LETTERA
APOSTOLICA
PATRES
ECCLESIAE
DEL SOMMO PONTEFICE
PAPA GIOVANNI PAOLO II
PER IL XVI CENTENARIO
DELLA MORTE DI SAN BASILIO
1. Padri della Chiesa sono
giustamente chiamati quei santi che, con la forza di fede, la
profondità e la ricchezza dei loro insegnamenti, nel corso dei primi
secoli l'hanno rigenerata e grandemente incrementata (cfr. Gal 4,19;
Vincentii Lirinensis «Commonitorium», I,3: PL 50,641).
In verità «padri» della Chiesa,
perché da loro, mediante il Vangelo, essa ha ricevuto la vita (cfr.
1Cor 4,15). E anche suoi costruttori, perché da loro - sul fondamento
unico posto dagli apostoli, che è il Cristo (cfr. 1Cor 3,11) - la
Chiesa di Dio è stata edificata nelle sue strutture portanti.
Della vita attinta dai suoi padri
la Chiesa ancora oggi vive; e sulle strutture poste dai suoi primi
costruttori ancora oggi viene edificata, nella gioia e nella pena del
suo cammino e del suo travaglio quotidiano.
Padri dunque sono stati, e padri
restano per sempre: essi stessi, infatti, sono una struttura stabile
della Chiesa, e per la Chiesa di tutti i secoli adempiono a una
funzione perenne. Cosicché ogni annuncio e magistero successivo, se
vuole essere autentico, deve confrontarsi con il loro annuncio e il
loro magistero; ogni carisma e ogni ministero deve attingere alla
sorgente vitale della loro paternità; e ogni pietra nuova, aggiunta
all'edificio santo che ogni giorno cresce e si amplifica (cfr. Ef
2,21), deve collocarsi nelle strutture già da loro poste, e con esse
saldarsi e connettersi.
Guidata da queste certezze, la
Chiesa non si stanca di ritornare ai loro scritti - pieni di sapienza
e incapaci di invecchiare - e di rinnovarne continuamente il ricordo.
E' quindi con grande gioia che nel corso dell'anno liturgico sempre di
nuovo incontriamo i nostri padri: e ogni volta ne siamo confermati
nella fede e incoraggiati nella speranza.
E ancora più grande è la nostra
gioia quando particolari circostanze invitano a incontrarli in modo più
prolungato e profondo. Di tale natura è appunto la ricorrenza di
questo anno, che segna il XVI centenario dal transito del nostro padre
Basilio, Vescovo di Cesarea.
2. La vita e il ministero di
san Basilio
Fra i padri greci chiamato «grande»,
nei testi liturgici bizantini Basilio è invocato come «luce della
pietà» e «luminare della Chiesa». La illuminò, infatti, e tuttora
la illumina: non meno per «la purezza della sua vita» che per
l'eccellenza della sua dottrina. Poiché il primo e più grande
insegnamento dei santi è pur sempre la loro vita.
Nato in una famiglia di santi,
Basilio ebbe anche il privilegio di una educazione eletta, presso i più
reputati maestri di Costantinopoli e di Atene.
Ma a lui parve che la sua vita
cominciasse veramente solo quando, in modo più pieno e determinante,
gli fu dato di conoscere il Cristo come suo Signore: quando, cioè,
attirato irresistibilmente da lui, praticò quel distacco radicale che
avrebbe poi tanto inculcato nel suo insegnamento (cfr. S.Basilii «Regulae
fusius tractatae», 8: PG 31,933c-941a), e divenne suo discepolo.
Si mise allora alla sequela del
Cristo, volendo conformarsi soltanto a lui: guardando a lui solo,
ascoltando lui solo (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,1: PG 31,860bc),
e in tutto e per tutto considerandolo suo unico «sovrano, re, medico,
e maestro di verità» (S.Basilii «De Baptismo», I,1: PG 31,1516b).
Senza esitare, quindi, abbandonò
quegli studi che pure tanto aveva amato e dai quali aveva tratto
immensi tesori di scienza (cfr. Gregorii Nazianzeni «In laudem
Basilii»: PG 36,525c-528c): avendo infatti deciso di servire a Dio
solo, non volle più sapere nulla all'infuori del Cristo (cfr. 1Cor
2,2), e ritenne vanità ogni sapienza che non fosse quella della
croce. Sono parole sue, con le quali, già verso il termine della
vita, rievocava l'evento della sua conversione: «Io avevo sciupato
molto tempo nella vanità, perdendo quasi tutta la mia giovinezza nel
lavoro vano a cui mi applicavo per apprendere gli insegnamenti di
quella sapienza che Dio ha resa stolta (cfr. 1Cor 1,20); finché un
giorno, come svegliandomi da un sonno profondo, riguardai alla
mirabile luce della verità del Vangelo, e considerai l'inutilità
della sapienza dei prìncipi di questo mondo che sono ridotti
all'impotenza (cfr. 1Cor 2,6). Allora piansi molto sulla mia
miserabile vita» (cfr. S.Basilii «Epistula» 223: PG 32,824a).
Pianse sulla sua vita, benché già
prima - secondo la testimonianza di Gregorio Nazianzeno, suo compagno
di studi - fosse umanamente esemplare (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In
laudem Basilii»: PG 36,521cd): gli sembrò nondimeno «miserabile»,
perché non era in modo totale ed esclusivo consacrata a Dio, che è
l'unico Signore.
Con irrefrenabile impazienza,
interruppe dunque gli studi intrapresi e, abbandonati i maestri della
sapienza ellenica, «attraversò molte terre e molti mari» (S.Basilii
«Epistula» 204: PG 32,753a) in cerca di altri maestri: quegli «stolti»
e quei poveri che nei deserti si esercitavano a ben diversa sapienza.
Cominciò così ad apprendere cose
mai salite al cuore dell'uomo (cfr. 1Cor 2,9), verità che i retori e
i filosofi non avrebbero mai potuto insegnargli (cfr. S.Basilii «Epistula»
223»: PG 32,824bd). E in questa sapienza nuova crebbe poi di giorno
in giorno, in un meraviglioso itinerario di grazia: mediante la
preghiera, la mortificazione, l'esercizio della carità, il continuo
commercio con le sante Scritture e gli insegnamenti dei Padri (cfr.
praesertim S.Basilii «Epistula» 2 et 22).
Ben presto fu chiamato al
ministero.
Ma anche nel servizio delle anime,
con saggio equilibrio seppe comporre la predicazione infaticabile con
spazi di solitudine e ampio respiro di preghiera. Riteneva infatti che
ciò fosse di inderogabile necessità per la «purificazione
dell'anima» (S.Basilii «Epistula» 2: PG 32,228a; cfr. «Epistula»
210: PG 32,769a), e quindi perché l'annuncio della parola potesse
sempre essere confermato dall'«evidente esempio» della vita (S.Basilii
«Regulae fusius tractatae», 43: PG 31,1028a-1029b; cfr. «Moralia»,
LXX,10: PG 31,824d-825b).
Così divenne pastore e fu
insieme, nel senso più sostanziale del termine, monaco; anzi, fu
certo fra i più grandi dei monaci-Pastori della Chiesa: figura
singolarmente completa di Vescovo, e grande promotore e legislatore
del monachesimo.
Forte, infatti, della propria
personale esperienza, Basilio contribuì fortemente alla formazione di
comunità di cristiani totalmente consacrati al «divino servizio» (S.Benedicti
«Regula», Prologus), e si assunse l'impegno e la fatica di
sostenerle con frequenti visite (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In
laudem Basilii»: PG 36,536b): per sua e loro edificazione
intrattenendosi con esse in mirabili colloqui, molti dei quali, per
grazia di Dio, ci sono stati trasmessi per scritto (cfr. S.Basilii «Regulae
brevius tractatae», Proemium: PG 31,1080ab). A questi scritti hanno
attinto vari legislatori del monachesimo, non ultimo lo stesso san
Benedetto, che considera Basilio come suo maestro (cfr. S.Benedicti «Regula»,
LXXIII,5); a questi scritti - direttamente o indirettamente conosciuti
- si sono ispirati la più parte di coloro che, in oriente come in
occidente, hanno abbracciato la vita monastica.
Per questo si ritiene da molti che
quella struttura capitale della vita della Chiesa che è il
monachesimo sia stata posta, per tutti i secoli, principalmente da san
Basilio; o che, almeno, non sia stata definita nella sua natura più
propria senza il suo decisivo contributo.
Basilio ebbe molto a soffrire per
i mali in cui gemeva, in quell'ora difficile, il Popolo di Dio (cfr.
S.Basilii «De iudicio»: PG 31,653b). Li denunciò con franchezza, e,
con lucidità e amore, ne individuò le cause, per accingersi
coraggiosamente a una vasta opera di riforma. Cioè all'opera - da
perseguire in ogni tempo, da rinnovare a ogni generazione - volta a
riportare la Chiesa del Signore, «per la quale il Cristo è morto e
sulla quale ha effuso abbondante il suo Spirito» (cfr. S.Basilii «De
iudicio»: PG 31,653b), alla sua forma primitiva: a quella normativa
immagine, bella e pura, che ce ne trasmettono la parola del Cristo e
degli Atti degli Apostoli. Quante volte Basilio ricorda, con passione
e costruttiva nostalgia, il tempo in cui «la moltitudine dei credenti
era un cuore solo e un'anima sola»! (At 4,32; cfr. S.Basilii «De
iudicio»: PG 36,660c; cfr. «Regulae
fusius tractatae», 7: PG 31,933c; cfr. «Homilia
tempore famis»: PG 31,325ab).
Il suo impegno di riforma si volse
insieme, con armonia e compiutezza, praticamente a tutti gli aspetti e
gli ambiti della vita cristiana.
Per la natura stessa del suo
ministero, il Vescovo è innanzitutto pontefice del suo popolo- e il
Popolo di Dio è prima di tutto popolo sacerdotale.
Non può quindi in alcun modo
trascurare la liturgia - la sua forza e ricchezza, la sua bellezza, la
sua «verità» - un Vescovo veramente sollecito del bene della
Chiesa. Nell'opera pastorale, anzi, l'impegno pr la liturgia sta
logicamente al vertice di tutto e concretamente in cima a ogni altra
scelta: la liturgia, infatti - come ricorda il Concilio Vaticano II -
è «il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa, e insieme la
fonte da cui promana tutta la sua virtù» («Sacrosanctum Concilium»,
10), cosicché «nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia
l'efficacia» («Sacrosanctum Concilium», 7).
Di questo si mostrò perfettamente
consapevole Basilio e il «legislatore di monaci» (cfr. S.Gregorii
Nazianzenii «In laudem Basilii»: PG 36,541c) seppe essere anche
sapiente «riformatore liturgico» (cfr. S.Gregorii Nazianzenii «In
laudem Basilii»: PG 36,541c).
Della sua opera in questo ambito
resta, eredità preziosissima per la Chiesa di tutti i tempi,
l'anafora che legittimamente porta il suo nome: la grande preghiera
eucaristica che, da lui rifusa e arricchita, è bellissima fra le più
belle.
Non solo: lo stesso ordinamento
fondamentale della preghiera salmodica ebbe in lui uno dei maggiori
ispiratori e artefici (cfr. S.Basilii «Epistula» 2 et «Regula
fusius tractatae», 37: PG 31,1013b-1016c). Così, soprattutto per
l'impulso dato da lui, la salmodia - «incenso spirituale», respiro e
conforto del Popolo di Dio (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG
29,212a-213c) - nella sua Chiesa fu amata moltissimo dai fedeli, e
divenne nota ai piccoli e agli adulti, ai dotti e agli incolti (cfr.
S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29,212a-213c). Come riferisce lo stesso
Basilio: «Presso di noi il popolo si alza di notte per recarsi alla
casa della preghiera,... e trascorre la notte alternando salmi e
preghiere» (S.Basilii «Epistula» 207: PG 32,764ab). I salmi, che
nelle chiese rimbombavano come tuoni (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In
laudem Basilii»: PG 36,561cd), si udivano risuonare anche nelle case
e nelle piazze (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29,212c).
Basilio amò di amore geloso la
Chiesa (cfr. 2Cor 11,2): e sapendo che la sua verginità e la sua
stessa fede, della purezza di questa fede fu custode vigilantissimo.
Per questo dovette e seppe
combattere con coraggio: non contro uomini, ma contro ogni
adulterazione della parola di Dio (cfr. 2Cor 2,17), ogni
falsificazione della verità, ogni manomissione del deposito santo (cfr.
1Tm 6,20) trasmesso dai Padri. Il suo impeto perciò non aveva nulla
di passionale: era forza di amore; e la sua chiarezza nulla di
puntiglioso: era delicatezza di amore.
Così, dall'inizio al termine del
suo ministero combatté per salvaguardare intatto il senso della
formula di Nicea riguardo alla divinità del Cristo «consostanziale»
al Padre (cfr. S.Basilii «Epistula» 9: PG 32,272a; «Epistula» 52:
PG 32,392b-396a; «Adv. Eunomium», I: PG 29,556c); e ugualmente
combatté perché non fosse sminuita la gloria dello Spirito che, «facendo
parte della Trinità ed essendo della divina e beata natura di essa»
(S.Basilii «Epistula» 243: PG 32,909a), deve essere con il Padre e
il Figlio connumerato e conglorificato (cfr. S.Basilii «De Spiritu
Sancto»: PG 32,117c).
Con fermezza, ed esponendosi
personalmente a pericoli gravissimi, vigilò e combatté anche per la
libertà della Chiesa: da vero Vescovo, non esitando a contrapporsi ai
regnanti per difendere il diritto suo e del Popolo di Dio di
professare la verità e di ubbidire al Vangelo (cfr. S.Gregorii
Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,557c-561c). Il Nazianzeno, che
riferisce un episodio saliente di questa lotta, fa ben comprendere che
il segreto della sua forza non risiedeva che nella semplicità stessa
del suo annuncio, nella chiarezza della sua testimonianza, e
nell'inerme maestà della sua dignità sacerdotale (cfr. S.Gregorii
Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,561c-564b).
Non minore severità che contro
eresie e tiranni, Basilio mostrò contro equivoci e abusi all'interno
della Chiesa: particolarmente, contro la mondanizzazione e
l'attaccamento ai beni.
A muoverlo era, ancora e sempre,
il medesimo amore alla verità e al Vangelo; benché in modo diverso,
era pur sempre il Vangelo, infatti, a essere negato e contraddetto:
sia dall'errore degli eresiarchi, che dall'egoismo dei ricchi.
Al riguardo sono memorabili, e
rimangono esemplari, i testi di alcuni suoi discorsi: «Vendi quello
che hai e dallo ai poveri (Mt 19,22);... perché, anche se non hai
ucciso o commesso adulterio o rubato o detto falsa testimonianza, non
ti serve a nulla se non fai anche il resto: solo in tale modo potrai
entrare nel regno di Dio» (S.Basilii «Homilia in divites»: PG
31,280b-281a). Chi infatti, secondo il comandamento di Dio, vuole
amare il prossimo come se stesso (cfr. Lv 19,18; Mt 19,19), «non deve
possedere niente di più di quello che possiede il suo prossimo» (S.Basilii
«Homilia in divites» PG 31,281b).
E in modo ancora più
appassionato, in tempo di carestia, esortava a «non mostrarsi più
crudeli delle bestie,... col mettersi in seno ciò che è comune, e
possedendo da soli ciò che è di tutti» (cfr. S.Basilii «Homilia
tempore famis»: PG 31,325a).
Un radicalismo sconcertante e
bellissimo, e un forte appello alla Chiesa di tutti i tempi a
confrontarsi seriamente con il Vangelo.
Al Vangelo, che comanda l'amore e
il servizio dei poveri, oltre che con queste parole Basilio rese
testimonianza con opere immense di carità; come la costruzione, alle
porte di Cesarea, di un gigantesco ospizio per i bisognosi (cfr.
S.Basilii «Epistula» 94: PG 32,488bc): una vera città della
misericordia che da lui prese il nome di Basiliade (cfr. Sozosemi «Historia
Eccl.» VI,34: PG 67,1397a), anch'essa momento autentico dell'unico
annuncio evangelico.
Fu lo stesso amore per il Cristo e
il suo Vangelo, ciò che tanto lo fece soffrire delle divisioni della
Chiesa e che con tanta perseveranza, sperando contra spem, gli fece
ricercare con tutte le Chiese una comunione più efficace e manifesta
(cfr. S.Basilii «Epistulae» 70 et 243).
E' la verità stessa del Vangelo,
infatti, a essere oscurata dalla discordia dei cristiani, ed è il
Cristo stesso a esserne lacerato (cfr. 1Cor 1,13). La divisione dei
credenti contraddice la potenza dell'unico battesimo (cfr. Ef 4,4),
che nel Cristo ci fa una sola cosa, anzi un'unica mistica persona (cfr.
Gal 3,28); contraddice la sovranità del Cristo, unico re al quale
tutti devono ugualmente essere soggetti; contraddice l'autorità e la
forza unificante della parola di Dio, unica legge alla quale tutti i
credenti devono concordemente ubbidire (cfr. S.Basilii «De iudicio»:
PG 31,653a-656c).
La divisione delle Chiese è
quindi un fatto così nettamente e direttamente anti-cristologico e
anti-biblico, che secondo Basilio la via per la ricomposizione
dell'unità può essere soltanto la ri-conversione di tutti al Cristo
e alla sua parola (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31,660b-661a).
Nel multiforme esercizio del suo
ministero Basilio si fece dunque, come prescriveva per tutti gli
annunciatori della parola, «apostolo e ministro di Cristo,
dispensatore dei misteri di Dio, araldo del regno, modello e regola di
pietà, occhio del corpo della Chiesa, pastore delle pecore di Cristo,
medico pietoso, padre e nutrice, cooperatore di Dio, agricoltore di
Dio, costruttore del tempio di Dio» (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,12-21:
PG 31,864b-868b).
E in tale opera e tale lotta -
ardua, dolorosa, senza respiro - Basilio offrì la sua vita (cfr.
S.Basilii «Moralia», LXXX,18: PG 31,865c) e si consumò come
olocausto.
Morì non ancora cinquantenne,
consumato dalle fatiche e dall'ascesi.
3. Il magistero di san
Basilio
Dopo avere così brevemente
ricordato aspetti salienti della vita di Basilio e del suo impegno di
cristiano e di Vescovo, sembra giusto che si tenti di attingere, dalla
ricchissima eredità dei suoi scritti, almeno qualche indicazione
suprema. Rimettersi alla sua scuola potrà dare luce per meglio
affrontare i problemi e le difficoltà di questo stesso tempo, e
quindi soccorrerci per il nostro presente e per il nostro futuro.
Non sembri astratto cominciare da
ciò che egli ha insegnato riguardo alla santa Trinità: è certo,
anzi, che non può esserci inizio migliore, almeno se ci si vuole
adeguare al suo stesso pensiero.
D'altra parte, che cosa può
imporsi maggiormente o essere più normativo per la vita, che il
mistero della vita di Dio? Può esserci punto di riferimento più
significativo e vitale di questo, per l'uomo?
Per l'uomo nuovo, che è
conformato a questo mistero nella struttura intima del suo essere e
del suo esistere; e per ogni uomo, lo sappia o no: poiché non c'è
alcuno che non sia stato creato per il Cristo, il Verbo eterno, e non
c'è alcuno che non sia chiamato, dallo Spirito e nello Spirito, a
glorificare il Padre.
E' il mistero primordiale, la
Trinità santa: poiché non è altro che il mistero stesso di Dio,
dell'unico Dio vivo e vero.
Di questo mistero, Basilio
proclama con fermezza la realtà: la triade dei nomi divini, dice,
indica certo tre distinte ipostasi (cfr. S.Basilii «Adv. Eunomium»,
I: PG 29,529a). Ma con non minore fermezza ne confessa l'assoluta
inaccessibilità.
Com'era lucida in lui, teologo
sommo, la coscienza dell'infermità e inadeguatezza di ogni teologare!
Nessuno, diceva, è capace di
farlo in modo degno, e la grandezza del mistero vince ogni discorso,
cosicché neppure le lingue degli angeli possono attingerlo (cfr.
S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31,464b-465a).
Realtà abissale e
imperscrutabile, dunque, il Dio vivente! Ma nondimeno Basilio sa di «doverne»
parlare, prima e più che di ogni altra cosa. E così, credendo, parla
(cfr. 2Cor 4,13): per forza incoercibile di amore, per obbedienza al
comando di Dio, e per l'edificazione della Chiesa, che «non si sazia
mai di udire tali cose» (S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31,464cd).
Ma forse è più esatto dire che
Basilio, da vero «teologo», più che parlare di questo mistero, lo
canta.
Canta il Padre: «Il principio di
tutto, la causa dell'essere di ciò che esiste, la radice dei viventi»
(S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31,465c), e soprattutto «Padre del
nostro Signore Gesù Cristo» («Anaphora S.Basilii»). E come il
Padre è primariamente in rapporto al Figlio, così il Figlio - il
Verbo che si è fatto carne nel seno di Maria - è primariamente in
rapporto al Padre.
Così dunque lo contempla e lo
canta Basilio: nella «luce inaccessibile», nella «potenza
ineffabile», nella «grandezza infinita», nella «gloria
sovrasplendente» del mistero trinitario, Dio presso Dio (S.Basilii «Homilia
de fide»: PG 31,465cd), «immagine della bontà del Padre e sigillo
di forma a lui uguale» (cfr. «Anaphora S.Basilii»).
Solo in questo modo, confessando
senza ambiguità il Cristo come «uno della santa Trinità» («Liturgia
S.Ioannis Chrysostomi»), Basilio può poi vederlo con pieno realismo
nell'annientamento della sua umanità. E come pochi altri sa far
misurare l'infinito spazio da lui percorso alla nostra ricerca; come
pochi sa far scrutare fin nell'abisso dell'umiiiazione di colui che «essendo
nella forma di Dio, svuotò se stesso assumendo la forma di servo» (Fil
2,6ss)
Nell'insegnamento di Basilio, la
cristologia della gloria non attenua per nulla la cristologia
dell'umiliazione: anzi, serve a proclamare con forza ancora più
grande quel contenuto centrale del Vangelo che è la parola della
croce (cfr. 1Cor 1,18) e lo scandalo della croce (cfr. Gal 5,11).
Questo è, di fatto, uno schema
abituale del suo discorso cristologico: è la luce della gloria, a
rivelare il senso dell'abbassamento.
L'ubbidienza del Cristo è vero «Vangelo»,
cioè realizzazione paradossale dell'amore redentivo di Dio, proprio
perché - e solo se - colui che ubbidisce è «il Figlio Unigenito di
Dio, il Signore e Dio nostro, colui per mezzo del quale tutte le cose
sono state fatte» (S.Basilii «De iudicio»: PG 31,660b); ed è così
che essa può piegare la nostra ostinata disubbidienza. Le sofferenze
del Cristo, agnello immacolato che non ha aperto la bocca contro chi
lo percuoteva (cfr. Is 53,7), hanno portata infinita e valore eterno e
universale, proprio perché colui che così ha patito è «il creatore
e sovrano del cielo e della terra, adorabile al di là di ogni
creatura intellettuale e sensibile, colui che tutto sostiene con la
parola della sua potenza» (cfr. Eb 1,3; S.Basilii «Homilia de ira»:
PG 31,369b), ed è così che la passione del Cristo domina la nostra
violenza e placa la nostra ira.
La croce, infine, è davvero la
nostra «unica speranza» («Liturgia Horarum», "Hebdomada
Sancta": Hymnus ad Vesperas) - non sconfitta, quindi, ma evento
salvifico, «esaltazione» (cfr. Gv 8,32ss et alibi) e stupendo
trionfo - solo perché colui che vi è stato inchiodato e vi è morto
è «il Signore nostro e di tutti» (cfr. At 10,36; S.Basilii «De
Baptismo», II,12: PG 31,1624b), «colui mediante il quale sono state
fatte tutte le cose, le visibili e le invisibili, colui che possiede
la vita come la possiede il Padre che gliel'ha data, colui che dal
Padre ha ricevuto ogni potere» (S.Basilii «De Baptismo», II,13: PG
31,1625c); ed è così che la morte del Cristo ci libera da quel «timore
della morte» del quale tutti eravamo schiavi (cfr. Eb 2,15).
«Da lui, il Cristo, rifulse lo
Spirito Santo: lo Spirito della verità, il dono dell'adozione
filiale, il pegno dell'eredità futura, la primizia dei beni eterni,
la potenza vivificante, la sorgente della santificazione, da cui ogni
creatura razionale e intellettuale riceve potenza di rendere culto al
Padre e di elevare a lui la dossologia eterna» (cfr. «Anaphora
S.Basilii»).
Questo inno dell'anafora di
Basilio esprime bene, in sintesi, il ruolo dello Spirito nell'economia
salvifica.
E' lo Spirito che, dato a ogni
battezzato, in ciascuno opera carismi e a ciascuno ricorda gli
insegnamenti del Signore (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG
31,1561a); è lo Spirito che anima tutta la Chiesa e la ordina e la
vivifica con i suoi doni facendone tutte un corpo «spirituale» e
carismatico (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto»: PG 32,181ab; «De
iudicio»: PG 31,657c-660a).
Di qui, Basilio risaliva alla
serena contemplazione della «gloria» dello Spirito, misteriosa e
inaccessibile: confessandolo, al di sopra di ogni creatura (cfr.
S.Basilii «De Spiritu Sancto», 22), sovrano e signore poiché da lui
siamo divinizzati (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto», 20ss), e
Santo per essenza poiché da lui siamo santificati (cfr. S.Basilii «De
Spiritu Sancto», 9 et 18). Avendo così contribuito alla formulazione
della fede trinitaria della Chiesa, Basilio ancora oggi parla al suo
cuore e la consola, particolarmente con la luminosa confessione del
suo Consolatore.
La luce sfolgorante del mistero
trinitario non mette certo in ombra la gloria dell'uomo: anzi,
massimamente la esalta e la rivela.
L'uomo infatti, non è rivale di
Dio, follemente opposto a lui; e non è senza Dio, abbandonato alla
disperazione della propria solitudine. Ma è riflesso di Dio e sua
immagine.
Perciò, quanto più Dio
risplende, tanto più ne riverbera la luce dall'uomo; quanto più Dio
è esaltato, tanto più è innalzata la dignità dell'uomo.
E in questo modo, difatti, Basilio
ha celebrato la dignità dell'uomo: vedendola tutta in rapporto a Dio,
cioè derivata da lui e finalizzata a lui.
Essenzialmente per conoscere Dio
l'uomo ha ricevuto l'intelligenza, e per vivere conforme alla sua
legge ha ricevuto la libertà. Ed è in quanto immagine, che l'uomo
trascende tutto l'ordine della natura e appare «più glorioso del
cielo, più del sole, più dei cori degli astri: quale cielo, infatti,
è chiamato immagine di Dio altissimo?» (S.Basilii «In Psalmum» 48:
PG 29,449c).
Proprio per questo, la gloria
dell'uomo è radicalmente condizionata al suo rapporto con Dio: l'uomo
consegue in pienezza la sua dignità «regale» solo realizzandosi in
quanto immagine, e diviene veramente se stesso solo conoscendo e
amando colui per il quale ha la ragione e la libertà.
Già prima di Basilio, così si
esprimeva mirabilmente sant'Ireneo: «La gloria di Dio è l'uomo
vivente; ma la vita dell'uomo è la visione di Dio» (S.Irenaei «Adversus
haereses», IV,20,7). L'uomo vivente è in se stesso glorificazione di
Dio, in quanto raggio della sua bellezza, ma non ha «vita» se non
attingendola da Dio, nel rapporto personale con lui. Fallire in questo
compito, significherebbe per l'uomo tradire la propria vocazione
essenziale, e pertanto negare e avvilire la propria dignità (cfr.
S.Basilii «In Psalmum» 48: PG 29,449b-452a).
E che altro è il peccato se non
questo? Il Cristo stesso, infatti, non è forse venuto per restaurare
e restituire la sua gloria a questa immagine di Dio che è l'uomo, cioè
all'immagine che l'uomo, con il peccato, aveva ottenebrata (S.Basilii
«Homilia de malo»: PG 31,333a), corrotta (S.Basilii «In Psalmum»
32: PG 29,344b), infranta? (S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG
31,1537a).
Proprio per questo - afferma
Basilio con le parole della Scrittura - «il Verbo si è fatto carne
ed ha abitato fra noi (Gv 1,14), e ha tanto umiliato se stesso da
farsi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce» (cfr. Fil
2,8; S.Basilii «In Psalmum» 48: PG 29,452ab). Perciò, o uomo, «renditi
conto della tua grandezza considerando il prezzo versato per te:
guarda il prezzo del tuo riscatto, e comprendi la tua dignità!» (S.Basilii
«In Psalmum» 48: PG 29,452b).
La dignità dell'uomo, dunque, è
insieme nel mistero di Dio, e nel mistero della croce: è questo l'«umanesimo»
di Basilio, o - potremmo dire più semplicemente - l'umanesimo
cristiano.
Il restauro dell'immagine può
dunque compiersi soltanto in virtù della croce del Cristo: «Fu la
sua ubbidienza fino alla morte a divenire per noi redenzione dei
peccatori, libertà dalla morte che regnava per la colpa originale,
riconciliazione con Dio, potenza di piacere a Dio, dono di giustizia,
comunione dei santi nella vita eterna, eredità del regno dei cieli»
(S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1556b).
Ma questo, per Basilio, equivale a
dire che tutto ciò si compie in virtù del battesimo.
Che cos'è, infatti, il battesimo,
se non l'evento salvifico della morte del Cristo, nel quale siamo
inseriti mediante la celebrazione del mistero? Il mistero
sacramentale, «imitazione» della sua morte, ci immerge nella realtà
della sua morte; come scrive Paolo: «O ignorate che quanti siamo
stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua
morte?» (Rm 6,3).
Basandosi appunto sulla misteriosa
identità del battesimo con l'evento pasquale del Cristo, al seguito
di Paolo anche Basilio insegna che essere battezzati altro non è se
non essere realmente crocifissi - cioé inchiodati con il Cristo alla
sua unica croce - realmente morire la sua morte, con lui essere
sepolti nel suo seppellimento, e conseguentemente con lui risorgere
della sua risurrezione (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2).
Coerentemente, perciò, egli può
riferire al battesimo gli stessi titoli di gloria con cui l'abbiamo
udito inneggiare alla croce: anch'esso è «riscatto dei prigionieri,
remissione dei debiti, morte del peccato, rigenerazione dell'anima,
abito di luce, inviolabile sigillo, veicolo per il cielo, titolo per
il regno, dono della filiazione» (S.Basilii «In sanctum Baptisma»:
PG 31,433ab). E' per esso, infatti, che si salda l'unione fra l'uomo e
il Cristo, e che mediante il Cristo l'uomo è inserito nel cuore
stesso della vita trinitaria: divenendo spirito perché nato dallo
Spirito (cfr. S.Basilii «Moralia», XX,2: PG 31,736d; «Moralia»,
LXXX,22: PG 31,869a) e figlio perché rivestito del Figlio, in un
rapporto altissimo con il Padre dell'Unigenito che è ormai divenuto
anche, realmente, il Padre suo (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2:
PG 31,1564c-1565b).
Alla luce di una considerazione
così vigorosa del mistero battesimale, si disvela a Basilio il senso
stesso della vita cristiana. Del resto, come altrimenti comprendere
questo mistero dell'uomo nuovo, se non fissando lo sguardo sul punto
luminoso della sua nascita nuova, e sulla potenza divina che nel
battesimo lo ha generato?
«Come si definisce il cristiano?»,
si chiede Basilio; e risponde: «Come colui che è generato da acqua e
Spirito nel battesimo» (S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,868d).
Solo in ciò da cui siamo si
rivela ciò che siamo, e ciò per cui siamo.
Creatura nuova, il cristiano,
anche quando non ne è pienamente consapevole, vive una vita nuova; e
nella sua realtà più profonda, anche se col suo agire lo rinnega, é
trasferito in una patria nuova, sulla terra già reso celeste (cfr.
S.Basilii «De Spiritu Sancto»: PG 32,157c; «In sanctum Baptisma»:
PG 31,429b): perché l'operazione di Dio è infinitamente e
infallibilmente efficace, e rimane sempre in qualche misura al di là
di ogni smentita e contraddizione dell'uomo.
Resta, certo, il compito - ed è,
in rapporto essenziale con il battesimo, il senso stesso della vita
cristiana - di diventare quello che si è, adeguandosi alla nuova
dimensione «spirituale» ed escatologica del proprio mistero
personale. Come si esprime, con la consueta chiarezza, san Basilio: «Il
significato e la potenza del battesimo è che il battezzato si
trasformi nei pensieri, nelle parole e nelle opere, e che diventi -
secondo la potenza che gli è stata elargita - quale è colui dal
quale è stato generato» (S.Basilii «Moralia», XX,2: PG 31,736d).
L'eucaristia, compimento
dell'iniziazione cristiana, è sempre considerata da Basilio in
strettissimo rapporto con il battesimo.
Unico cibo adeguato al nuovo
essere del battezzato e capace di sostenerne la vita nuova e di
alimentarne le nuove energie (cfr. S.Basilii «De Baptismo» I,3: PG
31,1573b); culto in spirito e verità, esercizio del nuovo sacerdozio
e sacrificio perfetto dell'Israele nuovo (cfr. S.Basilii «De Baptismo»,
II,2ss et 8: PG 31,1601c; S.Basilii «Epistula» 93: PG 32,485a), solo
l'eucaristia attua in pienezza e perfeziona la nuova creazione
battesimale.
Perciò, è mistero di immensa
gioia - solo cantando vi si può partecipare (cfr. S.Basilii «Moralia»,XXI,4:
PG 31,741a) - e di infinita, tremenda santità. Come si potrebbe,
essendo in stato di peccato, trattare il corpo del Signore? (cfr.
S.Basilii «De Baptismo», II,3: PG 31,1585ab). La Chiesa che
comunica, dovrebbe davvero essere «senza macchia e ruga, santa e
incontaminata» (Ef 5,27; S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,869b):
cioé dovrebbe sempre, con vigile coscienza del mistero che celebra,
esaminare bene se stessa (cfr. 1Cor 11,28; S.Basilii «Morali», XXI,2:
PG 31,740ab), per purificarsi sempre più «da ogni contaminazione e
impurità» (S.Basilii «De Baptismo» II,3: PG 31,1585ab).
D'altra parte, astenersi dal
comunicare non è possibile: all'eucaristia infatti, necessaria per la
vita eterna (cfr. S.Basilii «Moralia», XXI,1: PG 31,737c), è
ordinato lo stesso battesimo, e il popolo dei battezzati deve essere
puro proprio per partecipare all'eucaristia (cfr. S.Basilii «Moralia»,
LXXX,22: PG 31,869b).
Solo l'eucaristia del resto, vero
memoriale del mistero pasquale del Cristo, è capace di tenere desta
in noi la memoria del suo amore. Essa è perciò il segreto della
vigilanza della Chiesa: le sarebbe troppo facile, altrimenti, senza la
divina efficacia di questo richiamo continuo e dolcissimo, senza la
forza penetrante di questo sguardo del suo sposo fissato su di lei,
cadere nell'oblio, nell'insensibilità, nell'infedeltà. A questo
scopo è stata istituita, secondo le parole del Signore: «Fate questo
in memoria di me» (1Cor 11,24ss et par.); e a questo scopo,
conseguentemente, deve essere celebrata.
Basilio non si stanca di
ripeterlo: «Per ricordare (S.Basilii «Moralia», XXI,3: PG 31,740b);
anzi, per ricordare sempre, «per il ricordo indelebile» (S.Basilii
«Moralia», XXI,3: PG 31,1576d), «per custodire incessantemente il
ricordo di colui che è morto e risorto per noi» (S.Basilii «Moralia»,
LXXX,22: PG 31,1869b).
Solo l'eucaristia dunque, per
disegno e dono di Dio, può veramente custodire nel cuore «il sigillo»
(cfr. S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 5: PG 31,921b) di quel
ricordo del Cristo che, stringendosi come in una morsa, ci impedisce
di peccare. E' perciò particolarmente in rapporto all'eucaristia che
Basilio riprende il testo di Paolo: «L'amore di Cristo ci stringe, al
pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli
è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se
stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2Cor
5,14ss).
Ma che cos'è poi questo vivere
per il Cristo - o «vivere integralmente per Dio» - se non il
contenuto stesso del patto battesimale? (cfr. S.Basilii «De Baptismo»,
II,1: PG 31,1581a).
Anche per questo aspetto, dunque,
l'eucaristia appare essere la pienezza del battesimo: essa sola,
infatti consente di viverlo con fedeltà e continuamente lo attualizza
nella sua potenza di grazia.
Perciò Basilio non esita a
raccomandare la comunione frequente, o addirittura quotidiana: «Comunicare
anche ogni giorno ricevendo il santo corpo e sangue del Cristo è cosa
buona e utile; poiché egli stesso dice chiaramente: "Chi mangia
la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Gv 6,54).
Chi dunque dubiterà che comunicare continuamente alla vita non sia
vivere in pienezza?» (S.Basilii «Epistula» 93: PG 32,484b).
Vero «cibo di vita eterna»
capace di nutrire la vita nuova del battezzato è, come l'eucaristia,
anche «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4; cfr. Dt
8,3; S.Basilii «De Baptismo», I,3: PG 31,1573bc).
E' Basilio stesso a stabilire con
forza questo nesso fondamentale fra la mensa della parola di Dio e
quella del corpo del Cristo (cfr. «Dei Verbum», 21). Benché in modo
diverso, infatti, anche la Scrittura, come l'eucaristia, è divina,
santa, e necessaria.
Veramente divina, afferma Basilio
con singolare energia: cioé «di Dio» nel senso più proprio. Dio
stesso l'ha ispirata (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31,664d;
S.Basilii «De fide»: PG 31,677a; ecc...), Dio l'ha convalidata (cfr.
S.Basilii «De fide»: PG 31,680b), Dio l'ha pronunciata mediante gli
agiografi (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 13: PG
31,1092a; «Adv. Eunomium», II: PG 29,597c; ecc...) - Mosé, i
profeti, gli evangelisti, gli apostoli (cfr. S.Basilii «De Baptismo»,
I,1: PG 31,1524d) - e soprattutto mediante il suo Figlio (cfr.
S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1561c); lui, l'unico Signore:
sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento (cfr. S.Basilii «Regulae
brevius tractatae», 47: PG 31,1113a), certo con diversi gradi di
intensità e diversa pienezza di rivelazione (cfr. S.Basilii «Regulae
brevius tractatae», 276: PG 31,1276cd; «De Baptismo», I,2: PG
31,1545b), ma pure senza ombra di contraddizione (cfr. S.Basilii «De
fide»: PG 31,692b).
Di sostanza divina benché fatta
di parole umane, la Scrittura è perciò infinitamente autorevole:
sorgente della fede, secondo la parola di Paolo (cfr. Rm 10,17;
S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,868c), è il fondamento di una
certezza piena, indubbia, non vacillante (S.Basilii «Moralia», LXXX,22:
PG 31,868c). Essendo tutta di Dio, è tutta, in ogni sua minima parte,
infinitamente importante e degna di estrema attenzione (cfr. S.Basilii
«In Hexaem.», VI: PG 29,144c; «In Hexaem.», VIII: PG 29,184c).
E per questo, anche, la Scrittura
giustamente viene chiamata santa: poiché, come sarebbe terribile
sacrilegio profanare l'eucaristia, sarebbe sacrilegio anche attentare
all'integrità e alla purezza della parola di Dio.
Non la si può dunque intendere
secondo categorie umane, ma alla luce dei suoi stessi insegnamenti,
quasi «chiedendo al Signore stesso l'interpretazione delle cose da
lui dette» (S.Basilii «De Baptismo», II,4: PG 31,1589b); e non si
può «togliere né aggiungere nulla» a quei testi divini consegnati
alla Chiesa per tutti i tempi, a quelle parole sante pronunciate da
Dio una volta per tutte (cfr. S.Basilii «De fide»: PG 31,680ab; «Moralia»,
LXXX,22: PG 31,868c).
E' di necessità vitale, infatti,
che il rapporto con la parola di Dio sia sempre adorante, fedele, e
amante. Essenzialmente da essa la Chiesa deve attingere per il suo
annuncio (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 115: PG 30,105c 108a),
lasciandosi guidare dalle parole stesse del suo Signore (cfr.
S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1533c), per non rischiare di «ridurre
a parole umane le parole della religione» (S.Basilii «Epistula»
140: PG 32,588b). E alla Scrittura deve riferirsi «sempre e dovunque»
ogni cristiano per tutte le sue scelte (cfr. S.Basilii «Regulae
brevius tractatae», 269: PG 31,1268c), facendosi di fronte ad essa «come
un bambino» (cfr. Mc 10,15; S.Basilii «Regulae brevius tractatae»,
217: PG 31,1225bc; S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1560ab), in
essa cercando il più efficace rimedio contro tutte le sue diverse
infermità (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29,209a), e non osando
muovere un passo senza essere illuminato dai raggi divini di quelle
parole (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 1: PG 31,1081a).
Autenticamente cristiano, tutto il
magistero di Basilio è, come si è visto, «vangelo», proclamazione
gioiosa della salvezza.
Non è forse piena di gioia e
sorgente di gioia la confessione della gloria di Dio che si irradia
sull'uomo sua immagine?
Non è stupendo l'annuncio della
vittoria della croce, nella quale, «per la grandezza della pietà e
la moltitudine delle misericordie di Dio» (S.Basilii «Regulae
brevius tractatae», 10: PG 31,1088c), i nostri peccati sono stati
perdonati prima ancora che li commettessimo? (cfr. S.Basilii «Regulae
bravius tractatae», 12: PG 31,1089b). Quale annuncio più consolante
che quello del battesimo che ci rigenera, dell'eucaristia che ci
nutre, della Parola che ci illumina?
Ma proprio per questo, per non
avere taciuto o sminuito la potenza salvifica e trasformante
dell'opera di Dio e delle «energie del secolo futuro» (cfr. Eb 6,5),
Basilio può chiedere a tutti, con molta fermezza, amore totale per
Dio, dedizione senza riserve, perfezione di vita evangelica (cfr.
S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,869c).
Poiché, se il battesimo è grazia
- e quale grazia! - quanti l'hanno conseguita hanno effettivamente
ricevuto «il potere e la forza di piacere a Dio» (S.Basilii «Regulae
brevius tractatae», 10: PG 31,1088c), e sono perciò «tutti
ugualmente tenuti a conformarsi a tale grazia», cioé a «vivere
conforme al Vangelo» (S.Basilii «De Baptismo», II,1: PG
31,15980ac).
«Tutti ugualmente»: non ci sono
cristiani di seconda categoria, semplicemente perché non ci sono
battesimi diversi, e perché il senso della vita cristiana è tutto
intrinsecamente contenuto nell'unico patto battesimale (S.Basilii «De
Baptismo», II,1: PG 31,1580ac).
«Vivere conforme al Vangelo»:
che cosa significa questo, in concreto, secondo Basilio?
Significa tendere, con tutta la
brama del proprio essere (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae»,
157: PG 31,1185a) e con tutte le nuove energie delle quali si dispone,
a conseguire il «compiacimento di Dio» (cfr. S.Basilii «Moralia»,
I,5: PG 31,704a et passim)
Significa, per esempio, «non
essere ricchi, ma poveri, secondo la parola del Signore» (cfr.
S.Basilii «Moralia», XLVIII,3: PG 31,769a), realizzando così una
condizione fondamentale per poterlo seguire (cfr. S.Basilii «Regulae
fusius tractatae», 10: PG 31,944d-945a) con libertà (cfr. S.Basilii
«Regulaea fusius tractatae», 8: PG 31,940bc; «Regulae fusius
tractatae», 237: PG 31,1241b), e manifestando, rispetto alla norma
imperante del vivere mondano, la novità del Vangelo (cfr. S.Basilii
«De Baptismo», I,2: PG 31,1544d). Significa sottomettersi totalmente
alla parola di Dio, rinunciando alle «proprie volontà» (cfr.
S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 6 et 41: PG 31,925c et 1021a)
e facendosi ubbidienti, a imitazione del Cristo, «fino alla morte» (cfr.
Fil 2,8; S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 28: PG 31,989b; «Regulae
brevius tractatae», 119: PG 31,1161d et passim).
Davvero, Basilio non arrossiva del
Vangelo: ma, sapendo che esso è potenza di Dio per la salvezza di
chiunque crede (cfr. Rm 1,16) lo annunciava con quella integrità (cfr.
S.Basilii «Moralia», LXXX,12: PG 31,864b) che lo fa essere
pienamente parola di grazia e sorgente di vita.
Ci piace infine rilevare che san
Basilio, anche se più sobriamente del fratello san Gregorio di Nissa
e dell'amico san Gregorio di Nazianzo, celebra la verginità di Maria
(cfr. S.Basilii «In sanctam Christi generationem», 5: PG 31,1468b):
chiama Maria «profetessa» (cfr. S.Basilii «In Isaiam», 208: PG
30,477b) e con felice espressione così motiva il fidanzamento di
Maria con Giuseppe: «Ciò avvenne perché la verginità fosse onorata
e non fosse disprezzato il matrimonio» (cfr. S.Basilii «In sanctam
Christi generationem», 3: PG 31,1464a).
L'anafora di san Basilio sopra
ricordata contiene lodi eccelse alla «tutta santa, immacolata,
ultrabenedetta e gloriosa Signora Madre-di-Dio e sempre-vergine Maria»;
«Donna piena di grazia, esultanza di tutto il creato...»
4. Conclusione
Di questo grande santo e maestro
tutti noi, nella Chiesa, ci gloriamo di essere discepoli e figli:
riconsideriamo dunque il suo esempio, e riascoltiamo con venerazione i
suoi insegnamenti, con intima disponibilità lasciandoci ammonire,
confortare ed esortare.
Affidiamo questo nostro messaggio
in modo particolare ai numerosi ordini religiosi - maschili e
femminili - che si onorano del nome e della tutela di san Basilio e ne
seguono la Regola, impegnandoli in questa felice ricorrenza a
propositi di nuovo fervore in una vita di ascesi e contemplazione
delle cose divine, che poi sovrabbondi in opere sante a gloria di Dio
e a edificazione della santa Chiesa. Per il felice conseguimento di
tali scopi, imploriamo anche l'aiuto materno della Vergine Maria, come
auspicio di doni celesti e pegno della nostra benevolenza, con grande
affetto vi impartiamo l'apostolica benedizione.
Dato a Roma, presso san Pietro,
il 2 gennaio, nella memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio
Nazianzeno, Vescovi e Dottori della Chiesa, dell'anno 1980, secondo di
Pontificato.