LETTERA
APOSTOLICA
A
CONCILIO CONSTANTINOPOLITANO I
DEL SANTO PADRE
PAPA GIOVANNI PAOLO II
PER IL 1600° ANNIVERSARIO
DEL I CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
E PER IL 1550° ANNIVERSARIO
DEL CONCILIO DI EFESO
Carissimi Fratelli
nell'Episcopato,
I.
1. Mi spinge a scrivervi questa
lettera, che è insieme una riflessione teologica e un invito
pastorale, nato dal profondo del cuore, anzitutto la ricorrenza del
XVI centenario del primo Concilio di Costantinopoli, celebrato appunto
nel 381. Esso, come ho sottolineato fin dall'alba del nuovo anno nella
Basilica di San Pietro, «dopo il Concilio di Nicea fu il secondo
Concilio Ecumenico della Chiesa... al quale dobbiamo il
"Credo" che è recitato costantemente nella liturgia.
Un'eredità particolare di quel Concilio è la dottrina sullo Spirito
Santo così proclamata nella liturgia latina: «"Credo in
Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem... qui cum Patre et Filio
simul adoratur et conglorificatur, qui locutus est per prophetas"»
(«L'Osservatore Romano», 2-3 gennaio 1981).
Queste parole ripetute nel «Credo»
da tante generazioni cristiane avranno perciò quest'anno per noi un
particolare significato dottrinale e affettivo, e ci ricorderanno i
vincoli profondi che legano la Chiesa del nostro tempo - nella
prospettiva ormai dell'avvento del terzo millennio della sua vita
prodigiosamente ricca e provata, continuamente partecipe della Croce e
della Risurrezione del Cristo, nella virtù dello Spirito Santo - a
quella del quarto secolo, nell'unica continuità delle sue prime
origini, e nella fedeltà all'insegnamento del Vangelo e alla
predicazione apostolica.
Basta quanto enunciato per
comprendere come l'insegnamento del Concilio Costantinopolitano I sia
tuttora l'espressione dell'unica fede comune della Chiesa e di tutto
il cristianesimo. Confessando questa fede - come facciamo ogni volta
che recitiamo il «Credo» - e ravvivandola nella prossima
commemorazione centenaria, noi vogliamo mettere in rilievo ciò che ci
unisce con tutti i nostri fratelli, nonostante le divisioni avvenute
nei secoli. Facendo questo a 1600 anni dal Concilio Costantinopolitano
I, noi ringraziamo Dio per la Verità del Signore, che, grazie
all'insegnamento di quel Concilio, illumina le vie della nostra fede,
e le vie della vita in virtù della fede. In questa ricorrenza si
tratta non soltanto di ricordare una formula di fede, che è in vigore
da sedici secoli nella Chiesa, ma al tempo stesso di rendere sempre più
presente al nostro spirito, nella riflessione, nella preghiera, nel
contributo della spiritualità e della teologia, quella forza
personale divina che da la vita, quel Dono ipostatico - «Dominum et
Vivifcantem» - quella Terza Persona della Santissima Trinità che in
questa fede viene partecipata dalle singole anime e dalla Chiesa
tutta. Lo Spirito Santo continua a vivificare la Chiesa, e a spingerla
sulle vie della santità e dell'amore. Come bene sottolinea Sant'Ambrogio,
nell'opera «De Spiritu Sancto», «sebbene Egli sia inaccessibile per
natura, tuttavia può essere ricevuto da noi grazie alla sua bontà;
riempie tutto con la sua virtù, ma di lui partecipano soltanto i
giusti; è semplice nella sua sostanza, ricco di virtù, presente in
tutti, divide ciò che è suo per donarlo a ognuno ed è tutto intero
in ogni luogo» (Sant'Ambrogio «De Spiritu Sancto», I, V, 72; ed. O.
Faller, CSEL 79, Vindobonae 1964, p. 45).
2. Il ricordo del Concilio di
Costantinopoli, che fu il secondo Concilio Ecumenico della Chiesa,
rende consapevoli noi, uomini del cristianesimo del secondo millennio
che sta per finire, di quanto fosse vivo, nei primi secoli del primo
millennio, in mezzo alla crescente comunità dei credenti, il bisogno
di intendere e di proclamare giustamente, nella confessione della
Chiesa, l'inscrutabile mistero di Dio nella sua trascendenza assoluta:
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questo, ed altri
contenuti chiave della verità e della vita cristiana, hanno prima di
tutto attirato su di sé l'attenzione dei fedeli; pure intorno a tali
contenuti sono nate numerose interpretazioni, anche divergenti, le
quali esigevano la voce della Chiesa, la sua solenne testimonianza in
virtù della promessa fatta da Cristo nel cenacolo: «Il Consolatore,
lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, ...vi ricorderà
tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26); Egli, lo Spirito di verità,
«vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13).
Così, nel corrente anno 1981,
dobbiamo in modo speciale ringraziare lo Spirito Santo perché in
mezzo alle molteplici oscillazioni del pensiero umano, ha permesso
alla Chiesa di esprimere la propria fede, pur nelle peculiarità
espressive dell'epoca, in piena coerenza con la «verità tutta intera».
«Credo nello Spirito Santo che è
Signore e dà la vita, e procede dal Padre. Con il Padre e il Figlio
è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti», così
suonano le parole del simbolo di fede del primo Concilio di
Costantinopoli nel 381 (Così citato per la prima volta negli Atti del
Concilio Calcedonense, act. II: ed. E. Schwarts, «Acta Conciliorum
Oecumenicorum, II Concilium universale Chalcedonense», Berolini et
Lipsiae 1927-32, 1, 2, p. 80; cfr. anche «Conciliorum Oecumenicorum
Decreta», Bologna 1973, p. 24), che ha illustrato il mistero dello
Spirito Santo, della sua origine dal Padre, affermando così l'unità
e l'uguaglianza nella divinità di questo Spirito Santo con il Padre e
con il Figlio.
II.
3. Ricordando il XVI centenario
del Concilio Costantinopolitano I non posso peraltro passare sotto
silenzio un'altra significativa circostanza, che riguarda il 1981:
quest'anno, infatti, ricorre anche il 1550· anniversario del Concilio
di Efeso, celebrato nel 431. E' un ricordo che si pone come all'ombra
del precedente Concilio, ma che riveste anch'esso una importanza
particolare per la nostra fede, ed è sommamente degno di essere
ricordato.
Nello stesso simbolo noi recitiamo
infatti, nel cuore della comunità liturgica che si prepara a rivivere
i Divini Misteri: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria
Virgine, et homo factus est: e per opera dello Spirito Santo si è
incarnato nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo». Il
Concilio Efesino ebbe pertanto un valore soprattutto cristologico,
definendo le due nature in Gesù Cristo, quella divina e quella umana,
per precisare la dottrina autentica della Chiesa già espressa dal
Concilio di Nicea nel 325, ma che era stata messa in pericolo dalla
diffusione di differenti interpretazioni della verità già chiarita
in quel Concilio, e specialmente di alcune formule usate
nell'insegnamento nestoriano. In stretta connessione con queste
affermazioni, il Concilio di Efeso ebbe inoltre un significato
soteriologico, ponendo in luce che - secondo il noto assioma - «ciò
che non è assunto non è salvato». Ma altrettanto strettamente
congiunto col valore di quelle definizioni dogmatiche, era altresì la
verità concernente la Vergine Santa, chiamata all'unica e
irripetibile dignità di Madre di Dio, di «Theotokos», come è messo
in solare evidenza principalmente dalle lettere di san Cirillo a
Nestorio («Acta Conciliorum Oecumenicorum, I, Concilium universale
Ephesinum»: ed E. Schwartz, I, 1, pp 25-28; cfr. anche «Conciliorum
Oecumenicorum Decreta», Bologna 1973, pp. 40-44; 50-61) e dalla
splendida «Formula unionis» del 433 («Acta Conciliorum
Oecumenicorum», I, I, 4, pp 8s (A); cfr. anche «Conciliorum
Oecumenicorum Decreta», Bologna 1973, pp. 69s ). E' stato tutto un
inno innalzato da quegli antichi padri alla incarnazione del Figlio
Unigenito di Dio, nella piena verità delle due nature nell'Unica
persona: è stato un inno all'opera della salvezza, realizzata nel
mondo per opera dello Spirito Santo: e tutto ciò non poteva non
ridondare ad onore della Madre di Dio, prima cooperatrice della
potenza dell'Altissimo, che l'ha adombrata nel momento
dell'Annunciazione nel luminoso sopravvenire dello Spirito (cfr. Lc
1,35). E così compresero le nostre sorelle e i nostri fratelli di
Efeso, che la sera del 22 giugno, giorno inaugurale del Concilio,
celebrato nella Cattedrale della «Madre di Dio», acclamarono con
quel titolo la Vergine Maria e portarono in trionfo i Padri al termine
di quella prima sessione.
Mi sembra pertanto molto opportuno
che anche quell'antico Concilio, il terzo della storia della Chiesa,
sia da noi ricordato nel suo ricco contesto teologico ed ecclesiale.
La Vergine santissima è Colei che, all'ombra della potenza della
Trinità, è stata la creatura più strettamente associata all'opera
della salvezza. L'incarnazione del Verbo è avvenuta sotto il suo
cuore, per opera dello Spirito Santo. In Lei si è accesa l'aurora
della nuova umanità che con Cristo si presentava nel mondo per
portare a compimento il piano originario dell'alleanza con Dio,
infranta dalla disobbedienza del primo uomo. «Et
incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine».
4. I due anniversari, sia pure a
diverso titolo e con diversa rilevanza storica, ridondano ad onore
dello Spirito Santo. Tutto ciò si è compiuto per opera dello Spirito
Santo. Si vede quanto profondamente queste due grandi commemorazioni,
a cui è doveroso fare riferimento nell'anno del Signore 1981, siano
unite tra loro nell'insegnamento e nella professione della fede della
Chiesa, della fede di tutti i cristiani. Fede nella Santissima Trinità:
fede nel Padre, da cui provengono tutti i doni (cfr. Gc 1,17). Fede
nel Cristo Redentore dell'uomo. Fede nello Spirito Santo. E, in questa
luce, venerazione alla Madonna, che «acconsentendo alla parola divina
diventò Madre di Gesù, e, abbracciando con tutto l'animo e senza
impedimento alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò
totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e
all'opera del Figlio suo» e perciò «non fu strumento meramente
passivo nelle mani di Dio, ma... cooperò alla salvezza dell'uomo con
libera fede e obbedienza» («Lumen Gentium», 56). Ed è tanto bello
che, come Maria aspettò con questa fede la venuta del Signore, così,
anche in questa fine de secondo millennio, essa sia presente a
illuminare la nostra fede, in tale prospettiva di «avvento».
Tutto ciò è per noi fonte di
immensa gioia, fonte di gratitudine per la luce di questa fede,
mediante la quale partecipiamo agli inscrutabili misteri divini,
facendone il contenuto vitale delle nostre anime, dilatando in esse
gli orizzonti della nostra dignità spirituale e dei nostri destini
umani. E perciò, anche questi grandi anniversari non possono rimanere
per noi solamente un ricordo del lontano passato. Devono rivivere
nella fede della Chiesa, devono risuonare con un'eco nuova nella sua
spiritualità, devono anzi trovare la manifestazione esterna della
loro sempre viva attualità per l'intera comunità dei credenti.
5. Scrivo queste cose prima di
tutto a voi, miei amati e venerati fratelli nel servizio episcopale.
Mi rivolgo, al tempo stesso, ai fratelli sacerdoti, i più stretti
collaboratori nella vostra sollecitudine pastorale «in virtute
Spiritus Sancti». Mi rivolgo ai fratelli e sorelle di tutte le
famiglie religiose maschili e femminili, in mezzo alle quali dovrebbe
essere particolarmente viva la testimonianza dello Spirito di Cristo
ed altresì particolarmente cara la missione di Colei che ha voluto
essere l'Ancella del Signore (cfr. Lc 1,38). Mi rivolgo infine a tutti
i fratelli e sorelle del laicato della Chiesa, i quali, professandone
la fede, insieme a tutti gli altri membri della comunità ecclesiale,
tante volte e da tante generazioni rendono sempre vivo il ricordo dei
grandi Concili. Sono convinto che essi accetteranno con gratitudine la
rievocazione di queste date e di questi anniversari, specialmente
quando insieme ci renderemo conto di quanto «attuali» siano, al
tempo stesso, i misteri, ai quali i due Concili hanno dato una
autorevole espressione già nella prima metà del primo millennio
della storia della Chiesa.
Oso infine nutrire la speranza,
che la commemorazione dei Concili di Costantinopoli e di Efeso, i
quali sono stati l'espressione di fede insegnata e professata dalla
Chiesa indivisa, ci faccia crescere nella reciproca comprensione con i
nostri amati fratelli nell'Oriente e nell'Occidente, con i quali
ancora non ci unisce la piena comunione ecclesiale, ma insieme ai
quali cerchiamo nella preghiera, con umiltà e con fiducia, le vie
all'unità nella verità. Che cosa, infatti, può meglio affrettare il
cammino verso questa unità, quanto il ricordo e, insieme, la
vivificazione di ciò che per tanti secoli è stato ill contenuto
della fede professata in comune, anzi di ciò che non ha cessato di
essere tale, anche dopo le dolorose divisioni che si sono verificate
nel corso dei secoli?
III.
6. E' pertanto mia intenzione che
questi avvenimenti siano vissuti nel loro profondo contesto
ecclesiologico. Non dobbiamo infatti soltanto ricordare questi grandi
anniversari come fatti del passato - ma rianimarli anche con la nostra
contemporaneità, e collegarli in profondità con la vita e i compiti
della Chiesa della nostra epoca, così come essi sono stati espressi
nell'intero messaggio del Concilio della nostra epoca: Il Vaticano II.
Quanto profondamente vivono in tale magistero le verità definite in
quei Concili e quanto esse hanno pervaso il contenuto
dell'insegnamento sulla Chiesa, che è centrale nel Vaticano II!
Quanto sono sostanziali e costitutive per quest'insegnamento e,
ugualmente, quanto intensamente queste fondamentali e centrali verità
del nostro «Credo» vivono, per così dire una vita nuova e brillano
con una luce nuova nell'insieme dell'insegnamento del Vaticano II!
Se il principale compito della
nostra generazione, e può darsi anche delle generazioni future nella
Chiesa, sarà di realizzare e di introdurre nella vita l'insegnamento
e gli orientamenti di questo grande Concilio, quest'anno gli
anniversari dei Concili Costantinopolitano I ed Efesino offrono
l'opportunità di adempiere questo compito nel vivo contesto della
verità che, attraverso i secoli, dura in eterno.
7. «Compiuta l'opera che il Padre
aveva affidato al Figlio sulla terra (cfr. Gv 17,4), il giorno di
Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente
la Chiesa, e perché i credenti avessero così per Cristo accesso al
Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2,18). Questi è lo Spirito che dà
la vita, è una sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna (cfr.
Gv 4,14; 7,38-39); per Lui il Padre ridà la vita agli uomini, morti
per il peccato finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi
mortali (cfr. Rm 8,10-11). Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori
dei fedeli come in un tempio (cfr. 1Cor 3,16; 6,19), e in essi prega e
rende testimonianza della loro adozione filiale (cfr. Gal 4,6; Rm
8,15-16 e 26). Egli guida la Chiesa alla verità tutta intera (cfr. Gv
16,13), la unifica nella comunione e nel mistero, la istruisce e
dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei
suoi frutti (cfr. Ef 4,11-12; 1Cor 12,4; Gal 5,22). Con la forza del
Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la
conduce alla perfetta unione col suo Sposo. Poiché lo Spirito e la
Sposa dicono al Signore Gesù: "Vieni" (cfr. Ap 22,17). Così
la Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato
nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"» («Lumen
Gentium», 4): ecco il passo certamente più ricco, più sintetico,
anche se non unico, il quale indica come, nella totalità
dell'insegnamento del Vaticano II viva di una vita nuova e brilli con
uno splendore nuovo la verità sullo Spirito Santo, alla quale 1600
anni fa ha dato così autorevole espressione il Concilio
Costantinopolitano I.
Tutta l'opera di rinnovamento
della Chiesa, che il Concilio Vaticano II ha così provvidenzialmente
proposto e iniziato - rinnovamento che deve essere ad un tempo «aggiornamento»
e consolidamento in ciò che è eterno e costitutivo per la missione
della Chiesa - non può realizzarsi se non nello Spirito Santo, cioè
con l'aiuto della sua luce e della sua potenza. Questo è importante,
tanto importante, per tutta la Chiesa nella sua universalità, come
pure per ogni Chiesa particolare nella comunione con tutte le altre
Chiese particolari. Questo è importante anche per la via ecumenica
all'interno del cristianesimo e per la sua via nel mondo
contemporaneo, la quale deve svilupparsi nella direzione della
giustizia e della pace. Questo è importante, anche per l'opera delle
vocazioni sacerdotali o religiose e, al tempo stesso, per l'apostolato
dei laici, come frutto di una nuova maturità della loro fede.
8. Le due formulazioni del simbolo
Niceno-Costantinopolitano: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto...
Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem» ci ricordano poi
che la più grande opera compiuta dallo Spirito Santo, alla quale
incessantemente tutte le altre si riferiscono, attingendo da essa come
ad una sorgente, e proprio quella dell'incarnazione del Verbo Eterno,
nel seno della Vergine Maria.
Cristo, Redentore dell'uomo e del
mondo, è il centro della storia: «Gesù Cristo è lo stesso, ieri e
oggi...» (Eb 13,8). Se i nostri pensieri e i nostri cuori permangono
rivolti verso di Lui nella prospettiva del secondo millennio, che sta
per chiudersi e che ci separa dalla sua prima venuta nel mondo, allora
con ciò stesso essi si rivolgono verso lo Spirito Santo, per opera
del quale è avvenuto il suo umano concepimento; e si rivolgono anche
a Colei, dalla quale è stato concepito ed è nato: alla Vergine
Maria. Proprio gli anniversari dei due grandi Concili dirigono quest'anno
in modo speciale i nostri pensieri e i nostri cuori verso lo Spirito
Santo e verso la madre di Dio, Maria. E se ricordiamo quanta gioia ed
esultanza suscitò 1550 anni fa a Efeso la professione di fede nella
maternità divina della Vergine Maria (Theotokos), comprendiamo allora
che in quella professione di fede è stata insieme glorificata la
particolare opera dello Spirito Santo: cioè quella che compongono sia
l'umano concepimento e la nascita del Figlio di Dio per opera dello
Spirito Santo, sia, sempre per opera dello stesso Spirito Santo, la
maternità santissima della Vergine Maria. Questa maternità non solo
è fonte e fondamento di tutta l'eccezionale santità di Maria e della
sua particolarissima partecipazione a tutta l'economia della salvezza,
ma stabilisce anche un permanente legame materno con la Chiesa,
derivante dal fatto stesso che Essa è stata scelta dalla Santissima
Trinità come Madre di Cristo, il quale è il Capo del Corpo, cioè
della Chiesa» (Col 1,18). Questo legame si rivela particolarmente
sotto la croce, dove Maria, «soffrendo profondamente col suo
Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di Lui,
...dallo stesso Gesù morente in croce fu data quale madre al
discepolo con queste parole: «Donna, ecco il tuo figlio» (cfr. Gv
19,26-27)» («Lumen Gentium», 58).
Il Concilio Vaticano II, poi,
sintetizza felicemente la relazione inscindibile di Maria Santissima
con Cristo e con la Chiesa: «Essendo piaciuto a Dio di non
manifestare solennemente il mistero della salvezza umana prima di
avere effuso lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli Apostoli prima
del giorno della Pentecoste "perseveranti d'un sol cuore nella
preghiera con le donne e Maria Madre di Gesù e i fratelli di
Lui" (At 1,14), e anche Maria implorante con le sue preghiere il
dono dello Spirito, che l'aveva già ricoperta nell'Annunciazione» («Lumen
Gentium», 59). Con questa espressione il testo del Concilio unisce
tra di loro i due momenti, nei quali la maternità di Maria è più
strettamente legata all'opera dello Spirito Santo: dapprima, il
momento dell'Incarnazione, e poi quello della nascita della Chiesa nel
Cenacolo di Gerusalemme.
IV
9. Tutti questi grandi e
importanti motivi, e il confluire di circostanze così significative
persuadono pertanto a far sì che nell'anno in corso, doppiamente
giubilare, si metta in particolare evidenza la solennità della
Pentecoste in tutta la Chiesa.
Invito perciò a Roma in quel
giorno tutte le Conferenze Episcopali della Chiesa Cattolica e i
Patriarcati e Metropolie delle Chiese Orientali cattoliche, nella
rappresentanza che piacerà loro di inviare, affinché insieme
possiamo rinnovare quell'eredita che abbiamo ricevuto dal Cenacolo
della Pentecoste e nella potenza dello Spirito Santo: è Lui infatti
che ha mostrato alla Chiesa, nel momento della sua nascita, quella via
che conduce a tutte le nazioni, a tutti i popoli e lingue, e al cuore
di tutti gli uomini.
Trovandoci raccolti nell'unità
collegiale come gli eredi della sollecitudine apostolica per tutte le
Chiese (cfr. 2Cor 11,28) attingeremo all'abbondanza sorgiva dello
stesso Spirito, che guida la missione della Chiesa sulle vie
dell'umanità contemporanea alla fine del secondo millennio dopo
l'Incarnazione del Verbo, per opera dello Spirito Santo nel seno della
Vergine Maria.
10. La prima parte della solennità
ci riunirà, al mattino, nella Basilica di san Pietro in Vaticano per
cantare con tutto il cuore il nostro Credo «in Spiritum Sanctum,
Dominum et vivificantem... qui locutus est per prophetas... Et unam
sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam». A tanto ci spinge il
1600· anniversario del Concilio Costantinopolitano I: come gli
Apostoli nel Cenacolo, come i Padri di quel Concilio ci riunirà Colui
il quale «con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa» e «continuamente
la rinnova» (cfr. «Lumen Gentium», 4).
In tal modo la solennità della
Pentecoste di quest'anno diventerà una sublime e riconoscente
professione di quella fede nello Spirito Santo, Signore e Datore di
vita, che in modo particolare dobbiamo a quel Concilio. E al tempo
stesso, diventerà un'umile preghiera e un'ardente invocazione affinché
questo stesso Spirito Santo ci aiuti a «rinnovare la faccia della
terra», anche mediante l'opera di rinnovamento della Chiesa secondo
il pensiero del Vaticano II. Che quest'opera si svolga in modo maturo
e regolare in tutte le Chiese, in tutte le comunità cristiane; che
essa si compia prima di tutto nelle anime degli uomini, perché non è
possibile un vero rinnovamento senza una continua conversione a Dio.
Chiederemo allo Spirito di Verità di rimanere, sulla via di questo
rinnovamento, perfettamente fedeli a quel «parlare dello Spirito»,
che è per noi attualmente l'insegnamento del Vaticano II, di non
lasciare questa via spinti da un certo riguardo verso lo spirito del
mondo. Chiederemo inoltre a Colui che e «fons vivus, ignis, caritas»
- acqua viva, fuoco, amore -, di permeare noi stessi e tutta la
Chiesa, e infine la famiglia umana, di quell'amore che «tutto spera,
tutto sopporta», e che «non avrà mai fine» (1Cor 13,7-8).
Non c'è alcun dubbio che, nella
presente tappa della storia della Chiesa e dell'umanità, si senta un
particolare bisogno di approfondire e di rianimare questa verità. Ce
ne darà occasione, a Pentecoste, la commemorazione del 1600·
anniversario del Concilio Costantinopolitano I. Che lo Spirito Santo
accetti questa nostra manifestazione di fede. Accolga, nella funzione
liturgica della solennità della Pentecoste, quest'umile aprirsi dei
cuori a Lui, il Consolatore, nel quale si rivela e si realizza il dono
dell'unità.
11. In una seconda parte della
celebrazione, ci riuniremo quel giorno, nelle ore del tardo
pomeriggio, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove la parte
mattutina sarà completata con i contenuti, che offre alla nostra
riflessione il 1550· anniversario del Concilio di Efeso. Ce lo
suggerirà anche la singolare coincidenza che la Pentecoste cadrà
quest'anno il 7 giugno, come già avvenne nel 431, e in quel giorno
solenne, che era stato fissato per l'inizio delle sessioni (spostate
poi al 22 giugno), cominciarono ad affluire a Efeso i primi gruppi di
Vescovi.
Tali contenuti saranno tuttavia
visti anch'essi attraverso l'apporto del Concilio Vaticano II, con un
particolare riguardo al mirabile capitolo VII della Costituzione «Lumen
Gentium». Così come il Concilio di Efeso, mediante l'insegnamento
cristologico e soteriologico, permise di riconfermare la verità sulla
Maternità Divina di Maria - la Theotokos - così il Vaticano II ci
permette di ricordare che la Chiesa, la quale nasce nel Cenacolo
gerosolimitano dalla potenza dello Spirito Santo, comincia a guardare
a Maria come all'esempio della maternità spirituale della Chiesa
stessa, e perciò come alla sua figura archetipa. In quel giorno
Colei, che da Paolo VI fu chiamata anche Madre della Chiesa, irradia
la sua potenza di intercessione sulla Chiesa-Madre e ne protegge
quella spinta apostolica di cui questa tuttora vive, generando a Dio i
credenti di tutti i tempi e di tutte le latitudini.
E perciò la liturgia pomeridiana
della solennità di Pentecoste ci riunirà nella principale Basilica
Mariana di Roma per ricordare in modo particolare, mediante tale atto,
che nel cenacolo gerosolimitano gli Apostoli «erano assidui e
concordi nella preghiera, insieme con.... Maria, la Madre di Gesù...»
(At 1,14), preparandosi alla venuta dello Spirito Santo. Similmente
anche noi, in quel giorno così importante, desideriamo di essere
assidui nella preghiera insieme con Colei la quale, secondo le parole
della Costituzione dogmatica del Vaticano II sulla Chiesa, come Madre
di Dio «è figura della Chiesa... nell'ordine della fede, della carità
e della perfetta unione con Cristo» («Lumen Gentium», 63). E così,
perseverando nella preghiera insieme con Lei e pieni di fiducia in
Lei, affideremo alla potenza dello Spirito Santissimo la Chiesa, e la
sua missione tra tutte le nazioni del mondo di oggi e di domani. Noi
infatti portiamo in noi stessi l'eredità di coloro, ai quali Cristo
Risorto ha ordinato di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo
ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15).
Nel giorno di Pentecoste, riuniti
nella preghiera insieme con Maria, la Madre di Gesù, essi si sono
convinti di poter compiere questo ordine con la potenza dello Spirito
Santo, disceso su di loro conformemente al preannunzio del Signore (cfr.
At 1,8). In quello stesso giorno noi, loro eredi, ci stringeremo nello
stesso atto di fede e di preghiera.
V
12. Diletti miei fratelli!
So che il Giovedì Santo voi
rinnovate, nella comunità del presbiterio delle vostre diocesi, il
memoriale dell'Ultima Cena, durante la quale il pane e il vino,
mediante le parole di Cristo e la potenza dello Spirito Santo, sono
diventati il corpo e il sangue del nostro Salvatore, cioè
l'Eucaristia della nostra redenzione.
In quel giorno, o anche in altre
occasioni opportune, parlate a tutto il Popolo di Dio di questi
anniversari e avvenimenti importanti, affinché siano similmente
ricordati e vissuti anche in ogni Chiesa locale e in ogni comunità
della Chiesa, così come essi meritano, nel modo che sarà stabilito
dai singoli Pastori, secondo le indicazioni delle rispettive
Conferenze Episcopali e dei Patriarcati e Metropolie delle Chiese
Orientali.
Nel desiderio vivissimo delle
annunciate celebrazioni, mi è caro impartire a tutti voi, venerati e
carissimi fratelli nell'Episcopato, e, insieme con voi, alle vostre
singole comunità ecclesiali, la mia particolare benedizione
apostolica.
Dato in Roma, presso san
Pietro, il 25 marzo 1981, Solennità dell'Annunciazione del Signore,
terzo anno del Pontificato.