LETTERA
APOSTOLICA
DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
PER IL QUARTO CENTENARIO
DELL'UNIONE DI BREST
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Si fa vicino il giorno nel
quale la Chiesa greco-cattolica di Ucraina celebrerà il quarto
centenario dell'unione tra i Vescovi della Metropolia della Rus' di
Kiev e la Sede Apostolica. L'unione fu attuata nell'incontro dei
rappresentanti della Metropolia di Kiev con il Papa, che ebbe luogo il
23 dicembre 1595 e venne solennemente proclamata a Brest-Litovsk sul
fiume Bug il 16 ottobre 1596. Papa Clemente VIII, con la Costituzione
apostolica Magnus Dominus et laudabilis nimis [cfr. Bullarium Romanum
V/2 (1594-1602), 87-92], ne diede l'annuncio alla Chiesa intera e con
la Lettera apostolica Benedictus sit Pastor [cfr. A. Welykyj,
Documenta Pontificum Romanorum Historiam Ucrainae illustrantia, t. I,
p. 257-259] si rivolse ai Vescovi della Metropolia, comunicando loro
l'avvenuta unione.
I Papi seguirono con sollecitudine
ed affetto il cammino, spesso drammatico e doloroso, di questa Chiesa.
Vorrei qui ricordare, in modo particolare, la Lettera enciclica
Orientales omnes di Papa Pio XII, il quale, nel dicembre 1945, scrisse
parole indimenticabili, per ricordare il 350 anniversario del
ristabilimento della piena comunione con la Sede di Roma [cfr. AAS 38
(1946), 33-63].
L'Unione di Brest aprì una nuova
pagina della storia di quella Chiesa [cfr. Giovanni Paolo II, Lettera
al Cardinale Myroslav I. Lubachivsky Arcivescovo Maggiore di Lviv
degli Ucraini (25 marzo 1995), 3: L'Osservatore Romano 5 maggio 1995,
p. 6]. Oggi essa vuole cantare con gioia l'inno di ringraziamento e di
lode a Colui che, ancora una volta, l'ha riportata dalla morte alla
vita e rimettersi in cammino con slancio rinnovato sulla strada
segnata dal Concilio Vaticano II. Ai fedeli della Chiesa
greco-cattolica ucraina si uniscono, nell'azione di grazie e nella
supplica, le Chiese greco-cattoliche dell'emigrazione che si
richiamano all'Unione di Brest, insieme con le altre Chiese orientali
cattoliche e con tutta la Chiesa. Ai cattolici di tradizione bizantina
di quelle terre voglio unirmi anch'io, Vescovo di Roma, che per tanti
anni, al tempo del mio ministero pastorale in Polonia, ho sentito la
vicinanza fisica, oltre che spirituale, con quella Chiesa allora così
duramente provata e che, dopo la mia elezione alla Sede di Pietro, ho
avvertito pressante il dovere, in continuità con i miei Predecessori,
di levare la voce per difendere il suo diritto all'esistenza ed alla
libera professione della fede, quando entrambe le erano negate. Ora ho
il privilegio di celebrare assieme ad essa con commozione i giorni
della riacquistata libertà.
Alla ricerca dell'unità
2. Le celebrazioni dell'Unione di
Brest vanno collocate nel contesto del Millennio del Battesimo della
Rus'. Sette anni fa, nel 1988, quell'evento fu celebrato con grande
solennità. Per l'occasione pubblicai due documenti: la Lettera
apostolica Euntes in mundum, del 25 gennaio 1988 [cfr. AAS 80 (1988),
935-956], per l'intera Chiesa, e il Messaggio Magnum Baptismi donum,
del 14 febbraio dello stesso anno [cfr. ibid., 988-997], indirizzato
ai cattolici ucraini. Si trattava infatti di celebrare un momento
fondamentale per l'identità cristiana e culturale di quei popoli, con
un valore del tutto particolare derivante dal fatto che le Chiese di
tradizione bizantina e la Chiesa di Roma vivevano ancora in piena
comunione.
Dal tempo della divisione che ferì
l'unità fra Occidente ed Oriente bizantino, furono frequenti ed
intensi gli sforzi per ricostituire la comunione piena. Voglio
ricordare due avvenimenti particolarmente significativi: il Concilio
di Lione nel 1274 e soprattutto il Concilio di Firenze nel 1439,
quando furono sottoscritti protocolli d'unione con le Chiese
Orientali. Purtroppo, varie cause impedirono che le potenzialità
contenute in tali accordi portassero il frutto sperato.
I Vescovi della Metropolia di Kiev,
nel ristabilire la comunione con Roma, si riferirono esplicitamente
alle decisioni del Concilio di Firenze, dunque ad un Concilio che
aveva la partecipazione diretta, fra gli altri, dei rappresentanti del
Patriarcato di Costantinopoli.
In questo contesto, risplende la
figura del metropolita Isidoro di Kiev che, fedele interprete ed
assertore delle decisioni di quel Concilio, ebbe a sopportare l'esilio
per le sue convinzioni.
Nei Vescovi che promossero
l'unione e nella loro Chiesa rimaneva molto viva la coscienza dello
stretto legame originario con i loro fratelli ortodossi, oltreché la
consapevolezza piena dell'identità orientale della loro Metropolia,
da salvaguardare anche dopo l'unione. Nella storia della Chiesa
cattolica è di grande valore il fatto che tale giusto desiderio sia
stato rispettato e che l'atto di unione non abbia significato il
passaggio alla tradizione latina, come pure alcuni pensavano dovesse
avvenire: la loro Chiesa vide riconosciuto il diritto di essere
governata da una propria gerarchia con una specifica disciplina e di
mantenere il patrimonio liturgico e spirituale orientali.
Tra persecuzione e fioritura
3. Dopo l'unione, la Chiesa
greco-cattolica ucraina visse un periodo di fioritura delle strutture
ecclesiastiche, con riflessi benefici sulla vita religiosa, sulla
formazione del clero, sull'impegno spirituale dei fedeli. Grande
importanza fu attribuita, con notevole lungimiranza, all'educazione.
Con il prezioso contributo dell'Ordine basiliano e di altre
Congregazioni religiose, mirabile incremento fu dato allo studio delle
discipline sacre e della cultura patria. Nel secolo attuale, una
figura di straordinario prestigio fu, in questo senso oltre che nella
testimonianza della sofferenza patita per Cristo, il metropolita
Andrea Szeptyckyj, che alla preparazione ed alla finezza spirituale
della persona, seppe unire eccellenti doti di organizzatore, fondando
scuole e accademie, sostenendo gli studi teologici e le scienze umane,
la stampa, l'arte sacra, la custodia delle memorie.
Eppure, tanta vitalità ecclesiale
fu sempre percorsa dal dramma dell'incomprensione e dell'opposizione.
Ne fu vittima illustre l'arcivescovo di Polock e Vitebsk, Giosafat
Kuncevyc, il cui martirio fu coronato con l'immarcescibile corona
della gloria eterna. Ora il suo corpo riposa nella Basilica vaticana,
ove di continuo riceve l'omaggio commosso e grato di tutta la
cattolicità.
Le difficoltà e i travagli si
ripeterono senza sosta. Pio XII li ha ricordati nella Lettera
enciclica Orientales omnes, nella quale, dopo essersi soffermato sulle
persecuzioni precedenti, già presagisce quella drammatica del regime
ateistico [cfr. AAS 38 (1946), 54-57. Quei timori avrebbero trovato
angosciante conferma alcuni anni dopo, come il medesimo Pontefice
puntualmente rilevava nell'Ep. enc. Orientales
Ecclesias (15 dicembre 1952): AAS 45 (1953), 7-10].
Tra gli eroici testimoni non solo
dei diritti della fede, ma anche della coscienza umana, che si
distinsero in quegli anni difficili, spicca la figura dell'allora
metropolita Josyf Slipyj: il suo coraggio nel sopportare l'esilio e la
prigionia per diciotto anni e l'indomita fiducia nella risurrezione
della sua Chiesa ne fanno una delle figure più possenti di confessori
della fede del nostro tempo. Né vanno dimenticati i suoi numerosi
compagni di pena, in particolare i vescovi Gregorio Chomyszyn e
Giosafat Kocylowskyj.
Questi tempestosi eventi
travolsero la Chiesa nella Madrepatria. Ma già da tempo la
Provvidenza divina aveva predisposto che numerosi figli di quella
Chiesa potessero trovare una via d'uscita per sé e per il loro
popolo: essi, a partire dal secolo XIX, cominciarono infatti a
diffondersi numerosi oltre oceano, in flussi migratori che li
portarono soprattutto in Canada, negli Stati Uniti d'America, in
Brasile, in Argentina e in Australia. La Santa Sede volle essere loro
vicina, assistendoli e istituendo per loro strutture pastorali nelle
nuove dimore, fino a costituire vere e proprie Eparchie. Nel momento
della prova, durante la persecuzione atea nella terra d'origine, la
voce di questi credenti poté così levarsi, in piena libertà, con
forza e coraggio. Il loro grido rivendicò nel forum internazionale il
diritto alla libertà religiosa per i fratelli perseguitati,
rafforzando in tal modo l'appello che si è levato dal Concilio
Vaticano II a favore della libertà religiosa [cfr. Dich. sulla libertà
religiosa Dignitatis humanae] e l'azione svolta in questo senso dalla
Santa Sede.
4. Alle vittime di tante
sofferenze va il ricordo commosso dell'intera Comunità cattolica: i
martiri e i confessori della fede della Chiesa in Ucraina ci offrono
una stupenda lezione di fedeltà a prezzo della vita. E noi, testimoni
privilegiati del loro sacrificio, siamo coscienti che essi hanno
contribuito a mantenere nella dignità un mondo che sembrava travolto
dalla barbarie. Essi hanno conosciuto la verità, e la verità li ha
resi liberi. I cristiani d'Europa e del mondo, chini in preghiera sul
limitare dei campi di concentramento e delle prigioni, devono essere
riconoscenti per quella loro luce: era la luce di Cristo, che essi
hanno fatto risplendere nelle tenebre. Queste, agli occhi del mondo,
sono apparse per lunghi anni vincenti, ma non hanno potuto spegnere
quella luce, che era luce di Dio e luce dell'uomo offeso ma non
piegato.
Tale eredità di sofferenza e di
gloria si trova oggi ad una svolta storica: cadute le catene della
prigionia, la Chiesa greco-cattolica in Ucraina è tornata a respirare
l'aria della libertà ed a riacquistare in pieno il proprio ruolo
attivo nella Chiesa e nella storia. Questo compito, delicato e
provvidenziale, richiede oggi una riflessione particolare, perché sia
svolto con sapienza e lungimiranza.
Sulla scia del Concilio
Vaticano II
5. La celebrazione dell'Unione di
Brest va vissuta e interpretata alla luce degli insegnamenti del
Concilio Vaticano II. E' questo forse l'aspetto più importante per la
comprensione della portata di tale ricorrenza.
E' noto che il Concilio Vaticano
II si è soffermato a riflettere soprattutto sul mistero della Chiesa,
sì che uno dei documenti più importanti da esso elaborati è stata
la Costituzione Lumen gentium. Proprio in ragione di questo
approfondimento, il Concilio riveste una particolare rilevanza
ecumenica. Ne è conferma il Decreto Unitatis redintegratio, che
elabora un programma molto illuminato circa l'azione da svolgere in
vista dell'unità dei cristiani. Su tale programma mi è parso
opportuno ritornare, a trent'anni dalla conclusione del Concilio, con
la Lettera enciclica Ut unum sint, pubblicata il 25 maggio dell'anno
corrente [cfr. L'Osservatore Romano 31 maggio 1995, pp. 1-8]. Essa
delinea i passi ecumenici che hanno avuto luogo dopo il Concilio
Vaticano II e, allo stesso tempo, nella prospettiva del Terzo
Millennio dell'era cristiana, cerca di aprire nuove possibilità per
il futuro.
Collocando le celebrazioni del
prossimo anno nel contesto della riflessione sulla Chiesa, promossa
dal Concilio, mi preme soprattutto di invitare ad approfondire la
funzione propria che la Chiesa greco-cattolica ucraina è chiamata a
svolgere oggi nel movimento ecumenico.
6. Vi è chi vede nell'esistenza
delle Chiese orientali cattoliche una difficoltà per il cammino
dell'ecumenismo. Il Concilio Vaticano II non ha omesso di affrontare
tale problema, indicandone le prospettive di soluzione sia nel Decreto
Unitatis redintegratio sull'ecumenismo, che nel Decreto Orientalium
ecclesiarum, ad esse specificamente dedicato. Entrambi i documenti si
pongono nella prospettiva del dialogo ecumenico con le Chiese
orientali non in piena comunione con la Sede di Roma, in modo che sia
valorizzata la ricchezza che le altre Chiese hanno in comune con la
Chiesa cattolica e sia fondata su tale ricchezza condivisa la ricerca
di una comunione sempre più piena e profonda. Infatti «l'ecumenismo
intende precisamente far crescere la comunione parziale esistente tra
i cristiani verso la piena comunione nella verità e nella carità» [Ibid.
14, l.c., p. 2].
Per promuovere il dialogo con
l'Ortodossia bizantina, si è costituita, dopo il Concilio Vaticano II,
un'apposita commissione mista, che ha annoverato tra i suoi membri
anche rappresentanti delle Chiese orientali cattoliche.
In vari documenti si è cercato di
approfondire lo sforzo per una maggior comprensione fra Chiese
ortodosse e Chiese orientali cattoliche, non senza risultati positivi.
Nella Lettera apostolica Orientale lumen [cfr. nn. 18-19:
L'Osservatore Romano 2-3 maggio 1995, p. 4] e nella Lettera enciclica
Ut unum sint [cfr. nn. 12-14: L'Osservatore Romano 31 maggio 1995, p.
2] ho già trattato degli elementi di santificazione e di verità [cfr.
Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, 3],
comuni all'Oriente e all'Occidente cristiano, e del metodo che è
desiderabile seguire nella ricerca della piena comunione tra la Chiesa
cattolica e le Chiese ortodosse, alla luce dell'approfondimento
ecclesiologico compiuto dal Concilio Vaticano II: «Oggi sappiamo che
l'unità può essere realizzata dall'amore di Dio solo se le Chiese lo
vorranno insieme, nel pieno rispetto delle singole tradizioni e della
necessaria autonomia. Sappiamo che questo può compiersi solo a
partire dall'amore di Chiese che si sentono chiamate a manifestare
sempre maggiormente l'unica Chiesa di Cristo, nata da un solo
battesimo e da una sola Eucaristia, e che vogliono essere sorelle» [cfr.
Giovanni Paolo II, Let. Ap. Orientale lumen (2 maggio 1995), 20:
L'Osservatore Romano 2-3 maggio 1995, p. 4]. L'approfondimento nella
conoscenza della dottrina sulla Chiesa, operato dal Concilio e dal
dopo Concilio, ha tracciato una via che si può definire nuova per il
cammino dell'unità: la via del dialogo della verità nutrito e
sostenuto dal dialogo della carità (cfr. Ef 4,15).
7. L'uscita dalla clandestinità
ha significato un cambiamento radicale nella situazione della Chiesa
greco-cattolica ucraina: essa si è trovata di fronte ai gravi
problemi della ricostruzione delle strutture delle quali era stata
completamente privata e, più in generale, ha dovuto impegnarsi a
riscoprire pienamente se stessa, non soltanto al proprio interno, ma
anche in rapporto con le altre Chiese.
Siano rese grazie al Signore per
averle concesso di celebrare questo giubileo in condizione di
riacquistata libertà religiosa. Gli siano rese altresì grazie per la
crescita del dialogo della carità, in virtù del quale si sono
compiuti passi significativi nel cammino verso l'auspicata
riconciliazione con le Chiese ortodosse.
Migrazioni e deportazioni
molteplici hanno ridisegnato la geografia religiosa di quelle terre;
tanti anni di ateismo di Stato hanno segnato profondamente le
coscienze; il clero non basta ancora a rispondere agli immensi bisogni
della ricostruzione religiosa e morale: sono queste alcune delle sfide
più drammatiche con le quali tutte le Chiese si trovano a
confrontarsi.
Dinanzi a queste difficoltà si
richiede una comune testimonianza della carità, perché la
predicazione del Vangelo non sia ostacolata. Come ho detto nella
Lettera apostolica Orientale lumen, «oggi possiamo cooperare per
l'annuncio del Regno o divenire fautori di nuove divisioni» [N. 19:
L'Osservatore Romano 2-3 maggio 1995, p. 4]. Voglia il Signore guidare
i nostri passi sulla via della pace.
Il sangue dei martiri
8. Nella libertà ritrovata non
possiamo dimenticare la persecuzione ed il martirio che le Chiese di
quella regione, cattoliche e ortodosse, subirono nella loro carne. Si
tratta di una dimensione importante per la Chiesa di tutti i tempi,
come ho ricordato nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente
[cfr. AAS 87 (1995), 29-30; Lett. enc. Ut unum sint, 84: L'Osservatore
Romano 31 maggio 1995, p. 7]. Si tratta di un'eredità particolarmente
significativa per le Chiese d'Europa, che ne restano profondamente
segnate: su di essa si dovrà riflettere alla luce della Parola di
Dio.
Parte integrante di questa nostra
memoria religiosa è dunque il dovere di richiamare alla mente il
significato del martirio, per additare alla venerazione di tutti le
figure concrete di quei testimoni della fede, nella consapevolezza che
anche oggi conserva piena validità il detto di Tertulliano: «Sanguis
martyrum, semen christianorum» [Apol., 50,13: CCL I,171]. Noi
cristiani abbiamo già un martirologio comune nel quale Dio mantiene e
realizza fra i battezzati la comunione nell'esigenza suprema della
fede, manifestata con il sacrificio della vita. La comunione reale,
sebbene imperfetta, già esistente tra cattolici ed ortodossi nella
loro vita ecclesiale, giunge alla sua perfezione in tutto ciò che «noi
consideriamo l'apice della vita di grazia, la martyria fino alla
morte, la comunione più vera che ci sia con Cristo che effonde il suo
sangue e, in questo sacrificio, fa diventare vicini coloro che un
tempo erano lontani (cfr. Ef 2,13)» [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ut
unum sint, 84: L'Osservatore Romano 31 maggio 1995, p. 7].
Il ricordo dei martiri non può
essere cancellato dalla memoria della Chiesa e dell'umanità: siano
essi vittime di ideologie d'Oriente o d'Occidente, tutti sono
accomunati dalla violenza che, per odio alla fede, è stata apportata
alla dignità della persona umana, creata da Dio «a sua immagine e
somiglianza».
La Chiesa di Cristo è una
9. «Credo unam, sanctam,
catholicam et apostolicam Ecclesiam». Questa professione di fede
contenuta nel Simbolo niceno-costantinopolitano è comune ai cristiani
sia cattolici che ortodossi: ciò mette in evidenza che essi non
soltanto credono nell'unità della Chiesa, ma che vivono e vogliono
vivere nella Chiesa una ed indivisibile, quale è stata fondata da Gesù
Cristo. Le differenze che nacquero e si svilupparono fra cristianesimo
d'Oriente e d'Occidente nel corso della storia sono in gran parte
diversità di origine culturale e di tradizioni. In questo senso, «la
legittima diversità non si oppone affatto all'unità della Chiesa,
anzi ne accresce il decoro e contribuisce non poco al compimento della
sua missione» [Ibid., 50, l.c., p. 5].
Papa Giovanni XXIII amava
ripetere: «E' molto più forte ciò che ci unisce di ciò che ci
divide». Sono certo che questo spirito può essere di grande
giovamento per tutte le Chiese. Più di trent'anni sono passati da
quando il Papa pronunciò queste parole. Molti indizi ci spingono a
pensare che in tale periodo i cristiani abbiano progredito su questa
strada. Ne sono segni eloquenti gli incontri fraterni fra il Papa
Paolo VI ed il Patriarca ecumenico Atenagora I e quelli che io stesso
ho avuto con i Patriarchi ecumenici Dimitrios e, recentemente,
Bartolomeo e con altri venerati Patriarchi delle Chiese d'Oriente.
Tutto questo, insieme alle numerose iniziative di incontro e di
dialogo che sono favorite ovunque nella Chiesa, ci incoraggia alla
speranza: lo Spirito Santo, lo Spirito di unità, non cessa di operare
fra i cristiani ancora separati tra loro.
Eppure la debolezza umana e il
peccato continuano a opporre resistenza allo Spirito di unità. Talora
si ha persino l'impressione che vi siano forze pronte a tutto pur di
frenare, e persino annientare, il processo di unione fra i cristiani.
Ma non possiamo desistere: dobbiamo trovare ogni giorno il coraggio e
la fortezza, ad un tempo dono dello Spirito e frutto dello sforzo
umano, per continuare sulla strada intrapresa.
10. Ripensando all'Unione di Brest
ci chiediamo quale sia oggi il significato di questo evento. Si trattò
di un'unione che riguardò soltanto una specifica area geografica,
tuttavia l'importanza di essa è rilevante per l'intero quadro
ecumenico. Le Chiese orientali cattoliche possono arrecare un
contributo molto importante all'ecumenismo. Lo ricorda il Decreto
conciliare Orientalium ecclesiarum: «Alle Chiese orientali che sono
in comunione con la Sede Apostolica Romana, compete lo speciale
compito di promuovere l'unità di tutti i cristiani, specialmente
orientali, secondo i principi del decreto sull'ecumenismo promulgato
da questo Santo Concilio, in primo luogo con la preghiera, l'esempio
della vita, la scrupolosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali,
la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna
stima delle cose e degli animi» [N. 24]. Ne viene ad esse un impegno
a vivere con intensità quanto è qui delineato. Da esse si richiede
una confessione piena di umiltà e di gratitudine verso lo Spirito
Santo, il quale guida la Chiesa verso il fine che le è stato
assegnato dal Redentore del mondo.
Tempo di preghiera
11. L'elemento fondamentale che
dovrà caratterizzare la celebrazione di questo giubileo sarà dunque
la preghiera. Essa è anzitutto rendimento di grazie per quanto si è
raggiunto, nel corso dei secoli, nell'impegno per l'unità della
Chiesa e, in particolare, per l'impulso che a tale impegno è venuto
dal Concilio Vaticano II.
Essa è azione di grazie al
Signore che guida il cammino della storia, per il clima di ritrovata
libertà religiosa in cui si celebra questo giubileo. Essa è pure
supplica allo Spirito Paraclito, perché faccia crescere tutto ciò
che favorisce l'unità e dia coraggio e fortezza a quanti si
impegnano, secondo gli orientamenti del Decreto conciliare Unitatis
redintegratio, in quest'opera benedetta da Dio. E' supplica per
ottenere l'amore fraterno, il perdono delle offese e delle ingiustizie
subite nella storia. E' supplica perché la potenza del Dio vivente
tragga il bene persino da quel male così crudele e multiforme causato
dalla malizia degli uomini. La preghiera è anche speranza per il
futuro del cammino ecumenico: la potenza di Dio è più grande di
tutte le debolezze umane antiche e nuove. Se questo giubileo della
Chiesa greco-cattolica ucraina, alle soglie del Terzo Millennio,
segnerà qualche passo in avanti verso la piena unità dei cristiani,
ciò sarà prima di tutto opera dello Spirito Santo.
Tempo di riflessione
12. Le celebrazioni giubilari,
inoltre, saranno un momento di riflessione. La Chiesa greco-cattolica
ucraina si interrogherà prima di tutto su ciò che ha significato per
essa la piena comunione con la Sede Apostolica e su quanto dovrà
significare in avvenire. Essa darà gloria a Dio, con atteggiamento di
umile gratitudine, per la sua eroica fedeltà al Successore di Pietro
e, sotto l'azione dello Spirito Santo, comprenderà che quella stessa
fedeltà la pone oggi sul cammino dell'impegno per l'unità di tutte
le Chiese. Tale fedeltà le è costata sofferenze e martirio nel
passato: è questo un sacrificio offerto a Dio per implorare la
desiderata unione.
La fedeltà alle antiche
tradizioni orientali è uno dei mezzi a disposizione delle Chiese
orientali cattoliche per promuovere l'unità dei cristiani [cfr. ibid.].
Il Decreto conciliare Unitatis redintegratio è molto esplicito quando
dichiara: «Tutti sappiamo che il conoscere, venerare, conservare e
sostenere il ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli
orientali è di somma importanza per custodire fedelmente la pienezza
della tradizione cristiana e per condurre a termine la riconciliazione
dei cristiani d'Oriente e d'Occidente» [N. 15].
Una memoria affidata a Maria
13. Non cessiamo di affidare
l'anelito verso la piena unità dei cristiani alla Madre di Cristo,
sempre presente nell'opera del Signore e della sua Chiesa. Il capitolo
VIII della Costituzione dogmatica Lumen gentium la indica come Colei
che ci precede nel nostro cammino di fede sulla terra, teneramente
presente alla Chiesa la quale, al termine del secondo millennio, si
adopera a ristabilire tra tutti i credenti in Cristo quell'unità che
il Signore vuole per loro. Ella è Madre dell'unità, perché Madre
dell'unico Cristo. Se per opera dello Spirito Santo ha dato alla luce
il Figlio di Dio, che da Lei ha ricevuto il corpo umano, Maria
desidera ardentemente l'unità visibile anche di tutti i credenti che
formano il Corpo mistico di Cristo. La venerazione a Maria, che unisce
con tanta forza Oriente e Occidente, opererà, ne siamo certi, a
favore dell'unità.
La Vergine Santissima, già
presente dovunque in mezzo a noi, in tanti edifici sacri come nella
vita di fede di tante famiglie, parla incessantemente di unità, per
la quale intercede senza sosta. Se oggi, nel commemorare l'Unione di
Brest, ricordiamo quali meravigliosi tesori di venerazione abbia
saputo riservare alla Madre di Dio il popolo cristiano dell'Ucraina,
non possiamo non trarre da questa ammirazione per la storia, la
spiritualità, la preghiera di quei popoli le conseguenze per l'unità
che a tali tesori sono tanto strettamente connesse.
Maria, che ha ispirato nella prova
padri e madri, giovani, malati e anziani; Maria, colonna di fuoco
capace di guidare tanti martiri della fede, è sicuramente all'opera
per preparare la desiderata unione di tutti i cristiani: in vista di
essa la Chiesa greco-cattolica in Ucraina ha certamente un suo ruolo
da svolgere.
A Maria la Chiesa dice il suo
grazie e la prega di farci partecipi della sua sollecitudine per
l'unità: abbandoniamoci a Lei con fiducia filiale, per ritrovarci con
Lei dove Dio sarà tutto in tutti.
A voi, Fratelli e Sorelle
carissimi, la mia Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, il 12 Novembre,
memoria di San Giosafat dell'anno 1995, diciottesimo di Pontificato.