LETTERA
APOSTOLICA
AMANTISSIMA
PROVIDENTIA
DEL SOMMO PONTEFICE
PAPA GIOVANNI PAOLO II
PER IL VI CENTENARIO
DEL TRANSITO DI S. CATERINA DA SIENA
Venerati fratelli e
diletti figli,
salute e apostolica benedizione.
INTRODUZIONE
L'amabile provvidenza
divina si manifesta in vari modi protagonista della storia,
accendendo sempre nuove luci sul cammino dell'uomo. Spesso
sceglie per questo delle persone apparentemente disadatte e ne
eleva talmente le facoltà native, da renderle capaci di
azioni assolutamente superiori alla loro portata. E questo fa
non tanto per confondere la sapienza dei sapienti (1Cor 1,19),
quanto per mettere in luce la sua opera, che non ha bisogno di
sostegni umani, e per indicare più chiaramente agli uomini a
quale dignità li eleva la sua grazia e a quali grandezze
ancora maggiori può e vuole condurli la sua guida.
Ciò è particolarmente
evidente nella vita e nelle opere di santa Caterina da Siena,
di cui quest'anno si celebra il sesto centenario della pia
morte. Sono lieto per questo di additarla nuovamente
all'esempio dei fedeli, non solo d'Italia, ma del mondo
intero. In lei infatti il divino Spirito fece risplendere
meravigliosi arricchimenti di grazia e di umanità, per mezzo
dei doni di sapienza, d'intelletto e di scienza, coi quali la
mente umana diventa estremamente sensibile alle divine
ispirazioni, «nella conoscenza delle cose divine e delle
umane» (S.Thomae «Summa Theologiae», I-IIae, q. 68, a. 5 ad
1).
A lei si possono perciò
applicare le parole del salmista: «Hai spianato la via ai
miei passi, i miei piedi non hanno vacillato» (Sal 17
(18),37). E ancora: «Corro per la via dei tuoi comandamenti,
perché hai dilatato il mio cuore» (Sal 118 (119),32).
L'esperienza umana e
divina
1. Le condizioni d'Italia
e dell'Europa non erano felici, quando venne alla luce in
Siena, nel 1347, la piccola Caterina. Già si profilava
all'orizzonte la tristemente famosa «peste nera», che l'anno
dopo infierì dovunque e seminò la desolazione e la morte in
ogni paese e quasi in ogni famiglia.
Altri mali funestavano il
mondo civile, come le guerre, particolarmente quella dei cento
anni tra Francia e Inghilterra, e le incursioni delle
compagnie di ventura. Nel mondo religioso tutto quel secolo è
riempito, per tre quarti, dal soggiorno dei Papi in Avignone,
e poi dal grande scisma d'occidente, che si prolungò fino al
1417. La storia della mantellata senese s'inserisce vivamente
in queste situazioni e vi fa anche da protagonista.
Figlia di un tintore di
panni, penultima di 25 nati, Caterina prese molto presto
coscienza dei bisogni del mondo e, attratta dall'ideale
apostolico domenicano, volle entrare nelle file del terz'ordine
o, come allora si diceva in Siena, tra le mantellate, le
quali, pur non essendo suore né vivendo in comunità,
portavano l'abito bianco e il mantello nero dell'ordine dei
predicatori. Giovanissima, già si distingueva per la carità
verso i poveri e gli ammalati, la pazienza nel sopportare le
maldicenze degli uomini e le battaglie interiori col demonio,
la saggezza e l'umiltà degli atteggiamenti e dei pensieri.
Intanto si esercitava in
un coraggioso programma ascetico, basato su criteri
efficienti, che avrebbe più tardi inculcati ai suoi
discepoli: «Non lasciar passare i movimenti (della natura
disordinata) che non siano corretti» (S.Catharinae Senensis
«Dialogus», c. 73, p. 161; cfr. c. 60; «Epistulae»,
passim).
Le si raggruppava poi
intorno una varia accolta di discepoli d'ogni ceto, attratti
dalla sua pura fede e dalla schietta accoglienza della parola
di Dio, senza mezzi termini e senza compromessi. Erano laici,
mantellate e religiosi di vari ordini, alcuni conquistati da
fatti prodigiosi. Tutti ricevevano da lei una singolare
assicurazione, di cui spesso sperimentavano la validità:
quella d'assisterli dovunque fossero e di pagare anche per i
loro errori (cfr. S.Catharinae Senensis «Epist.» 99).
Il Signore la istruiva,
come un maestro con la sua alunna, e le scopriva a grado a
grado «quelle cose che sarebbero state utili all'anima sua»
(Raimundi Capuani «Legenda Maior» [in «Acta Sanctorum»,
Apr.]).
Il progresso spirituale
culminò con lo sposalizio nella fede, che poteva sembrare il
sigillo di una vita votata all'isolamento e alla
contemplazione. Invece il Signore, nel darle l'anello
invisibile, intendeva unirla a sé nelle imprese del suo regno
(Raimundi Capuani «Legenda Maior» [in «Acta Sanctorum»,
Apr.], par. 115). La popolana ventenne vedeva ciò in termini
di separazione dallo Sposo celeste, ma egli invece la
rassicurava che intendeva stringerla di più a sé «mediante
la carità del prossimo» (Raimundi Capuani «Legenda Maior»
[in «Acta Sanctorum», Apr.], par. 115), cioè
contemporaneamente sul piano della mistica interiore e su
quello dell'azione esteriore o della mistica sociale, com'è
stato detto (J.Leclercq «La mystique de l'apostolat»,
1922-1947).
Fu come un'impennata verso
più ampi spazi, che s'aprivano davanti alla sua mente e alla
sua iniziativa. Passò dalla conversione di singoli peccatori
alla riconciliazione tra persone o famiglie avversarie; alla
rappacificazione fra città e repubbliche. Non ebbe paura di
passare tra le fazioni in armi né s'arrestò di fronte al
dilatarsi degli orizzonti, che da principio l'avevano
spaventata fino al pianto. L'impulso del maestro divino svelò
in lei come un'umanità d'accrescimento. Per lei, figlia
d'artigiani e donna senza lettere, cioè senza scuola né
istruzione, la visione del mondo e dei suoi problemi superò
enormemente i limiti del suo quartiere, fino a progettare la
sua azione in termini mondiali. Al suo ardire non c'eran più
limiti, né alla sua ansia per la salvezza degli uomini. Un
giorno, racconta lei stessa, il Signore le dette «la croce in
collo e l'ulivo in mano», da portare all'uno e all'altro
popolo, il cristiano e l'infedele, come se Cristo la
sollevasse alle proprie dimensioni universali della salvezza (S.Catharinae
Senensis «Epist.» 219 vel LXV).
Per renderla più conforme
al suo mistero di redenzione e prepararla al suo indefesso
apostolato, il Signore concesse a Caterina il dono delle
stigmate. Ciò avvenne nella chiesa di Santa Cristina, a Pisa,
il 1· aprile 1375.
Caterina ha 29 anni ed è
giunta al punto di rendersi conto della grandezza del suo
compito: «ricomporre l'equilibrio della cristianità» (G.La
Pira, in Comm. «Vita Cristiana», 1940, p. 206). Da anni
propugnava il «santo passaggio», cioè la crociata per la
liberazione dei luoghi santi, sia per distogliere le armi
cristiane dalle guerre fratricide (cfr. S.Catharinae Senensis
«Epist.» 206, vel LXIII), sia per dare «il condimento della
fede» agli infedeli (S.Catharinae Senensis «Epist.» 218 vel
LXXIV).
Nella stessa maniera, e se
possibile anche più appassionata, incoraggiava il Papa alla
riforma morale della Chiesa, cominciando con l'elezione di
buoni pastori. Su questo tema trovava gli accenti più
infiammati, perché per lei «la Chiesa non è altro che esso
Cristo» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 171 vel LX). Ella
rimprovera e denunzia i disordini, ma con animo tutto
accorato, manifestando per la Chiesa una tenerezza materna,
accoppiata a virilità di proposte, quando scrive a Gregorio
XI: «Andate tosto alla sposa vostra, che vi aspetta tutta
impallidita, perché gli poniate il colore» (S.Catharinae
Senensis «Epist.» 231 vel LXXVII). «Reponetele il cuore,
che ha perduto, dell'ardentissima carità: ché tanto sangue
le è succhiato per l'iniqui devoratori che è tutta
impallidita» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 206 vel LXIII).
Ormai s'avvicina il
momento della sua impresa più gloriosa. Nel giugno 1376 si
recò ad Avignone, come mediatrice di pace tra la santa Sede e
Firenze. La questione era difficile: si sarebbe risolta due
anni dopo, non senza una sua nuova mediazione. Ma Caterina
aveva a cuore cose anche più grandi. S'era fatta precedere
dal suo confessore fra Raimondo da Capua, affidandogli la
lettera ora citata, in cui espone al pontefice «da parte di
Cristo crocifisso» le tre principali cose che egli deve fare
per avere pace in ogni direzione: piantare degni pastori,
innalzare il gonfalone della croce per la crociata, e
riportare la sede papale a Roma.
Le sue parole risuonano di
una forte eco profetica, specialmente quando tocca il tasto
della povertà della Chiesa e del danno che le porta la cura
dei beni temporali. Sul ritorno del vicario di Cristo alla sua
sede non ha titubanza: «Rispondete allo Spirito Santo che vi
chiama. Io vi dico: venite, venite, venite». E, dopo averlo
esortato a venire «come agnello mansueto», per ridare forza
al suo messaggio, aggiunge con rispettosa franchezza: «siatemi
uomo virile e non timoroso» (S.Catharinae Senensis «Epist.»
206 vel LXIII). La pena della lunga attesa e della rovina
delle anime le strappa dal cuore, in una lettera successiva,
questo grido: «Oimé, Padre, io muoio di dolore e non posso
morire» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 196 vel LXIV).
Giunta ad Avignone il 18
giugno, poté far valere a voce, anche in incontri diretti col
Papa, il senso improrogabile del dovere, parlandogli senza
presunzione né timidezza. Il pio pontefice che tardava a
prendere l'ultima decisione dovette convincersi che per bocca
di lei parlava realmente il Signore e lo certificava della sua
volontà. Gregorio XI lasciò definitivamente Avignone il 13
settembre 1376 ed entrò in Roma fra un delirio di popolo
festante il 17 gennaio 1377.
Più tardi dopo una lunga
missione in Valdorcia Caterina riprese in mano la questione
della pace coi fiorentini, corse anche pericolo, in uno dei
tumulti dell'estate 1378, di essere uccisa; e lei, che s'era
vista a un punto dal martirio, scriveva poi quasi delusa: «Lo
Sposo eterno mi fece una grande beffa» (S.Catharinae Senensis
«Epist.» 295).
Purtroppo quell'anno,
scomparso Gregorio XI ed eletto tra burrascosi incidenti
Urbano VI, uomo devoto all'austerità dei costumi e all'ideale
della riforma morale, scoppiò il grande scisma, che doveva
turbare l'unità della Chiesa per quasi quarant'anni. La
santa, che pur l'aveva previsto, sentì penetrare nella sua
carne la ferita della Chiesa. Ormai era da abbandonare ogni
altro pensiero e dedicarsi con tutte le forze a lottare per
l'unità del corpo mistico e per l'unico vero Papa. D'ora in
poi le sue lettere infocate si potranno chiamare messaggi
dell'unità cristiana. L'amore per il Papa e la Chiesa brucia
la sua anima.
Naturale che all'invito
d'Urbano accorresse a Roma: doveva agire sul cuore stesso
della Chiesa. Suggerì e incoraggiò la raccolta intorno al «dolce
Cristo in terra» di uomini di puro spirito, per assisterlo
col consiglio, la preghiera e il prestigio della vita santa.
La sua abitazione in via del Papa (significativo!) diventò un
centro d'attività diplomatica. Lettere e messaggeri partivano
per ogni dove: ai potenti d'Italia e ai regnanti d'Europa, ai
Cardinali ribelli e ai servi di Dio da rincuorare. Animava i
soldati che combattevano per Urbano, placava il popolo romano
tumultuante, frenava gli impeti del pontefice, andava con
fatica a pregare sulla tomba dell'apostolo in san Pietro. Fu
un anno e mezzo d'attività logorante e di spasimanti
orazioni: «O Dio eterno, ricevi il sacrificio della vita mia
in questo corpo mistico della santa Chiesa» (S.Catharinae
Senensis «Epist.» 371). Così, tra invocazioni e desideri
struggenti, si spense a Roma la domenica 29 aprile 1380, a
trentatré anni come il suo Sposo crocifisso.
Il suo corpo fu sepolto
nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, a Roma, dove si
venera sotto l'altare maggiore; mentre il capo fu inviato a
Siena, dove fu accolto trionfalmente dal clero e dal popolo,
presente anche la madre di Caterina, Lapa, e conservato nella
Chiesa di San Domenico.
Caterina fu canonizzata
dal sommo pontefice Pio II con la Bolla «Misericordias Domini»,
del 29 giugno 1461. Ella venne così solennemente additata
alla Chiesa universale come modello di santità, esempio di
una sublime grandezza, cui una semplice donna può giungere
con la grazia dell'Onnipotente.
Gli scritti
2. Letterariamente santa
Caterina è un caso singolare. Non è mai andata a scuola, né
sapeva leggere e scrivere, se non forse molto tardi e
imperfettamente. Eppure ha dettato un complesso di scritti,
che ne fanno un classico di notevole rilievo nella letteratura
trecentesca italiana e tra gli scrittori mistici, tanto da
meritarle il titolo di dottore della Chiesa, conferitole da
sua santità Paolo VI il 4 ottobre 1970.
Sono rimaste di lei 381 «Lettere»,
dirette ad ogni genere di persone, umili e grandi. E' un
epistolario di ricca spiritualità, specchio di un'anima che
vive intensamente ciò che esprime, e trova accenti schietti e
toni di toccante eloquenza, spesso anche poetici. Vi arde una
costante passione per l'uomo immagine di Dio e peccatore, per
Cristo redentore, per la Chiesa che è il campo in cui il
salvatore fa fruttificare il tesoro del suo sangue nella
salvezza dell'uomo.
Vive in esse uno spirito
sensibile a tutti i travagli dell'umanità, un'immaginazione
fervida, una fede che arroventa la parola nel denunziare i
vizi, ma l'addolcisce fino alla tenerezza nell'ammonire i
tiepidi e nel sollevare i deboli. Non c'è niente di falso e
di convenzionale, ma schietto vigore anche nella pietà.
Inoltre santa Caterina,
tra il 1377 e 1378, dettò in varie riprese un libro, che
viene ordinariamente intitolato «Dialogo della Divina
Provvidenza o della Divina dottrina», nel quale l'anima di
lei, in colloquio estatico col Signore, riferisce ciò che
l'eterna verità le dice, rispondendo alle sue domande
riguardo al bene della Chiesa e dei suoi figli e del mondo
intero. Il libro è caratterizzato da accento profetico, da
equilibrio di pensiero e da lucidità d'espressione. Tocca i
misteri più augusti della nostra religione e i problemi più
ardui dell'ascetica e della mistica. Il pensiero vigile e
implorante è rivolto ai fratelli del mondo, che vede perdersi
nei sentieri del peccato e che cerca di scuotere dal torpore
mortale: mentre con fine intuizione psicologica getta fasci di
luce sulla via della perfezione, esaltando l'elevazione
dell'uomo il quale, nella sequela di Cristo obbediente, trova
la via sicura verso la Trinità beata. Ampiezza di
prospettive, aderenza di analisi esperienziali e fiammeggiare
d'immagini e di concetti, fanno di quest'opera «uno dei
gioielli della letteratura religiosa italiana» (E. Underhill,
«Mysticism.», p. 467).
Infine ci sono le «Orazioni»,
raccolte dalle sue labbra negli ultimi anni di vita, quando la
santa effondeva la sua anima e la sua ansia, nel parlare con
immediatezza al Signore. Sono autentiche improvvisazioni, che
salgono spontanee dalla mente immersa nella luce divina e dal
cuore dolente per le miserie degli uomini, senza banalità di
concetti o di petizioni, ma con tono passionale e confidente,
e con espressioni spesso ardite ma di assoluta ortodossia.
L'immagine più espressiva
e ampia di questa maestra di verità e d'amore è quella del
ponte, una costruzione simbolica che anticipa in qualche modo
la «Salita del monte Carmelo» di san Giovanni della Croce.
L'allegoria descrive, in succinta e fine analisi psicologica,
il cammino dell'uomo che sale dal peccato al vertice della
perfezione. La caratterizza un'accentuazione cristologica. su
cui s'appoggia tutta la struttura. Infatti il ponte è Gesù
Cristo, sia con la figura del suo corpo innalzata sulla croce,
sia con la sua dottrina, sia con la sua grazia.
Sul baratro invalicabile
aperto dal peccato e solcato dal fiume vorticoso della
corruzione mondana, fu gettato a ricongiungere la terra col
cielo, quando il Figlio di Dio s'incarnò, unendo in sé la
natura divina con la natura umana (S.Catharinae Senensis «Dialogus»,
cc. 21-22; cfr. S.Catharinae Senensis «Epist.» 272). E'
l'unica via per coloro che vogliono veramente giungere alla
vita eterna. Ogni uomo, seguendo l'attrazione della grazia di
Cristo (trarrò tutto a me), si libera gradatamente dal
peccato, dal timore imperfetto o servile e dall'amor proprio
sia sensibile che spirituale, fino ad essere spoglio d'ogni
imperfezione.
Contemporaneamente si
attua il cammino in ascesa, ch'è tutto nel segno dell'amore.
Caterina infatti è con san Tommaso e coi migliori teologi,
nel pensare che la perfezione «sta nella virtù della carità»
(S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 11); e concorda anche
col Concilio Vaticano II («Lumen Gentium», 5), sia in
questo, sia nell'universalità della chiamata alla santità (S.Catharinae
Senensis «Dialogus», c. 53). Perciò segna su Cristo-ponte
tre gradi (da lei detti «scaloni») di ascensione spirituale,
che significano tanto le tre potenze dell'anima tratte in alto
dall'amore, quanto i tre stati progressivi dello spirito:
imperfetti, perfetti, perfettissimi (S.Catharinae Senensis «Dialogus»,
c. 26)
Si ha quindi un
ponte-scala, col primo grado che è l'amore di servo, il
secondo che è l'amore di amico, il terzo che è l'amore di
figlio (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc. 56-57). La
divisione ternaria non è puramente schematica e tradizionale,
ma è didatticamente accompagnata da annotazioni particolari,
caratterizzanti i gradi dell'evoluzione verticale e il modo di
superare le tappe inferiori, con un'aderenza psicologica
fondata sull'osservazione dell'esperienza spirituale.
Anche i seguenti capitoli
del «Dialogo» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc.
87-96), che si usa chiamare «Trattato delle lacrime»,
procedono su una medesima via ascendente ma con assoluta
originalità di schema, che dimostra nella santa una maestra
dalla personalità propria e dalla didattica matura e precisa,
pur nell'improvvisazione del dettato.
Tuttavia il progresso
spirituale non è limitato all'ambito personale. Santa
Caterina è troppo compresa dell'esistenza degli altri e
dell'importanza del prossimo; e molto insiste sulla
inscindibilità dell'amore del prossimo dall'amore di Dio,
come del resto mette in evidenza lo stesso Concilio Vaticano
II («Lumen Gentium», 5). Di lei è la sorprendente
affermazione, messa in bocca al Signore: «Io ti fo sapere che
ogni virtù si fa col mezzo del prossimo, e ogni difetto» (S.Catharinae
Senensis «Dialogus», c. 6).
Caterina intende dire che,
per la comunione della carità e della grazia, il prossimo è
sempre coinvolto nel bene e nel male che facciamo (cfr.
T.Deman, «La parte del prossimo nella vita spirituale secondo
il "Dialogo"», in «Vita Cristiana», 1947, n. 3,
pp. 250-258). Ma il suo pensiero va più in là: il prossimo
è il «mezzo» per eccellenza per la carità in atto, il
luogo dove ogni virtù si esercita necessariamente, se non
esclusivamente.
Dice l'eterno Padre:
l'anima, «come in verità m'ama, così fa utilità al
prossimo suo;... e tanto quanto l'anima ama me, tanto ama lui,
perché l'amore verso di lui esce di me. Questo è quello
mezzo, che Io v'ho posto acciò che esercitiate e proviate la
virtù in voi, che non potendo fare utilità a me, dovetela
fare al prossimo» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 7).
Questo principio, ribadito
innumerevoli volte, fa del prossimo il terreno su cui si
esprime, si esercita, si prova e misura la carità fraterna,
la pazienza, la giustizia sociale. Nel contatto con gli altri,
gli stessi contrasti diventano mezzo di verifica delle azioni
virtuose (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc. 7-8):
restando fermo il confronto esistenziale con l'amore di Dio:
«Con quella perfezione con cui amiamo Dio, con quella amiamo
la creatura ragionevole» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 263;
cfr. «Dialogus», cc. 7 et 64).
L'insistenza sul principio
di solidarietà serve anche a dimostrare la radice profonda
della fraternità umana insegnataci da Cristo. Gli uomini
vivono questa realtà: ognuno è quasi complemento degli
altri. La provvidenza li ha creati dotandoli di qualità
fisiche e morali differenziate da individuo a individuo, sicché
ognuno ha bisogno degli altri, «acciò che abbiate materia,
per forza, d'usare la carità l'uno con l'altro» (S.Catharinae
Senensis «Dialogus», c. 7) e siano tutti legati dal bisogno
dell'aiuto reciproco, come le membra nel corpo (S.Catharinae
Senensis «Dialogus», c. 148).
Similmente nella Chiesa
universale c'è solidarietà tra settore e settore. Ciò è
figurato nell'allegoria delle tre vigne: la personale, quella
del prossimo e quella universale del Popolo di Dio. Le prime
due sono tanto unite, «che niuno può fare bene a sé che non
facci al prossimo suo, né male che no 'l facci a lui» (S.Catharinae
Senensis «Dialogus», c. 24). Ma nella solidarietà con la
terza vigna sta il senso dell'equilibrio e dell'ordine
cateriniano. E' nella vigna universale che è piantata l'unica
vite vera, Gesù Cristo, sulla quale ogni altra dev'essere
innestata per riceverne vita (S.Catharinae Senensis «Dialogus»,
c. 24). In essa il principale lavoratore è il Papa, «Cristo
in terra, il quale ci ha a ministrare il sangue» (S.Catharinae
Senensis «Epist.» 313 et 321); da lui ogni altro lavoratore
dipende, per obbedienza e perché lui «tiene le chiavi del
sangue dell'umile Agnello» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 339;
cfr. «Epist.» 309 et 305).
Immagini trasparenti del
primato di Pietro - primato di magistero e di governo voluto
dalla «prima dolce Verità» (S.Catharinae Senensis «Epist.»
24 vel X) - che salda istituzione e carisma in Cristo, unica
fonte di essi.
A tale logica si è
ispirata tutta l'azione di questo angelo tutelare della Chiesa
a pro del pontificato romano.
CONCLUSIONE
Il ruolo eccezionale
svolto da Caterina da Siena, secondo i piani misteriosi della
provvidenza divina, nella storia della salvezza, non si esaurì
col suo felice transito alla patria celeste. Ella, infatti, ha
continuato ad influire salutarmente nella Chiesa sia con i
suoi luminosi esempi di virtù, sia con i suoi mirabili
scritti. Perciò i sommi pontefici, miei predecessori, ne
hanno concordemente esaltata la perenne attualità,
proponendola continuamente all'ammirazione ed all'imitazione
dei fedeli.
Il sommo pontefice Pio II,
nella bolla di canonizzazione, la chiamò con parole quasi
profetiche: «Illustris et indelebilis memoriae virginem»
(Pii II «Misericordias Domini: Bullar. Roman.»,
V, a. 1860, p. 165). Pio
IX la proclamò (1866) seconda patrona di Roma. San Pio X la
propose come modello alle donne di Azione Cattolica,
nominandola loro patrona. Pio XII proclamò san Francesco
d'Assisi e santa Caterina da Siena primari patroni d'Italia,
con la lettera apostolica «Licet Commissa» del 18 giugno
1939; e, nel memorabile discorso in onore dei due santi,
tenuto nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva il 5 maggio
1940, il Papa tributò alla santa senese questo splendido
elogio: «In questo servizio della Chiesa voi ben comprendete,
diletti figli, come Caterina precorra i nostri tempi, con
un'azione che amplifica l'anima cattolica e la pone al fianco
dei ministri della fede, suddita e cooperatrice nella
diffusione e difesa del vero e della restaurazione morale e
sociale del vivere civile» (Pio XII «Discorsi e
Radiomessaggi», II [1949] 100). Né meno palpitanti di
attualità sono state le ripetute lodi che alla figura e
all'attività apostolica di Caterina, tributò il sommo
pontefice Paolo VI, in occasione della festa annuale di lei.
Mi sembrano, fra le altre, altamente significative per i tempi
nostri le seguenti parole del mio venerato predecessore. «Santa
Caterina, disse egli il 30 aprile 1969, ha amato la Chiesa
nella sua realtà che, come sappiamo, ha un duplice aspetto:
uno mistico, spirituale, invisibile, quello essenziale e fuso
con Cristo redentore glorioso, il quale non cessa di effondere
il suo sangue (chi ha parlato tanto del sangue di Cristo,
quanto Caterina?), sul mondo attraverso la sua Chiesa; l'altro
umano, storico, istituzionale, concreto, ma non mai disgiunto
da quello divino. V'è da chiedersi se mai i nostri moderni
critici dell'aspetto istituzionale della Chiesa siano capaci
di cogliere questa simultaneità» («Insegnamenti di Paolo
VI, VII [1969] 941). Ma Paolo VI testimoniò con ancor
maggiore autorità la sua stima per il perenne valore della
dottrina ascetica e mistica di santa Caterina, allorché la
elevò, insieme a santa Teresa d'Avila, alla dignità di
dottore della Chiesa e ne celebrò la sovrumana sapienza nella
Basilica di san Pietro, il 4 ottobre 1970 («Insegnamenti di
Paolo VI, VIII [1970] 982-988)
Nella vita e nell'attività,
sia letteraria che apostolica, di santa Caterina da Siena si
è in realtà verificato quanto ho avuto l'occasione di
ricordare a un gruppo di Vescovi nella loro visita «ad limina».
«Lo Spirito Santo è attivo nell'illuminare le menti dei
fedeli con la sua verità, e nell'infiammare i loro cuori col
suo amore. Ma queste intuizioni di fede e questo «sensus
fidelium» non sono indipendenti dal magistero della Chiesa,
che è uno strumento dello stesso Spirito Santo ed è
assistito da lui. Solo quando i fedeli sono stati nutriti
della parola di Dio, fedelmente trasmessa nella sua purezza ed
integrità, i loro carismi propri diventano pienamente
operativi e fecondi» (cfr. Ioannis Pauli PP. II «Allocutio
Indorum Episcoporum coetui habita, occasione oblata eorum
visitationis "ad limina"», die 31 maii 1979: «Insegnamenti
di Giovanni Paolo II», II [1979] 1354-1358).
Possa, dilettissimi
fratelli e figli, l'esempio di santa Caterina da Siena, la cui
vita fu così mirabilmente attiva e feconda per la sua patria
e la Chiesa, perché docile all'«instinctus» dello Spirito
Santo e guidata dal magistero della Chiesa, suscitare in
moltissime anime una più viva ammirazione e desiderio;o di
imitazione delle sue eroiche virtù. Avremo così una nuova
conferma che la sua morte fu veramente - ed è tuttora - «preziosa
al cospetto del Signore», com'è «la morte dei suoi santi»
(Sal 116,15).
Con tali sentimenti nostro
animo, a voi, venerabili fratelli e figli diletti d'Italia,
nonché a tutti coloro che ovunque nel mondo ricordano tale
ricorrenza centenaria del transito di santa Caterina da Siena,
e in particolare all'ordine dei frati predicatori e alle
monache e sorelle consacrate a Dio secondo la regola di vita
della sua famiglia religiosa, imparto benevolmente la
benedizione apostolica.
Dato a Roma, in san
Pietro, il 29 aprile, nella memoria di santa Caterina da
Siena, vergine e dottore della Chiesa, nell'anno 1980, secondo
del nostro Pontificato.
|