ESORTAZIONE
APOSTOLICA
REDEMPTIONIS
DONUM
DI SUA SANTITA'
GIOVANNI PAOLO II
AI RELIGIOSI E ALLE RELIGIOSE
CIRCA LA LORO CONSACRAZIONE
ALLA LUCE
DEL MISTERO DELLA REDENZIONE
Carissimi fratelli e sorelle in
Cristo Gesù!
I.
SALUTO
1. Il dono della redenzione, che
questo anno giubilare straordinario mette particolarmente in luce,
porta con sé una speciale chiamata alla conversione e alla
riconciliazione con Dio in Cristo Gesù. Mentre il motivo esteriore
del presente giubileo ha carattere storico - si celebra, infatti, il
1950· anniversario dell'evento della croce e della risurrezione -,
contemporaneamente domina in esso il motivo interiore, unito con la
profondità stessa del mistero della redenzione. La Chiesa è nata da
questo mistero, e di esso vive in tutta la sua storia. Il tempo del
giubileo straordinario ha un carattere eccezionale. La chiamata alla
conversione e alla riconciliazione con Dio significa che dobbiamo
meditare più a fondo sulla nostra vita, sulla nostra vocazione
cristiana alla luce del mistero della redenzione, per radicarle sempre
di più in esso.
Se questa chiamata riguarda tutti
nella Chiesa, in modo speciale essa tocca voi, religiosi e religiose,
che, nella consacrazione a Dio mediante il voto dei consigli
evangelici, tendete a una particolare pienezza di vita cristiana. La
vostra specifica vocazione e l'insieme della vostra vita nella Chiesa
e nel mondo attingono il loro carattere e la loro forza spirituale
dalla profondità stessa del mistero della redenzione. Seguendo il
Cristo per la via «stretta... e angusta» (Mt 7,14), voi sperimentate
in modo straordinario quanto è «grande presso di lui la redenzione»:
«copiosa apud eum redemptio» (Sal 129,7).
2. Perciò, mentre quest'anno
santo sta avviandosi verso la sua conclusione, desidero rivolgermi in
modo particolare a voi tutti, religiosi e religiose, che siete
interamente consacrati alla contemplazione o votati alle diverse opere
dell'apostolato. Ciò ho già fatto in numerosi luoghi e in diverse
circostanze, confermando e prolungando l'insegnamento evangelico
contenuto in tutta la tradizione della Chiesa, specialmente nel
magistero del recente Concilio ecumenico, dalla costituzione dogmatica
«Lumen Gentium» al decreto «Perfectae Caritatis», nello spirito
delle indicazioni dell'esortazione apostolica del mio predecessore
Paolo VI «Evangelica Testificatio». Il Codice di diritto canonico,
che è entrato recentemente in vigore e si può considerare in qualche
modo come l'ultimo documento conciliare, sarà per voi tutti un aiuto
prezioso e una guida sicura nel precisare in concreto i mezzi per
vivere fedelmente e generosamente la vostra magnifica vocazione
ecclesiale.
Vi saluto con l'affetto del
vescovo di Roma e successore di san Pietro, col quale le vostre
comunità rimangono unite in modo caratteristico. Dalla stessa sede
romana giungono anche, con un'eco incessante, le parole di san Paolo:
«Vi ho promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta
a Cristo» (2Cor 11,2). La Chiesa, che raccoglie dopo gli apostoli il
tesoro delle nozze con lo Sposo divino, guarda con sommo amore verso
tutti i suoi figli e tutte le sue figlie, che con la professione dei
consigli evangelici hanno stretto, attraverso la sua mediazione,
un'alleanza privilegiata col Redentore del mondo.
Accogliete, dunque, questa parola
dell'anno giubilare della redenzione proprio come una parola d'amore,
che la Chiesa pronuncia per voi. Accoglietela dovunque voi siate:
nella clausura delle comunità contemplative o nella dedizione al
multiforme servizio apostolico: nelle missioni, nell'azione pastorale,
negli ospedali o in altri luoghi, dove viene servito l'uomo che
soffre, negli istituti educativi, nelle scuole o nelle università e,
infine, in ciascuna delle vostre case, dove rimanete «riuniti nel
nome di Cristo» con la consapevolezza che il Signore è «in mezzo a
voi» (Mt 18,20).
Che la parola d'amore della
Chiesa, a voi indirizzata nel giubileo della redenzione, sia il
riflesso di quella parola d'amore che Cristo stesso ha indirizzato a
ciascuno e a ciascuna di voi, pronunciando un giorno quel misterioso
«seguimi», dal quale ha preso inizio la vostra vocazione nella
Chiesa.
II.
VOCAZIONE
«Gesù, fissatolo, lo amò»
3. «Gesù, fissatolo, lo amò» (Mc
10,21) e gli disse: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che
possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo: poi vieni e
seguimi» (Mt 19,21). Anche se sappiamo che queste parole, dette al
giovane ricco, non furono accolte dal chiamato, tuttavia il loro
contenuto merita un'attenta riflessione. Esse, infatti, ci presentano
la struttura interiore della vocazione.
«Gesù, fissatolo, lo amò».
Questo è l'amore del Redentore: un amore che scaturisce da tutta la
profondità divino-umana della redenzione. In esso si riflette
l'eterno amore del Padre, che «ha tanto amato il mondo da dare il suo
Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la
vita eterna» (Gv 3,16). Il Figlio, investito da quest'amore, accettò
la missione del Padre nello Spirito Santo, e divenne il Redentore del
mondo. L'amore del Padre si è rivelato nel Figlio come amore che
salva. Proprio quest'amore costituisce il vero prezzo della redenzione
dell'uomo e del mondo. Gli apostoli di Cristo parlano del prezzo della
redenzione con una profonda emozione: «Non a prezzo di cose
corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati... ma con il
sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza
macchia», scrive san Pietro (1Pt 1,18). «Infatti, siete stati
comprati a caro prezzo», afferma san Paolo (1Cor 6,20).
La chiamata alla via dei consigli
evangelici nasce dall'incontro interiore con l'amore di Cristo, che è
amore redentivo. Cristo chiama proprio mediante questo suo amore.
Nella struttura della vocazione l'incontro con questo amore diventa
qualcosa di specificamente personale. Quando Cristo «dopo avervi
fissati vi amò», chiamando ognuno e ognuna di voi, cari religiosi e
religiose, quel suo amore redentivo venne rivolto a una determinata
persona, acquistando al tempo stesso caratteristiche sponsali: esso
divenne amore d'elezione. Tale amore abbraccia la persona intera,
anima e corpo, sia uomo o sia donna, nel suo unico e irripetibile «io»
personale. Colui che, donatosi eternamente al Padre, «dona» se
stesso nel mistero della redenzione, ecco che ha chiamato l'uomo,
affinché questi, a sua volta, si doni interamente a un particolare
servizio dell'opera della redenzione mediante l'appartenenza a una
comunità fraterna, riconosciuta e approvata dalla Chiesa. Non fanno
forse eco proprio a questa chiamata le parole di san Paolo: «Non
sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo... e che non
appartenete a voi stessi? Infatti, siete stati comprati a caro prezzo»
(1Cor 6,19-20).
Sì, l'amore di Cristo ha
raggiunto ciascuno e ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, con
quel medesimo «prezzo» della redenzione. In conseguenza di ciò, vi
siete resi conto come «non appartenete più a voi stessi», ma a lui.
Questa nuova consapevolezza è stata il frutto dello «sguardo
amorevole» di Cristo nel segreto del vostro cuore. Voi avete risposto
a questo sguardo, scegliendo colui che per primo ha scelto ciascuno e
ciascuna di voi, chiamandovi con l'immensità del suo amore redentivo.
Chiamando «per nome», la sua chiamata fa appello sempre alla libertà
dell'uomo. Cristo dice: «Se vuoi...». E la risposta a questa
chiamata è, dunque, una scelta libera. Voi avete scelto Gesù di
Nazaret, il redentore del mondo, scegliendo la strada che egli vi ha
indicato.
«Se vuoi essere perfetto...»
4. Questa via si chiama anche la
via della perfezione. Conversando col giovane, Cristo dice: «Se vuoi
essere perfetto...», sicché il concetto di «via della perfezione»
possiede la sua motivazione nella stessa fonte evangelica. Non
sentiamo, del resto, nel discorso della montagna: «Siate voi dunque
perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48)? La
chiamata dell'uomo alla perfezione è stata, in qualche modo,
percepita da pensatori e moralisti del mondo antico e anche
successivamente, nelle diverse epoche della storia. La chiamata
biblica, però, possiede un suo profilo del tutto originale: essa è
particolarmente esigente, quando addita all'uomo la perfezione a
somiglianza di Dio stesso. Proprio in tale forma la chiamata
corrisponde a tutta la logica interna della Rivelazione, secondo la
quale l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio stesso.
Egli deve, quindi, cercare la perfezione che gli è propria nella
linea di questa immagine e somiglianza. Scriverà san Paolo nella
lettera agli Efesini: «Fatevi imitatori di Dio, quali figli
carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha
amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di
soave odore» (Ef 5,12).
Pertanto, la chiamata alla
perfezione appartiene all'essenza stessa della vocazione cristiana. In
base a questa chiamata bisogna intendere anche le parole che Cristo
indirizza al giovane del Vangelo. Esse sono legate in modo particolare
al mistero della redenzione dell'uomo nel mondo. Questa, infatti,
restituisce a Dio l'opera della creazione contaminata dal peccato,
indicando la perfezione che l'intera creazione e, in particolare,
l'uomo possiedono nel pensiero e nell'intento di Dio stesso.
Specialmente l'uomo deve essere donato e restituito a Dio, se deve
essere pienamente restituito a se stesso. Da ciò l'eterna chiamata:
«Ritorna a me, poiché io ti ho redento» (Is 44,22). Le parole di
Cristo: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi,
dallo ai poveri...» ci introducono senza dubbio nell'ambito del
consiglio evangelico della povertà, che appartiene all'essenza stessa
della vocazione e della professione religiosa.
Al tempo stesso, queste parole
possono essere intese in modo più ampio e, in un certo senso,
essenziale. Il Maestro di Nazaret invita il suo interlocutore a
rinunciare a un programma di vita, nel quale emerge in primo piano la
categoria del possesso, quella dell'«avere», e ad accettare, invece,
al suo posto un programma incentrato sul valore della persona umana:
sull'«essere» personale con tutta la trascendenza che gli è
propria.
Una tale comprensione delle parole
di Cristo costituisce quasi un più ampio sfondo per l'ideale della
povertà evangelica, specialmente di quella povertà che, come
consiglio evangelico, appartiene al contenuto essenziale delle vostre
mistiche nozze con lo Sposo divino nella Chiesa. Leggendo le parole di
Cristo alla luce del principio della superiorità dell'«essere»
sull'«avere», specialmente se quest'ultimo è inteso in senso
materialistico e utilitaristico, tocchiamo quasi le stesse basi
antropologiche della vocazione nel Vangelo. Sullo sfondo dello
sviluppo della civiltà contemporanea, questa è una scoperta
particolarmente attuale. E per questo diventa attuale la stessa
vocazione «alla via della perfezione», così come l'ha tracciata
Cristo. Se nell'ambito dell'odierna civiltà, specialmente nel
contesto del mondo del benessere consumistico, l'uomo risente
dolorosamente l'essenziale deficienza di «essere» personale, che
proviene alla sua umanità dall'abbondanza del multiforme «avere»,
allora egli diventa più disposto ad accogliere questa verità sulla
vocazione, qual è stata pronunciata una volta per sempre nel Vangelo.
Sì, la chiamata che voi, cari fratelli e sorelle, accogliete entrando
nella via della professione religiosa, tocca le radici stesse
dell'umanità, le radici del destino dell'uomo nel mondo temporale.
L'evangelico «stato di perfezione» non vi distacca da queste radici.
Al contrario, esso vi permette di ancorarvi più fortemente in ciò
per cui l'uomo è uomo, permeando questa umanità, in diversi modi
appesantita dal peccato, col fermento divino-umano del mistero della
redenzione.
«Avrai un tesoro nel cielo»
5. La vocazione porta in sé la
risposta all'interrogativo: perché essere uomo e come esserlo? Questa
risposta dà una nuova dimensione a tutta la vita e stabilisce il suo
senso definitivo. Tale senso emerge nell'orizzonte del paradosso
evangelico circa la vita che si perde volendo salvarla, e che, al
contrario, si salva perdendola «a causa di Cristo e del Vangelo»,
come leggiamo in Marco.
Alla luce di questa parola
acquista piena evidenza la chiamata di Cristo: «Va', vendi quello che
possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e
seguimi». Tra questo «va'» e il successivo «vieni e seguimi» si
stabilisce uno stretto rapporto. Si può dire che queste ultime parole
determinino l'essenza stessa della vocazione. Si tratta, infatti, di
seguire le orme di Cristo («sequi», da cui la «sequela Christi»).
I termini «va' - vendi - dallo» sembrano definire la condizione che
precede la vocazione. D'altra parte, però, questa condizione non sta
«all'esterno» della vocazione, ma si trova già «all'interno» di
essa. Infatti, l'uomo fa la scoperta del nuovo senso della propria
umanità non solo per «seguire» Cristo, ma in tanto in quanto lo
segue. Quando egli «vende ciò che possiede» e «lo dà ai poveri»,
allora scopre che quei beni e quelle agiatezze, che già possedeva,
non erano il tesoro accanto a cui rimanere: il tesoro sta nel suo
cuore, reso capace da Cristo di «dare» agli altri, dando se stesso.
Ricco non è colui che possiede, ma colui che dà, colui che è capace
di dare.
In questo punto il paradosso
evangelico acquista una particolare espressività. Diventa un
programma dell'essere: essere povero, nel senso dato dal Maestro di
Nazaret a un tale «essere», significa diventare nella propria umanità
un dispensatore di bene. Ciò parimenti vuol dire scoprire «il tesoro».
Questo tesoro è indistruttibile. Esso passa insieme con l'uomo nella
dimensione dell'eternità, appartiene all'escatologia divina
dell'uomo. Grazie a questo tesoro l'uomo ha il suo definitivo futuro
in Dio. Cristo dice: «Avrai un tesoro nel cielo». Questo tesoro non
è tanto «un premio» dopo la morte per le opere compiute
sull'esempio del divino Maestro, quanto piuttosto è il compimento
escatologico di ciò che si nascondeva dietro queste opere già qui,
sulla terra, nel «tesoro» interiore del cuore. Lo stesso Cristo,
infatti, invitando nel discorso della montagna ad accumulare tesori
nel cielo, ha aggiunto: «Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo
cuore» (Mt 6,20). Queste parole indicano il carattere escatologico
della vocazione cristiana e, ancor più, il carattere escatologico
della vocazione che si realizza sulla via delle nozze spirituali con
Cristo mediante la pratica dei consigli evangelici.
6. La struttura di questa
vocazione, quale si desume dalle parole rivolte al giovane nei Vangeli
sinottici, si delinea man mano che si scopre il tesoro fondamentale
della propria umanità nella prospettiva di quel «tesoro», che
l'uomo «ha nel cielo». In questa prospettiva il tesoro fondamentale
della propria umanità si collega al fatto di «essere donando se
stessi». Il punto diretto di riferimento in una tale vocazione è la
persona viva di Gesù Cristo. La chiamata alla via della perfezione
prende forma da lui e per lui nello Spirito Santo il quale a sempre
nuove persone, uomini e donne, in diversi momenti della loro vita e
prevalentemente nella giovinezza, «ricorda» tutto ciò che Cristo «ha
detto» e, in particolare, ciò che «disse» al giovane che gli
chiedeva: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita
eterna?». Attraverso la risposta di Cristo, il quale «fissa con
amore» il suo interlocutore, l'intenso fermento del mistero della
redenzione penetra la coscienza, il cuore e la volontà di un uomo che
cerca con verità e sincerità.
In questo modo la chiamata alla
via dei consigli evangelici ha sempre il suo inizio in Dio: «Non voi
avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti, perché
andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga». La vocazione,
nella quale l'uomo scopre fino in fondo la legge evangelica del dono
iscritta nella propria umanità, è essa stessa un dono! E' un dono
ricolmo del contenuto più profondo del Vangelo, un dono nel quale si
riflette il profilo divino-umano del mistero della redenzione del
mondo. «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma
è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di
espiazione» (1Gv 4,10).
III.
CONSACRAZIONE
La professione è un'espressione
più perfetta del battesimo
7. La vocazione, cari fratelli e
sorelle, vi ha condotti alla professione religiosa, grazie alla quale
siete stati consacrati a Dio mediante il ministero della Chiesa e, al
tempo stesso, siete stati incorporati nella vostra famiglia religiosa.
Perciò la Chiesa pensa a voi, prima di tutto, come a persone «consacrate»:
consacrate a Dio in Gesù Cristo come proprietà esclusiva. Questa
consacrazione determina il vostro posto nella vasta comunità della
Chiesa, del popolo di Dio. Al tempo stesso, essa introduce nella
missione universale di questo popolo una speciale risorsa di energia
spirituale e soprannaturale: una particolare forma di vita, di
testimonianza e di apostolato, in fedeltà alla missione del vostro
istituto, alla sua identità e al suo patrimonio spirituale. La
missione universale del popolo di Dio si radica nella missione
messianica di Cristo stesso - profeta, sacerdote e re -, alla quale
tutti partecipano in diversi modi. La forma di partecipazione propria
delle persone «consacrate» corrisponde alla forma del vostro
radicamento in Cristo. Della profondità e della forza di questo
radicamento decide proprio la professione religiosa.
Essa crea un nuovo legame
dell'uomo con Dio uno e trino, in Gesù Cristo. Questo legame cresce
sul fondamento di quel vincolo originale che è contenuto nel
sacramento del battesimo. La professione religiosa «ha le sue
profonde radici nella consacrazione battesimale, e ne è
un'espressione più perfetta» («Perfectae Caritatis», 5). In tal
modo essa diventa, nel suo contenuto costitutivo, una nuova
consacrazione: la consacrazione e la donazione della persona umana a
Dio, amato sopra ogni cosa. L'impegno, assunto mediante i voti, di
attuare i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza
secondo le disposizioni proprie delle vostre famiglie religiose, quali
sono determinate nelle rispettive costituzioni, rappresenta
l'espressione di una totale consacrazione a Dio e, insieme, il mezzo
che porta alla sua pratica attuazione. Di qui prendono anche forma la
testimonianza e l'apostolato proprio delle persone consacrate.
Tuttavia, bisogna cercare la radice di questa consacrazione
consapevole e libera, e della conseguente donazione di sé come
proprietà a Dio, nel battesimo, sacramento che ci conduce al mistero
pasquale come vertice e centro della redenzione compiuta da Cristo.
Pertanto, per mettere pienamente
in risalto la realtà della professione religiosa, bisogna rifarsi
alle vibranti parole di Paolo nella lettera ai Romani: «O non sapete
che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati
battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati
sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo... così anche
noi possiamo camminare in una vita nuova»; «Il nostro uomo vecchio
è stato crocifisso con lui, perché... noi non fossimo più schiavi
del peccato»; «Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma
viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rm 6,3-4.6.11).
La professione religiosa - sulla
base sacramentale del battesimo in cui si radica - è una nuova «sepoltura
nella morte di Cristo»: nuova mediante la consapevolezza e la scelta;
nuova mediante l'amore e la vocazione; nuova mediante l'incessante «conversione».
Tale «sepoltura nella morte» fa sì che l'uomo, «sepolto insieme a
Cristo», «cammini come Cristo in una vita nuova». In Cristo
crocifisso trovano il loro fondamento ultimo sia la consacrazione
battesimale, sia la professione dei consigli evangelici, la quale -
secondo le parole del Vaticano II - «costituisce una speciale
consacrazione». Essa è ad un tempo morte e liberazione. San Paolo
scrive: «Consideratevi morti al peccato«; al tempo stesso, tuttavia,
chiama questa morte «liberazione dalla schiavitù del peccato».
Soprattutto, però, la consacrazione religiosa costituisce, sulla base
sacramentale del santo battesimo, una nuova vita «per Dio in Gesù
Cristo». Ecco che così, unitamente alla professione dei consigli
evangelici, in modo molto più maturo e più consapevole viene «deposto
l'uomo vecchio» e, nello stesso modo, «viene rivestito l'uomo nuovo,
creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera», per
adoperare ancora le parole della lettera agli Efesini.
Alleanza dell'amore sponsale
8. Pertanto, cari fratelli e
sorelle, tutti voi che nella Chiesa intera vivete l'alleanza della
professione dei consigli evangelici, rinnovate in quest'anno santo
della redenzione la consapevolezza della vostra speciale
partecipazione alla morte in croce del Redentore: di quella
partecipazione, cioè, mediante la quale siete risuscitati insieme con
lui, e costantemente risorgete a una vita nuova. Il Signore parla a
ognuno e a ognuna di voi, così come una volta parlò per mezzo del
profeta Isaia: «Non temere, perché io ti ho riscattato, / ti ho
chiamato per nome: / tu mi appartieni!» (Is 43,1).
La chiamata evangelica: «Se vuoi
essere perfetto... seguimi» ci guida con la luce delle parole del
divino Maestro. Dal profondo della redenzione viene la chiamata di
Cristo, e da questa profondità essa raggiunge l'anima dell'uomo: in
virtù della grazia della redenzione tale chiamata salvifica assume,
nell'anima del chiamato, la forma concreta della professione dei
consigli evangelici. In questa forma è contenuta la vostra risposta
alla chiamata dell'amore redentivo, e questa è anche una risposta
d'amore: amore di donazione, che è l'anima della consacrazione, cioè
della consacrazione della persona. Le parole di Isaia: «Ti ho
riscattato / tu mi appartieni» sembrano sigillare proprio questo
amore, che è amore totale ed esclusivo di una consacrazione a Dio.
In tal modo si forma la
particolare alleanza dell'amore sponsale, nella quale sembrano
risonare con un'eco incessante le parole relative a Israele, che il
Signore «si è scelto... come suo possesso» (Sal 134,4). In ogni
persona consacrata viene, infatti, scelto l'«Israele» della nuova ed
eterna alleanza. L'intero popolo messianico, la Chiesa intera viene
eletta in ogni persona che il Signore sceglie in mezzo a questo
popolo: in ogni persona che per tutti si consacra a Dio come proprietà
esclusiva. Infatti, anche se nessun uomo, nemmeno il più santo, può
ripetere le parole di Cristo: «Per loro io consacro me stesso» (Gv
17,19) secondo la potenza redentrice propria di queste parole,
tuttavia ognuno, grazie all'amore di donazione, offrendosi come
proprietà esclusiva a Dio, può ritrovarsi mediante la fede nel
raggio di queste parole.
Non ci richiamano forse a questo
le altre parole dell'apostolo nella lettera ai Romani, che tanto
spesso ripetiamo e meditiamo: «Vi esorto dunque, fratelli, per la
misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente,
santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale» (Rm
12,1)? In queste parole risuona quasi un'eco lontana di colui che,
venendo nel mondo e diventando uomo, dice al Padre: «Un corpo mi hai
preparato... Ecco, io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb
10,5.7).
Risaliamo dunque - in questo
particolare contesto dell'anno giubilare della redenzione - al mistero
del corpo e dell'anima di Cristo, come al soggetto integrale
dell'amore sponsale e redentivo: sponsale, perché redentivo. Per
amore egli offrì se stesso, per amore diede il suo corpo «per il
peccato del mondo». Immergendovi mediante la consacrazione dei voti
religiosi nel mistero pasquale del Redentore, voi, con l'amore di una
donazione totale, desiderate colmare le vostre anime e i vostri corpi
dello spirito di sacrificio (Rm 12,1), proprio come vi invita a fare
san Paolo con le parole della lettera ai Romani appena riportate: «Offrite
i vostri corpi come sacrificio». In questo modo si imprime nella
professione religiosa la somiglianza di quell'amore, che nel cuore di
Cristo è redentivo e insieme sponsale. E tale amore deve sgorgare in
ciascuno di voi, cari fratelli e sorelle, dalla fonte stessa di quella
particolare consacrazione che - sulla base sacramentale del santo
battesimo - è l'inizio della vostra nuova vita in Cristo e nella
Chiesa: è l'inizio della nuova creazione.
Che insieme con quest'amore si
approfondisca in ciascuno e ciascuna di voi la gioia di appartenere
esclusivamente a Dio, di essere un'eredità particolare della
santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Ripetete ogni
tanto, insieme col salmista, le ispirate parole: «Chi altri avrò per
me in cielo? / Fuori di te nulla bramo sulla terra. / Vengono meno la
mia carne e il mio cuore: / ma la roccia del mio cuore è Dio, / è
Dio la mia sorte per sempre» (Sal 72,25-26). Oppure le altre: «Ho
detto a Dio: "Sei tu il mio Signore, / senza di te non ho alcun
bene"... / Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: /
nelle tue mani è la mia vita» (Sal 15,2.5).
La consapevolezza di appartenere a
Dio stesso in Gesù Cristo, Redentore del mondo e Sposo della Chiesa,
suggelli i vostri cuori, tutti i vostri pensieri, parole e opere, col
segno della biblica sposa. Come voi sapete, questa conoscenza ardente
e profonda del Cristo si attua e si approfondisce ogni giorno di più
grazie alla vita di preghiera personale, comunitaria e liturgica,
propria di ciascuna delle vostre famiglie religiose. Anche in ciò, e
soprattutto i religiosi e le religiose essenzialmente dedite alla
contemplazione, sono un valido aiuto e un sostegno stimolante per i
loro fratelli e le loro sorelle, votati alle opere di apostolato.
Questa consapevolezza di appartenere a Cristo apra i vostri cuori,
pensieri e opere, con la chiave del mistero della redenzione, a tutte
le sofferenze, a tutte le necessità e a tutte le speranze degli
uomini e del mondo, in mezzo ai quali la vostra consacrazione
evangelica è stata innestata come un segno particolare della presenza
di Dio, «per il quale tutti vivono», abbracciati dalla dimensione
invisibile del suo Regno.
La parola «seguimi», pronunciata
da Cristo, quando «fissò e amò» ciascuno e ciascuna di voi, cari
fratelli e sorelle, ha anche questo significato: prendi parte, nel
modo più completo e più radicale possibile, alla formazione di
quella «nuova creatura» (2Cor 5,17), che deve emergere dalla
redenzione del mondo mediante la forza dello Spirito di verità,
operante dall'abbondanza del mistero pasquale di Cristo.
IV.
CONSIGLI
EVANGELICI
Economia della redenzione
9. Mediante la professione si
schiude davanti ad ognuno e ognuna di voi la via dei consigli
evangelici. Nel Vangelo ci sono molte raccomandazioni che oltrepassano
la misura del comandamento, indicando non solo ciò che è «necessario»,
ma ciò che è «migliore». Così, per esempio, l'esortazione a non
giudicare, a prestare «senza sperarne nulla», a soddisfare tutte le
richieste e i desideri del prossimo, a invitare a banchetto i poveri,
a perdonare sempre, e molte altre simili. Se, seguendo la tradizione,
la professione dei consigli evangelici si è concentrata sui tre punti
della castità, povertà e obbedienza, tale consuetudine sembra
mettere in rilievo in modo sufficientemente chiaro la loro importanza
di elementi-chiave e, in un certo senso, «riassuntivi» dell'intera
economia della salvezza. Tutto ciò che nel Vangelo è consiglio entra
indirettamente nel programma di quella via, alla quale Cristo chiama,
quando dice: «Seguimi». Ma la castità, la povertà e l'obbedienza
danno a questa via una particolare caratteristica cristocentrica e
imprimono su di essa uno specifico segno dell'economia della
redenzione.
E' essenziale per questa «economia»
la trasformazione del cosmo intero attraverso il cuore dell'uomo, dal
di dentro: «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione
dei figli di Dio... e nutre la speranza di essere essa pure liberata
dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della
gloria dei figli di Dio» (Rm 8,19-21). Questa trasformazione va di
pari passo con quell'amore, che la chiamata di Cristo infonde
nell'interno dell'uomo, con quell'amore che costituisce la sostanza
stessa della consacrazione: del votarsi dell'uomo o della donna a Dio
nella professione religiosa, sul fondamento della consacrazione
sacramentale del battesimo. Possiamo scoprire le basi dell'economia
della redenzione leggendo le parole della prima lettera di san
Giovanni: «Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama
il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è
nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi
e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il
mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio
rimane in eterno» (1Gv 2,15-17).
La professione religiosa pone nel
cuore di ognuno e ognuna di voi, cari fratelli e sorelle, l'amore del
Padre, quell'amore che è nel cuore di Gesù Cristo, redentore del
mondo. E' amore, questo, che abbraccia il mondo e tutto ciò che in
esso viene dal Padre e che al tempo stesso tende a sconfiggere nel
mondo tutto ciò che «non viene dal Padre». Esso tende, dunque, a
vincere la triplice concupiscenza. «La concupiscenza della carne, la
concupiscenza degli occhi e la superbia della vita» sono nascoste
nell'interno dell'uomo come eredità del peccato originale, in
conseguenza del quale il rapporto col mondo creato da Dio e dato in
dominio all'uomo, venne deformato nel cuore umano in diversi modi.
Nell'economia della redenzione i consigli evangelici di castità, di
povertà e di obbedienza costituiscono i mezzi più radicali per
trasformare nel cuore dell'uomo tale rapporto con «il mondo»: col
mondo esterno e col proprio «io», il quale in un certo senso è la
parte centrale «del mondo» nel significato biblico, se in esso
prende inizio ciò che «non viene dal Padre».
Sullo sfondo delle frasi riportate
dalla prima lettera di san Giovanni non è difficile notare la
fondamentale importanza dei tre consigli evangelici nell'intera
economia della redenzione. Difatti, la castità evangelica ci aiuta a
trasformare nella nostra vita interiore tutto ciò che trova la sua
fonte nella concupiscenza della carne; la povertà evangelica ciò che
ha la sua fonte nella concupiscenza degli occhi; infine, l'obbedienza
evangelica ci permette di trasformare in modo radicale ciò che nel
cuore umano scaturisce dalla superbia della vita. Parliamo qui
volutamente del superamento come di una trasformazione, poiché
l'intera economia della redenzione si inquadra nella cornice delle
parole, rivolte da Cristo nella preghiera sacerdotale al Padre: «Non
chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno» (Gv
17,15). I consigli evangelici nella loro essenziale finalità servono
«al rinnovamento della creazione»: «il mondo», grazie ad essi,
deve venire sottomesso all'uomo e a lui dato in modo che l'uomo stesso
sia perfettamente donato a Dio.
Partecipazione
all'annientamento di Cristo
10. La finalità interiore dei
consigli evangelici conduce alla scoperta di altri aspetti ancora, che
ne mettono in rilievo lo stretto rapporto con l'economia della
redenzione. Si sa che questa trova il suo punto culminante nel mistero
pasquale di Gesù Cristo, nel quale vengono uniti l'annientamento
mediante la morte e la nascita a una nuova vita mediante la
risurrezione. La pratica dei consigli evangelici contiene in sé un
profondo riflesso di questa dualità pasquale: l'inevitabile
annientamento di ciò che in ognuno di noi è il peccato e il suo
retaggio e la possibilità di rinascere ogni giorno a un bene più
profondo, nascosto nell'anima umana. Questo bene si manifesta sotto
l'azione della grazia, alla quale la pratica della castità, della
povertà e dell'obbedienza rende particolarmente sensibile l'anima
dell'uomo. L'intera economia della redenzione si realizza proprio
mediante questa sensibilità alla misteriosa azione dello Spirito
Santo che è l'artefice diretto di ogni santità. Su questa via la
professione dei consigli evangelici schiude in ognuno e in ognuna di
voi, cari fratelli e sorelle, un ampio spazio alla «creatura nuova»,
che emerge nel vostro «io» umano proprio dall'economia della
redenzione e, attraverso questo «io» umano, anche nelle dimensioni
interpersonali e sociali. Al tempo stesso, pertanto, emerge
nell'umanità, quale parte del mondo creato da Dio: di quel mondo, che
il Padre amò «di nuovo» nel Figlio eterno, Redentore del mondo.
Di questo Figlio dice san Paolo
che «pur essendo di natura divina... spogliò se stesso, assumendo la
condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil 2,6-7). La
caratteristica dell'annientamento contenuta nella pratica dei consigli
evangelici, dunque, è caratteristica completamente cristocentrica. E
perciò anche il Maestro di Nazaret indica esplicitamente la croce
come condizione per seguire le sue orme. Colui che un giorno disse a
ognuno e a ognuna di voi «Seguimi», ha detto anche: «Se qualcuno
vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi
segua» (= cammini sulle mie orme). E ciò diceva a tutti i suoi
ascoltatori, non solo ai discepoli. La legge della rinuncia
appartiene, dunque, all'essenza stessa della vocazione cristiana.
Tuttavia, essa in modo speciale appartiene all'essenza della vocazione
legata alla professione dei consigli evangelici. A coloro che si
trovano sulla via di questa vocazione parleranno con un linguaggio
comprensibile anche quelle difficili espressioni, che leggiamo nella
lettera ai Filippesi: per lui «ho lasciato perdere tutte queste cose
e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di
essere trovato in lui» (Fil 3,8-9).
Rinuncia, quindi - riflesso del
mistero del Calvario -, per «trovarsi» più pienamente in Cristo
crocifisso e risorto; rinuncia, per riconoscere in lui fino in fondo
il mistero della propria umanità e confermarlo sulla via di quel
mirabile processo, del quale lo stesso apostolo scrive in un altro
luogo: «Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello
interiore si rinnova di giorno in giorno» (2Cor 19,11). In questo
modo l'economia della redenzione trasferisce la potenza del mistero
pasquale sul terreno dell'umanità, docile alla chiamata di Cristo
alla vita in castità, in povertà e in obbedienza, ossia alla vita
secondo i consigli evangelici.
V.
CASTITA'-POVERTA'-OBBEDIENZA
Castità
11. Il profilo pasquale di questa
chiamata si fa riconoscere sotto vari punti di vista, in rapporto ad
ogni singolo consiglio. E', infatti, secondo la misura dell'economia
della redenzione che bisogna giudicare e praticare quella castità,
che ognuno e ognuna di voi ha promesso con voto insieme con la povertà
e l'obbedienza. E' contenuta in ciò la risposta alle parole di
Cristo, che sono al tempo stesso un invito: «E vi sono altri che si
sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».
Precedentemente Cristo aveva sottolineato che «non tutti possono
capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso». Queste ultime
parole mettono chiaramente in evidenza che tale invito è un
consiglio. A ciò anche l'apostolo Paolo ha dedicato un'apposita
riflessione nella prima lettera ai Corinzi. Questo consiglio è
rivolto in modo particolare all'amore del cuore umano. Esso mette
maggiormente in risalto il carattere sponsale di questo amore, mentre
la povertà e ancor più l'obbedienza sembrano porre in rilievo, prima
di tutto, l'aspetto dell'amore redentivo contenuto nella consacrazione
religiosa. Si tratta qui - come si sa - della castità nel senso «del
farsi eunuchi per il regno dei cieli»; si tratta, cioè, della
verginità come espressione dell'amore sponsale per il Redentore
stesso. In questo senso l'apostolo insegna che «fa bene» colui che
sceglie il matrimonio, e «fa meglio» colui che sceglie la verginità.
«Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa
piacere al Signore», e «la donna non sposata, come la vergine, si
preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello
spirito» (1Cor 7,38.32.34).
Non è contenuta - nelle parole di
Cristo né in quelle di Paolo - alcuna disistima del matrimonio. Il
consiglio evangelico della castità è solo un'indicazione di quella
particolare possibilità che per il cuore umano, sia dell'uomo sia
della donna, costituisce l'amore sponsale di Cristo stesso, di Gesù
«Signore». Il «farsi eunuchi per il regno dei cieli», infatti, non
è solo una libera rinuncia al matrimonio e alla vita di famiglia, ma
è una scelta carismatica di Cristo come sposo esclusivo. Tale scelta
non solo permette specificamente di «preoccuparsi delle cose del
Signore», ma - fatta «per il regno dei cieli» - avvicina questo
regno escatologico di Dio alla vita di tutti gli uomini nelle
condizioni della temporalità e lo rende, in un certo modo, presente
in mezzo al mondo.
Mediante ciò le persone
consacrate realizzano l'interiore finalità dell'intera economia della
redenzione. Questa finalità si esprime, infatti, nell'avvicinare il
regno di Dio nella sua dimensione definitiva, escatologica. Per mezzo
del voto di castità le persone consacrate partecipano all'economia
della redenzione con la libera rinuncia alle gioie temporali della
vita matrimoniale e familiare; e, d'altra parte, proprio nel loro «farsi
eunuchi per il regno dei cieli», esse portano in mezzo al mondo che
passa l'annuncio della risurrezione futura e della vita eterna: della
vita in unione con Dio stesso mediante la visione beatifica e l'amore
che contiene in sé e intimamente pervade tutti gli altri amori del
cuore umano.
Povertà
12. Quanto sono espressive in
materia di povertà le parole della seconda lettera ai Corinzi, che
costituiscono una concisa sintesi di tutto ciò che su questo tema
sentiamo nel Vangelo! «Conoscete, infatti, la grazia del Signore
nostro Gesù Cristo: da ricco che era, egli si è fatto povero per
voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà».
Secondo queste parole la povertà entra nella struttura interiore
della stessa grazia redentrice di Gesù Cristo. Senza la povertà non
è possibile comprendere il mistero della donazione della divinità
all'uomo, donazione che si è compiuta proprio in Gesù Cristo. Anche
per questo essa si trova al centro stesso del Vangelo, all'inizio del
messaggio delle otto beatitudini: «Beati i poveri in spirito». La
povertà evangelica schiude davanti agli occhi dell'anima umana la
prospettiva dell'intero mistero, «nascosto da secoli nella mente di
Dio». Solamente coloro che sono in questo modo «poveri» sono anche
interiormente capaci di comprendere la povertà di colui che è
infinitamente ricco. La povertà di Cristo nasconde in sé questa
infinita ricchezza di Dio; essa ne è anzi un'espressione infallibile.
Una ricchezza, infatti, qual è la divinità stessa, non si sarebbe
potuta esprimere adeguatamente in nessun bene creato. Essa può
esprimersi solamente nella povertà. Perciò, può essere compresa in
modo giusto solamente dai poveri, dai poveri in spirito. Cristo,
uomo-Dio, è il primo di essi: colui che, «da ricco che era, si è
fatto povero» non solo è il maestro, ma è anche il portavoce e il
garante di quella povertà salvifica, che corrisponde all'infinita
ricchezza di Dio e all'inesauribile potenza della sua grazia.
E perciò è pure vero - come
scrive l'Apostolo - che «per mezzo della sua povertà noi diventiamo
ricchi». E' il maestro e il portavoce della povertà che arricchisce.
Proprio per questo egli dice al giovane nei Vangeli sinottici: «Vendi
quello che possiedi... dallo... e avrai un tesoro nel cielo» (Mt
19,21). C'è in queste parole una chiamata ad arricchire gli altri per
mezzo della propria povertà; ma nel profondo di questa chiamata è
nascosta la testimonianza dell'infinita ricchezza di Dio che,
trasferita all'anima umana nel mistero della grazia, crea nell'uomo
stesso, appunto mediante la povertà, una sorgente per arricchire gli
altri non comparabile con alcun'altra risorsa di beni materiali, una
sorgente per gratificare gli altri a somiglianza di Dio stesso. Questa
elargizione si realizza nell'ambito del mistero di Cristo, il quale «ci
ha reso ricchi per mezzo della sua povertà». Vediamo come questo
processo di arricchimento si svolge nelle pagine del Vangelo, trovando
il suo culmine nell'evento pasquale: Cristo, il più povero nella
morte di croce, è insieme colui che ci arricchisce infinitamente con
la pienezza della vita nuova, mediante la risurrezione.
Cari fratelli e sorelle, poveri in
spirito mediante la professione evangelica, accogliete in tutta la
vostra vita questo profilo salvifico della povertà di Cristo. Cercate
giorno per giorno la sua sempre maggiore maturazione! Cercate
soprattutto «il regno di Dio e la sua giustizia», e le altre cose «vi
saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Che in voi e per mezzo vostro si
compia la beatitudine evangelica che è riservata ai poveri, ai poveri
in spirito!
Obbedienza
13. Cristo, «pur essendo di
natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con
Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e
divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se
stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil
2,6-8).
Tocchiamo qui, in queste parole
della lettera di Paolo ai Filippesi, l'essenza stessa della
redenzione. In questa realtà è inscritta in modo primario e
costitutivo l'obbedienza di Gesù Cristo. Confermano tale dato anche
le altre parole dell'apostolo, tratte questa volta dalla lettera ai
Romani: «Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono
stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo
tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5,19).
Il consiglio evangelico
dell'obbedienza è la chiamata che scaturisce da questa obbedienza di
Cristo «fino alla morte». Coloro che accolgono questa chiamata,
espressa con la parola «seguimi», decidono - come dice il Concilio -
di seguire Cristo, «che redense e santificò gli uomini con la sua
obbedienza fino alla morte di croce» («Perfectae Caritatis», 1).
Nell'attuare il consiglio evangelico dell'obbedienza, essi raggiungono
l'essenza profonda dell'intera economia della redenzione.
Nell'adempiere questo consiglio, essi desiderano conseguire una
speciale partecipazione all'obbedienza di quell'«uno solo», mediante
l'obbedienza del quale tutti «saranno costituiti giusti».
Si può dire, dunque, che coloro
che decidono di vivere secondo il consiglio dell'obbedienza, si
collocano in modo singolare tra il mistero del peccato e il mistero
della giustificazione e della grazia salvifica. Si trovano in questo
«luogo» con tutto il sottofondo peccaminoso della propria natura
umana, con tutta l'eredità «della superbia della vita», con tutta
l'egoistica tendenza a dominare e non a servire, e proprio mediante il
voto di obbedienza si decidono a trasformarsi a somiglianza di Cristo,
il quale «redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza».
Nel consiglio dell'obbedienza essi desiderano trovare il proprio ruolo
nella redenzione di Cristo e la propria via di santificazione.
E' questa la via che Cristo ha
tracciato nel Vangelo, parlando molte volte del compimento della
volontà di Dio, dell'incessante ricerca di essa. «Mio cibo è fare
la volontà di colui che mi ha mandato a compiere la sua opera». «Perché
non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato».
«Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché
io faccio sempre le cose che gli sono gradite». «Perché sono
disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di
colui che mi ha mandato». Questo compimento costante della volontà
del Padre fa pensare anche a quella confessione messianica del
salmista dell'antica alleanza: «Sul rotolo del libro di me è
scritto: che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la
tua legge è nel profondo del mio cuore» (Gv 4,34; 5,30; 6,38).
Tale obbedienza del Figlio - piena
di gioia - raggiunge il suo zenit di fronte alla passione e alla
croce: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia, non
sia fatta la mia, ma la tua volontà». Sin dalla preghiera nel
Getsemani la disponibilità di Cristo a compiere la volontà del Padre
si riempie fino all'orlo di sofferenza, diventa quell'obbedienza «fino
alla morte e alla morte di croce», di cui parla san Paolo.
Mediante il voto di obbedienza le
persone consacrate decidono di imitare con umiltà in modo particolare
l'obbedienza del Redentore. Benché, infatti, la sottomissione alla
volontà di Dio e l'obbedienza alla sua legge siano per ogni stato
condizione di vita cristiana, tuttavia nello «stato religioso»,
nello «stato di perfezione», il voto di obbedienza stabilisce nel
cuore di ciascuno e di ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, il
dovere di uno speciale riferimento a Cristo «obbediente fino alla
morte». E poiché questa obbedienza di Cristo costituisce il nucleo
essenziale dell'opera della redenzione, come risulta dalle parole
sopra citate dell'Apostolo, perciò anche nell'adempiere il consiglio
evangelico dell'obbedienza si deve scorgere un momento particolare di
quell'«economia della redenzione», che pervade tutta la vostra
vocazione nella Chiesa.
Di qui scaturisce quella «disponibilità
totale allo Spirito Santo», che agisce innanzitutto nella Chiesa,
come si esprime il mio predecessore Paolo VI nell'esortazione
apostolica «Evangelica Testificatio», ma che si manifesta, altresì,
nelle costituzioni dei vostri istituti. Di qui scaturisce quella
religiosa sottomissione, che in spirito di fede le persone consacrate
dimostrano ai propri superiori legittimi, che tengono il posto di Dio.
Nella lettera agli Ebrei troviamo su questo tema un'indicazione molto
significativa: «Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi,
perché essi vegliano per le vostre anime, come chi ha da renderne
conto». E l'autore della lettera aggiunge: «Obbedite, perché
facciano questo con gioia e non gemendo: ciò non sarebbe vantaggioso
per voi» (Eb 13,17).
I superiori, d'altra parte, memori
di dover esercitare in spirito di servizio la potestà loro conferita
per il tramite del ministero della Chiesa, si mostreranno disponibili
all'ascolto dei propri fratelli per discernere meglio quanto il
Signore richiede da ciascuno, ferma restando l'autorità loro propria
di decidere e di comandare ciò che riterranno opportuno.
Di pari passo con la
sottomissione-obbedienza così concepita va l'atteggiamento di
servizio, che informa tutta la vostra vita ad esempio del Figlio
dell'uomo, il quale «non venne per essere servito, ma per servire e
dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). E la sua
Madre, nel momento decisivo dell'annunciazione-incarnazione,
penetrando sin dall'inizio in tutta l'economia salvifica della
redenzione, disse: «Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me
quello che hai detto» (Lc 1,38).
Ricordate anche, cari fratelli e
sorelle, che l'obbedienza a cui vi siete impegnati, consacrandovi
senza riserva a Dio mediante la professione dei consigli evangelici,
è una particolare espressione della libertà interiore, così come
definitiva espressione della libertà di Cristo fu la sua obbedienza
«fino alla morte»: «Io offro la mia vita, per poi riprenderla di
nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso» (Gv 10,17-18).
VI.
AMORE
ALLA CHIESA
Testimonianza
14. Nell'anno giubilare della
redenzione la Chiesa intera desidera rinnovare il suo amore verso
Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo, suo Signore e insieme suo
Sposo divino. E perciò in questo anno santo essa guarda con singolare
attenzione a voi, cari fratelli e sorelle, che, come persone
consacrate, occupate un posto speciale sia nella comunità universale
del popolo di Dio, sia in ogni comunità locale. Se la Chiesa desidera
che mediante la grazia del giubileo straordinario si rinnovi anche il
vostro amore verso Cristo, al tempo stesso essa è pienamente
consapevole che questo amore costituisce un bene speciale dell'intero
popolo di Dio. La Chiesa è consapevole che, nell'amore che Cristo
riceve dalle persone consacrate, l'amore dell'intero corpo viene
indirizzato in modo speciale ed eccezionale verso lo sposo, che in
pari tempo è capo di questo corpo. La Chiesa vi esprime, cari
fratelli e sorelle, la sua gratitudine per la consacrazione e per la
professione dei consigli evangelici, che sono una particolare
testimonianza d'amore. Essa, nello stesso tempo, riconferma la sua
grande fiducia in voi, che avete scelto uno stato di vita che è un
dono speciale di Dio alla sua Chiesa. Essa conta sulla vostra
collaborazione completa e generosa, affinché, come fedeli
amministratori di così prezioso dono, voi «sentiate con la Chiesa»
e sempre collaboriate con essa, in conformità con gli insegnamenti e
con le direttive del magistero di Pietro e dei pastori in comunione
con lui, coltivando, a livello personale e comunitario, una rinnovata
coscienza ecclesiale. E contemporaneamente essa prega per voi, affinché
la vostra testimonianza d'amore non venga mai meno, e vi chiede anche
di accogliere con questo spirito il presente messaggio dell'anno
giubilare della redenzione.
Proprio così pregava l'Apostolo
nella sua lettera ai Filippesi: «che la vostra carità si arricchisca
sempre più... in ogni genere di discernimento, perché possiate
sempre distinguere il meglio ed essere integri e irreprensibili per il
giorno di Cristo, ricolmi del frutto di giustizia» (Fil 1,9-11).
Per opera della redenzione di
Cristo «l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo
dello Spirito Santo, che ci è stato dato». Chiedo incessantemente
allo Spirito Santo di concedere a ciascuno e a ciascuna di voi, «secondo
il proprio dono», di dare una particolare testimonianza di quest'amore.
Vinca in voi, in modo degno della vostra vocazione, «la legge dello
Spirito che dà vita in Cristo Gesù...», quella legge che ci ha «liberato
dalla legge...della morte». Vivete, dunque, di questa vita nuova a
misura della vostra consacrazione e anche a misura dei diversi doni di
Dio, che corrispondono alla vocazione delle singole famiglie
religiose. La professione dei consigli evangelici indica a ciascuno e
a ciascuna di voi in quale modo potete «con l'aiuto dello Spirito
Santo far morire» tutto ciò che è contrario alla vita e serve al
peccato e alla morte, tutto ciò che si oppone al vero amore di Dio e
degli uomini. Il mondo ha bisogno dell'autentica «contraddizione»
della consacrazione religiosa, come incessante lievito del
rinnovamento salvifico. «Non conformatevi alla mentalità di questo
secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter
discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e
perfetto» (Rm 8,2.13; 12,2). Dopo lo speciale periodo di
sperimentazione e di aggiornamento, previsto dal motu proprio «Ecclesiae
Sanctae», i vostri istituti hanno ricevuto recentemente o si
apprestano a ricevere l'approvazione della Chiesa alle costituzioni
rinnovate. Che tale dono della Chiesa vi stimoli a conoscerle, ad
amarle e, soprattutto, a viverle nella generosità e nella fedeltà,
ricordando che l'obbedienza è una manifestazione non equivoca
dell'amore.
Proprio di questa testimonianza
d'amore hanno bisogno il mondo d'oggi e l'umanità. Essi hanno bisogno
della testimonianza della redenzione, così come questa è impressa
nella professione dei consigli evangelici. Questi consigli, ognuno nel
modo a lui proprio, e tutti insieme nella loro intima connessione, «rendono
testimonianza» alla redenzione, che, con la potenza della croce e
della risurrezione di Cristo, guida il mondo e l'umanità nello
Spirito Santo verso quel compimento definitivo, che l'uomo - e, per
mezzo dell'uomo, la creazione intera - trovano in Dio, e solo in Dio.
La vostra testimonianza, perciò, è inestimabile. Bisogna adoperarsi
con costanza, affinché essa sia pienamente trasparente e pienamente
fruttuosa in mezzo agli uomini. A ciò gioverà, altresì,
l'osservanza fedele delle norme della Chiesa che riguardano la
manifestazione anche esterna della vostra consacrazione e del vostro
impegno di povertà.
Apostolato
15. Da tale testimonianza di amore
sponsale per Cristo, attraverso la quale diventa particolarmente
visibile tra gli uomini l'intera verità salvifica del Vangelo, nasce
anche, cari fratelli e sorelle, come propria della vostra vocazione,
la partecipazione all'apostolato della Chiesa, alla sua missione
universale, la quale si realizza contemporaneamente in mezzo a tutte
le nazioni in tanti modi diversi e mediante la molteplicità dei doni
elargiti da Dio. La vostra missione specifica va armoniosamente di
pari passo con la missione degli apostoli, che il Signore inviò «in
tutto il mondo» per «ammaestrare tutte le nazioni», ed è unita,
altresì, a questa missione dell'ordine gerarchico. Nell'apostolato,
che svolgono le persone consacrate, il loro amore sponsale per Cristo
diventa in modo quasi organico amore per la Chiesa come corpo di
Cristo, per la Chiesa come popolo di Dio, per la Chiesa che è insieme
sposa e madre.
E' difficile descrivere, anzi
persino elencare, in quanti modi diversi le persone consacrate
realizzino, mediante l'apostolato, il loro amore verso la Chiesa. Esso
è sempre nato da quel dono particolare dei vostri Fondatori, che,
ricevuto da Dio e approvato dalla Chiesa, è divenuto un carisma per
l'intera comunità. Quel dono corrisponde alle diverse necessità
della Chiesa e del mondo nei singoli momenti della storia, e a sua
volta si prolunga e si consolida nella vita delle comunità religiose
come uno degli elementi duraturi della vita e dell'Apostolato della
Chiesa. In ognuno di questi elementi, in ogni campo - sia in quello
della contemplazione feconda per l'apostolato, sia in quello
dell'azione direttamente apostolica - vi accompagna la costante
benedizione della Chiesa, e insieme la sua pastorale e materna
sollecitudine per quanto riguarda l'identità spirituale della vostra
vita e la rettitudine del vostro operare in seno alla grande comunità
universale delle vocazioni e dei carismi dell'intero popolo di Dio.
Sia per mezzo di ciascuno degli istituti separatamente presi, sia
mediante la loro organica integrazione, nel complesso della missione
della Chiesa è posta in particolare risalto quell'economia della
redenzione, il cui segno profondo ciascuno e ciascuna di voi, cari
fratelli e sorelle, porta in sé mediante la consacrazione e la
professione dei consigli evangelici.
E perciò, anche se sono
estremamente importanti le molteplici opere apostoliche che svolgete,
tuttavia l'opera di apostolato veramente fondamentale rimane sempre ciò
che (e insieme chi) voi siete nella Chiesa. Di ciascuno e di ciascuna
di voi si possono ripetere, a titolo speciale, queste parole
dell'Apostolo: «Voi, infatti, siete morti, e la vostra vita è ormai
nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3). E al tempo stesso questo «essere
nascosti con Cristo in Dio» permette di riferire a voi le parole del
Maestro stesso: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini,
perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro
che è nei cieli» (Mt 5,16).
Per questa luce, con la quale
dovete «risplendere davanti agli uomini», è importante tra voi la
testimonianza della reciproca carità, legata allo spirito fraterno di
ogni comunità, poiché il Signore ha detto: «Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli
altri» (Gv 13,35).
La natura fondamentalmente
comunitaria della vostra vita religiosa, nutrita della dottrina
evangelica, della sacra liturgia e, soprattutto, dell'eucaristia,
costituisce un modo privilegiato di realizzare questa dimensione
interpersonale e sociale: prevenendovi con premure reciproche,
portando i pesi gli uni degli altri, voi manifestate con la vostra
unità che il Cristo è vivo in mezzo a voi. E' importante per il
vostro apostolato nella Chiesa ogni sensibilità alle necessità e
alle sofferenze dell'uomo, quali si mostrano così apertamente e in
modo così toccante nel mondo d'oggi. Infatti, l'Apostolo insegna: «Portate
i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo»; e
aggiunge che «pieno compimento della legge è l'amore» (Rm 13,10).
La vostra missione deve essere
visibile! Deve essere profondo, molto profondo il legame che la unisce
alla Chiesa! Mediante tutto ciò che fate e, soprattutto, mediante
tutto ciò che siete, sia proclamata e riconfermata la verità che «Cristo
ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25), la verità
che sta alla base dell'intera economia della redenzione. Che da
Cristo, redentore del mondo, zampilli anche l'inesauribile fonte del
vostro amore per la Chiesa!
VII.
CONCLUSIONE
Illuminati gli occhi della
mente
16. Questa esortazione, che vi
indirizzo nella solennità dell'Annunciazione dell'anno giubilare
della redenzione, vuol essere espressione di quell'amore, che la
Chiesa nutre per i religiosi e per le religiose. Voi, infatti, cari
fratelli e sorelle, siete un bene speciale della Chiesa. E questo bene
diventa ancor più comprensibile mediante la meditazione della realtà
della redenzione, per la quale il corrente anno santo offre una
costante occasione e un felice incoraggiamento. Riconoscete, dunque,
in questa luce, la vostra identità e la vostra dignità. Che lo
Spirito Santo - per opera della croce e della risurrezione di Cristo -
«possa davvero illuminare gli occhi della vostra mente, per farvi
comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria
racchiude la sua eredità fra i santi» (Ef 1,18).
Questi «occhi illuminati della
mente» la Chiesa chiede incessantemente per ciascuno e ciascuna di
voi, che già siete entrati nella via della professione dei consigli
evangelici. Gli stessi «occhi illuminati» la Chiesa, insieme con
voi, chiede per tanti cristiani, specialmente per la gioventù
maschile e femminile, affinché essi possano scoprire questa via e non
abbiano paura di intraprenderla, affinché - anche in mezzo alle
avverse circostanze della vita d'oggi - possano udire il «seguimi»
di Cristo. Voi pure dovete adoperarvi a questo fine con la vostra
preghiera e anche con la testimonianza di quell'amore, per il quale «Dio
rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi» (1Gv 4,12). Che
questa testimonianza diventi dappertutto presente e universalmente
leggibile. Che l'uomo dei nostri tempi, spiritualmente affaticato,
trovi in essa sostegno e speranza. Servite perciò i fratelli con la
gioia, che sgorga da un cuore abitato da Cristo. «Possa il mondo del
nostro tempo... ricevere la buona novella non da evangelizzatori
tristi e scoraggiati... ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi
fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo»
(«Evangelii Nuntiandi», 80).
La Chiesa, nel suo amore per voi,
non cessa «di piegare le ginocchia davanti al Padre», perché operi
in voi «il rafforzamento dell'uomo interiore», e come in voi, così
lo operi anche in tanti altri nostri fratelli e sorelle battezzati,
specialmente giovani, affinché trovino la stessa via alla santità,
che nella storia hanno percorso tante generazioni insieme con Cristo -
redentore del mondo e sposo delle anime -, lasciando spesso dietro di
sé l'alone intenso della luce di Dio sullo sfondo di grigiore e di
tenebre dell'umana esistenza.
A tutti voi, che percorrete questa
strada nella presente fase della storia della Chiesa e del mondo, si
rivolge questo fervido augurio nell'anno giubilare della redenzione,
affinché «radicati e fondati nella carità siate in grado di
comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza,
l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa
ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio».
Messaggio della solennità
dell'annunciazione del Signore
17. Nella festività
dell'Annunciazione di quest'anno santo depongo la presente esortazione
nel cuore della Vergine immacolata. Tra tutte le persone consacrate
senza riserva a Dio, ella è la prima. Ella - la Vergine di Nazaret -
è anche la più pienamente consacrata a Dio, consacrata nel modo più
perfetto. Il suo amore sponsale raggiunge il vertice nella maternità
divina per la potenza dello Spirito Santo. Ella, che come Madre porta
Cristo sulle braccia, al tempo stesso realizza nel modo più perfetto
la sua chiamata: «seguimi». E lo segue - ella, la Madre - come suo
maestro in castità, in povertà e in obbedienza.
Quanto fu povera nella notte di
Betlemme, e quanto povera sul Calvario! Quanto fu obbediente durante
l'annunciazione, e poi - ai piedi della croce - obbediente fino a
consentire alla morte del Figlio, il quale si era fatto obbediente «fino
alla morte»! Quanto fu dedita in tutta la sua vita terrena alla causa
del regno dei cieli per castissimo amore!
Se la Chiesa intera trova in Maria
il suo primo modello, a maggior ragione lo trovate voi, persone e
comunità consacrate all'interno della Chiesa! Nel giorno che riporta
alla memoria l'inaugurazione del giubileo della redenzione, avvenuta
lo scorso anno, mi rivolgo a voi col presente messaggio, per invitarvi
a ravvivare la vostra consacrazione religiosa secondo il modello della
consacrazione della stessa Genitrice di Dio.
Diletti fratelli e sorelle! «Fedele
è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del figlio suo
Gesù Cristo» (1Cor 1,9). Perseverando nella fedeltà a colui che è
fedele, sforzatevi di cercare un sostegno specialissimo in Maria!
Ella, infatti, è stata chiamata da Dio alla comunione più perfetta
col Figlio suo. Sia ella, la Vergine fedele, anche la Madre nella
vostra via evangelica: vi aiuti a sperimentare e a dimostrare davanti
al mondo quanto infinitamente fedele è Dio stesso!
Con questi voti di gran cuore vi
benedico.
Dal Vaticano, il 25 marzo
dell'anno giubilare della redenzione 1984, sesto di pontificato.