio che Gesù Cristo è
venuto a rivelarci: Dio, infatti, è il Padre che con amore eterno e
preveniente chiama l'uomo e lo costituisce in un meraviglioso e
permanente dialogo con lui, invitandolo a condividere, da figlio, la
sua stessa vita divina. È certo che con una visione errata di Dio
l'uomo non può riconoscere neppure la verità di se stesso, sicché
la vocazione non può essere né percepita né vissuta nel suo
autentico valore: può essere sentita soltanto come un peso imposto e
insopportabile.
Anche talune idee distorte
sull'uomo, spesso sostenute da pretestuosi argomenti filosofici o «
scientifici », inducono talvolta l'uomo a interpretare la propria
esistenza e la propria libertà come totalmente determinate e
condizionate da fattori esterni, di ordine educativo, psicologico,
culturale o ambientale. Altre volte la libertà viene intesa in
termini di assoluta autonomia, pretende di essere l'unica e
insindacabile fonte delle scelte personali, si qualifica come
affermazione di sé ad ogni costo. Ma in tal modo si preclude la
strada per intendere e vivere la vocazione quale libero dialogo
d'amore, che nasce dalla comunicazione di Dio all'uomo e si conclude
nel dono sincero di se stesso. Nel contesto attuale non manca anche la
tendenza a pensare in modo individualistico e intimistico il rapporto
dell'uomo con Dio, come se la chiamata di Dio raggiungesse la singola
persona per via diretta, senza alcuna mediazione comunitaria, e avesse
di mira un vantaggio, o la stessa salvezza, del singolo chiamato e non
la dedizione totale a Dio nel servizio della comunità. Incontriamo
così un'altra più profonda ed insieme sottile minaccia, che rende
impossibile riconoscere e accettare con gioia la dimensione ecclesiale
iscritta nativamente in ogni vocazione cristiana, ed in quella
presbiterale in specie: infatti, come ci ricorda il Concilio, il
sacerdozio ministeriale acquista il suo autentico significato e
realizza la piena verità di se stesso nel servire e nel far crescere
la comunità cristiana e il sacerdozio comune dei fedeli.237
Il contesto culturale ora
ricordato, il cui influsso non è assente tra gli stessi cristiani e
specialmente tra i giovani, aiuta a comprendere il diffondersi della
crisi delle stesse vocazioni sacerdotali, originate e accompagnate da
più radicali crisi di fede. Lo hanno dichiarato esplicitamente i
Padri sinodali, riconoscendo che la crisi delle vocazioni al
presbiterato ha profonde radici nell'ambiente culturale e nella
mentalità e prassi dei cristiani.238
Di qui l'urgenza che la pastorale
vocazionale della Chiesa punti decisamente e in modo prioritario sulla
ricostruzione della « mentalità cristiana », quale è generata e
sostenuta dalla fede. È più che mai necessaria una evangelizzazione
che non si stanchi di presentare il vero volto di Dio, il Padre che in
Gesù Cristo chiama ciascuno di noi, e il senso genuino della libertà
umana quale principio e forza del dono responsabile di se stessi. Solo
così saranno poste le basi indispensabili perché ogni vocazione,
compresa quella sacerdotale, possa essere percepita nella sua verità,
amata nella sua bellezza e vissuta con dedizione totale e con gioia
profonda.
38. Certamente la vocazione è un
mistero imperscrutabile, che coinvolge il rapporto che Dio instaura
con l'uomo nella sua unicità e irripetibilità, un mistero che viene
percepito e sentito come un appello che attende una risposta nel
profondo della coscienza, in quel « sacrario dell'uomo, dove egli si
trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria ».239
Ma ciò non elimina la dimensione comunitaria, ed ecclesiale in
specie, della vocazione: anche la Chiesa è realmente presente e
operante nella vocazione di ogni sacerdote.
Nel servizio alla vocazione
sacerdotale e al suo itinerario, ossia alla nascita, al discernimento
e all'accompagnamento della vocazione, la Chiesa può trovare un
modello in Andrea, uno dei primi due discepoli che si pongono al
seguito di Gesù. È lui stesso a raccontare al fratello ciò che gli
era accaduto: « Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)
».240 E il racconto di questa « scoperta » apre la strada
all'incontro: « E lo condusse da Gesù ».241 Nessun dubbio
sull'iniziativa assolutamente libera e sulla decisione sovrana di Gesù.
È Lui che chiama Simone e gli dà un nuovo nome: « Gesù, fissando
lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di
Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)" ».242 Ma
pure Andrea ha avuto la sua iniziativa: ha sollecitato l'incontro del
fratello con Gesù.
« E lo condusse da Gesù ». Sta
qui, in un certo senso, il cuore di tutta la pastorale vocazionale
della Chiesa, con la quale essa si prende cura della nascita e della
crescita delle vocazioni, servendosi dei doni e delle responsabilità,
dei carismi e del ministero ricevuti da Cristo e dal suo Spirito. La
Chiesa, come popolo sacerdotale, profetico e regale, è impegnata a
promuovere e a servire il sorgere e il maturare delle vocazioni
sacerdotali con la preghiera e con la vita sacramentale, con
l'annuncio della Parola e con l'educazione alla fede, con la guida e
la testimonianza della carità.
La Chiesa, nella sua dignità e
responsabilità di popolo sacerdotale, ha nella preghiera e
nella celebrazione della liturgia i momenti essenziali e
primari della pastorale vocazionale. La preghiera cristiana,
infatti, nutrendosi della Parola di Dio, crea lo spazio ideale perché
ciascuno possa scoprire la verità del proprio essere e l'identità
del personale e irripetibile progetto di vita che il Padre gli affida.
È necessario, quindi, educare in particolare i ragazzi e i giovani
perché siano fedeli alla preghiera e alla meditazione della Parola di
Dio: nel silenzio e nell'ascolto potranno percepire la chiamata del
Signore al sacerdozio e seguirla con prontezza e generosità.
La Chiesa deve accogliere ogni
giorno l'invito suadente ed esigente di Gesù, che chiede di «
pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe ».243
Obbedendo al comando di Cristo, la Chiesa compie, prima di ogni altra
cosa, un'umile professione di fede: pregando per le vocazioni, mentre
ne avverte tutta l'urgenza per la sua vita e per la sua missione,
riconosce che esse sono un dono di Dio e, come tali, sono da invocarsi
con una supplica incessante e fiduciosa. Questa preghiera, cardine di
tutta la pastorale vocazionale, deve però impegnare non solo i
singoli ma anche le intere comunità ecclesiali. Nessuno dubita
dell'importanza delle singole iniziative di preghiera, dei momenti
speciali riservati a questa invocazione, a cominciare dall'annuale
Giornata Mondiale per le Vocazioni, e dell'impegno esplicito di
persone e di gruppi particolarmente sensibili al problema delle
vocazioni sacerdotali. Ma oggi l'attesa orante di nuove vocazioni deve
diventare sempre più un'abitudine costante e largamente condivisa
nell'intera comunità cristiana e in ogni realtà ecclesiale. Così si
potrà rivivere l'esperienza degli apostoli che nel cenacolo, uniti
con Maria, attendono in preghiera l'effusione dello Spirito,244 il
quale non mancherà di suscitare ancora nel Popolo di Dio « degni
ministri dell'altare, annunziatori forti e miti della parola che ci
salva ».245
Culmine e fonte della vita della
Chiesa 246 e, in particolare, di ogni preghiera cristiana, anche la
liturgia ha un ruolo indispensabile e un'incidenza privilegiata nella
pastorale delle vocazioni. Essa, infatti, costituisce un'esperienza
viva del dono di Dio e una grande scuola della risposta alla sua
chiamata. Come tale, ogni celebrazione liturgica, e innanzitutto
quella eucaristica, ci svela il vero volto di Dio, ci fa comunicare al
mistero della Pasqua, ossia all'« ora » per la quale Gesù è venuto
nel mondo e verso la quale si è liberamente e volontariamente
incamminato in obbedienza alla chiamata del Padre,247 ci manifesta il
volto della Chiesa quale popolo di sacerdoti e comunità ben
compaginata nella varietà e complementarità dei carismi e delle
vocazioni. Il sacrificio redentore di Cristo, che la Chiesa celebra
nel mistero, dona un valore particolarmente prezioso alla sofferenza
vissuta in unione con il Signore Gesù. I Padri sinodali ci hanno
invitato a non dimenticare mai che « attraverso l'offerta delle
sofferenze, così frequenti nella vita degli uomini, il cristiano
ammalato offre se stesso come vittima a Dio, ad immagine di Cristo,
che per tutti noi ha consacrato se stesso »248 e che « l'offerta
delle sofferenze secondo tale intenzione è di grande giovamento per
la promozione delle vocazioni ».249
39. Nell'esercizio della sua
missione profetica, la Chiesa sente incombente e irrinunciabile il
compito di annunciare e di testimoniare il senso cristiano della
vocazione, potremmo dire « il Vangelo della vocazione ».
Avverte, anche in questo campo, l'urgenza delle parole dell'apostolo:
« Guai a me se non evangelizzassi! ».250 Tale ammonimento risuona
innanzitutto per noi pastori e riguarda, insieme con noi, tutti gli
educatori nella Chiesa. La predicazione e la catechesi devono sempre
manifestare la loro intrinseca dimensione vocazionale: la Parola di
Dio illumina i credenti a valutare la vita come risposta alla chiamata
di Dio e li accompagna ad accogliere nella fede il dono della
vocazione personale.
Ma tutto questo, che pure è
importante ed essenziale, non basta: occorre una « predicazione
diretta sul mistero della vocazione nella Chiesa, sul valore del
sacerdozio ministeriale, sulla sua urgente necessità per il Popolo di
Dio ».251 Una catechesi organica e offerta a tutte le componenti
della Chiesa, oltre a dissipare dubbi e a contrastare idee unilaterali
o distorte sul ministero sacerdotale, apre i cuori dei credenti
all'attesa del dono e crea condizioni favorevoli per la nascita di
nuove vocazioni. È giunto il tempo di parlare coraggiosamente della
vita sacerdotale come di un valore inestimabile e come di una forma
splendida e privilegiata di vita cristiana. Gli educatori, e
specialmente i sacerdoti, non devono temere di proporre in modo
esplicito e forte la vocazione al presbiterato come una reale
possibilità per quei giovani che mostrano di avere i doni e le doti
ad essa corrispondenti. Non si deve aver alcuna paura di condizionarli
o di limitarne la libertà; al contrario, una proposta precisa, fatta
al momento giusto, può essere decisiva per provocare nei giovani una
risposta libera e autentica. Del resto, la storia della Chiesa e
quella di tante vocazioni sacerdotali, sbocciate anche in tenera età,
attestano ampiamente la provvidenzialità della vicinanza e della
parola di un prete: non solo della parola, ma anche della vicinanza,
cioè di una testimonianza concreta e gioiosa, capace di far sorgere
interrogativi e di condurre a decisioni anche definitive.
40. Come popolo regale, la Chiesa
si riconosce radicata e animata dalla « legge dello Spirito che dà
vita »,252 che è essenzialmente la legge regale della carità 253 o
la legge perfetta della libertà.254 Essa, perciò, adempie la sua
missione quando guida ogni fedele a scoprire e a vivere la propria
vocazione nella libertà e a portarla a compimento nella carità.
Nel suo compito educativo, la
Chiesa mira, con attenzione privilegiata, a suscitare nei ragazzi,
negli adolescenti e nei giovani il desiderio e la volontà di una
sequela integrale e avvincente di Gesù Cristo. L'opera educativa, che
pure riguarda la comunità cristiana come tale, deve rivolgersi alla
singola persona: Dio, infatti, con la sua chiamata raggiunge il cuore
di ciascun uomo e lo Spirito, che dimora nell'intimo di ogni
discepolo,255 si dona a ciascun cristiano con carismi diversi e con
manifestazioni particolari. Ciascuno, dunque, dev'essere aiutato a
cogliere il dono che proprio a lui, come a persona unica e
irripetibile, è affidato e ad ascoltare le parole che lo Spirito di
Dio gli rivolge singolarmente.
In questa prospettiva, la cura
delle vocazioni al sacerdozio saprà esprimersi anche in una ferma e
persuasiva proposta di direzione spirituale. È necessario
riscoprire la grande tradizione dell'accompagnamento spirituale
personale, che ha sempre portato tanti e preziosi frutti nella vita
della Chiesa: esso può essere aiutato in determinati casi e a precise
condizioni, ma non sostituito, da forme di analisi o di aiuto
psicologico.256 I ragazzi, gli adolescenti e i giovani siano invitati
a scoprire e ad apprezzare il dono della direzione spirituale, a
ricercarlo e a sperimentarlo, a chiederlo con fiduciosa insistenza ai
loro educatori nella fede. I sacerdoti, per parte loro, siano i primi
a dedicare tempo ed energie a quest'opera di educazione e di aiuto
spirituale personale: non si pentiranno mai di aver trascurato o messo
in secondo piano tante altre cose, pure belle e utili, se questo era
inevitabile per mantenere fede al loro ministero di collaboratori
dello Spirito nell'illuminazione e nella guida dei chiamati.
Fine dell'educazione del cristiano
è di giungere, sotto l'influsso dello Spirito, alla « piena maturità
di Cristo ».257 Ciò si verifica quando, imitandone e condividendone
la carità, si fa di tutta la propria vita un servizio d'amore,258)
offrendo a Dio un culto spirituale a lui gradito 259 donandosi ai
fratelli. Il servizio d'amore è il senso fondamentale di ogni
vocazione, che trova una realizzazione specifica nella vocazione
del sacerdote: egli, infatti, è chiamato a rivivere, nella forma più
radicale possibile, la carità pastorale di Gesù, l'amore cioè del
buon Pastore che « offre la vita per le pecore ».260
Per questo un'autentica pastorale
vocazionale non si stancherà mai di educare i ragazzi, gli
adolescenti e i giovani al gusto dell'impegno, al senso del servizio
gratuito, al valore del sacrificio, alla donazione incondizionata di sé.
Si fa allora particolarmente utile l'esperienza del volontariato,
verso cui sta crescendo la sensibilità di tanti giovani: se sarà un
volontariato evangelicamente motivato, capace di educare al
discernimento dei bisogni, vissuto con dedizione e fedeltà ogni
giorno, aperto all'eventualità di un impegno definitivo nella vita
consacrata, nutrito di preghiera, esso saprà più sicuramente
sostenere una vita di impegno disinteressato e gratuito e renderà più
sensibile chi ad esso si dedica alla voce di Dio che lo può chiamare
al sacerdozio. Diversamente dal giovane ricco, il volontario potrebbe
accettare l'invito, colmo d'amore, che Gesù gli rivolge;261 e lo
potrebbe accettare perché gli unici suoi beni consistono già nel
donarsi agli altri e nel « perdere » la sua vita.
41. La vocazione sacerdotale è un
dono di Dio, che costituisce certamente un grande bene per colui che
ne è il primo destinatario. Ma è anche un dono per l'intera Chiesa,
un bene per la sua vita e per la sua missione. La Chiesa, dunque, è
chiamata a custodire questo dono, a stimarlo e ad amarlo: essa è
responsabile della nascita e della maturazione delle vocazioni
sacerdotali. Di conseguenza la pastorale vocazionale ha come soggetto
attivo, come protagonista la comunità ecclesiale come tale, nelle sue
diverse espressioni: dalla Chiesa universale alla Chiesa particolare
e, analogamente, da questa alla parrocchia e a tutte le componenti del
Popolo di Dio.
È quanto mai urgente, oggi
soprattutto, che si diffonda e si radichi la convinzione che tutti
i membri della Chiesa, nessuno escluso, hanno la grazia e la
responsabilità della cura delle vocazioni. Il Concilio Vaticano
II è stato quanto mai esplicito nell'affermare che « il dovere di
dare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità
cristiana, che è tenuta ad assolvere questo compito anzitutto con una
vita perfettamente cristiana ».262 Solo sulla base di questa
convinzione la pastorale vocazionale potrà manifestare il suo volto
veramente ecclesiale, sviluppare un'azione concorde, servendosi anche
di organismi specifici e di adeguati strumenti di comunione e di
corresponsabilità.
La prima responsabilità della
pastorale orientata alle vocazioni sacerdotali è del Vescovo,263
che è chiamato a viverla in prima persona, anche se potrà e dovrà
suscitare molteplici collaborazioni. Egli è padre e amico nel suo
presbiterio, ed è anzitutto sua la sollecitudine di « dare continuità
» al carisma e al ministero presbiterale, associandovi nuove forze
con l'imposizione delle mani. Egli sarà sollecito che la dimensione
vocazionale sia sempre presente in tutto l'ambito della pastorale
ordinaria, anzi sia pienamente integrata e quasi identificata con
essa. A lui spetta il compito di promuovere e di coordinare le varie
iniziative vocazionali.264
Il Vescovo sa di poter contare
anzitutto sulla collaborazione del suo presbiterio. Tutti i sacerdoti
sono con lui solidali e corresponsabili nella ricerca e nella
promozione delle vocazioni presbiterali. Infatti, come afferma il
Concilio, « spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori
della fede, di curare che ciascuno dei fedeli sia condotto nello
Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione specifica ».265 È
questa « una funzione che fa parte della stessa missione sacerdotale,
in virtù della quale il presbitero partecipa della sollecitudine per
la Chiesa intera, affinché nel Popolo di Dio qui sulla terra non
manchino mai gli operai ».266 La vita stessa dei presbiteri, la loro
dedizione incondizionata al gregge di Dio, la loro testimonianza di
amorevole servizio al Signore e alla sua Chiesa — una testimonianza
segnata dalla scelta della croce accolta nella speranza e nella gioia
pasquale —, la loro concordia fraterna e il loro zelo per
l'evangelizzazione del mondo sono il primo e il più persuasivo
fattore di fecondità vocazionale.267
Una responsabilità
particolarissima è affidata alla famiglia cristiana, che in
virtù del Sacramento del Matrimonio partecipa in modo proprio e
originale alla missione educativa della Chiesa maestra e madre. Come
hanno scritto i Padri sinodali, « la famiglia cristiana, che è
veramente "come chiesa domestica",268 ha sempre offerto e
continua ad offrire le condizioni favorevoli per la nascita delle
vocazioni. Poiché oggi l'immagine della famiglia cristiana è in
pericolo, grande importanza dev'essere attribuita alla pastorale
familiare, così che le famiglie stesse, accogliendo generosamente il
dono della vita umana, costituiscano "come il primo
seminario",269 nel quale i figli possano acquisire dall'inizio il
senso della pietà e della preghiera e l'amore verso la Chiesa ».270
In continuità e in sintonia con l'opera dei genitori e della famiglia
deve porsi la scuola, la quale è chiamata a vivere la sua
identità di « comunità educante » anche con una proposta culturale
capace di far luce sulla dimensione vocazionale come valore nativo e
fondamentale della persona umana. In tal senso, se opportunamente
arricchita di spirito cristiano (sia attraverso significative presenze
ecclesiali nella scuola statale, secondo i vari ordinamenti nazionali,
sia soprattutto nel caso della scuola cattolica), può infondere «
nell'animo dei ragazzi e dei giovani il desiderio di compiere la
volontà di Dio nello stato di vita più idoneo a ciascuno, senza mai
escludere la vocazione al ministero sacerdotale ».271
Anche i fedeli laici, in
particolare i catechisti, gli insegnanti, gli educatori, gli animatori
della pastorale giovanile, ciascuno con le risorse e modalità
proprie, hanno una grande importanza nella pastorale delle vocazioni
sacerdotali: quanto più approfondiranno il senso della loro vocazione
e missione nella Chiesa, tanto più potranno riconoscere il valore e
l'insostituibilità della vocazione e della missione sacerdotale.
Nell'ambito delle comunità
diocesane e parrocchiali sono da stimare e promuovere quei gruppi
vocazionali, i cui membri offrono il loro contributo di preghiera
e di sofferenza per le vocazioni sacerdotali e religiose, nonché di
sostegno morale e materiale.
Sono qui da ricordare anche i
numerosi gruppi, movimenti e associazioni di fedeli laici che
lo Spirito Santo fa sorgere e crescere nella Chiesa in ordine ad una
presenza cristiana più missionaria nel mondo. Queste diverse
aggregazioni di laici si stanno rivelando come un campo
particolarmente fertile alla manifestazione di vocazioni consacrate,
veri e propri luoghi di proposta e di crescita vocazionale. Non pochi
giovani, infatti, proprio nell'ambito e grazie a queste aggregazioni
hanno avvertito la chiamata del Signore a seguirlo sulla via del
sacerdozio ministeriale 272 e hanno risposto con confortante generosità.
Sono, quindi, da valorizzare perché, in comunione con tutta la Chiesa
e per la sua crescita, diano il loro specifico contributo allo
sviluppo della pastorale vocazionale.
Le varie componenti e i diversi
membri della Chiesa impegnati nella pastorale vocazionale renderanno
tanto più efficace la loro opera quanto più stimole ranno la comunità
ecclesiale come tale, a cominciare dalla parrocchia, a sentire che il
problema delle vocazioni sacerdotali non può minimamente essere
delegato ad alcuni "incaricati" (i sacerdoti in genere, i
sacerdoti del seminario in specie) perché, essendo "un problema
vitale che si colloca nel cuore stesso della Chiesa", 273 deve
stare al centro dell'amore di ogni cristiano verso la Chiesa.
CAPITOLO
V
NE
COSTITUI' DODICI CHE STESSERO CON LUI
La formazione dei candidati al sacerdozio
Vivere al seguito di Cristo
come gli apostoli
42. « Salì sul monte, chiamò a
sé quelli che volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che
stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero
il potere di scacciare i demoni ».274
« Che stessero con lui »:
in queste parole non è difficile leggere « l'accompagnamento
vocazionale » degli apostoli da parte di Gesù. Dopo averli chiamati
e prima di mandarli, anzi per poterli mandare a predicare, Gesù
chiede loro un « tempo » di formazione destinato a sviluppare un
rapporto di comunione e di amicizia profonde con se stesso. Ad essi
egli riserva una catechesi più approfondita rispetto a quella della
gente 275 e li vuole testimoni della sua silenziosa preghiera al
Padre.276
Nella sua sollecitudine nei
riguardi delle vocazioni sacerdotali la Chiesa di tutti i tempi si
ispira all'esempio di Cristo. Sono state, e in parte lo sono tuttora, molto
diverse le forme concrete secondo cui la Chiesa si è impegnata
nella pastorale vocazionale, destinata non solo a discernere ma anche
ad « accompagnare » le vocazioni al sacerdozio. Ma lo spirito,
che le deve animare e sostenere, rimane identico: quello di
portare al sacerdozio solo coloro che sono stati chiamati e di
portarli adeguatamente formati, ossia con una risposta cosciente e
libera di adesione e di coinvolgimento di tutta la loro persona a Gesù
Cristo che chiama all'intimità di vita con lui e alla condivisione
della sua missione di salvezza. In questo senso il seminario nelle sue
diverse forme e in modo analogo la « casa » di formazione dei
sacerdoti religiosi, prima che essere un luogo, uno spazio materiale,
rappresenta uno spazio spirituale, un itinerario di vita, un'atmosfera
che favorisce ed assicura un processo formativo così che colui che è
chiamato da Dio al sacerdozio possa divenire, con il sacramento
dell'Ordine, un'immagine vivente di Gesù Cristo Capo e Pastore della
Chiesa. Nel loro Messaggio finale i Padri sinodali hanno colto in modo
immediato e profondo il significato originale e qualificante della
formazione dei candidati al sacerdozio, dicendo che « vivere in
seminario, scuola del Vangelo, significa vivere al seguito di Cristo
come gli apostoli; è lasciarsi iniziare da lui al servizio del Padre
e degli uomini, sotto la guida dello Spirito Santo; è lasciarsi
configurare al Cristo buon Pastore per un migliore servizio
sacerdotale nella Chiesa e nel mondo. Formarsi al sacerdozio significa
abituarsi a dare una risposta personale alla questione fondamentale di
Cristo: "Mi ami tu?". La risposta per il futuro sacerdote
non può essere che il dono totale della propria vita ».277
Si tratta di tradurre questo
spirito, che non potrà mai venir meno nella Chiesa, nelle condizioni
sociali, psicologiche, politiche e culturali del mondo attuale,
peraltro così varie oltre che complesse, come hanno testimoniato i
Padri sinodali in rapporto alle diverse Chiese particolari. Gli stessi
Padri, con accenti carichi di pensosa preoccupazione ma anche di
grande speranza, hanno potuto conoscere e riflettere a lungo sullo
sforzo di ricerca e di aggiornamento dei metodi di formazione dei
candidati al sacerdozio in atto in tutte le loro Chiese.
Questa Esortazione intende
raccogliere il frutto dei lavori sinodali, stabilendo alcuni punti
acquisiti, mostrando alcune mete irrinunciabili, mettendo a
disposizione di tutti la ricchezza di esperienze e di itinerari
formativi già positivamente sperimentati. In questa Esortazione
si considera distintamente la formazione « iniziale » e la formazione
« permanente », senza però mai dimenticare il profondo legame
che le unisce e che deve fare delle due un unico organico percorso di
vita cristiana e sacerdotale. L'Esortazione si sofferma sulle diverse
dimensioni della formazione, umana, spirituale, intellettuale e
pastorale, come pure sugli ambienti e sui soggetti
responsabili della formazione stessa dei candidati al sacerdozio.
I. Le dimensioni della
formazione sacerdotale
43. « Senza un'opportuna
formazione umana l'intera formazione sacerdotale sarebbe priva del suo
necessario fondamento ».278 Quest'affermazione dei Padri sinodali
esprime non soltanto un dato quotidianamente suggerito dalla ragione e
confermato dall'esperienza, ma un'esigenza che trova la sua
motivazione più profonda e specifica nella natura stessa del
presbitero e del suo ministero.
Il presbitero, chiamato ad essere
immagine viva di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa, deve
cercare di riflettere in sé, nella misura del possibile, quella
perfezione umana che risplende nel Figlio di Dio fatto uomo e che
traspare con singolare efficacia nei suoi atteggiamenti verso gli
altri, così come gli evangelisti li presentano. Il ministero poi del
sacerdote è sì di annunciare la Parola, celebrare il Sacramento,
guidare nella carità la comunità cristiana « nel nome e nella
persona di Cristo », ma questo rivolgendosi sempre e solo a uomini
concreti: « Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene
costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio ».279
Per questo la formazione umana del sacerdote rivela la sua particolare
importanza in rapporto ai destinatari della sua missione: proprio
perché il suo ministero sia umanamente il più credibile ed
accettabile, occorre che il sacerdote plasmi la sua personalità umana
in modo da renderla ponte e non ostacolo per gli altri nell'incontro
con Gesù Cristo Redentore dell'uomo; è necessario che, sull'esempio
di Gesù che « sapeva quello che c'è in ogni uomo »,280 il
sacerdote sia capace di conoscere in profondità l'animo umano, di
intuire difficoltà e problemi, di facilitare l'incontro e il dialogo,
di ottenere fiducia e collaborazione, di esprimere giudizi sereni e
oggettivi.
Non solo, dunque, per una giusta e
doverosa maturazione e realizzazione di sé, ma anche in vista del
ministero i futuri presbiteri devono coltivare una serie di qualità
umane necessarie alla costruzione di personalità equilibrate, forti e
libere, capaci di portare il peso delle responsabilità pastorali.
Occorre allora l'educazione all'amore per la verità, alla lealtà, al
rispetto per ogni persona, al senso della giustizia, alla fedeltà
alla parola data, alla vera compassione, alla coerenza e, in
particolare, all'equilibrio di giudizio e di comportamento.281 Un
programma semplice e impegnativo per questa formazione umana è
proposto dall'apostolo Paolo ai Filippesi: « Tutto quello che è
vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e
merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri ».282 È
interessante rilevare come Paolo, proprio in queste qualità
profondamente umane, presenti se stesso come modello ai suoi fedeli:
« Ciò che avete imparato — prosegue immediatamente —, ricevuto,
ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare ».283
Di particolare importanza è la
capacità di relazione con gli altri, elemento veramente essenziale
per chi è chiamato ad essere responsabile di una comunità e ad
essere « uomo di comunione ». Questo esige che il sacerdote non sia
né arrogante né litigioso, ma sia affabile, ospitale, sincero nelle
parole e nel cuore,284 prudente e discreto, generoso e disponibile al
servizio, capace di offrire personalmente, e di suscitar in tutti,
rapporti schietti e fraterni, pronto a comprendere, perdonare e
consolare.285 L'umanità di oggi, spesso condannata a situazioni di
massificazione e di solitudine, soprattutto nelle grandi
concentrazioni urbane, si fa sempre più sensibile al valore della
comunione: questo è oggi uno dei segni più eloquenti ed una delle
vie più efficaci del messaggio evangelico.
In questo contesto si inserisce,
come momento qualificante e decisivo, la formazione del candidato al
sacerdozio alla maturità affettiva, quale esito dell'educazione
all'amore vero e responsabile.
44. La maturazione affettiva suppone
la consapevolezza della centralità dell'amore nell'esistenza umana.
In realtà, come ho scritto nell'enciclica « Redemptor Hominis », «
l'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un
essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli
viene rivelato l'amore, se non s'incontra con l'amore, se non lo
sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente ».286
Si tratta di un amore che
coinvolge l'intera persona, nelle sue dimensioni e componenti fisiche,
psichiche e spirituali, e che si esprime nel « significato sponsale
» del corpo umano, grazie al quale la persona dona se stessa
all'altra e la accoglie. Alla comprensione e alla realizzazione di
questa « verità » dell'amore umano tende l'educazione sessuale
rettamente intesa. Si deve, infatti, registrare una situazione sociale
e culturale diffusa « che "banalizza" in larga parte la
sessualità umana, perché la interpreta e la vive in modo riduttivo e
impoverito, collegandola unicamente al corpo e al piacere egoistico ».287
Spesso le stesse situazioni familiari, dalle quali provengono le
vocazioni sacerdotali, presentano al riguardo non poche carenze e
talvolta anche gravi squilibri.
In un simile contesto si fa più
difficile, ma diventa più urgente, un'educazione alla sessualità
che sia veramente e pienamente personale e che, pertanto, faccia posto
alla stima e all'amore per la castità, quale « virtù che sviluppa
l'autentica maturità della persona e la rende capace di rispettare e
di promuovere il "significato sponsale" del corpo ».288
Ora l'educazione all'amore
responsabile e la maturazione affettiva della persona risultano del
tutto necessarie per chi, come il presbitero, è chiamato al celibato,
ossia ad offrire, con la grazia dello Spirito e con la libera risposta
della propria volontà, la totalità del suo amore e della sua
sollecitudine a Gesù Cristo e alla Chiesa. In vista dell'impegno
celibatario la maturità affettiva deve saper includere, all'interno
di rapporti umani di serena amicizia e di profonda fraternità, un
grande amore, vivo e personale, nei riguardi di Gesù Cristo. Come
hanno scritto i Padri sinodali, « è di massima importanza nel
suscitare la maturità affettiva l'amore di Cristo, prolungato in una
dedizione universale. Così il candidato, chiamato al celibato, troverà
nella maturità affettiva un fermo fulcro per vivere la castità nella
fedeltà e nella gioia ».289
Poiché il carisma del celibato,
anche quando è autentico e provato, lascia intatte le inclinazioni
dell'affettività e le pulsioni dell'istinto, i candidati al
sacerdozio hanno bisogno di una maturità affettiva capace di
prudenza, di rinuncia a tutto ciò che può insidiarla, di vigilanza
sul corpo e sullo spirito, di stima e di rispetto nelle relazioni
interpersonali con uomini e donne. Un aiuto prezioso può essere dato
da un'adeguata educazione alla vera amicizia, ad immagine dei
vincoli di fraterno affetto che Cristo stesso ha vissuto nella sua
esistenza.290
La maturità umana, e quella
affettiva in particolare, esigono una formazione limpida e
forte ad una libertà che si configura come obbedienza convinta
e cordiale alla « verità » del proprio essere, al « significato »
del proprio esistere, ossia al « dono sincero di sé » quale via e
fondamentale contenuto dell'autentica realizzazione di sé.291 Così
intesa, la libertà esige che la persona sia veramente padrona di sé
stessa, decisa a combattere e a superare le diverse forme di egoismo e
di individualismo che insidiano la vita di ciascuno, pronta ad aprirsi
agli altri, generosa nella dedizione e nel servizio al prossimo. Ciò
è importante per la risposta da darsi alla vocazione, e a quella
sacerdotale in specie, e per la fedeltà ad essa e agli impegni che vi
sono connessi, anche nei momenti difficili. In questo itinerario
educativo verso una matura libertà responsabile un aiuto può venire
dalla vita comunitaria del Seminario.292
Intimamente congiunta con la
formazione alla libertà responsabile è l'educazione della
coscienza morale: questa, mentre sollecita dall'intimo del proprio
« io » l'obbedienza alle obbligazioni morali, rivela il significato
profondo di tale obbedienza, quello di essere una risposta cosciente e
libera, e dunque per amore, alle richieste di Dio e del suo amore. «
La maturità umana del sacerdote — scrivono i Padri sinodali —
deve includere specialmente la formazione della sua coscienza. Il
candidato infatti, perché possa fedelmente assolvere alle sue
obbligazioni verso Dio e la Chiesa e perché possa sapientemente
guidare le coscienze dei fedeli, deve abituarsi ad ascoltare la voce
di Dio, che gli parla nel cuore, e ad aderire con amore e fermezza
alla sua volontà ».293
45. La stessa formazione umana, se
sviluppata nel contesto di un'antropologia che accoglie l'intera verità
dell'uomo, si apre e si completa nella formazione spirituale. Ogni
uomo, creato da Dio e redento dal sangue di Cristo, è chiamato ad
essere rigenerato « dall'acqua e dallo Spirito »294 e a divenire «
figlio nel Figlio ». Sta in questo disegno efficace di Dio il
fondamento della dimensione costitutivamente religiosa dell'essere
umano, peraltro intuita e riconosciuta dalla semplice ragione: l'uomo
è aperto al trascendente, all'assoluto; possiede un cuore che è
inquieto sino a che non riposa nel Signore.295
È da questa fondamentale e
insopprimibile esigenza religiosa che parte e si snoda il processo
educativo di una vita spirituale intesa come rapporto e comunione con
Dio. Secondo la rivelazione e l'esperienza cristiana, la formazione
spirituale possiede l'inconfondibile originalità che proviene dalla
« novità » evangelica. Infatti, « essa è opera dello Spirito e
impegna la persona nella sua totalità; introduce nella comunione
profonda con Gesù Cristo, buon Pastore; conduce a una sottomissione
di tutta la vita allo Spirito, in un atteggiamento filiale nei
confronti del Padre e in un attaccamento fiducioso alla Chiesa. Essa
si radica nell'esperienza della croce per poter introdurre, in una
comunione profonda, alla totalità del mistero pasquale ».296
Come si vede, si tratta di una
formazione spirituale che è comune a tutti i fedeli, ma che chiede di
strutturarsi secondo quei significati e quelle connotazioni che
derivano dall'identità del presbitero e del suo ministero. E come per
ogni fedele la formazione spirituale deve dirsi centrale e unificante
in rapporto al suo essere e al suo vivere da cristiano, ossia da
creatura nuova in Cristo che cammina nello Spirito, così per ogni
presbitero la formazione spirituale costituisce il cuore che
unifica e vivifica il suo essere prete e il suo fare
il prete. In tal senso, i Padri del Sinodo affermano che « senza la
formazione spirituale la formazione pastorale procederebbe senza
fondamento »297 e che la formazione spirituale costituisce « come
l'elemento di massima importanza nell'educazione sacerdotale ».298
Il contenuto essenziale della
formazione spirituale in un preciso itinerario verso il sacerdozio è
bene espresso dal decreto conciliare « Optatam Totius »: « La
formazione spirituale ... sia impartita in modo tale che gli alunni
imparino a vivere in intima comunione e familiarità col Padre per
mezzo del suo Figlio Gesù Cristo nello Spirito Santo. Destinati a
configurarsi a Cristo sacerdote per mezzo della sacra ordinazione, si
abituino anche a vivere intimamente uniti a lui, come amici, in tutta
la loro vita. Vivano il mistero pasquale di Cristo in modo da sapervi
iniziare un giorno il Popolo che sarà loro affidato. Si insegni loro
a cercare Cristo nella fedele meditazione della Parola di Dio;
nell'attiva partecipazione ai misteri sacrosanti della Chiesa,
soprattutto nell'Eucaristia e nell'ufficio divino; nel Vescovo che li
manda e negli uomini ai quali sono inviati, specialmente nei poveri,
nei piccoli, negli infermi, nei peccatori e negli increduli. Con
fiducia filiale amino e venerino la Beatissima Vergine Maria che fu
data come madre da Gesù morente in croce al suo discepolo ».299
46. Il testo conciliare merita
un'accurata e amorosa meditazione, dalla quale si possono facilmente
enucleare alcuni fondamentali valori ed esigenze del cammino
spirituale del candidato al sacerdozio.
S'impone, innanzitutto, il valore
e l'esigenza di « vivere intimamente uniti » a Gesù Cristo.
L'unione al Signore Gesù, fondata sul Battesimo e alimentata con
l'Eucaristia, domanda di esprimersi, rinnovandola radicalmente, nella
vita di ogni giorno. L'intima comunione con la Santissima Trinità,
ossia la vita nuova della grazia che rende figli di Dio, costituisce
la « novità » del credente: una novità che coinvolge l'essere e
l'operare. Costituisce il « mistero » dell'esistenza cristiana che
sta sotto l'influsso dello Spirito: deve costituire, di conseguenza,
l'« ethos » della vita del cristiano. Gesù ci ha insegnato questo
meraviglioso contenuto della vita cristiana, che è anche il cuore
della vita spirituale, con l'allegoria della vite e dei tralci: « Io
sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo... Rimanete in me e
io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non
rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la
vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto,
perché senza di me non potete far nulla ».300
Nella cultura attuale non mancano,
certo, dei valori spirituali e religiosi e l'uomo, nonostante ogni
apparenza contraria, rimane instancabilmente un affamato e un assetato
di Dio. Ma spesso la religione cristiana rischia di essere considerata
una religione fra le tante o di essere ridotta ad una pura etica
sociale a servizio dell'uomo. Così non sempre emerge la sua
sconvolgente novità nella storia: essa è « mistero », è l'evento
del Figlio di Dio che si fa uomo e dà a quanti l'accolgono il «
potere di diventare figli di Dio »,301 è l'annuncio, anzi il dono di
un'alleanza personale di amore e di vita di Dio con l'uomo. Solo se i
futuri sacerdoti, attraverso un'adeguata formazione spirituale,
avranno fatto conoscenza profonda ed esperienza crescente di questo «
mistero », potranno comunicare agli altri tale sorprendente e
beatificante annuncio.302
Il testo conciliare, pur
consapevole dell'assoluta trascendenza del mistero cristiano, connota
l'intima comunione dei futuri presbiteri con Gesù con la sfumatura
dell'amicizia. Non è, questa, un'assurda pretesa dell'uomo. È
semplicemente il dono inestimabile di Cristo, che ai suoi apostoli ha
detto: « Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che
fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho
udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi ».303
Il testo conciliare prosegue
indicando un secondo grande valore spirituale: la ricerca di Gesù.
« Si insegni loro a cercare Cristo ». È questo, insieme al quaerere
Deum, un tema classico della spiritualità cristiana, che trova una
sua specifica applicazione proprio nell'ambito della vocazione degli
apostoli. Giovanni, nel raccontare la sequela di Gesù da parte dei
primi due discepoli, mette in luce il posto occupato da questa «
ricerca ». È Gesù stesso che pone la domanda: « Che cercate? ». E
i due rispondono: « Rabbì, dove abiti? ». L'evangelista prosegue:
« Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro
dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui ».304 In un
certo senso la vita spirituale di chi si prepara al sacerdozio è
dominata da questa ricerca: da questa e dal « trovare » il Maestro,
per seguirlo, per stare in comunione con lui. Anche nel ministero e
nella vita sacerdotale questa « ricerca » dovrà continuare, tanto
è inesauribile il mistero dell'imitazione e della partecipazione alla
vita di Cristo. Così come dovrà continuare questo « trovare » il
Maestro, in ordine ad additarlo agli altri, meglio ancora in ordine a
suscitare negli altri il desiderio di cercare il Maestro. Ma ciò è
veramente possibile se agli altri viene proposta una « esperienza »
di vita, un'esperienza che meriti di essere condivisa. È stata questa
la strada seguita da Andrea per condurre il fratello Simone da Gesù:
Andrea, scrive l'evangelista Giovanni, « incontrò per primo suo
fratello Simone, e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che
significa il Cristo)" e lo condusse da Gesù ».305 E così anche
Simone sarà chiamato, come apostolo, alla sequela del Messia: « Gesù,
fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio
di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)" ».306
Ma che significa, nella vita
spirituale, cercare Cristo? e dove trovarlo? « Rabbì, dove abiti? ».
Il decreto conciliare « Optatam Totius » sembra indicare una
triplice strada da percorrere: la fedele meditazione della Parola di
Dio, l'attiva partecipazione ai misteri sacrosanti della Chiesa, il
servizio della carità ai « piccoli ». Sono tre grandi valori ed
esigenze che definiscono ulteriormente il contenuto della formazione
spirituale del candidato al sacerdozio.
47. Elemento essenziale della
formazione spirituale è la lettura meditata e orante della Parola
di Dio (lectio divina), è l'ascolto umile e pieno d'amore di
Colui che parla. È, infatti, nella luce e nella forza della Parola di
Dio che può essere scoperta, compresa, amata e seguita la propria
vocazione e compiuta la propria missione, al punto che l'intera
esistenza trova il suo significato unitario e radicale nell'essere il
termine della Parola di Dio che chiama l'uomo e il principio della
parola dell'uomo che risponde a Dio. La familiarità con la Parola di
Dio faciliterà l'itinerario della conversione, non solo nel senso di
distaccarsi dal male per aderire al bene, ma anche nel senso di
alimentare nel cuore i pensieri di Dio, così che la fede, quale
risposta alla Parola, diventi il nuovo criterio di giudizio e di
valutazione degli uomini e delle cose, degli avvenimenti e dei
problemi.
Purché la Parola di Dio sia
accostata e accolta nella sua vera natura: essa, infatti, fa
incontrare Dio stesso, Dio che parla all'uomo; fa incontrare Cristo,
il Verbo di Dio, la Verità che insieme è anche Via e Vita.307 Si
tratta di leggere le « scritture » ascoltando le « parole », la «
Parola » di Dio, come ci ricorda il Concilio: « Le Sacre Scritture
contengono la Parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente Parola
di Dio ».308
E ancora lo stesso Concilio: «
Con questa rivelazione infatti Dio invisibile309 nel suo immenso amore
parla agli uomini come ad amici310 e si intrattiene con essi,311 per
invitarli e ammetterli alla comunione con sé ».312
La conoscenza amorosa e la
familiarità orante con la Parola di Dio rivestono un significato
specifico per il ministero profetico del sacerdote, per il cui
adeguato svolgimento diventano una condizione imprescindibile
soprattutto nel contesto della « nuova evangelizzazione », alla
quale la Chiesa oggi è chiamata. Il Concilio ammonisce: « È
necessario che tutti i chierici, in primo luogo i sacerdoti di Cristo
e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al
ministero della Parola, conservino un contatto continuo con le
Scritture, mediante la sacra lettura assidua e lo studio accurato,
affinché non diventi "vano predicatore della Parola di Dio
all'esterno colui che non l'ascolta di dentro"313 ».314
La prima e fondamentale forma di
risposta alla Parola è la preghiera, che costituisce senz'alcun
dubbio un valore ed un'esigenza primari della formazione spirituale.
Questa deve condurre i candidati al sacerdozio a conoscere e a
sperimentare il senso autentico della preghiera cristiana,
quello di essere un incontro vivo e personale col Padre per mezzo del
Figlio unigenito sotto l'azione dello Spirito, un dialogo che si fa
partecipazione del colloquio filiale che Gesù ha col Padre. Un
aspetto non certo secondario della missione del sacerdote è quello di
essere « educatore di preghiera ». Ma solo se il sacerdote è stato
formato e continua a formarsi alla scuola di Gesù orante, potrà
formare gli altri a questa stessa scuola. Questo chiedono al sacerdote
gli uomini: « Il sacerdote è l'uomo di Dio, colui che
appartiene a Dio e fa pensare a Dio. Quando la Lettera agli Ebrei parla
di Cristo, lo presenta come un "sommo sacerdote misericordioso e
fedele nelle cose che riguardano Dio" 315... I cristiani sperano
di trovare nel sacerdote non solo un uomo che li accoglie, che li
ascolta volentieri e testimonia loro una sincera simpatia, ma anche e
soprattutto un uomo che li aiuta a guardare Dio, a salire verso
di lui. Occorre dunque che il sacerdote sia formato a una profonda
intimità con Dio. Coloro che si preparano al sacerdozio devono
comprendere che tutto il valore della loro vita sacerdotale dipenderà
dal dono che essi sapranno fare di se stessi a Cristo e, per mezzo di
Cristo, al Padre ».316
In un contesto di agitazione e di
rumore, come quello della nostra società, una necessaria pedagogia
alla preghiera è l'educazione al senso umano profondo e al valore
religioso del silenzio, quale atmosfera spirituale
indispensabile per percepire la presenza di Dio e per lasciarsene
conquistare.317
48. Il vertice della preghiera
cristiana è l'Eucaristia, che a sua volta si pone come «
culmine e fonte » dei Sacramenti e della Liturgia delle Ore. E
per la formazione spirituale di ogni cristiano, e in specie di ogni
sacerdote, è del tutto necessaria l'educazione liturgica, nel
senso pieno di un inserimento vitale nel mistero pasquale di Gesù
Cristo morto e risorto, presente e operante nei sacramenti della
Chiesa. La comunione con Dio, fulcro dell'intera vita spirituale, è
dono e frutto dei sacramenti; e nello stesso tempo è compito e
responsabilità che i sacramenti affidano alla libertà del credente,
affinché viva questa stessa comunione nelle decisioni, scelte,
atteggiamenti e azioni della sua quotidiana esistenza. In tal senso,
la « grazia » che fa « nuova » la vita cristiana è la grazia di
Gesù Cristo morto e risorto, che continua ad effondere il suo Spirito
santo e santificatore nei sacramenti; così come la « legge nuova »
che deve guidare e normare l'esistenza del cristiano è scritta dai
sacramenti nel « cuore nuovo ». Ed è legge di carità verso Dio e i
fratelli, quale risposta e prolungamento della carità di Dio verso
l'uomo significata e comunicata dai sacramenti. Si può immediatamente
comprendere il valore di una partecipazione « piena, consapevole e
attiva »318 alle celebrazioni sacramentali per il dono e il compito
di quella « carità pastorale » che costituisce l'anima del
ministero sacerdotale.
Ciò vale soprattutto nella
partecipazione all'Eucaristia, memoriale della morte sacrificale di
Cristo e della sua gloriosa risurrezione, « sacramento di pietà,
segno di unità, vincolo di carità »,319 convito pasquale nel quale
« ci nutriamo di Cristo, ... l'anima è ricolma di grazia, ci è
donato il pegno della gloria ».320 Ora i sacerdoti, nella loro qualità
di ministri delle cose sacre, sono soprattutto i ministri del
Sacrificio della Messa:321 il loro ruolo è del tutto insostituibile,
perché senza sacerdote non vi può essere offerta eucaristica.
Questo spiega l'importanza
essenziale dell'Eucaristia per la vita e per il ministero sacerdotale
e, conseguentemente, nella formazione spirituale dei candidati al
sacerdozio. Con grande semplicità e all'insegna della massima
concretezza ripeto: « Converrà pertanto che i seminaristi
partecipino ogni giorno alla celebrazione eucaristica, di modo
che, in seguito, assumano come regola della loro vita sacerdotale
questa celebrazione quotidiana. Essi saranno inoltre educati a
considerare la celebrazione eucaristica come il momento essenziale
della loro giornata, al quale parteciperanno attivamente, mai
accontentandosi di una assistenza soltanto abitudinaria. Infine, i
candidati al sacerdozio saranno formati alle intime disposizioni che
l'Eucaristia promuove: la riconoscenza per i benefici ricevuti
dall'alto, poiché Eucaristia è azione di grazie; l'atteggiamento
oblativo che li spinge a unire all'offerta eucaristica di Cristo
la propria offerta personale; la carità nutrita da un
sacramento che è segno di unità e di condivisione; il desiderio
di contemplazione e di adorazione davanti a Cristo realmente
presente sotto le specie eucaristiche ».322
Doveroso e quanto mai urgente è
il richiamo a riscoprire, all'interno della formazione spirituale, la
bellezza e la gioia del Sacramento della Penitenza. In una cultura
che, con rinnovate e più sottili forme di auto-giustificazione,
rischia di perdere fatalmente il « senso del peccato » e, di
conseguenza, la gioia consolante della richiesta di perdono323 e
dell'incontro con Dio « ricco di misericordia »,324 urge educare i
futuri presbiteri alla virtù della penitenza, che è sapientemente
alimentata dalla Chiesa nelle sue celebrazioni e nei tempi dell'anno
liturgico e che trova la sua pienezza nel Sacramento della
Riconciliazione. Di qui scaturiscono il senso dell'ascesi e della
disciplina interiore, lo spirito di sacrificio e di rinuncia,
l'accettazione della fatica e della croce. Si tratta di elementi della
vita spirituale, che spesso si rivelano particolarmente ardui per
molti candidati al sacerdozio cresciuti in condizioni relativamente
comode e agiate e resi meno inclini e sensibili a questi stessi
elementi dai modelli di comportamento e dagli ideali veicolati dai
mezzi di comunicazione sociale, anche nei paesi dove più povere sono
le condizioni di vita e più austera la situazione giovanile. Per
questo, ma soprattutto per realizzare sull'esempio di Cristo buon
Pastore la « radicale donazione di sé » propria del sacerdote, i
Padri sinodali hanno scritto: « È necessario inculcare il senso
della croce, che sta al cuore del mistero pasquale. Grazie a questa
identificazione con Cristo crocifisso, in quanto servo, il mondo può
ritrovare il valore dell'austerità, del dolore ed anche del martirio,
dentro l'attuale cultura imbevuta di secolarismo, di avidità e di
edonismo ».325
49. La formazione spirituale
comporta anche di cercare Cristo negli uomini. La vita
spirituale, infatti, è sì vita interiore, vita d'intimità con Dio,
vita di preghiera e di contemplazione. Ma proprio l'incontro con Dio,
e con il suo amore di Padre di tutti, pone l'esigenza indeclinabile
dell'incontro con il prossimo, del dono di sé agli altri, nel
servizio umile e disinteressato che Gesù ha proposto a tutti come
programma di vita con la lavanda dei piedi agli apostoli: « Vi ho
dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi
».326
La formazione al dono generoso e
gratuito di sé, favorito anche dalla forma comunitaria normalmente
assunta dalla preparazione al sacerdozio, rappresenta una condizione
irrinunciabile per chi è chiamato a farsi epifania e trasparenza del
buon Pastore che dà la vita.327 Sotto questo aspetto la formazione
spirituale possiede e deve sviluppare la sua intrinseca dimensione
pastorale o caritativa, e può utilmente servirsi anche di una giusta,
ossia forte e tenera, devozione al Cuore di Cristo, come hanno
sottolineato i Padri del Sinodo: « Formare i futuri sacerdoti nella
spiritualità del Cuore del Signore implica condurre una vita che
corrisponde all'amore e all'affetto di Cristo Sacerdote e buon
Pastore: al suo amore verso il Padre nello Spirito Santo, al suo amore
verso gli uomini sino a donare nell'immolazione la sua vita ».328
Il sacerdote è, dunque, l'uomo
della carità, ed è chiamato ad educare gli altri all'imitazione
di Cristo e al comandamento nuovo dell'amore fraterno.329 Ma ciò
esige che lui stesso si lasci continuamente educare dallo Spirito alla
carità di Cristo. In tal senso la preparazione al sacerdozio non può
non implicare una seria formazione alla carità, in particolare
all'amore preferenziale per i « poveri » nei quali la fede scopre la
presenza di Gesù 330 e all'amore misericordioso per i peccatori.
Nella prospettiva della carità,
che consiste nel dono di sé per amore, trova il suo posto nella
formazione spirituale del futuro sacerdote l'educazione
all'obbedienza, al celibato e alla povertà.331 In
questo senso sta l'invito del Concilio: « In modo ben chiaro gli
alunni sappiano di non essere destinati né al dominio né agli onori,
ma di dover mettersi al completo servizio di Dio e del ministero
pastorale. Con particolare sollecitudine vengano educati
all'obbedienza sacerdotale, a un tenore di vita povera, allo spirito
di abnegazione di sé, in modo da abituarsi a rinunziare prontamente
anche alle cose per sé lecite ma non convenienti e a vivere in
conformità con Cristo crocifisso ».332
50. La formazione spirituale di
chi è chiamato a vivere il celibato deve riservare un'attenzione
particolare a preparare il futuro sacerdote a conoscere, stimare,
amare e vivere il celibato nella sua vera natura e nelle sue vere
finalità, quindi nelle sue motivazioni evangeliche, spirituali e
pastorali. Presupposto e contenuto di questa preparazione è la virtù
della castità, che qualifica tutte le relazioni umane e che conduce
« a sperimentare e a manifestare... un amore sincero, umano,
fraterno, personale e capace di sacrifici, sull'esempio di Cristo,
verso tutti e verso ciascuno ».333
Il celibato dei sacerdoti connota
la castità di alcune caratteristiche, grazie alle quali essi «
rinunziando alla vita coniugale per il regno dei cieli,334 possono
aderire a Dio con un amore indivisibile rispondente intimamente alla
nuova legge, danno testimonianza della futura risurrezione 335 e
ricevono un aiuto grandissimo per l'esercizio continuo di quella
perfetta carità che li renderà capaci nel ministero sacerdotale di
farsi tutto a tutti ».336 In tal senso il celibato sacerdotale non è
da considerarsi come semplice norma giuridica, né come una condizione
del tutto esteriore per essere ammessi all'ordinazione, bensì come un
valore profondamente connesso con l'ordinazione sacra, che configura a
Gesù Cristo buon Pastore e Sposo della Chiesa, e quindi come la
scelta di un amore più grande e senza divisioni per Cristo e per la
sua Chiesa nella disponibilità piena e gioiosa del cuore per il
ministero pastorale. Il celibato è da considerare come una grazia
speciale, come un dono: « Non tutti possono capirlo, ma solo coloro
ai quali è stato concesso ».337 Certamente una grazia che non
dispensa, ma esige con singolare forza la risposta cosciente e libera
da parte di chi la riceve. Questo carisma dello Spirito racchiude
anche la grazia perché colui che lo riceve rimanga fedele per tutta
la vita e compia con generosità e con gioia gli impegni che vi sono
connessi. Nella formazione al celibato sacerdotale dovrà essere
assicurata la coscienza del « prezioso dono di Dio »,338 che condurrà
alla preghiera e alla vigilanza perché il dono sia custodito da tutto
ciò che lo può minacciare.
Vivendo il suo celibato il
sacerdote potrà meglio compiere il suo ministero nel Popolo di Dio.
In particolare, mentre testimonierà il valore evangelico della
verginità, potrà sostenere gli sposi cristiani a vivere in pienezza
il « grande sacramento » dell'amore di Cristo Sposo per la Chiesa
sua sposa, così come la sua fedeltà nel celibato sarà di aiuto per
la fedeltà degli sposi.339
L'importanza e la delicatezza
della preparazione al celibato sacerdotale, specialmente nelle attuali
situazioni sociali e culturali, hanno portato i Padri sinodali ad una
serie di richieste, la cui validità permanente è peraltro confermata
dalla saggezza della Chiesa madre. Le ripropongo autorevolmente come
criteri da seguirsi nella formazione alla castità nel celibato: « I
Vescovi insieme ai rettori e ai direttori spirituali dei seminari
stabiliscano principii, offrano criteri e diano aiuti per il
discernimento in questa materia. Di massima importanza per la
formazione alla castità nel celibato sono la sollecitudine del
Vescovo e la vita fraterna tra i sacerdoti. In seminario, durante il
periodo di formazione, il celibato deve essere presentato con
chiarezza, senza alcuna ambiguità e in modo positivo. Il seminarista
deve avere un adeguato grado di maturità psichica e sessuale, nonché
una vita assidua ed autentica di preghiera, e deve porsi sotto la
direzione di un padre spirituale. Il direttore spirituale deve aiutare
il seminarista perché egli stesso giunga ad una decisione matura e
libera, che sia fondata nella stima dell'amicizia sacerdotale e
dell'autodisciplina, come pure nell'accettazione della solitudine e in
un retto stato personale fisico e psicologico. Per questo i
seminaristi conoscano bene la dottrina del Concilio Vaticano II,
l'enciclica « Sacerdotalis Caelibatus » e l'Istruzione per la
formazione al celibato sacerdotale edita dalla Congregazione per
l'Educazione Cattolica nel 1974. Perché il seminarista possa
abbracciare con decisione libera il celibato sacerdotale per il Regno
dei cieli è necessario che conosca la natura cristiana e veramente
umana nonché il fine della sessualità nel matrimonio e nel celibato.
È necessario anche istruire ed educare i fedeli laici circa le
motivazioni evangeliche, spirituali e pastorali proprie del celibato
sacerdotale così che aiutino i presbiteri con l'amicizia, la
comprensione e la collaborazione ».340
51. La formazione intellettuale,
pur avendo una sua specificità, si connette profondamente, sino a
costituirne un'espressione necessaria, con la formazione umana e
quella spirituale: si configura, infatti, come un'esigenza insopprimibile
dell'intelligenza con la quale l'uomo « partecipa della luce
della mente di Dio » 341 e cerca di acquisire una sapienza, che a sua
volta, si apre e punta sulla conoscenza e sull'adesione a Dio.
La formazione intellettuale dei
candidati al sacerdozio trova la sua specifica giustificazione nella
natura stessa del ministero ordinato e manifesta la sua urgenza
attuale di fronte alla sfida della « nuova evangelizzazione » alla
quale il Signore chiama la Chiesa alle soglie del terzo millennio. «
Se già ogni cristiano — scrivono i Padri sinodali — deve essere
pronto a difendere la fede e a rendere ragione della speranza che vive
in noi,342 molto di più i candidati al sacerdozio e i presbiteri
devono avere diligente cura del valore della formazione intellettuale
nell'educazione e nell'attività pastorale, dal momento che per la
salvezza dei fratelli e delle sorelle devono cercare una più profonda
conoscenza dei misteri divini ».343 La situazione attuale poi,
pesantemente segnata dall'indifferenza religiosa e insieme da una
sfiducia diffusa nei riguardi della reale capacità della ragione di
raggiungere la verità oggettiva e universale, e da problemi e
interrogativi inediti provocati dalle scoperte scientifiche e
tecnologiche, esige con forza un livello eccellente di formazione
intellettuale, tale cioè da rendere i sacerdoti capaci di annunciare,
proprio in un simile contesto, l'immutabile Vangelo di Cristo e di
renderlo credibile di fronte alle legittime esigenze della ragione
umana. Si aggiunga, inoltre, che l'attuale fenomeno del pluralismo
quanto mai accentuato, nell'ambito non solo della società umana ma
anche della stessa comunità ecclesiale, chiede una particolare
attitudine al discernimento critico: è un ulteriore motivo che
dimostra la necessità di una formazione intellettuale quanto mai
seria.
Questa motivazione « pastorale »
della formazione intellettuale riconferma quanto già detto sull'unità
del processo educativo nelle sue diverse dimensioni. L'impegno di
studio, che occupa non poca parte della vita di chi si prepara al
sacerdozio, non è affatto una componente esteriore e secondaria della
sua crescita umana, cristiana, spirituale e vocazionale: in realtà
attraverso lo studio, soprattutto della teologia, il futuro sacerdote
aderisce alla Parola di Dio, cresce nella sua vita spirituale e si
dispone a compiere il suo ministero pastorale. È questo il molteplice
e unitario scopo dello studio teologico indicato dal Concilio 344 e
riproposto dall'Instrumentum laboris del Sinodo: « Affinché
possa essere pastoralmente efficace, la formazione intellettuale va
integrata in un cammino spirituale segnato dall'esperienza personale
di Dio, in modo tale da superare una pura scienza nozionistica e
pervenire a quella intelligenza del cuore che sa "vedere"
prima ed è in grado poi di comunicare il mistero di Dio ai fratelli
».345
52. Un momento essenziale della
formazione intellettuale è lo studio della filosofia, che
conduce ad una più profonda comprensione e interpretazione della
persona, della sua libertà, delle sue relazioni con il mondo e con
Dio. Essa si rivela di grande urgenza, non solo per il legame che
esiste tra gli argomenti filosofici e i misteri della salvezza
studiati in teologia alla luce superiore della fede 346 ma anche di
fronte ad una situazione culturale quanto mai diffusa che esalta il
soggettivismo come criterio e misura della verità: solo una sana
filosofia può aiutare i candidati al sacerdozio a sviluppare una
coscienza riflessa del rapporto costitutivo che esiste tra lo spirito
umano e la verità, quella verità che si rivela a noi pienamente in
Gesù Cristo. Né è da sottovalutare l'importanza della filosofia per
garantire quella « certezza di verità » che, sola, può stare alla
base della donazione personale totale a Gesù e alla Chiesa. Non è
difficile capire come alcune questioni molto concrete, quali l'identità
del sacerdote e il suo impegno apostolico e missionario, sono
profondamente legate alla questione, tutt'altro che astratta, della
verità: se non si è certi della verità, come è possibile mettere
in gioco l'intera propria vita ed avere la forza per interpellare sul
serio la vita degli altri?
La filosofia aiuta non poco il
candidato ad arricchire la sua formazione intellettuale del « culto
della verità », cioè di una specie di venerazione amorosa della
verità, la quale conduce a riconoscere che la verità stessa non
è creata e misurata dall'uomo ma all'uomo è data in dono dalla Verità
suprema, Dio; che, sia pure con limiti e a volte con difficoltà, la
ragione umana può raggiungere la verità oggettiva e universale,
anche quella riguardante Dio e il senso radicale dell'esistenza; che
la fede stessa non può prescindere dalla ragione e dalla fatica di «
pensare » i suoi contenuti, come testimoniava la grande mente di
Agostino: « Ho desiderato vedere con l'intelletto ciò che ho
creduto, e ho molto disputato e faticato ».347
Per una più profonda comprensione
dell'uomo e dei fenomeni e delle linee evolutive della società, in
ordine all'esercizio il più possibile « incarnato » del ministero
pastorale, di non poca utilità possono essere le cosiddette «
scienze dell'uomo », come la sociologia, la psicologia, la
pedagogia, la scienza dell'economia e della politica, la scienza della
comunicazione sociale. Sia pure nell'ambito ben preciso delle scienze
positive o descrittive, queste aiutano il futuro sacerdote a
prolungare la « contemporaneità » vissuta da Cristo. « Cristo,
diceva Paolo VI, si è fatto contemporaneo ad alcuni uomini e ha
parlato nel loro linguaggio. La fedeltà a lui chiede che questa
contemporaneità continui ».348
53. La formazione intellettuale
del futuro sacerdote si basa e si costruisce soprattutto sullo studio
della sacra doctrina, della teologia. Il valore e l'autenticità
della formazione teologica dipendono dal rispetto scrupoloso della
natura propria della teologia, che i Padri sinodali hanno così
compendiato: « La vera teologia proviene dalla fede e intende
condurre alla fede ».349 È questa la concezione che la Chiesa
cattolica, e il suo Magistero in specie, hanno costantemente proposto.
È questa la linea seguita dai grandi teologi, che hanno arricchito il
pensiero della Chiesa cattolica lungo i secoli. San Tommaso è
oltremodo esplicito, quando afferma che la fede è come l'habitus della
teologia, ossia il suo principio operativo permanente,350 e che tutta
la teologia è ordinata a nutrire la fede.351
Il teologo è, dunque, anzitutto
un credente, un uomo di fede.
Ma è un credente che s'interroga
sulla propria fede (fides quaerens intellectum), che
s'interroga al fine di raggiungere una comprensione più profonda
della fede stessa. I due aspetti, la fede e la riflessione matura,
sono profondamente connessi, intrecciati: proprio la loro intima
coordinazione e compenetrazione decide della vera natura della
teologia, e conseguentemente decide dei contenuti, delle modalità e
dello spirito secondo cui la sacra doctrina va elaborata e
studiata.
Poiché poi la fede, punto di
partenza e di arrivo della teologia, opera un rapporto personale del
credente con Gesù Cristo nella Chiesa, anche la teologia possiede
delle intrinseche connotazioni cristologiche ed ecclesiali, che il
candidato al sacerdozio deve consapevolmente assumere, non solo per le
implicazioni che riguardano la sua vita personale ma anche per quelle
che toccano il suo ministero pastorale. Se è accoglienza della Parola
di Dio, la fede si risolve in un « sì » radicale del credente a Gesù
Cristo, Parola piena e definitiva di Dio al mondo.352 Di conseguenza,
la riflessione teologica trova il suo centro nell'adesione a Gesù
Cristo, Sapienza di Dio: la stessa riflessione matura deve dirsi una
partecipazione al « pensiero » di Cristo 353 nella forma umana di
una scienza (scientia fidei). Nello stesso tempo, la fede
inserisce il credente nella Chiesa e lo rende partecipe della vita
della Chiesa, quale comunità di fede. Di conseguenza, la teologia
possiede una dimensione ecclesiale, perché è una riflessione matura
sulla fede della Chiesa e da parte del teologo che è membro della
Chiesa.354
Queste prospettive cristologiche
ed ecclesiali, che sono connaturali alla teologia, aiutano a
sviluppare nei candidati al sacerdozio, insieme al rigore scientifico,
un grande e vivo amore a Gesù Cristo e alla sua Chiesa: quest'amore,
mentre nutre la loro vita spirituale, li orienta al generoso
compimento del loro ministero. Proprio questo era, in definitiva,
l'intento del Concilio Vaticano II che sollecitava il riordinamento
degli studi ecclesiastici disponendo meglio le varie discipline
filosofiche e teologiche e facendole « convergere concordemente alla
progressiva apertura delle menti degli alunni verso il mistero di
Cristo, il quale compenetra tutta la storia del genere umano, agisce
continuamente nella Chiesa e opera principalmente attraverso il
ministero sacerdotale ».355
Formazione intellettuale teologica
e vita spirituale, in particolare vita di preghiera, s'incontrano e si
rafforzano a vicenda, senza nulla togliere né alla serietà della
ricerca né al sapore spirituale della preghiera. San Bonaventura ci
avverte: « Nessuno creda che gli basti la lettura senza l'unzione, la
speculazione senza la devozione, la ricerca senza lo stupore,
l'osservazione senza l'esultanza, l'attività senza la pietà, la
scienza senza la carità, l'intelligenza senza l'umiltà, lo studio
senza la grazia divina, l'indagine senza la sapienza dell'ispirazione
divina ».356
54. La formazione teologica è
opera quanto mai complessa e impegnativa. Essa deve condurre il
candidato al sacerdozio a possedere una visione delle verità
rivelate da Dio in Gesù Cristo e dell'esperienza di fede della Chiesa
che sia completa e unitaria: di qui la duplice esigenza di
conoscere « tutte » le verità cristiane, senza operare delle scelte
arbitrarie, e di conoscerle in modo organico. Ciò esige che l'alunno
sia aiutato ad operare una sintesi che sia il frutto degli apporti
delle diverse discipline teologiche, la cui specificità acquista
autentico valore solo nella loro profonda coordinazione.
Nella sua riflessione matura sulla
fede, la teologia si muove in due direzioni. La prima è quella dello studio
della Parola di Dio: la parola scritta nel Libro sacro, celebrata
e vissuta nella Tradizione viva della Chiesa, autorevolmente
interpretata dal Magistero della Chiesa. Di qui lo studio della Sacra
Scrittura, « che deve essere come l'anima di tutta la teologia »,357
dei Padri della Chiesa e della liturgia, come pure della storia della
Chiesa e dei pronunciamenti del Magistero. La seconda direzione è
quella dell'uomo, interlocutore di Dio: l'uomo chiamato a «
credere », a « vivere », a « comunicare » agli altri la fides e
l'ethos cristiani. Di qui lo studio della dommatica, della
teologia morale, della teologia spirituale, del diritto canonico e
della teologia pastorale.
Il riferimento all'uomo credente
conduce la teologia ad avere una particolare attenzione, da un lato,
all'istanza fondamentale e permanente del rapporto fede-ragione,
dall'altro, ad alcune esigenze più collegate con la situazione
sociale e culturale d'oggi. Dal primo punto di vista, si ha lo studio
della teologia fondamentale, che ha per oggetto il fatto della
rivelazione cristiana e la sua trasmissione nella Chiesa. Dall'altro
punto di vista, si impongono discipline che hanno conosciuto e
conoscono un più deciso sviluppo come risposte a problemi oggi
fortemente sentiti. Così lo studio della dottrina sociale della
Chiesa, che « appartiene... al campo della teologia e, specialmente,
della teologia morale » 358 e che è da annoverarsi tra le «
componenti essenziali » della « nuova evangelizzazione », di cui
costituisce uno strumento.359 Così lo studio della missione,
dell'ecumenismo, del giudaismo, dell'Islam e delle altre religioni non
cristiane.
55. La formazione teologica
attuale deve prestare attenzione ad alcuni problemi che non
poche volte sollevano difficoltà, tensioni, confusioni all'interno
della vita della Chiesa. Si pensi al rapporto tra i pronunciamenti
del Magistero e le discussioni teologiche, un rapporto che non
sempre si configura come dovrebbe essere, all'insegna cioè della
collaborazione. Certamente « il Magistero vivo della Chiesa e la
teologia, pur avendo doni e funzioni diverse, hanno ultimamente il
medesimo fine: conservare il Popolo di Dio nella verità che libera e
farne così la "luce delle nazioni". Questo servizio alla
comunità ecclesiale mette in relazione reciproca il teologo con il
Magistero. Quest'ultimo insegna autenticamente la dottrina degli
Apostoli e, traendo vantaggio dal lavoro teologico, respinge le
obiezioni e le deformazioni della fede, proponendo inoltre con
l'autorità ricevuta da Gesù Cristo nuovi approfondimenti,
esplicitazioni e applicazioni della dottrina rivelata. La teologia
invece acquisisce, in modo riflesso, un'intelligenza sempre più
profonda della Parola di Dio, contenuta nella Scrittura e trasmessa
fedelmente dalla Tradizione viva della Chiesa sotto la guida del
Magistero, cerca di chiarire l'insegnamento della Rivelazione di
fronte all'istanza della ragione, ed infine gli dà una forma organica
e sistematica ».360 Quando però, per una serie di motivi, questa
collaborazione viene meno, occorre non prestarsi a equivoci e a
confusioni, sapendo distinguere accuratamente « la dottrina comune
della Chiesa dalle opinioni dei teologi e dalle tendenze che presto
passano (le cosiddette "mode") ».361 Non si dà un
magistero « parallelo », perché l'unico magistero è quello di
Pietro e degli apostoli, del Papa e dei vescovi.362
Un altro problema, avvertito
soprattutto là dove gli studi seminaristici sono affidati ad
istituzioni accademiche, riguarda il rapporto tra il rigore
scientifico della teologia e la sua destinazione pastorale, e
pertanto la natura pastorale della teologia. Si tratta, in realtà, di
due caratteristiche della teologia e del suo insegnamento che non solo
non si oppongono tra loro, ma che concorrono, sia pure sotto profili
diversi, alla più completa intelligenza della fede. Infatti la
pastoralità della teologia non significa una teologia meno dottrinale
o addirittura destituita della sua scientificità; significa, invece,
che essa abilita i futuri sacerdoti ad annunciare il messaggio
evangelico attraverso i modi culturali del loro tempo e a impostare
l'azione pastorale secondo un'autentica visione teologica. E così, da
un lato, uno studio rispettoso della scientificità rigorosa delle
singole discipline teologiche contribuirà alla più completa e
profonda formazione del pastore d'anime come maestro della fede;
dall'altro lato, l'adeguata sensibilità alla destinazione pastorale
renderà veramente formativo per i futuri presbiteri lo studio serio e
scientifico della teologia.
Un ulteriore problema è dato
dall'esigenza, oggi fortemente sentita, dell'evangelizzazione delle
culture e dell'inculturazione del messaggio della fede. È questo
un problema eminentemente pastorale, che deve entrare con maggiore
ampiezza e sensibilità nella formazione dei candidati al sacerdozio:
« Nelle attuali circostanze nelle quali, in varie regioni del mondo,
la religione cristiana è considerata come qualcosa di estraneo alle
culture sia antiche sia moderne, è di grande importanza che in tutta
la formazione intellettuale e umana si ritenga come necessaria ed
essenziale la dimensione dell'inculturazione ».363 Ma ciò preesige
una teologia autentica, ispirata ai principii cattolici circa
l'inculturazione. Questi principii si collegano con il mistero
dell'incarnazione del Verbo di Dio e con l'antropologia cristiana e
illuminano il senso autentico dell'inculturazione: questa, di fronte
alle più diverse e talvolta contrapposte culture, presenti nelle
varie parti del mondo, vuole essere un'obbedienza al comando di Cristo
di predicare il Vangelo a tutte le genti sino agli estremi confini
della terra. Una simile obbedienza non significa né sincretismo né
semplice adattamento dell'annuncio evangelico, ma che il Vangelo
penetra vitalmente nelle culture, si incarna in esse, superandone gli
elementi culturali incompatibili con la fede e con la vita cristiana
ed elevandone i valori al mistero della salvezza che proviene da
Cristo.364 Il problema dell'inculturazione può avere un interesse
specifico quando i candidati al sacerdozio provengono essi stessi da
antiche culture: avranno bisogno, allora, di vie adeguate di
formazione, sia per superare il pericolo di essere meno esigenti e di
sviluppare un'educazione più debole ai valori umani, cristiani e
sacerdotali, sia per valorizzare gli elementi buoni e autentici delle
loro culture e tradizioni.365
56. Seguendo l'insegnamento e gli
orientamenti del Concilio Vaticano II e le indicazioni applicative
della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, si è
determinato nella Chiesa un vasto aggiornamento dell'insegnamento
delle discipline filosofiche e soprattutto teologiche nei seminari.
Pur bisognoso in alcuni casi di ulteriori emendamenti e sviluppi,
questo aggiornamento ha contribuito nel suo insieme a qualificare
sempre più la proposta educativa nell'ambito della formazione
intellettuale. Al riguardo « i Padri sinodali hanno nuovamente
affermato, con frequenza e con chiarezza, la necessità, anzi
l'urgenza che venga applicato nei seminari e nelle case di formazione
il piano fondamentale degli studi, sia universale che delle singole
nazioni o Conferenze episcopali ».366
È necessario contrastare con
decisione la tendenza a ridurre la serietà e l'impegno degli studi,
che si manifesta in alcuni contesti ecclesiali, come conseguenza anche
di una preparazione di base insufficiente e lacunosa degli alunni che
iniziano il curricolo filosofico e teologico. È la stessa situazione
contemporanea ad esigere sempre più dei maestri che siano veramente
all'altezza della complessità dei tempi e siano in grado di
affrontare, con competenza e con chiarezza e profondità di
argomentazioni, le domande di senso degli uomini d'oggi, alle quali
solo il Vangelo di Gesù Cristo dà la piena e definitiva risposta.
57. L'intera formazione dei
candidati al sacerdozio è destinata a disporli in un modo più
particolare a comunicare alla carità di Cristo, buon Pastore. Questa
formazione, dunque, nei suoi diversi aspetti, deve avere un carattere
essenzialmente pastorale. Lo affermava chiaramente il decreto
conciliare « Optatam Totius » in rapporto ai seminari maggiori: «
L'educazione degli alunni deve tendere allo scopo di formare veri
pastori d'anime sull'esempio di nostro Signore Gesù Cristo maestro,
sacerdote e pastore. Gli alunni perciò vengano preparati: al
ministero della parola, in modo da penetrare sempre meglio la Parola
di Dio rivelata, rendersela propria con la meditazione e saperla
esprimere con la parola e con la vita; al ministero del culto e della
santificazione, in modo che pregando e celebrando le azioni liturgiche
sappiano esercitare l'opera della salvezza per mezzo del Sacrificio
eucaristico e dei Sacramenti; al servizio di pastore, per essere in
grado di rappresentare agli uomini Cristo, il quale "non venne
per essere servito, ma per servire e dare la sua vita a redenzione di
molti" 367 e di guadagnare molti, facendosi servi di tutti 368 ».369
Il testo conciliare insiste sulla
profonda coordinazione che esiste tra i diversi aspetti della
formazione umana, spirituale, intellettuale e, nello stesso tempo,
sulla loro specifica finalizzazione pastorale. In tal senso il
fine pastorale assicura alla formazione umana, spirituale e
intellettuale determinati contenuti e precise caratteristiche, così
come unifica e specifica l'intera formazione dei futuri sacerdoti.
Come ogni altra formazione, anche
quella pastorale si sviluppa attraverso la riflessione matura e
l'applicazione operativa, e affonda le sue radici vive in uno spirito,
che di tutto costituisce il fulcro e la forza di impulso e di
sviluppo.
Si esige, dunque, lo studio di una
vera e propria disciplina teologica: la teologia pastorale o
pratica, che è una riflessione scientifica sulla Chiesa nel suo
edificarsi quotidiano, con la forza dello Spirito, dentro la storia;
sulla Chiesa, quindi, come « sacramento universale di salvezza »,370
come segno e strumento vivo della salvezza di Gesù Cristo nella
Parola, nei Sacramenti e nel servizio della Carità. La pastorale non
è soltanto un'arte né un complesso di esortazioni, di esperienze, di
metodi; possiede una sua piena dignità teologica, perché riceve
dalla fede i principii e i criteri dell'azione pastorale della Chiesa
nella storia, di una Chiesa che « genera » ogni giorno la Chiesa
stessa, secondo la felice espressione di S. Beda il Venerabile: « Nam
et Ecclesia quotidie gignit Ecclesiam ».371 Tra questi principii
e criteri si dà quello particolarmente importante del discernimento
evangelico della situazione socio-culturale ed ecclesiale entro cui si
sviluppa l'azione pastorale.
Lo studio della teologia pastorale
deve illuminare l'applicazione operativa mediante la dedizione
ad alcuni servizi pastorali che i candidati al sacerdozio, con
necessaria gradualità e sempre in armonia con gli altri impegni
formativi, devono assolvere: si tratta di « esperienze » pastorali,
che possono confluire in un vero e proprio « tirocinio pastorale »,
che può durare anche per diverso tempo e che chiede di essere
verificato in maniera metodica.
Ma lo studio e l'attività
pastorali rimandano ad una sorgente interiore, che la formazione avrà
cura di custodire e di valorizzare: è la comunione sempre più
profonda con la carità pastorale di Gesù, la quale, come ha
costituito il principio e la forza del suo agire salvifico, così,
grazie all'effusione dello Spirito Santo nel sacramento dell'Ordine,
deve costituire il principio e la forza del ministero del presbitero.
Si tratta di una formazione destinata non soltanto ad assicurare una
competenza pastorale scientifica e un'abilità operativa, ma anche e
soprattutto a garantire la crescita di un modo di essere in
comunione con i medesimi sentimenti e comportamenti di Cristo, buon
Pastore: « Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo
Gesù ».372
58. Così intesa, la formazione
pastorale non può certo ridursi ad un semplice apprendistato, rivolto
a familiarizzarsi con qualche tecnica pastorale. La proposta educativa
del seminario si fa carico di una vera e propria iniziazione alla
sensibilità del pastore, all'assunzione consapevole e matura delle
sue responsabilità, all'abitudine interiore di valutare i problemi e
di stabilire le priorità e i mezzi di soluzione, sempre in base a
limpide motivazioni di fede e secondo le esigenze teologiche della
pastorale stessa.
Attraverso l'iniziale e graduale
sperimentazione nel ministero, i futuri sacerdoti potranno essere
inseriti nella viva tradizione pastorale della loro Chiesa
particolare, impareranno ad aprire l'orizzonte della loro mente e del
loro cuore alla dimensione missionaria della vita ecclesiale, si
eserciteranno in alcune prime forme di collaborazione tra loro e con i
presbiteri accanto ai quali saranno mandati. A questi ultimi compete,
in collegamento con la proposta del seminario, una responsabilità
educativa pastorale di non poca importanza.
Nella scelta dei luoghi e dei
servizi adatti all'esercizio pastorale si dovrà avere particolare
riguardo per la parrocchia,373 cellula vitale delle esperienze
pastorali settoriali e specializzate, nella quale essi verranno a
trovarsi di fronte ai problemi particolari del loro futuro ministero.
I Padri sinodali hanno offerto una serie di esempi concreti, come la
visita ai malati; la cura degli emigrati, degli esiliati e dei nomadi;
lo zelo della carità che si traduce in diverse opere sociali. In
particolare essi scrivono: « È necessario che il presbitero sia
testimone della carità di Cristo stesso che è passato facendo del
bene;374 il presbitero deve anche essere il segno visibile della
sollecitudine della Chiesa che è Madre e Maestra. E poiché l'uomo
oggi è colpito da tante disgrazie, specialmente l'uomo che è
travolto da una povertà disumana, dalla cieca violenza e
dall'ingiusto potere, è necessario che l'uomo di Dio ben preparato ad
ogni opera buona 375 rivendichi i diritti e la dignità dell'uomo. Si
guardi però dall'aderire a false ideologie e dal dimenticare, mentre
intende promuoverne la perfezione, che il mondo è redento dalla sola
croce di Cristo ».376
L'insieme di queste ed altre
attività pastorali educa il futuro sacerdote a vivere come «
servizio » la propria missione di autorità nella comunità,
allontanandosi da ogni atteggiamento di superiorità o di esercizio di
un potere che non sia sempre e solo giustificato dalla carità
pastorale.
Per un'adeguata formazione è
necessario che le diverse esperienze dei candidati al sacerdozio
assumano un chiaro carattere ministeriale, restando intimamente
collegate con tutte le esigenze che sono proprie della preparazione al
presbiterato e (non, certo, a scapito dello studio) in riferimento ai
servizi dell'annuncio della Parola, del culto e della presidenza.
Questi servizi possono diventare la traduzione concreta dei ministeri
del Lettorato, dell'Accolitato e del Diaconato.
59. Poiché l'azione pastorale è
destinata per sua natura ad animare la Chiesa, che è essenzialmente
« mistero », « comunione », « missione », la formazione
pastorale dovrà conoscere e vivere queste dimensioni ecclesiali
nell'esercizio del ministero.
Fondamentale risulta essere la
coscienza che la Chiesa è « mistero », opera divina, frutto
dello Spirito di Cristo, segno efficace della grazia, presenza della
Trinità nella comunità cristiana: una simile coscienza, mentre non
attenuerà il senso di responsabilità proprio del pastore, lo renderà
convinto che la crescita della Chiesa è opera gratuita dello Spirito
e che il suo servizio — dalla stessa grazia divina affidato alla
libera responsabilità umana — è quello evangelico del servo
inutile.377
La coscienza poi della Chiesa quale
« comunione » preparerà il candidato al sacerdozio a
realizzare una pastorale comunitaria, in cordiale collaborazione con i
diversi soggetti ecclesiali: sacerdoti e Vescovo, sacerdoti diocesani
e religiosi, sacerdoti e laici. Ma una simile collaborazione
presuppone la conoscenza e la stima dei diversi doni e carismi, delle
varie vocazioni e responsabilità che lo Spirito offre ed affida ai
membri del Corpo di Cristo; esige un senso vivo e preciso della
propria e dell'altrui identità nella Chiesa; chiede mutua fiducia,
pazienza, dolcezza, capacità di comprensione e di attesa; si radica
soprattutto su di un amore alla Chiesa più grande dell'amore a se
stessi e alle aggregazioni alle quali si appartiene. Di particolare
importanza è preparare i futuri sacerdoti alla collaborazione con
i laici. « Siano pronti — dice il Concilio — ad ascoltare il
parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro
aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza nei
diversi campi dell'attività umana, in modo da poter assieme a loro
riconoscere i segni dei tempi ».378 Anche il recente Sinodo ha
insistito sulla sollecitudine pastorale verso i laici: « Occorre che
l'alunno diventi capace di proporre e di introdurre i fedeli laici,
soprattutto i giovani, alle diverse vocazioni (al matrimonio, ai
servizi sociali, all'apostolato, ai ministeri e alle responsabilità
nell'assumere l'attività pastorale, alla vita consacrata, a guidare
la vita politica e sociale, alla ricerca scientifica,
all'insegnamento). Soprattutto è necessario insegnare e sostenere i
laici e la loro vocazione a permeare e a trasformare il mondo con la
luce del Vangelo, riconoscendo il loro compito e rispettandolo ».379
Infine, la coscienza della Chiesa
quale comunione « missionaria », aiuterà il candidato al
sacerdozio ad amare e a vivere l'essenziale dimensione missionaria
della Chiesa e delle diverse attività pastorali; ad essere aperto e
disponibile a tutte le possibilità oggi offerte all'annuncio del
Vangelo, senza dimenticare il prezioso servizio che al riguardo può e
deve essere dato dai mezzi della comunicazione sociale;380 a
prepararsi ad un ministero che gli potrà chiedere la concreta
disponibilità allo Spirito Santo e al Vescovo per essere mandato a
predicare il Vangelo oltre i confini del suo paese.381
II. Gli ambienti della
formazione sacerdotale
60. La necessità del
Seminario Maggiore — e dell'analoga Casa religiosa — per la
formazione dei candidati al sacerdozio, autorevolmente affermata dal
Concilio Vaticano II,382 è stata riaffermata dal Sinodo con
queste parole: « L'istituzione del Seminario Maggiore, come luogo
ottimo di formazione, è certamente da riaffermarsi quale normale
spazio, anche materiale, di una vita comunitaria e gerarchica, anzi
quale casa propria per la formazione dei candidati al sacerdozio, con
superiori veramente consacrati a questo ufficio. Questa istituzione ha
dato moltissimi frutti lungo i secoli e continua a darli in tutto il
mondo ».383
Il seminario si presenta sì come
un tempo e uno spazio; ma si presenta soprattutto come una comunità
educativa in cammino: è la comunità promossa dal Vescovo per
offrire a chi è chiamato dal Signore a servire come gli apostoli la
possibilità di rivivere l'esperienza formativa che il Signore ha
riservato ai Dodici. In realtà, una prolungata e intima consuetudine
di vita con Gesù viene presentata nei Vangeli come necessaria
premessa al ministero apostolico. Essa richiede ai Dodici di
realizzare in modo particolarmente chiaro e specifico il distacco, in
qualche misura proposto a tutti i discepoli, dall'ambiente di origine,
dal lavoro consueto, dagli affetti anche più cari.384 Più volte
abbiamo riportato la tradizione di Marco che sottolinea il legame
profondo che unisce gli apostoli con Cristo e tra di loro: prima di
essere mandati a predicare e a guarire, sono chiamati a « stare con
lui ».385
L'identità profonda del seminario
è di essere, a suo modo, una continuazione nella Chiesa della
comunità apostolica stretta intorno a Gesù, in ascolto della sua
Parola, in cammino verso l'esperienza della Pasqua, in attesa del dono
dello Spirito per la missione. Una simile identità costituisce
l'ideale normativo che stimola il seminario, nelle più diverse forme
e nelle molteplici vicissitudini, che in quanto istituzione umana registra
nella storia, a trovare una concreta realizzazione, fedele ai valori
evangelici ai quali si ispira e capace di rispondere alle situazioni e
necessità dei tempi.
Il seminario è, in se stesso, un'esperienza
originale della vita della Chiesa: in esso il Vescovo si rende
presente attraverso il ministero del rettore e il servizio di
corresponsabilità e di comunione da lui animato con gli altri
educatori, per la crescita pastorale e apostolica degli alunni. I vari
membri della comunità del seminario, riuniti dallo Spirito in
un'unica fraternità, collaborano, ciascuno secondo il proprio dono,
alla crescita di tutti nella fede e nella carità, perché si
preparino adeguatamente al sacerdozio e quindi a prolungare nella
Chiesa e nella storia la presenza salvifica di Gesù Cristo, il buon
Pastore.
Già sotto un profilo umano, il
Seminario Maggiore deve tendere a diventare « una comunità
compaginata da una profonda amicizia e carità, così da poter essere
considerata una vera famiglia che vive nella gioia ».386 Sotto il
profilo cristiano, il seminario si deve configurare, continuano i
Padri sinodali, come « comunità ecclesiale », come « comunità dei
discepoli del Signore nella quale si celebra la stessa Liturgia (che
permea la vita di spirito di preghiera), formata ogni giorno nella
lettura e nella meditazione della Parola di Dio e con il sacramento
dell'Eucaristia e nell'esercizio della carità fraterna e della
giustizia, una comunità nella quale, nel progresso della vita
comunitaria e nella vita di ciascun suo membro, risplendono lo Spirito
di Cristo e l'amore verso la Chiesa ».387 A conferma e a sviluppo
concreto dell'essenziale dimensione ecclesiale del seminario, i Padri
sinodali continuano: « Come comunità ecclesiale, sia diocesana che
interdiocesana, sia anche religiosa, il seminario alimenti il senso
della comunione dei candidati con il loro Vescovo e con il loro
presbiterio, così che partecipino alla loro speranza e alle loro
angosce e sappiano estendere questa apertura alle necessità della
Chiesa universale ».388 È essenziale per la formazione dei candidati
al sacerdozio e al ministero pastorale, che per sua natura è
ecclesiale, che il seminario sia sentito non in un modo esteriore e
superficiale, ossia come un semplice luogo di abitazione e di studio,
ma in un modo interiore e profondo: come una comunità, una comunità
specificamente ecclesiale, una comunità che rivive l'esperienza del
gruppo dei Dodici uniti a Gesù.389
61. Il seminario è, dunque, una comunità
ecclesiale educativa, anzi una particolare comunità educante. Ed
è il fine specifico a determinarne la fisionomia, ossia
l'accompagnamento vocazionale dei futuri sacerdoti, e pertanto il
discernimento della vocazione, l'aiuto a corrispondervi e la
preparazione a ricevere il sacramento dell'Ordine con le grazie e le
responsabilità proprie, per le quali il sacerdote è configurato a
Gesù Cristo Capo e Pastore ed è abilitato e impegnato a condividerne
la missione di salvezza nella Chiesa e nel mondo.
In quanto comunità educante,
l'intera vita del seminario, nelle sue più diverse espressioni, è impegnata
nella formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale dei
futuri presbiteri: è una formazione che, pur avendo tanti aspetti
comuni con la formazione umana e cristiana di tutti i membri della
Chiesa, presenta contenuti, modalità e caratteristiche che discendono
in modo specifico dal fine perseguito di preparare al sacerdozio.
Ora i contenuti e le forme
dell'opera educativa esigono che il seminario abbia una sua precisa programmazione,
un programma di vita cioè che si caratterizzi, sia per la sua
organicità-unità, sia per la sua sintonia o corrispondenza con
l'unico fine che giustifica l'esistenza del seminario: la preparazione
dei futuri presbiteri.
In questo senso i Padri sinodali
scrivono: « In quanto comunità educativa, (il seminario) deve
servire ad un programma chiaramente definito che, come nota
caratteristica, abbia l'unità della direzione manifestata nella
figura del Rettore e dei collaboratori, nella coerenza
dell'ordinamento di vita, dell'attività formativa e delle esigenze
fondamentali della vita comunitaria, la quale comporta anche gli
aspetti essenziali del compito formativo. Questo programma deve essere
al servizio, senza esitazione e indeterminazione, della finalità
specifica che sola giustifica l'esistenza del seminario, la formazione
cioè dei futuri presbiteri, pastori della Chiesa ».390 E perché la
programmazione sia veramente adatta ed efficace occorre che le grandi
linee programmatiche si traducano più concretamente in dettaglio,
mediante alcune norme particolari destinate ad ordinare la vita
comunitaria, stabilendo alcuni strumenti e alcuni ritmi temporali
precisi.
Un altro aspetto è qui da
sottolineare: l'opera educativa, per sua natura, è l'accompagnamento
delle persone storiche concrete che camminano verso la scelta e
l'adesione a determinati ideali di vita. Proprio per questo l'opera
educativa deve saper armonicamente conciliare la proposta chiara della
meta da raggiungere, la richiesta di camminare con serietà verso la
meta stessa, l'attenzione al « viandante », ossia al soggetto
concreto impegnato in questa avventura, e dunque ad una serie di
situazioni, di problemi, di difficoltà, di ritmi diversificati di
cammino e di crescita. Ciò esige una sapiente elasticità, che non
significa affatto compromesso né sui valori né sull'impegno
cosciente e libero, ma amore vero e rispetto sincero per chi, nelle
sue condizioni personali, sta camminando verso il sacerdozio. Questo
vale non solo in rapporto alla singola persona, ma anche in rapporto
ai diversi contesti sociali e culturali entro cui vivono i seminari e
alla diversa storia che essi hanno. In questo senso l'opera
educativa esige un continuo rinnovamento. I Padri l'hanno rilevato
con forza anche in rapporto alla configurazione dei seminari: « Salva
la validità delle forme classiche del seminario, il Sinodo desidera
che il lavoro di consultazione delle Conferenze episcopali sulle
necessità attuali della formazione prosegua come si è stabilito nel
decreto "Optatam Totius" 391 e nel Sinodo del 1967. Si
rivedano opportunamente le Rationes delle singole nazioni o
riti, sia in occasione delle richieste fatte dalle Conferenze
episcopali, sia nelle visite apostoliche nei seminari delle diverse
nazioni, per integrare in esse diverse forme di formazione collaudate
che devono rispondere alle necessità dei popoli di cultura cosiddetta
indigena, delle vocazioni di uomini adulti, delle vocazioni per le
missioni, ecc. ».392
62. La finalità e la
configurazione educativa specifica del Seminario Maggiore esigono che
i candidati al sacerdozio vi entrino con una qualche preparazione
previa. Una simile preparazione non poneva problemi particolari,
almeno sino a qualche decennio fa, allorquando i candidati al
sacerdozio provenivano abitualmente dai seminari minori e la vita
cristiana delle comunità ecclesiali offriva facilmente a tutti,
indistintamente, una discreta istruzione ed educazione cristiana.
La situazione è in molte parti
cambiata. Si dà una forte discrepanza tra lo stile di vita e la
preparazione di base dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani,
anche se cristiani e talvolta impegnati nella vita della Chiesa, da un
lato, e dall'altro lo stile di vita del seminario e le sue esigenze
formative. In questo contesto, in comunione con i Padri sinodali,
chiedo che vi sia un periodo adeguato di preparazione che preceda la
formazione del seminario: « È utile che ci sia un periodo di
preparazione umana, cristiana, intellettuale e spirituale per i
candidati al Seminario Maggiore. Questi candidati devono però
presentare determinate qualità: la retta intenzione, un grado
sufficiente di maturità umana, una conoscenza abbastanza ampia della
dottrina della fede, una qualche introduzione ai metodi di preghiera e
costumi conformi alla tradizione cristiana. Abbiano anche attitudini
proprie delle loro regioni, mediante le quali viene espresso lo sforzo
di trovare Dio e la fede ».393
« Una conoscenza abbastanza ampia
della dottrina della fede », di cui parlano i Padri sinodali, è
richiesta prima della teologia: non si può sviluppare una «
intellegentia fidei », se non si conosce la « fides » nel
suo contenuto. Una simile lacuna potrà essere più facilmente colmata
dal prossimo Catechismo universale.
Mentre si fa comune la convinzione
della necessità di una simile preparazione previa al Seminario
Maggiore, si dà una diversa valutazione dei suoi contenuti e delle
sue caratteristiche, ossia dello scopo prevalente, se di formazione
spirituale per il discernimento vocazionale o di formazione
intellettuale e culturale. D'altra parte, non si possono dimenticare
le molte e profonde diversità che esistono, non solo in rapporto ai
singoli candidati, ma anche in rapporto alle varie regioni e paesi. Ciò
suggerisce una fase ancora di studio e di sperimentazione, perché si
possano definire in modo più opportuno e significativo i diversi
elementi di questa preparazione previa o « periodo propedeutico »:
il tempo, il luogo, la forma, i temi di questo periodo, che
peraltro è da coordinarsi con gli anni successivi della formazione
nel seminario.
In questo senso assumo e
ripropongo alla Congregazione per l'Educazione Cattolica la richiesta
formulata dai Padri sinodali: « Il Sinodo chiede che la Congregazione
per l'Educazione Cattolica raccolga tutte le informazioni sulle
esperienze iniziali fatte o che si stanno facendo. A tempo opportuno,
la Congregazione comunichi alle Conferenze episcopali le informazioni
su questo argomento ».394
63. Come attesta una larga
esperienza, la vocazione sacerdotale ha un suo primo momento di
manifestazione spesso negli anni della preadolescenza o nei primissimi
anni della gioventù. Ed anche in soggetti che arrivano a decidere
l'ingresso in seminario più avanti nel tempo non è raro costatare la
presenza della chiamata di Dio in periodi molto precedenti. La storia
della Chiesa è una testimonianza continua di chiamate che il Signore
rivolge anche in tenera età. San Tommaso, ad esempio, spiega la
predilezione di Gesù verso l'apostolo Giovanni « per la sua tenera
età » e ne trae la seguente conclusione: « Questo ci fa capire come
Dio ami in modo speciale coloro che si danno al suo servizio fin dalla
prima giovinezza ».395
La Chiesa si prende cura di questi
germi di vocazione seminati nei cuori dei fanciulli, curandone,
attraverso l'istituzione dei Seminari Minori, un premuroso, benché
iniziale, discernimento e accompagnamento. In varie parti del mondo,
questi seminari continuano a svolgere una preziosa opera educativa,
finalizzata a custodire e a far sviluppare i germi della vocazione
sacerdotale, affinché gli alunni la possano più facilmente
riconoscere e siano resi più capaci di corrispondervi. La loro
proposta educativa tende a favorire in modo tempestivo e graduale
quella formazione umana, culturale e spirituale che condurrà il
giovane a intraprendere il cammino nel Seminario Maggiore con una base
adeguata e solida.
« Prepararsi a seguire Cristo
Redentore con animo generoso e cuore puro »: questo
è lo scopo del Seminario Minore indicato dal Concilio nel decreto «
Optatam Totius », che così ne delinea il volto educativo: gli alunni
« sotto la guida paterna dei superiori, coadiuvati opportunamente dai
genitori, conducano un tenore di vita conveniente all'età, allo
spirito e allo sviluppo degli adolescenti e in piena armonia con le
norme della sana psicologia, senza trascurare una conveniente
esperienza delle cose umane e i rapporti con la propria famiglia ».396
Il Seminario Minore potrà essere
nella Diocesi anche un punto di riferimento della pastorale
vocazionale, con opportune forme di accoglienza e offerta di occasioni
informative per quegli adolescenti che sono alla ricerca della
vocazione o che, già determinati a seguirla, sono costretti a
procrastinare l'ingresso in seminario per diverse circostanze,
familiari o scolastiche.
64. Dove il Seminario Minore —
che in molte regioni sembra necessario e molto utile — non trova
possibilità di attuazione, occorre provvedere a costituire altre «
istituzioni »,397 come potrebbero essere i gruppi vocazionali per
adolescenti e per giovani. Pur non essendo permanenti, questi gruppi
potranno offrire, in un contesto comunitario, una guida sistematica
per la verifica e la crescita vocazionale. Pur vivendo in famiglia e
frequentando la comunità cristiana che li aiuta nel loro cammino
formativo, questi ragazzi e questi giovani non devono essere lasciati
soli. Essi hanno bisogno di un gruppo particolare o di una comunità
di riferimento cui appoggiarsi per compiere quello specifico
itinerario vocazionale che il dono dello Spirito Santo ha iniziato in
loro.
Come è sempre avvenuto nella
storia della Chiesa, e con qualche caratteristica di confortante novità
e frequenza nelle attuali circostanze, va registrato il fenomeno di vocazioni
sacerdotali che si verificano in età adulta, dopo una più
o meno lunga esperienza di vita laicale e di impegno professionale.
Non è sempre possibile, e spesso non è neppure conveniente, invitare
gli adulti a seguire l'itinerario educativo del Seminario Maggiore. Si
deve piuttosto provvedere, dopo un accurato discernimento
dell'autenticità di queste vocazioni, a programmare una qualche forma
specifica di accompagnamento formativo così da assicurare, mediante
opportuni adattamenti, la necessaria formazione spirituale e
intellettuale.398 Un giusto rapporto con gli altri candidati al
sacerdozio e periodi di presenza nella comunità del Seminario
maggiore potranno garantire il pieno inserimento di queste vocazioni
nell'unico presbiterio e la loro intima e cordiale comunione con esso.
III. I protagonisti della
formazione sacerdotale
65. Poiché la formazione dei
candidati al sacerdozio appartiene alla pastorale vocazionale della
Chiesa, si deve dire che è la Chiesa come tale il soggetto
comunitario che ha la grazia e la responsabilità di accompagnare
quanti il Signore chiama a divenire suoi ministri nel sacerdozio.
In tal senso proprio la lettura
del mistero della Chiesa ci aiuta a precisare meglio il posto e il
compito che i suoi diversi membri, sia come singoli sia come membri di
un corpo, hanno nella formazione dei candidati al presbiterato.
Ora la Chiesa è per sua intima
natura la « memoria », il « sacramento » della presenza e
dell'azione di Gesù Cristo in mezzo a noi e per noi. È alla sua
presenza salvifica che si deve la chiamata al sacerdozio: non solo la
chiamata, ma anche l'accompagnamento perché il chiamato possa
riconoscere la grazia del Signore e possa darle risposta con libertà
e con amore. È lo Spirito di Gesù che fa luce e dona forza nel
discernimento e nel cammino vocazionale. Non si dà, allora,
autentica opera formativa al sacerdozio senza l'influsso dello Spirito
di Cristo. Ogni formatore umano deve esserne pienamente cosciente.
Come non vedere una « risorsa » totalmente gratuita e radicalmente
efficace, che ha il suo « peso » decisivo nell'impegno formativo
verso il sacerdozio? E come non gioire di fronte alla dignità di ogni
formatore umano, che si configura, in un certo senso, quale visibile
rappresentante di Cristo per il candidato al sacerdozio? Se la
formazione al sacerdozio è essenzialmente la preparazione del futuro
« pastore » ad immagine di Gesù Cristo buon Pastore, chi meglio di
Gesù stesso, mediante l'effusione del suo Spirito, può donare e
portare a maturità quella carità pastorale che egli ha vissuto sino
al dono totale di sé 399 e che vuole sia rivissuta da tutti i
presbiteri?
Primo rappresentante di Cristo
nella formazione sacerdotale è il Vescovo. Si
potrebbe dire del Vescovo, di ogni Vescovo, quanto l'evangelista Marco
ci dice nel testo più volte citato: « Chiamò a sé quelli che volle
ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero
con lui e anche per mandarli... ».400 In realtà la chiamata
interiore dello Spirito ha bisogno di essere riconosciuta come
autentica chiamata dal Vescovo. Se tutti possono « andare » dal
Vescovo perché Pastore e Padre di tutti, lo possono in una
maniera particolare i suoi presbiteri per la comune partecipazione al
medesimo sacerdozio e ministero: il Vescovo, dice il Concilio, deve
considerarli e trattarli come « fratelli e amici ».401 E questo, in
modo analogico, si può dire di quanti si preparano al sacerdozio. A
proposito dello stare con lui, con il Vescovo, risulta già quanto mai
significativo della sua responsabilità formativa nei riguardi dei
candidati al sacerdozio che il Vescovo li visiti spesso e in qualche
modo « stia » con loro.
La presenza del Vescovo ha un
valore particolare, non solo perché aiuta la comunità del seminario
a vivere il suo inserimento nella Chiesa particolare e la sua
comunione con il Pastore che la guida, ma anche perché autentica e
stimola quella finalità pastorale che costituisce lo specifico
dell'intera formazione dei candidati al sacerdozio. Soprattutto, con
la sua presenza e con la condivisione con i candidati al sacerdozio di
tutto ciò che riguarda il cammino pastorale della Chiesa particolare,
il Vescovo offre un apporto fondamentale alla formazione del « senso
della Chiesa », quale valore spirituale e pastorale centrale
nell'esercizio del ministero sacerdotale.
66. La comunità educativa del
seminario si articola attorno a diversi formatori: il rettore, il
direttore o padre spirituale, i superiori e i professori. Questi
devono sentirsi profondamente uniti al Vescovo, che a diverso titolo e
in vario modo lo rappresentano, e devono essere tra loro in convinta e
cordiale comunione e collaborazione: questa unità degli educatori non
solo rende possibile un'adeguata realizzazione del programma
educativo, ma anche e soprattutto offre ai candidati al sacerdozio
l'esempio significativo e la concreta introduzione a quella comunione
ecclesiale che costituisce un valore fondamentale della vita cristiana
e del ministero pastorale.
È evidente che gran parte
dell'efficacia formativa dipende dalla personalità matura e forte dei
formatori sotto il profilo umano ed evangelico. Per questo diventano
particolarmente importanti, da un lato, la scelta accurata dei
formatori e, dall'altro, lo stimolo ai formatori perché si
rendano costantemente sempre più idonei al compito loro affidato.
Consapevoli che proprio nella scelta e nella formazione dei
formatori risiede l'avvenire della preparazione dei candidati al
sacerdozio, i Padri sinodali si sono soffermati a lungo nel precisare
l'identità degli educatori. In particolare hanno scritto: « Il
compito della formazione dei candidati al sacerdozio certamente esige
non solo una qualche preparazione speciale dei formatori, che sia
veramente tecnica, pedagogica, spirituale, umana e teologica, ma anche
lo spirito di comunione e di collaborazione nell'unità per sviluppare
il programma, così che sempre sia salvata l'unità nell'azione
pastorale del seminario sotto la guida del rettore. Il gruppo dei
formatori dia testimonianza di una vita veramente evangelica e di
totale dedizione al Signore. È opportuno che goda di una qualche
stabilità ed abbia residenza abituale nella comunità del seminario.
Sia intimamente congiunto con il Vescovo, quale primo responsabile
della formazione dei sacerdoti ».402
I Vescovi per primi devono sentire
la loro grave responsabilità circa la formazione di coloro che
saranno incaricati dell'educazione dei futuri presbiteri. Per questo
ministero devono essere scelti sacerdoti di vita esemplare, in
possesso di diverse qualità: « la maturità umana e spirituale,
l'esperienza pastorale, la competenza professionale, la stabilità
nella propria vocazione, la capacità alla collaborazione, la
preparazione dottrinale nelle scienze umane (specialmente la
psicologia) corrispondente all'ufficio, la conoscenza dei modi per
lavorare in gruppo ».403
Fatte salve la distinzione tra
foro interno e foro esterno, l'opportuna libertà di scelta dei
confessori e la prudenza e discrezione che convengono al ministero del
direttore spirituale, la comunità presbiterale degli educatori si
senta solidale nella responsabilità di educare i candidati al
sacerdozio. Ad essa, sempre in riferimento all'autorevole valutazione
sintetica del Vescovo e del rettore, spetta in primo luogo il compito
di promuovere e verificare l'idoneità dei candidati quanto alle doti
spirituali, umane e intellettuali, soprattutto in riferimento allo
spirito di preghiera, all'assimilazione profonda della dottrina della
fede, alla capacità di autentica fraternità e al carisma del
celibato.404
Tenendo presenti — come i Padri
sinodali hanno pure ricordato — le indicazioni dell'Esortazione «
Christifideles Laici » e della Lettera Apostolica « Mulieris
Dignitatem »,405 che rilevano l'utilità di un sano influsso della
spiritualità laicale e del carisma della femminilità su ogni
itinerario educativo, è opportuno coinvolgere, in forme prudenti e
adattate ai vari contesti culturali, la collaborazione anche dei fedeli
laici, uomini e donne, nell'opera formativa dei futuri sacerdoti.
Sono da scegliersi con cura, nel quadro delle leggi della Chiesa e
secondo i loro particolari carismi e le loro provate competenze. Dalla
loro collaborazione, opportunamente coordinata e integrata alle
responsabilità educative primarie dei formatori dei futuri
presbiteri, è lecito attendersi benefici frutti per una crescita
equilibrata del senso della Chiesa e per una percezione più precisa
della propria identità sacerdotale da parte dei candidati al
presbiterato.406
67. Quanti introducono e
accompagnono i futuri sacerdoti nella sacra doctrina con
l'insegnamento teologico hanno una particolare responsabilità
educativa, che l'esperienza dice essere spesso più decisiva, nello
sviluppo della personalità presbiterale, di quella degli altri
educatori.
La responsabilità degli insegnanti
di teologia, prima che riguardare il rapporto di docenza che
devono instaurare con i candidati al sacerdozio, riguarda la
concezione che essi stessi devono avere della natura della teologia e
del ministero sacerdotale, come pure lo spirito e lo stile secondo cui
devono sviluppare l'insegnamento teologico. In questo senso i Padri
sinodali hanno giustamente affermato che « il teologo deve rimanere
consapevole che con il suo insegnamento non si autorizza da sé, ma
deve aprire e comunicare l'intelligenza della fede ultimamente nel
nome del Signore e della Chiesa. In questo modo, il teologo, pur
utilizzando tutte le possibilità scientifiche, esercita il suo
compito su mandato della Chiesa e collabora con il Vescovo nel compito
di insegnare. Poiché i teologi e i Vescovi sono al servizio della
stessa Chiesa nel promuovere la fede, devono sviluppare e coltivare
una reciproca fiducia e in questo spirito superare anche le tensioni e
i conflitti 407 ».408
L'insegnante di teologia, come
ogni altro educatore, deve rimanere in comunione e collaborare
cordialmente con tutte le altre persone impegnate nella formazione dei
futuri sacerdoti e presentare con rigore scientifico, generosità,
umiltà e passione il suo contributo originale e qualificato, che non
è solo la semplice comunicazione di una dottrina — sia pure la sacra
doctrina —, ma è soprattutto l'offerta della prospettiva che
unifica nel disegno di Dio tutti i diversi saperi umani e le varie
espressioni di vita.
In particolare, la specificità e
l'incisività formativa degli insegnanti di teologia si misura sul
loro essere, anzitutto, « uomini di fede e pieni di amore per la
Chiesa, convinti che il soggetto adeguato della conoscenza del mistero
cristiano resta la Chiesa come tale, persuasi pertanto che il loro
compito d'insegnare è un autenico ministero ecclesiale, ricchi di
senso pastorale per discernere non solo i contenuti ma anche le forme
adatte nell'esercizio di questo ministero. In particolare, dagli
insegnanti è richiesta la fedeltà piena al Magistero. Insegnano,
infatti, a nome della Chiesa e per questo sono testimoni della fede ».409
68. Le comunità da cui proviene
il candidato al sacerdozio, pur con il necessario distacco che la
scelta vocazionale comporta, continuano ad esercitare un influsso non
indifferente sulla formazione del futuro sacerdote. Devono allora
essere coscienti della loro specifica parte di responsabilità.
È da ricordare, anzitutto, la famiglia:
i genitori cristiani, come anche i fratelli e le sorelle e gli
altri membri del nucleo familiare, non dovranno mai cercare di
ricondurre il futuro presbitero negli angusti limiti di una logica
troppo umana, se non mondana, pur sostenuta da sincero affetto.410
Animati essi stessi dal medesimo proposito di « compiere la volontà
di Dio » sapranno, invece, accompagnare il cammino formativo con la
preghiera, il rispetto, il buon esempio delle virtù domestiche e
l'aiuto spirituale e materiale, soprattutto nei momenti difficili.
L'esperienza insegna che, in tanti casi, questo aiuto molteplice si è
rivelato decisivo per il candidato al sacerdozio. Anche nel caso di
genitori e familiari indifferenti o contrari alla scelta vocazionale,
il confronto chiaro e sereno con la loro posizione e gli stimoli che
ne derivano possono essere di grande aiuto, perché la vocazione
sacerdotale maturi in modo più consapevole e determinato.
In profondo collegamento con le
famiglie sta la comunità parrocchiale, e le une e l'altra si
integrano sul piano dell'educazione alla fede; spesso poi la
parrocchia, con una specifica pastorale giovanile e vocazionale,
esercita un ruolo di supplenza nei riguardi della famiglia.
Soprattutto, in quanto realizzazione locale più immediata del mistero
della Chiesa, la parrocchia offre un contributo originale e
particolarmente prezioso alla formazione del futuro sacerdote. La
comunità parrocchiale deve continuare a sentire come parte viva di sé
il giovane in cammino verso il sacerdozio, lo deve accompagnare con la
preghiera, accogliere cordialmente nei periodi di vacanza, rispettare
e favorire nel formarsi della sua identità presbiterale, offrendogli
occasioni opportune e stimoli forti per provare la sua vocazione alla
missione sacerdotale.
Anche le associazioni e i
movimenti giovanili, segno e conferma della vitalità che lo
Spirito assicura alla Chiesa, possono e devono contribuire alla
formazione dei candidati al sacerdozio, in particolare di quelli che
escono dall'esperienza cristiana, spirituale e apostolica di queste
realtà aggregative. I giovani che hanno ricevuto la loro formazione
di base in tali aggregazioni e che si riferiscono ad esse per la loro
esperienza di Chiesa, non dovranno sentirsi invitati a sradicarsi dal
loro passato ed a interrompere le relazioni con l'ambiente che ha
contribuito al determinarsi della loro vocazione, né dovranno
cancellare i tratti caratteristici della spiritualità che là hanno
imparato e vissuto, in tutto ciò che di buono, edificante ed
arricchente essi contengono.411 Anche per loro, questo ambiente
d'origine continua ad essere fonte di aiuto e di sostegno nel cammino
formativo verso il sacerdozio.
Le occasioni di educazione alla
fede e di crescita cristiana ed ecclesiale, che lo Spirito offre a
tanti giovani, attraverso molteplici forme di gruppi, movimenti e
associazioni di varia ispirazione evangelica, devono essere sentite e
vissute come il dono di un'anima alimentatrice dentro l'istituzione e
al suo servizio. Un movimento o una spiritualità particolare,
infatti, « non è una struttura alternativa all'istituzione. È
invece sorgente di una presenza che continuamente ne rigenera
l'autenticità esistenziale e storica. Il sacerdote deve perciò
trovare in un movimento la luce e il calore che lo rende capace di
fedeltà al suo Vescovo, che lo rende pronto alle incombenze
dell'istituzione e attento alla disciplina ecclesiastica, così che più
fertile sia la vibrazione della sua fede ed il gusto della sua fedeltà
».412
È quindi necessario che, nella
nuova comunità del Seminario nella quale sono riuniti dal Vescovo, i
giovani provenienti da associazioni e da movimenti ecclesiali imparino
« il rispetto delle altre vie spirituali e lo spirito di dialogo e di
cooperazione », si riferiscano con coerenza e cordialità alle
indicazioni formative del Vescovo e agli educatori del Seminario,
affidandosi con schietta fiducia alla loro guida e alle loro
valutazioni.413 Questo atteggiamento, infatti, prepara e in qualche
modo anticipa la genuina scelta presbiterale di servizio all'intero
Popolo di Dio, nella comunione fraterna del presbiterio e in
obbedienza al Vescovo.
La partecipazione del seminarista
e del presbitero diocesano a particolari spiritualità o aggregazioni
ecclesiali è certamente, in se stessa, un fattore benefico di
crescita e di fraternità sacerdotale. Ma questa partecipazione non
deve ostacolare, bensì aiutare l'esercizio del ministero e la vita
spirituale che sono propri del sacerdote diocesano, il quale « resta
sempre il pastore dell'insieme. Non solo è il "permanente",
disponibile a tutti, ma presiede all'incontro di tutti — in
particolare è a capo delle parrocchie — affinché tutti trovino
l'accoglienza che sono in diritto di attendere nella comunità e
nell'Eucaristia che li riunisce, qualunque sia la loro sensibilità
religiosa e il loro impegno pastorale ».414
69. Non si può dimenticare,
infine, che lo stesso candidato al sacerdozio deve dirsi protagonista
necessario e insostituibile della sua formazione: ogni formazione,
anche quella sacerdotale, è ultimamente un'autoformazione. Nessuno,
infatti, può sostituirci nella libertà responsabile che abbiamo come
singole persone.
Certamente anche il futuro
sacerdote, lui per primo, deve crescere nella consapevolezza che il
protagonista per antonomasia della sua formazione è lo Spirito Santo
che, con il dono del cuore nuovo, configura e assimila a Gesù Cristo
buon Pastore: in tal senso il candidato affermerà nella forma più
radicale la sua libertà nell'accogliere l'azione formativa dello
Spirito. Ma accogliere questa azione significa anche, da parte del
candidato al sacerdozio, accogliere le mediazioni umane di cui lo
Spirito si serve. Per questo l'azione dei vari educatori risulta
veramente e pienamente efficace solo se il futuro sacerdote offre ad
essa la sua personale convinta e cordiale collaborazione.
CAPITOLO
VI
TI
RICORDO DI RAVVIVARE IL DONO DI DIO CHE E' IN TE
La formazione permanente dei sacerdoti
70. « Ti ricordo di ravvivare il
dono di Dio che è in te ».415
Le parole dell'Apostolo al vescovo
Timoteo si possono legittimamente applicare a quella formazione
permanente alla quale sono chiamati tutti i sacerdoti in forza del «
dono di Dio » che hanno ricevuto con l'ordinazione sacra. Esse ci
introducono a cogliere la verità intera e l'originalità
inconfondibile della formazione permanente dei presbiteri. In questo
siamo aiutati anche da un altro testo di Paolo, che allo stesso
Timoteo scrive: « Non trascurare il dono spirituale che è in te e
che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti, con
l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri. Abbi
premura di queste cose, dedicati ad esse interamente perché tutti
vedano il tuo progresso. Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e
sii perseverante: così facendo salverai te stesso e coloro che ti
ascoltano ».416
L'Apostolo chiede a Timoteo di «
ravvivare », ossia di riaccendere come si fa per il fuoco sotto la
cenere, il dono divino, nel senso di accoglierlo e di viverlo senza
mai perdere o dimenticare quella « novità permanente » che è
propria di ogni dono di Dio, di Colui che fa nuove tutte le cose,417 e
dunque di viverlo nella sua intramontabile freschezza e bellezza
originaria.
Ma quel « ravvivare » non è
solo l'esito di un compito affidato alla responsabilità personale di
Timoteo, non è solo il risultato di un impegno della sua memoria e
della sua volontà. È l'effetto di un dinamismo di grazia intrinseco
al dono di Dio: è Dio stesso, dunque, a ravvivare il suo stesso dono,
meglio, a sprigionare tutta la straordinaria ricchezza di grazia e di
responsabilità che in esso è racchiusa.
Con l'effusione sacramentale dello
Spirito Santo che consacra e manda, il presbitero viene configurato a
Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa e viene mandato a compiere il
ministero pastorale. In tal modo, il sacerdote è segnato per sempre e
in modo indelebile nel suo essere come ministro di Gesù e della
Chiesa ed è inserito in una condizione permanente e irreversibile di
vita ed è incaricato di un ministero pastorale che, radicato
nell'essere, coinvolge tutta la sua esistenza, ed è esso pure
permanente. Il sacramento dell'Ordine conferisce al sacerdote la
grazia sacramentale, che lo rende partecipe non solo del « potere »
e del « ministero » salvifici di Gesù, ma anche del suo « amore »
pastorale; nello stesso tempo assicura al sacerdote tutte quelle
grazie attuali che gli verranno date ogniqualvolta saranno necessarie
e utili per il degno e perfetto compimento del ministero ricevuto.
La formazione permanente trova così
il suo fondamento proprio e la sua motivazione originale nel dinamismo
del sacramento dell'Ordine.
Certo non mancano ragioni anche
semplicemente umane che sollecitano il sacerdote a realizzare una
formazione permanente. Questa è un'esigenza della sua progressiva
realizzazione: ogni vita è un cammino incessante verso la maturità,
e questa passa attraverso la continua formazione. È esigenza,
inoltre, del ministero sacerdotale, sia pure colto nella sua natura
generica e comune alle altre professioni, e quindi come servizio
rivolto agli altri: ora non c'è professione o impegno o lavoro che
non esiga un continuo aggiornamento, se vuole essere attuale ed
efficace. L'esigenza di « tenere il passo » con il cammino della
storia è un'altra ragione umana che giustifica la formazione
permanente.
Ma queste ed altre ragioni vengono
assunte e specificate dalle ragioni teologiche ora ricordate e
che si possono ulteriormente approfondire.
Il sacramento dell'Ordine, per
la natura di « segno », che è propria di tutti i sacramenti, può
considerarsi, come realmente è, Parola di Dio: è Parola di
Dio che chiama e manda, è l'espressione più forte della
vocazione e della missione del sacerdote. Mediante il sacramento
dell'Ordine Dio chiama coram Ecclesia il candidato « al »
sacerdozio. Il « vieni e seguimi » di Gesù trova la sua
proclamazione piena e definitiva nella celebrazione del sacramento
della sua Chiesa: si manifesta e si comunica attraverso la voce della
Chiesa, che risuona sulle labbra del Vescovo che prega e impone le
mani. E il sacerdote dà risposta, nella fede, alla chiamata di Gesù:
« vengo e ti seguo ». Da questo momento ha inizio quella risposta
che, come scelta fondamentale, deve riesprimersi e riaffermarsi lungo
gli anni del sacerdozio in numerosissime altre risposte, tutte
radicate e vivificate dal « sì » dell'Ordine sacro.
In questo senso si può parlare di
una vocazione « nel » sacerdozio. In realtà Dio continua a
chiamare e a mandare, rivelando il suo disegno salvifico nello
sviluppo storico della vita del sacerdote e nelle vicende della Chiesa
e della società. E proprio in questa prospettiva emerge il
significato della formazione permanente: essa è necessaria in ordine
a discernere e a seguire questa continua chiamata o volontà di Dio.
Così l'apostolo Pietro è chiamato a seguire Gesù anche dopo che il
Risorto gli ha affidato il suo gregge: « Gli rispose Gesù:
"Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando
eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma
quando sarai vecchio tenderai le mani, e un altro ti cingerà la veste
e ti porterà dove tu non vuoi". Questo gli disse per indicare
con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse:
"Seguimi" ».418 C'è, dunque, un « seguimi » che
accompagna la vita e la missione dell'apostolo. È un « seguimi »
che attesta l'appello e l'esigenza della fedeltà sino alla morte,419
un « seguimi » che può significare una sequela Christi con
il dono totale di sé nel martirio.420
I Padri sinodali hanno espresso la
ragione che giustifica la necessità della formazione permanente e che
nello stesso tempo ne rivela la natura profonda, qualificandola come «
fedeltà » al ministero sacerdotale e come « processo
di continua conversione ».421 È lo Spirito Santo, effuso con il
sacramento, che sostiene il presbitero in questa fedeltà e che lo
accompagna e lo stimola in questo cammino di incessante conversione.
Il dono dello Spirito non dispensa, ma sollecita la libertà del
sacerdote, perché cooperi responsabilmente e assuma la formazione
permanente come compito che gli è affidato. In tal modo la formazione
permanente è espressione ed esigenza della fedeltà del sacerdote al
suo ministero, anzi al suo stesso essere. È dunque amore a Gesù
Cristo e coerenza con se stessi. Ma è anche atto di amore verso il
Popolo di Dio, al cui servizio il sacerdote è posto. Anzi, atto
di vera e propria giustizia: egli è debitore verso il Popolo
di Dio, essendo chiamato a riconoscerne e a promuoverne il « diritto
», quello fondamentale, di essere destinatario della Parola di Dio,
dei Sacramenti e del servizio della Carità, che sono il contenuto
originale e irrinunciabile del ministero pastorale del sacerdote. La
formazione permanente è necessaria perché il sacerdote sia in grado
di rispondere, nel modo dovuto, a tale diritto del Popolo di Dio.
Anima e forma della formazione
permanente del sacerdote è la carità pastorale: lo
Spirito Santo, che infonde la carità pastorale, introduce e
accompagna il sacerdote a conoscere sempre più profondamente il
mistero di Cristo che è insondabile nella sua ricchezza 422 e, di
riflesso, a conoscere il mistero del sacerdozio cristiano. La stessa
carità pastorale spinge il sacerdote a conoscere sempre più le
attese, i bisogni, i problemi, le sensibilità dei destinatari del suo
ministero: destinatari colti nelle loro concrete situazioni personali,
familiari, sociali.
A tutto questo tende la formazione
permanente intesa come cosciente e libera proposta al dinamismo della
carità pastorale e dello Spirito Santo, che ne è la sorgente prima e
l'alimento continuo. In questo senso la formazione permanente è
un'esigenza intrinseca al dono e al ministero sacramentale ricevuto e
si rivela necessaria in ogni tempo. Oggi però risulta essere
particolarmente urgente, non solo per il rapido mutarsi delle
condizioni sociali e culturali degli uomini e dei popoli entro cui si
svolge il ministero presbiterale, ma anche per quella « nuova
evangelizzazione » che costituisce il compito essenziale e
indilazionabile della Chiesa alla fine del secondo millennio.
71. La formazione permanente dei
sacerdoti, sia diocesani sia religiosi, è la continuazione naturale e
assolutamente necessaria di quel processo di strutturazione della
personalità presbiterale che si è iniziato e sviluppato in Seminario
o nella Casa religiosa con il cammino formativo in vista
dell'Ordinazione.
È di particolare importanza
avvertire e rispettare l'intrinseco legame che esiste tra la
formazione precedente l'ordinazione e quella successiva. Se,
infatti, ci fosse una discontinuità o perfino una difformità tra
queste due fasi formative, deriverebbero immediatamente gravi
conseguenze sull'attività pastorale e sulla comunione fraterna tra i
presbiteri, in particolare tra quelli di differente età. La
formazione permanente non è una ripetizione di quella acquisita in
Seminario, semplicemente riveduta o ampliata con nuovi suggerimenti
applicativi. Essa si sviluppa con contenuti e soprattutto attraverso
metodi relativamente nuovi, come un fatto vitale unitario che, nel suo
progresso — affondando le radici nella formazione seminaristica —
richiede adattamenti, aggiornamenti e modifiche, senza però subire
rotture o soluzioni di continuità.
E viceversa, fin dal Seminario
Maggiore occorre preparare la futura formazione permanente, e aprire
ad essa l'animo e il desiderio dei futuri presbiteri, dimostrandone la
necessità, i vantaggi e lo spirito, e assicurando le condizioni del
suo realizzarsi.
Proprio perché la formazione
permanente è una continuazione di quella del Seminario, il suo fine
non può essere un puro atteggiamento per così dire professionale,
ottenuto con l'apprendimento di alcune tecniche pastorali nuove. Deve
essere piuttosto il mantenere vivo un generale e integrale processo di
continua maturazione, mediante l'approfondimento sia di ciascuna delle
dimensioni della formazione — umana, spirituale, intellettuale e
pastorale —, sia del loro intimo e vivo collegamento specifico, a
partire dalla carità pastorale e in riferimento ad essa.
72. Un primo approfondimento
riguarda la dimensione umana della formazione sacerdotale. Nel
contatto quotidiano con gli uomini, nella condivisione della loro vita
di ogni giorno, il sacerdote deve crescere e approfondire quella
sensibilità umana che gli permette di comprendere i bisogni ed
accogliere le richieste, di intuire le domande inespresse, di spartire
le speranze e le attese, le gioie e la fatiche del vivere comune; di
essere capace di incontrare tutti e di dialogare con tutti.
Soprattutto conoscendo e condividendo, cioè facendo propria,
l'esperienza umana del dolore nella molteplicità del suo
manifestarsi, dall'indigenza alla malattia, dall'emarginazione
all'ignoranza, alla solitudine, alle povertà materiali e morali, il
sacerdote arricchisce la propria umanità e la rende più autentica e
trasparente in un crescente e appassionato amore all'uomo.
Nel portare a maturità la sua
formazione umana, il sacerdote riceve un particolare aiuto dalla
grazia di Gesù Cristo: la carità del buon Pastore, infatti, si è
espressa non solo con il dono della salvezza agli uomini, ma anche con
la condivisione della loro vita, della quale il Verbo, che si è fatto
« carne »,423 ha voluto conoscere la gioia e la sofferenza,
sperimentare la fatica, spartire le emozioni, consolare la pena.
Vivendo da uomo fra gli uomini e con gli uomini, Gesù Cristo offre la
più assoluta, genuina e perfetta espressione di umanità: lo vediamo
far festa alle nozze di Cana, frequentare una famiglia di amici,
commuoversi per la folla affamata che lo segue, restituire figli
malati o morti ai genitori, piangere la perdita di Lazzaro...
Del sacerdote, maturato sempre più
nella sua sensibilità umana, il Popolo di Dio deve poter dire
qualcosa di analogo a quanto di Gesù dice la Lettera agli Ebrei: «
Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre
infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a
somiglianza di noi, escluso il peccato ».424
La formazione del presbitero nella
sua dimensione spirituale è un'esigenza della vita nuova ed
evangelica alla quale egli è chiamato in modo specifico dallo Spirito
Santo effuso nel sacramento dell'Ordine. Lo Spirito, consacrando il
sacerdote e configurandolo a Gesù Cristo Capo e Pastore, crea un
legame che, situato nell'essere stesso del sacerdote, chiede di essere
assimilato e vissuto in maniera personale, cioè cosciente e libera,
mediante una comunione di vita e di amore sempre più ricca e una
condivisione sempre più ampia e radicale dei sentimenti e degli
atteggiamenti di Gesù Cristo. In questo legame tra il Signore Gesù e
il sacerdote, legame ontologico e psicologico, sacramentale e morale,
sta il fondamento e nello stesso tempo la forza per quella « vita
secondo lo Spirito » e per quel « radicalismo evangelico » al quale
è chiamato ogni sacerdote e che viene favorito dalla formazione
permanente nel suo aspetto spirituale. Questa formazione risulta
necessaria anche in ordine al ministero sacerdotale, alla sua
autenticità e fecondità spirituale. « Eserciti la cura d'anime? »,
si chiedeva san Carlo Borromeo. E così rispondeva nel discorso
rivolto ai sacerdoti: « Non trascurare per questo la cura di te
stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di
te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di
cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso. Comprendete,
fratelli, che niente è così necessario a tutte le persone
ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna e segue
tutte le nostre azioni: Canterò, dice il profeta, e mediterò.425 Se
amministri i sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri
la Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a
chi e di che cosa parli. Se guidi le anime, medita da quale sangue
siano state lavate; e "tutto si faccia tra voi nella carità".426
Così potremo superare le difficoltà che incontriamo, e sono
innumerevoli, ogni giorno. Del resto ciò è richiesto dal compito
affidatoci. Se così faremo avremo la forza per generare Cristo in noi
e negli altri ».427
In particolare la vita di
preghiera dev'essere continuamente « riformata » nel sacerdote.
L'esperienza, infatti, insegna che nell'orazione non si vive di
rendita: ogni giorno occorre, non solo riconquistare la fedeltà
esteriore ai momenti di preghiera, soprattutto a quelli destinati alla
celebrazione della « Liturgia delle Ore » e a quelli lasciati alla
scelta personale e non sostenuti da scadenze e orari del servizio
liturgico, ma anche e specialmente rieducare la continua ricerca di un
vero incontro personale con Gesù, di un fiducioso colloquio con il
Padre, di una profonda esperienza dello Spirito.
Quanto l'apostolo Paolo dice di
tutti i credenti, che devono giungere « a formare l'uomo maturo, al
livello di statura che attua la pienezza del Cristo »,428 può essere
applicato in modo specifico ai sacerdoti chiamati alla perfezione
della carità e quindi alla santità, anche perché il loro stesso
ministero pastorale li vuole modelli viventi per tutti i fedeli.
Anche la dimensione
intellettuale della formazione chiede di essere continuata e
approfondita durante tutta la vita del sacerdote, in particolare
mediante lo studio e l'aggiornamento culturale serio ed impegnato.
Partecipe della missione profetica di Gesù e inserito nel mistero
della Chiesa Maestra di verità, il sacerdote è chiamato a rivelare
in Gesù Cristo agli uomini il volto di Dio, e con ciò il vero volto
dell'uomo.429 Ma questo esige che il sacerdote stesso ricerchi tale
volto e lo contempli con venerazione e amore:430 solo così lo può
far conoscere agli altri. In particolare la continuazione dello studio
teologico risulta anche necessaria perché il sacerdote possa
adempiere con fedeltà il ministero della Parola, annunciandola senza
confusioni e ambiguità, distinguendola dalle semplici opinioni umane,
anche se rinomate e diffuse. Così potrà porsi veramente al servizio
del Popolo di Dio, aiutandolo a rendere ragione, a quanti lo chiedono,
della speranza cristiana.431 Inoltre, « il sacerdote, nell'applicarsi
con coscienza e costanza allo studio teologico, è in grado di
assimilare in forma sicura e personale la genuina ricchezza
ecclesiale. Può quindi compiere la missione, che lo impegna nel
rispondere alle difficoltà circa l'autentica dottrina cattolica, e
superare l'inclinazione, propria e altrui, al dissenso e
all'atteggiamento negativo riguardo al Magistero e alla Tradizione ».432
L'aspetto pastorale della
formazione permanente è bene espresso dalle parole dell'apostolo
Pietro: « Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a
servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme
grazia di Dio ».433 Per vivere ogni giorno secondo la grazia ricevuta
occorre che il sacerdote sia sempre più aperto ad accogliere la carità
pastorale di Gesù Cristo, donatagli dal suo Spirito con il sacramento
ricevuto. Come tutta l'attività del Signore è stata il frutto e il
segno della carità pastorale, così deve essere anche per l'operosità
ministeriale del sacerdote. La carità pastorale è un dono e,
insieme, un compito, una grazia e una responsabilità alla quale
occorre essere fedeli: occorre cioè accoglierla e viverne il
dinamismo sino alle esigenze più radicali. Questa stessa carità
pastorale, come si è detto, spinge e stimola il sacerdote a conoscere
sempre meglio la condizione reale degli uomini ai quali è mandato, a
discernere nelle circostanze storiche nelle quali è inserito gli
appelli dello Spirito, a ricercare i metodi più adatti e le forme più
utili per esercitare oggi il suo ministero. Così la carità pastorale
anima e sostiene gli sforzi umani del sacerdote per un'operosità
pastorale che sia attuale, credibile ed efficace. Ma ciò esige una
permanente formazione pastorale.
Il cammino verso la maturità non
richiede solo che il sacerdote continui ad approfondire le diverse
dimensioni della sua formazione, ma anche e soprattutto che sappia
integrare sempre più armonicamente tra loro queste stesse dimensioni,
raggiungendone progressivamente l'unità interiore: ciò sarà
reso possibile dalla carità pastorale. Questa, infatti, non solo
coordina e unifica i diversi aspetti, ma li specifica connotandoli
come aspetti della formazione del sacerdote in quanto tale, ossia del
sacerdote come trasparenza, immagine viva, ministro di Gesù buon
Pastore.
La formazione permanente aiuta il
sacerdote a superare la tentazione di ricondurre il suo ministero ad
un attivismo fine a se stesso, ad una impersonale prestazione di cose,
sia pure spirituali o sacre, ad una funzione impiegatizia al servizio
dell'organizzazione ecclesiastica. Solo la formazione permanente aiuta
il prete a custodire con vigile amore il « mistero » che porta in
sé per il bene della Chiesa e dell'umanità.
73. Le diverse e complementari
dimensioni della formanzione permanente ci aiutano a coglierne il
significato profondo: essa tende ad aiutare il prete ad essere e
a fare il prete nello spirito e secondo lo stile di Gesù buon
Pastore.
La verità è da farsi! Così ci
ammonisce san Giacomo: « Siate di quelli che mettono in pratica la
parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi ».434 I
sacerdoti sono chiamati a « fare la verità » del loro essere, ossia
a vivere « nella carità » 435 la loro identità e il loro ministero
nella Chiesa e per la Chiesa. Sono chiamati a prendere coscienza
sempre più viva del dono di Dio, a farne continua memoria. È questo
l'invito di Paolo a Timoteo: « Custodisci il buon deposito con
l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi ».436
Nel contesto ecclesiologico più
volte ricordato si può considerare il significato profondo della
formazione permanente del sacerdote in ordine alla sua presenza e
azione nella Chiesa mysterium, communio et missio.
Entro la Chiesa « mistero » il
sacerdote è chiamato, mediante la formazione permanente, a conservare
e sviluppare nella fede la coscienza della verità intera e
sorprendente del suo essere: egli è ministro di Cristo e
amministratore dei misteri di Dio.437 Paolo chiede espressamente ai
cristiani che lo considerino secondo questa identità; ma lui stesso,
per primo, vive nella consapevolezza del dono sublime ricevuto dal
Signore. Così dev'essere di ogni sacerdote, se vuole rimanere nella
verità del suo essere. Ma ciò è possibile solo nella fede, solo con
lo sguardo e con gli occhi di Cristo.
In questo senso si può dire che
la formazione permanente tende a far sì che il prete sia un
credente e lo diventi sempre più: che si veda sempre nella sua
verità, con gli occhi di Cristo. Egli deve custodire questa verità
con amore grato e gioioso. Deve rinnovare la sua fede quando esercita
il ministero sacerdotale: sentirsi ministro di Gesù Cristo,
sacramento dell'amore di Dio per l'uomo, ogniqualvolta è tramite e
strumento vivo del conferimento della grazia di Dio agli uomini. Deve
riconoscere questa stessa verità nei confratelli: è il principio
della stima e dell'amore verso gli altri sacerdoti.
74. La formazione permanente aiuta
il sacerdote, entro la Chiesa « comunione », a maturare la
coscienza che il suo ministero è ultimamente ordinato a riunire la
famiglia di Dio come fraternità animata dalla carità e a
condurla al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo.438
Il sacerdote deve crescere nella consapevolezza
della profonda comunione che lo lega al Popolo di Dio: non è
soltanto « davanti » alla Chiesa, ma anzitutto « nella » Chiesa.
È fratello tra fratelli. Con il Battesimo, insignito della dignità e
della libertà dei figli di Dio nel Figlio unigenito, il sacerdote è
membro dello stesso e unico Corpo di Cristo.439 La coscienza di questa
comunione sfocia nel bisogno di suscitare e sviluppare la corresponsabilità
nella comune e unica missione di salvezza, con la pronta e
cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo Spirito
offre ai credenti per l'edificazione della Chiesa. È soprattutto nel
compimento del ministero pastorale, per sua natura ordinato al bene
del Popolo di Dio, che il sacerdote deve vivere e testimoniare la sua
profonda comunione con tutti, come scriveva Paolo VI: « Bisogna farsi
fratelli degli uomini nell'atto stesso che vogliamo essere loro
pastori, padri e maestri. Il clima del dialogo è l'amicizia. Anzi il
servizio ».440
In modo più specifico il
sacerdote è chiamato a maturare la coscienza dell'essere membro
della Chiesa particolare nella quale è incardinato, ossia
inserito con un legame insieme giuridico, spirituale e pastorale. Una
simile coscienza suppone e sviluppa l'amore particolare alla propria
Chiesa. Questa, in realtà, è il termine vivo e permanente della
carità pastorale che deve accompagnare la vita del prete e che lo
conduce a condividere di questa stessa Chiesa particolare la storia o
esperienza di vita nelle sue ricchezze e fragilità, nelle sue
difficoltà e speranze, a lavorare in essa per la sua crescita.
Sentirsi, dunque, insieme arricchiti dalla Chiesa particolare e
impegnati attivamente alla sua edificazione, prolungando, ciascun
sacerdote e con gli altri, quell'operosità pastorale che ha
contraddistinto i confratelli che li hanno preceduti. Un'esigenza
insopprimibile della carità pastorale verso la propria Chiesa
particolare e il suo domani ministeriale è la sollecitudine che il
sacerdote deve avere di trovare, per così dire, qualcuno che lo
sostituisca nel sacerdozio.
Il sacerdote deve maturare nella
coscienza della comunione che sussiste tra le diverse Chiese
particolari, una comunione radicata nel loro stesso essere di
Chiese che vivono in loco la Chiesa unica e universale di Cristo. Una
simile coscienza di comunione interecclesiale favorirà lo «
scambio dei doni », a cominciare dai doni vivi e personali, quali
sono gli stessi sacerdoti. Di qui la disponibilità, anzi l'impegno
generoso per il realizzarsi di una equa distribuzione del clero.441
Tra queste Chiese particolari sono da ricordarsi quelle che « prive
di libertà, non possono avere vocazioni proprie », come pure le «
Chiese recentemente uscite dalla persecuzione e quelle povere alle
quali sono stati dati già per lungo tempo e da parte di molti degli
aiuti con animo grande e fraterno, e tuttora vengono dati ».442
All'interno della comunione
ecclesiale, il sacerdote è chiamato in particolare a crescere, nella
sua formazione permanente, nel e con il proprio presbiterio unito
al Vescovo. Il presbiterio nella sua verità piena è un mysterium:
infatti è una realtà soprannaturale perché si radica nel sacramento
dell'Ordine. Questo è la sua fonte, la sua origine. È il « luogo »
della sua nascita e della sua crescita. Infatti, « i presbiteri
mediante il sacramento dell'Ordine sono collegati con un vincolo
personale e indissolubile con Cristo unico sacerdote. L'Ordine viene
conferito ad essi come singoli, ma sono inseriti nella comunione del
presbiterio congiunto con il Vescovo 443 ».444
Questa origine sacramentale si
riflette e si prolunga nell'ambito dell'esercizio del ministero
presbiterale: dal mysterium al ministerium. « L'unità
dei presbiteri con il Vescovo e tra di loro non si aggiunge
dall'esterno alla natura propria del loro servizio, ma ne esprime
l'essenza in quanto è la cura di Cristo sacerdote nei riguardi del
Popolo adunato dall'unità della Santissima Trinità ».445 Questa
unità presbiterale, vissuta nello spirito della carità pastorale,
rende i sacerdoti testimoni di Gesù Cristo, che ha pregato il Padre
« perché tutti siano una cosa sola ».446
La fisionomia del presbiterio è,
dunque, quella di una vera famiglia, di una fraternità, i
cui legami non sono dalla carne e dal sangue, ma sono dalla grazia
dell'Ordine: una grazia che assume ed eleva i rapporti umani,
psicologici, affettivi, amicali e spirituali tra i sacerdoti; una
grazia che si espande, penetra e si rivela e si concretizza nelle più
varie forme di aiuto reciproco, non solo quelle spirituali ma anche
quelle materiali. La fraternità presbiterale non esclude nessuno, ma
può e deve avere le sue preferenze: sono quelle evangeliche,
riservate a chi ha più grande bisogno di aiuto o di incoraggiamento.
Tale fraternità « ha una cura speciale per i giovani presbiteri,
tiene un cordiale e fraterno dialogo con quelli di media e maggior età
e con quelli che per ragioni diverse sperimentano difficoltà; anche i
sacerdoti che hanno abbandonato questa forma di vita o che non la
seguono, non solo non li abbandona ma li segue ancor più con fraterna
sollecitudine ».447
Dell'unico presbiterio fanno
parte, a titolo diverso, anche i presbiteri religiosi residenti
e operanti in una Chiesa particolare. La loro presenza costituisce un
arricchimento per tutti i sacerdoti e i vari carismi particolari da
essi vissuti, mentre sono un richiamo perché i presbiteri crescano
nella comprensione del sacerdozio stesso, contribuiscono a stimolare e
ad accompagnare la formazione permanente dei sacerdoti. Il dono della
vita religiosa, nella compagine diocesana, quando è accompagnato da
sincera stima e da giusto rispetto delle particolarità di ogni
istituto e di ogni tradizione spirituale, allarga l'orizzonte della
testimonianza cristiana e contribuisce in vario modo ad arricchire la
spiritualità sacerdotale, soprattutto in riferimento al corretto
rapporto e al reciproco influsso tra i valori della Chiesa particolare
e quelli dell'universalità del Popolo di Dio. Da parte loro, i
religiosi saranno attenti a garantire uno spirito di vera comunione
ecclesiale, una partecipazione cordiale al cammino della Diocesi e
alle scelte pastorali del Vescovo, mettendo volentieri a disposizione
il proprio carisma per l'edificazione di tutti nella carità.448
Infine, nel contesto della Chiesa
comunione e del presbiterio si può meglio affrontare il problema
della solitudine del sacerdote, sulla quale si sono fermati i
Padri sinodali. Si dà una solitudine che fa parte dell'esperienza di
tutti e che è qualcosa di assolutamente normale. Ma si dà anche una
solitudine che nasce da difficoltà varie e che a sua volta provoca
ulteriori difficoltà. In questo senso, « l'attiva partecipazione al
presbiterio diocesano, i contatti regolari con il Vescovo e con gli
altri sacerdoti, la mutua collaborazione, la vita comune o fraterna
tra sacerdoti, come anche l'amicizia e la cordialità con i fedeli
laici che sono attivi nelle parrocchie, sono mezzi molto utili per
superare gli effetti negativi della solitudine che alcune volte il
sacerdote può sperimentare ».449
La solitudine non crea però solo
difficoltà, offre anche opportunità positive per la vita del
sacerdote: « Accettata in spirito di offerta e ricercata nell'intimità
con Gesù Cristo Signore, la solitudine può essere un'opportunità
per l'orazione e lo studio, come pure un aiuto per la santificazione e
la crescita umana ».450
Senza dire che una certa forma di
solitudine è elemento necessario per la formazione permanente. Gesù
sapeva ritirarsi, spesso, da solo a pregare.451 La capacità di
reggere una buona solitudine è condizione indispensabile alla cura
della vita interiore. Si tratta di una solitudine abitata dalla
presenza del Signore, che ci mette in contatto, nella luce dello
Spirito, con il Padre. In questo senso, la cura del silenzio e la
ricerca di spazi e tempi di « deserto » sono necessari alla
formazione permanente sia in campo intellettuale, sia in campo
spirituale e pastorale. In questo senso ancora, si può affermare che
non è capace di vera e fraterna comunione chi non sa vivere bene la
propria solitudine.
75. La formazione permanente è
destinata a far crescere nel sacerdote la coscienza della sua
partecipazione alla missione salvifica della Chiesa. Nella Chiesa
« missione » la formazione permanente del sacerdote entra non solo
come necessaria condizione, ma anche come mezzo indispensabile per
rimettere costantemente a fuoco il senso della missione e per
garantirne una realizzazione fedele e generosa. Con tale formazione il
sacerdote è aiutato ad avvertire tutta la gravità, ma nello stesso
tempo la splendida grazia, da un lato, di un'obbligazione che non lo
può lasciare tranquillo — come Paolo deve poter dire: « Per me
evangelizzare non è un titolo di gloria, ma un dovere. Guai a me se
non predicassi il Vangelo! » 452 — e, dall'altro lato, di una
richiesta, esplicita o implicita, che prepotente viene dagli uomini,
che Dio instancabilmente chiama alla salvezza.
Solo un'adeguata formazione
permanente riesce a sostenere il sacerdote in ciò che è essenziale e
decisivo per il suo ministero, ossia la fedeltà, come scrive
l'apostolo Paolo: « Ora, quanto si richiede negli amministratori (dei
misteri di Dio) è che ognuno risulti fedele ».453 Il sacerdote
dev'essere fedele, nonostante le più diverse difficoltà incontrate,
anche nelle condizioni più disagiate o di comprensibile stanchezza,
con tutte le energie di cui dispone, e sino alla fine della vita. La
testimonianza di Paolo dev'essere di esempio e di stimolo per ogni
sacerdote: « Da parte nostra — scrive ai cristiani di Corinto —
non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato il
nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio,
con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle
angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche,
nelle veglie, nei digiuni; con purezza, sapienza, benevolenza, spirito
di santità, amore sincero; con parole di verità, con la potenza di
Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e
nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti
impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo
notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti ma non messi a morte;
afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che
non ha nulla e invece possediamo tutto ».454
76. La formazione permanente,
proprio perché « permanente », deve accompagnare i sacerdoti sempre,
quindi in ogni periodo e condizione della loro vita, come pure ad
ogni livello di responsabilità ecclesiale: evidentemente con quelle
possibilità e caratteristiche che si collegano al variare dell'età,
della condizione di vita e dei compiti affidati.
La formazione permanente è
dovere, anzitutto, per i giovani sacerdoti: deve avere quella
frequenza e quella sistematicità di incontri che, mentre prolungano
la serietà e la solidità della formazione ricevuta in seminario,
introducono progressivamente i giovani a comprendere e a vivere la
singolare ricchezza del « dono » di Dio — il sacerdozio — e ad
esprimere le loro potenzialità e attitudini ministeriali, anche
mediante un inserimento sempre più convinto e responsabile nel
presbiterio, e quindi nella comunione e nella corresponsabilità con
tutti i confratelli.
Se si può comprendere un certo
senso di « sazietà » che può prendere il giovane prete appena
uscito dal seminario di fronte a nuovi momenti di studio e di
incontro, si deve respingere come assolutamente falsa e pericolosa
l'idea che la formazione presbiterale si concluda con il terminare
della presenza in seminario.
Partecipando agli incontri della
formazione permanente i giovani sacerdoti potranno offrirsi un
reciproco aiuto con lo scambio di esperienze e di riflessioni sulla
traduzione concreta di quell'ideale presbiterale e ministeriale che
hanno assimilato negli anni del seminario. Nello stesso tempo la loro
attiva partecipazione agli incontri formativi del presbiterio potrà
essere di esempio e di stimolo agli altri sacerdoti che sono più
avanti negli anni, testimoniando così il proprio amore all'intero
presbiterio e la propria passione per la Chiesa particolare bisognosa
di sacerdoti ben formati.
Per accompagnare i sacerdoti
giovani in questa prima delicata fase della loro vita e del loro
ministero, è quanto mai opportuno, se non addirittura necessario
oggi, creare un'apposita struttura di sostegno, con guide e
maestri appropriati, nella quale essi possano trovare, in modo
organico e continuativo, gli aiuti necessari ad iniziare bene il loro
servizio sacerdotale. In occasione di incontri periodici,
sufficientemente lunghi e frequenti, possibilmente condotti in un
ambiente comunitario, in modo residenziale, saranno loro garantiti
momenti preziosi di riposo, di preghiera, di riflessione e di scambio
fraterno. Sarà così per loro più facile dare, fin dall'inizio,
un'impostazione evangelicamente equilibrata alla loro vita
presbiterale. E se le singole Chiese particolari non potessero offrire
questo servizio ai propri giovani sacerdoti, sarà opportuno che si
uniscano tra loro le Chiese vicine e insieme investano risorse ed
elaborino programmi adatti.
77. La formazione permanente
costituisce un dovere anche per i presbiteri di mezza età. In
realtà, sono molteplici i rischi che possono correre, proprio in
ragione dell'età, come ad esempio un attivismo esagerato e una certa routine
nell'esercizio del ministero. Così il sacerdote è tentato di
presumere di sé, come se la propria personale esperienza, ormai
collaudata, non dovesse più confrontarsi con nulla e con nessuno. Non
di rado, il sacerdote adulto soffre di una specie di stanchezza
interiore pericolosa, segno di una delusione rassegnata di fronte alle
difficoltà e agli insuccessi. La risposta a questa situazione è data
dalla formazione permanente, da una continua ed equilibrata revisione
di sé e del proprio agire, dalla ricerca costante di motivazioni e di
strumenti per la propria missione: così il sacerdote manterrà lo
spirito vigile e pronto alle perenni e pure sempre nuove istanze di
salvezza che ciascuno pone al prete, « uomo di Dio ».
La formazione permanente deve
interessare anche quei presbiteri che per l'età avanzata sono
indicati come anziani e che in alcune Chiese sono la parte più
numerosa del presbiterio. Questo deve riservare loro gratitudine per
il fedele servizio che hanno riservato a Cristo e alla Chiesa e
concreta solidarietà per la loro condizione. Per questi presbiteri la
formazione permanente non comporterà tanto impegni di studio, di
aggiornamento e di dibattito culturale, quanto la conferma serena e
rassicurante del ruolo che ancora sono chiamati a svolgere nel
presbiterio: non solo per il proseguimento, sia pure in forme diverse,
del ministero pastorale, ma anche per la possibilità che essi hanno,
grazie alla loro esperienza di vita e di apostolato, di diventare loro
stessi validi maestri e formatori di altri sacerdoti.
Anche i sacerdoti, che per le
fatiche o le malattie si trovano in una condizione di debilitazione
fisica o di stanchezza morale, possono essere aiutati da una
formazione permanente che li stimoli a proseguire in modo sereno e
forte il loro servizio alla Chiesa, a non isolarsi né dalla comunità
né dal presbiterio, a ridurre l'attività esterna per dedicarsi a
quegli atti di relazione pastorale e di personale spiritualità capaci
di sostenere le motivazioni e la gioia del loro sacerdozio. La
formazione permanente li aiuterà, in particolare, a mantenere viva
quella convinzione che essi stessi hanno inculcato nei fedeli, la
convinzione cioè di continuare ad essere membri attivi
nell'edificazione della Chiesa anche e specialmente in forza della
loro unione a Gesù Cristo sofferente e a tanti altri fratelli e
sorelle che nella Chiesa prendono parte alla Passione del Signore,
rivivendo l'esperienza spirituale di Paolo che diceva: « Sono lieto
delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne
quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è
la Chiesa ».455
78. Le condizioni in cui spesso e
in più parti si svolge attualmente il ministero dei presbiteri non
rendono facile un impegno serio di formazione: il moltiplicarsi dei
compiti e dei servizi, la complessità della vita umana in genere e di
quella delle comunità cristiane in particolare, l'attivismo e
l'affanno tipico di tante aree della nostra società privano spesso i
sacerdoti del tempo e delle energie indispensabili a « vigilare su se
stessi ».456
Questo deve far crescere in tutti
la responsabilità, cosicché le difficoltà siano superate, anzi
diventino una sfida per elaborare e realizzare una formazione
permanente che risponda in modo adeguato alla grandezza del dono di
Dio e alla gravità delle richieste ed esigenze del nostro tempo.
I responsabili della formazione
permanente dei sacerdoti sono da ricercare nella Chiesa « comunione
». In tal senso, è l'intera Chiesa particolare che, sotto la
guida del Vescovo, viene investita della responsabilità di stimolare
e di curare in vari modi la formazione permanente dei sacerdoti.
Questi non sono per se stessi, ma per il Popolo di Dio: per questo, la
formazione permanente, mentre assicura la maturità umana, spirituale,
intellettuale e pastorale dei sacerdoti, si risolve in un bene di cui
è destinatario lo stesso Popolo di Dio. Del resto, lo stesso
esercizio del ministero pastorale conduce ad un continuo e fecondo
scambio reciproco tra la vita di fede dei presbiteri e quella dei
fedeli. Proprio la condivisione di vita tra il presbitero e la
comunità, se sapientemente condotta e utilizzata, costituisce un fondamentale
contributo alla formazione permanente, peraltro non riconducibile
a qualche episodio o iniziativa isolata, ma estesa e attraversante
tutto il ministero e la vita del presbitero.
Infatti, l'esperienza cristiana
delle persone semplici e umili, gli slanci spirituali delle persone
innamorate di Dio, le applicazioni coraggiose della fede alla vita da
parte dei cristiani impegnati nelle varie responsabilità sociali e
civili, vengono accolti dal presbitero che, mentre li illumina con il
suo servizio sacerdotale, ne ricava un prezioso alimento spirituale.
Anche i dubbi, le crisi e i ritardi di fronte alle più svariate
condizioni personali e sociali, le tentazioni di rifiuto o di
disperazione nel momento del dolore, della malattia, della morte:
insomma, tutte le circostanze difficili che gli uomini incontrano sul
cammino della fede, vengono fraternamente vissute e sinceramente
sofferte nel cuore del presbitero che, nel cercare le risposte per gli
altri, è continuamente stimolato a trovarle innanzitutto per sé.
Così l'intero Popolo di Dio, in
tutti i suoi membri, può e deve offrire un prezioso aiuto alla
formazione permanente dei suoi sacerdoti. In questo senso deve
lasciare ai sacerdoti spazi di tempo per lo studio e per la preghiera,
chiedere loro ciò per cui sono stati mandati da Cristo e non altro,
offrire collaborazione nei vari ambiti della missione pastorale,
specialmente in quelli attinenti la promozione umana e il servizio
della carità, assicurare rapporti cordiali e fraterni con loro,
agevolare nei sacerdoti la coscienza di non essere « padroni della
fede » ma « collaboratori della gioia » di tutti i fedeli.457
La responsabilità formativa della
Chiesa particolare nei riguardi dei sacerdoti si concretizza e si
specifica in rapporto ai diversi membri che la compongono, a
cominciare dal sacerdote stesso.
79. In un certo senso, è proprio
lui, il singolo sacerdote, il primo responsabile nella
Chiesa della formazione permanente: in realtà su ciascun
sacerdote incombe il dovere, radicato nel sacramento dell'Ordine, di
essere fedele al dono di Dio e al dinamismo di conversione quotidiana
che viene dal dono stesso. I regolamenti o le norme dell'autorità
ecclesiastica al riguardo, come pure lo stesso esempio degli altri
sacerdoti, non bastano a rendere appetibile la formazione permanente,
se il singolo non è personalmente convinto della sua necessità e non
è determinato a valorizzarne le occasioni, i tempi, le forme. La
formazione permanente mantiene la « giovinezza » dello spirito, che
nessuno può imporre dall'esterno, ma che ciascuno deve ritrovare
continuamente dentro se stesso. Solo chi conserva sempre vivo il
desiderio di imparare e di crescere possiede questa « giovinezza ».
Fondamentale è la responsabilità
del Vescovo, e con lui del presbiterio. Quella del
Vescovo si fonda sul fatto che i presbiteri ricevono attraverso di lui
il loro sacerdozio e condividono con lui la sollecitudine pastorale
verso il Popolo di Dio. Egli è responsabile di quella formazione
permanente che è destinata a far sì che tutti i suoi presbiteri
siano generosamente fedeli al dono e al ministero ricevuto, così come
il Popolo di Dio li vuole e ha « diritto » di averli. Questa
responsabilità conduce il Vescovo, in comunione con il presbiterio, a
delineare un progetto e a stabilire una programmazione capaci di
configurare la formazione permanente non come qualcosa di episodico,
ma come una proposta sistematica di contenuti, che si snoda per tappe
e si riveste di modalità precise. Il Vescovo vivrà la sua
responsabilità, non soltanto assicurando al suo presbiterio luoghi e
momenti di formazione permanente, ma rendendosi presente personalmente
e partecipandovi in modo convinto e cordiale. Spesso sarà opportuno,
o anche necessario, che i Vescovi di più diocesi confinanti o di una
regione ecclesiastica si accordino tra loro ed uniscano le loro forze
per poter offrire iniziative più qualificate e veramente stimolanti
per la formazione permanente, come sono i corsi di aggiornamento
biblico, teologico e pastorale, le settimane residenziali, i cicli di
conferenze, i momenti di riflessione e di verifica sul cammino
pastorale del presbiterio e della comunità ecclesiale.
Il Vescovo assolverà la sua
responsabilità sollecitando anche l'apporto che può venire dalle
facoltà e dagli istituti teologici e pastorali, dai seminari, dagli
organismi o federazioni che riuniscono persone — sacerdoti,
religiosi e fedeli laici — impegnate nella formazione presbiterale.
Nell'ambito della Chiesa
particolare un posto significativo è riservato alle famiglie: ad
esse, infatti, nella loro dimensione di « chiese domestiche », fa
riferimento concreto la vita delle comunità ecclesiali animate e
guidate dai sacerdoti. In particolare è da rilevarsi il ruolo della
famiglia d'origine. Questa, in unione e in comunione di intenti, può
offrire alla missione del figlio un proprio specifico importante
contributo. Portando a compimento il piano provvidenziale che l'ha
voluta culla del germe vocazionale, indispensabile aiuto per la sua
crescita e il suo sviluppo, la famiglia del sacerdote, nel più
assoluto rispetto di questo figlio che ha scelto di donarsi a Dio e al
prossimo, deve rimanere sempre come fedele, incoraggiante testimone
della sua missione, affiancandola e condividendola con dedizione e
rispetto.
80. Se ogni momento può essere un
« tempo favorevole » 458 nel quale lo Spirito Santo conduce il
sacerdote ad una diretta crescita nella preghiera, nello studio e
nella coscienza delle proprie responsabilità pastorali, ci sono però
momenti « privilegiati », anche se più comuni e prestabiliti.
Sono qui da ricordarsi, anzitutto,
gli incontri del Vescovo con il suo presbiterio, siano essi
liturgici (in particolare la concelebrazione della Messa Crismale del
Giovedì Santo), siano essi pastorali e culturali, in ordine cioè al
confronto sull'attività pastorale o allo studio su determinati
problemi teologici.
Ci sono poi gli incontri di
spiritualità sacerdotale, come gli esercizi spirituali, le
giornate di ritiro e di spiritualità, ecc. Sono un'occasione per una
crescita spirituale e pastorale, per una preghiera più prolungata e
calma, per un ritorno alle radici dell'essere prete, per ritrovare
freschezza di motivazioni per la fedeltà e lo slancio pastorale.
Importanti sono anche gli incontri
di studio e di riflessione comune: impediscono l'impoverimento
culturale e l'arroccamento su posizioni di comodo anche in campo
pastorale, frutto di pigrizia mentale; assicurano una sintesi più
matura tra i diversi elementi della vita spirituale, culturale e
apostolica; aprono la mente e il cuore alle nuove sfide della storia e
ai nuovi appelli che lo Spirito rivolge alla Chiesa.
81. Molteplici sono gli aiuti e i
mezzi di cui ci si può servire perché la formazione permanente
diventi sempre più una preziosa esperienza vitale per i sacerdoti.
Tra questi ricordiamo le diverse forme di vita comune tra i
sacerdoti, sempre presenti, anche se in modalità e intensità
differenti, nella storia della Chiesa: « Oggi non si può non
raccomandarle, soprattutto tra coloro che vivono o sono impegnati
pastoralmente nello stesso luogo. Oltre che a giovare alla vita e
all'azione apostolica, questa vita comune del clero offre a tutti,
compresbiteri e laici, un esempio luminoso di carità e di unità ».459
Altro aiuto può essere dato dalle
associazioni sacerdotali, in particolare dagli istituti
secolari sacerdotali, che presentano come nota specifica la diocesanità,
in forza della quale i sacerdoti si uniscono più strettamente al
Vescovo e costituiscono « uno stato di consacrazione nel quale i
sacerdoti mediante voti o altri legami sacri sono consacrati ad
incarnare nella vita i consigli evangelici ».460 Tutte le forme di «
fraternità sacerdotale » approvate dalla Chiesa sono utili non solo
per la vita spirituale, ma anche per la vita apostolica e pastorale.
Anche la pratica della direzione
spirituale contribuisce non poco a favorire la formazione
permanente dei sacerdoti. È un mezzo classico, che nulla ha perso di
preziosità non solo per assicurare la formazione spirituale, ma anche
per promuovere e sostenere una continua fedeltà e generosità
nell'esercizio del ministero sacerdotale. Come scriveva il futuro
Paolo VI, « la direzione spirituale ha una funzione bellissima e si
può dire indispensabile per l'educazione morale e spirituale della
gioventù, che voglia interpretare e seguire con assoluta lealtà la
vocazione, qualunque essa sia, della propria vita; e conserva sempre
importanza benefica per ogni età della vita, quando al lume e alla
carità d'un consiglio pio e prudente si chieda la verifica della
propria rettitudine ed il conforto al compimento generoso dei propri
doveri. È mezzo pedagogico molto delicato, ma di grandissimo valore;
è arte pedagogica e psicologica di grave responsabilità in chi la
esercita; è esercizio spirituale di umiltà e di fiducia in chi la
riceve ».461
CONCLUSIONE
82. « Vi darò pastori secondo il
mio cuore ».462
Ancora oggi, questa promessa di
Dio è viva e operante nella Chiesa: essa si sente, in ogni tempo,
fortunata destinataria di queste parole profetiche; vede il loro
realizzarsi quotidiano in tante parti della terra, meglio, in tanti
cuori umani, soprattutto di giovani. E desidera, di fronte alle gravi
e urgenti necessità proprie e del mondo, che sulle soglie del terzo
millennio questa divina promessa si compia in un modo nuovo, più
ampio, intenso, efficace: quasi una straordinaria effusione dello
Spirito della Pentecoste.
La promessa del Signore suscita
nel cuore della Chiesa la preghiera, l'implorazione fiduciosa e
ardente nell'amore del Padre che, come ha mandato Gesù il buon
Pastore, gli apostoli, i loro successori, una schiera senza numero di
presbiteri, così continui a manifestare agli uomini d'oggi la sua
fedeltà e la sua bontà.
E la Chiesa è pronta a rispondere
a questa grazia. Sente che il dono di Dio esige una risposta corale e
generosa: tutto il Popolo di Dio deve instancabilmente pregare e
lavorare per le vocazioni sacerdotali; i candidati al sacerdozio
devono prepararsi con grande serietà ad accogliere e a vivere il dono
di Dio, consapevoli che la Chiesa e il mondo hanno assoluto bisogno di
loro; devono innamorarsi di Cristo buon Pastore, modellare sul suo il
loro cuore, essere pronti ad uscire per le strade del mondo come sua
immagine per proclamare a tutti Cristo Via, Verità e Vita.
Un appello particolare rivolgo
alle famiglie: che i genitori, e specialmente le mamme, siano generosi
nel donare al Signore, che li chiama al sacerdozio, i loro figli, e
collaborino con gioia al loro itinerario vocazionale, consapevoli che
in questo modo rendono più grande e profonda la loro fecondità
cristiana ed ecclesiale e che possono sperimentare, in un certo senso,
la beatitudine della Vergine Madre Maria: « Benedetta tu fra le
donne, e benedetto il frutto del tuo grembo ».463
E ai giovani d'oggi dico: siate più
docili alla voce dello Spirito, lasciate risuonare nel profondo del
cuore le grandi attese della Chiesa e dell'umanità, non temete di
aprire il vostro spirito alla chiamata di Cristo Signore, sentite su
di voi lo sguardo d'amore di Gesù e rispondete con entusiasmo alla
proposta di una sequela radicale.
La Chiesa risponde alla grazia
mediante l'impegno che i sacerdoti assumono per realizzare quella
formazione permanente che è richiesta dalla dignità e dalla
responsabilità loro conferite dal sacramento dell'Ordine. Tutti i
sacerdoti sono chiamati ad avvertire la singolare urgenza della loro
formazione nell'ora presente: la nuova evangelizzazione ha bisogno di
nuovi evangelizzatori, e questi sono i sacerdoti che si impegnano a
vivere il loro sacerdozio come cammino specifico verso la santità.
La promessa di Dio è di
assicurare alla Chiesa non pastori qualunque, ma pastori « secondo il
suo cuore ». Il « cuore » di Dio si è rivelato a noi pienamente
nel cuore di Cristo buon Pastore. E il cuore di Cristo continua oggi
ad avere compassione delle folle e a donare loro il pane della verità
e il pane dell'amore e della vita,464 e chiede di palpitare in altri
cuori — quelli dei sacer- doti —: « Voi stessi date loro da
mangiare ».465 La gente ha bisogno di uscire dall'anonimato e dalla
paura, ha bisogno di essere conosciuta e chiamata per nome, di
camminare sicura sui sentieri della vita, di essere ritrovata se
perduta, di essere amata, di ricevere la salvezza come supremo dono
dell'amore di Dio: proprio questo fa Gesù, il buon Pastore; Lui e i
presbiteri con lui.
Ed ora, al termine di questa
Esortazione, volgo lo sguardo alla moltitudine di aspiranti al
sacerdozio, di seminaristi e di sacerdoti che, in tutte le parti del
mondo, nelle condizioni anche più difficili e qualche volta
drammatiche, e sempre nella gioiosa fatica della fedeltà al Signore e
dell'instancabile servizio al suo gregge, offrono quotidianamente la
propria vita per la crescita della fede, della speranza e della carità
nei cuori e nella storia degli uomini e delle donne del nostro tempo.
Voi, carissimi sacerdoti, lo fate
perché il Signore stesso, con la forza del suo Spirito, vi ha
chiamati a ripresentare nei vasi di creta della vostra semplice vita
il tesoro inestimabile del suo amore di Pastore buono.
In comunione con i Padri sinodali
e a nome di tutti i Vescovi del mondo e dell'intera comunità
ecclesiale esprimo tutta la riconoscenza che la vostra fedeltà e il
vostro servizio si meritano.466
E mentre auguro a tutti voi la
grazia di rinnovare ogni giorno il dono di Dio ricevuto con
l'imposizione delle mani,467 di sentire il conforto della profonda
amicizia che vi lega a Gesù e vi unisce tra voi, di sperimentare la
gioia della crescita del gregge di Dio verso un amore sempre più
grande a Lui e a ogni uomo, di coltivare la rasserenante persuasione
che colui che ha iniziato in voi questa opera buona la porterà a
compimento fino al giorno di Cristo Gesù,468 con tutti e con ciascuno
di voi mi rivolgo in preghiera a Maria, madre ed educatrice del
nostro sacerdozio.
Ogni aspetto della formazione
sacerdotale può essere riferito a Maria come alla persona umana che
più di ogni altra ha corrisposto alla vocazione di Dio, che si è
fatta serva e discepola della Parola sino a concepire nel suo cuore e
nella sua carne il Verbo fatto uomo per donarlo all'umanità, che è
stata chiamata all'educazione dell'unico ed eterno sacerdote fattosi
docile e sottomesso alla sua autorità materna. Con il suo esempio e
la sua intercessione, la Vergine Santissima continua a vigilare sullo
sviluppo delle vocazioni e della vita sacerdotale nella Chiesa.
Per questo noi sacerdoti siamo
chiamati a crescere in una solida e tenera devozione alla Vergine
Maria, testimoniandola con l'imitazione delle sue virtù e con la
preghiera frequente.
Madre di Gesù Cristo e Madre dei
sacerdoti,
ricevi questo titolo che noi tributiamo a te
per celebrare la tua maternità
e contemplare presso di te il Sacerdozio
del tuo Figlio e dei tuoi figli,
Santa Genitrice di Dio.
Madre di Cristo,
al Messia Sacerdote hai dato il corpo di carne
per l'unzione del Santo Spirito
a salvezza dei poveri e contriti di cuore,
custodisci nel tuo cuore e nella Chiesa i sacerdoti,
Madre del Salvatore.
Madre della fede,
hai accompagnato al tempio il Figlio dell'uomo,
compimento delle promesse date ai Padri,
consegna al Padre per la sua gloria
i sacerdoti del Figlio tuo,
Arca dell'Alleanza.
Madre della Chiesa,
tra i discepoli nel Cenacolo pregavi lo Spirito
per il Popolo nuovo ed i suoi Pastori,
ottieni all'ordine dei presbiteri
la pienezza dei doni,
Regina degli Apostoli.
Madre di Gesù Cristo,
eri con Lui agli inizi della sua vita
e della sua missione,
lo hai cercato Maestro tra la folla,
lo hai assistito innalzato da terra,
consumato per il sacrificio unico eterno,
e avevi Giovanni vicino, tuo figlio,
accogli fin dall'inizio i chiamati,
proteggi la loro crescita,
accompagna nella vita e nel ministero
i tuoi figli,
Madre dei sacerdoti.
Amen!
Dato a Roma, presso San Pietro,
il 25 marzo, solennità dell'Annunciazione del Signore, dell'anno
1992, decimoquarto del mio Pontificato.