LETTERA
APOSTOLICA
VICESIMUS
QUINTUS ANNUS
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
NEL XXV ANNIVERSARIO
DELLA COSTITUZIONE CONCILIARE
"SACROSANCTUM CONCILIO"
SULLA SACRA LITURGIA
A tutti i fratelli
nell'episcopato e nel sacerdozio
salute e Apostolica Benedizione.
Sono trascorsi venticinque anni da
quando il 4 dicembre dell'anno 1963 il Sommo Pontefice Paolo VI
promulgò la costituzione «Sacrosanctum Concilium» sulla sacra
liturgia, che i Padri del Concilio Vaticano II, riuniti nello Spirito
Santo avevano poco prima approvato (AAS 56 [1964] 97-134). Fu quello
un evento memorabile per diverse ragioni. Infatti, era il primo frutto
del Concilio, voluto da Giovanni XXIII, per l'aggiornamento della
Chiesa; era stato preparato da un vasto movimento liturgico e
pastorale; era foriero di speranza per la vita ed il rinnovamento
ecclesiale.
Nell'attuare la riforma della
liturgia, il Concilio realizzò, in maniera del tutto particolare, lo
scopo fondamentale che si era proposto: «Far crescere ogni giorno più
la vita cristiana tra i fedeli; meglio adattare alle esigenze del
nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti;
favorire tutto ciò che può contribuire all'unione di tutti i
credenti in Cristo; rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel
seno della Chiesa» («Sacrosanctum Concilium», 1).
2. Fin dall'inizio del mio
servizio pastorale sulla Cattedra di Pietro, mi preoccupai di «insistere
sulla permanente importanza del Concilio Ecumenico Vaticano II» e
presi «il formale impegno di dare ad esso la dovuta esecuzione».
Ed aggiunsi che occorreva «far
maturare nel senso del movimento e della vita i semi fecondi che i
Padri dell'assise ecumenica, nutriti dalla Parola di Dio, gettarono
sul buon terreno (cfr. Mt 13,8-23), cioè i loro autorevoli
insegnamenti e le loro scelte pastorali» («Primus Nuntius ad
universum orbem», die 17 oct. 1978: Insegnamenti di Giovanni Paolo II,
I [1978] 6). A più riprese ho poi sviluppato, su diversi punti,
l'insegnamento del Concilio circa la liturgia (cfr. «Redemptor
Hominis», 7.18-22; «Catechesi Tradendae»,
23.27-30.33.37.48.53-55.66-68; «Dominicae Cenae»; «Dives in
Misericordia», 13-15; «Familiaris Consortio»,
13.15.19-21.33.38-39.55-59.66-68; «Reconciliatio et Paenitentia»,
23-33), ed ho richiamato l'importanza che la costituzione «Sacrosanctum
Concilium» ha per la vita del Popolo di Dio: in essa «è già
rinvenibile la sostanza di quella dottrina ecclesiologica, che sarà
successivamente proposta dall'assemblea conciliare. La costituzione «Sacrosanctum
Concilium» che fu il primo documento conciliare in ordine di tempo,
anticipa» («Allocutio ad eos qui interfuerunt Conventui Praesidum et
Secretariorum Commissionum Nationalium de liturgia», 1, die 27 oct.
1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 2, [1984] 1049) la
costituzione dogmatica «Lumen Gentium» sulla Chiesa e si
arricchisce, a sua volta, dell'insegnamento di questa costituzione.
Dopo un quarto di secolo, durante
il quale la Chiesa e la società hanno conosciuto profondi e rapidi
mutamenti, è opportuno mettere in luce l'importanza di questa
costituzione conciliare, la sua attualità in rapporto all'emergere di
problemi nuovi e la perdurante validità dei suoi principi.
I.
IL
RINNOVAMENTO NELLA LINEA DELLA TRADIZIONE
3. Rispondendo alle istanze dei
Padri del Concilio di Trento, preoccupati della riforma della Chiesa
del loro tempo, Papa san Pio V provvide alla riforma dei libri
liturgici, in primo luogo del breviario e del messale. Fu questo il
medesimo obiettivo che perseguirono i romani Pontefici nel corso dei
secoli seguenti assicurando l'aggiornamento o definendo i riti e i
libri liturgici, e poi, dall'inizio di questo secolo, intraprendendo
una riforma più generale.
San Pio X istituì una speciale
commissione incaricata di questa riforma, per il cui compimento
pensava che sarebbero stati necessari parecchi anni; tuttavia, egli
pose la prima pietra dell'edificio ripristinando la celebrazione della
domenica e riformando il breviario romano (Pii X «Divino Afflatu»,
die 1 nov. 1911: AAS 3 [1911] 633-638). «In verità tutto questo
esige, - egli affermava - secondo il parere degli esperti, un lavoro
tanto grande quanto diuturno; e perciò è necessario che passino
molti anni, prima che questo, per così dire, edificio liturgico...
riappaia di nuovo splendente nella sua dignità e armonia, una volta
che sia stato come ripulito dallo squallore dell'invecchiamento» (Pii
X «Abhine Duos Annos», die 23 oct. 1913: AAS 5 [1913] 449-450).
Pio XII riprese il grande progetto
della riforma liturgica pubblicando l'enciclica «Mediator Dei» (Pii
XII «Mediator Dei», die 20 nov. 1947: AAS 39 [1947] 521-600) ed
istituendo una commissione (Sacrae Congr. Rituum, Sectio historica,
71, «Memoria sulla riforma liturgica» [1946]). Egli prese, altresì,
delle decisioni su alcuni punti importanti, quali la nuova versione
del salterio, per facilitare la comprensione della preghiera dei salmi
(Pii XII «In Cotidianis Precibus», die 24 mar. 1945: AAS 37 [1945]
65-67), l'attenuazione del digiuno eucaristico, per favorire un più
facile accesso alla Comunione, l'uso della lingua viva nel rituale, e,
soprattutto, la riforma della veglia pasquale (Sacrae Congr. Rituum
Decretum «Dominicae Resurrectionis», die 9 febr. 1951: AAS 43 [1951]
128-129) e della settimana santa (Sacrae Congr. Rituum
Decretium «Maxima Redemptionis», die 16 nov. 1955: AAS 47 [1955]
838-841).
Nell'introduzione al messale
romano del 1962, si premetteva la dichiarazione di Giovanni XXIII,
secondo la quale «i fondamentali princìpi, relativi alla riforma
generale della liturgia, dovevano essere affidati ai Padri nel
prossimo Concilio ecumenico» (Ioannis XXIII «Rubricarum Instructum»,
die 25 iul. 1960: AAS 52 [1960] 594).
4. Tale riforma d'insieme della
liturgia rispondeva ad una speranza generale di tutta la Chiesa.
Infatti, lo spirito liturgico si era diffuso sempre più in quasi
tutti gli ambienti unitamente al desiderio di una «partecipazione
attiva ai sacrosanti misteri ed alla preghiera pubblica e solenne
della Chiesa» (Pii X «Tra le Sollecitudini dell'Officio Pastorale»,
die 22 nov. 1903: «Pii X Pontificis Maximi Acta», I, 77), ed
all'aspirazione, altresì, di ascoltare la Parola di Dio in misura più
abbondante. Connessa col rinnovamento biblico, col movimento
ecumenico, con lo slancio missionario, con la ricerca ecclesiologica,
la riforma della liturgia doveva contribuire al rinnovamento globale
di tutta la Chiesa. Questo ho ricordato nella epistola «Dominicae
Cenae»: «Esiste, infatti, un legame strettissimo e organico tra il
rinnovamento della liturgia e il rinnovamento di tutta la vita della
Chiesa. La Chiesa non solo agisce, ma si esprime anche nella liturgia
e dalla liturgia attinge le forze per la vita» («Dominicae Cenae»,
13).
La riforma dei riti e dei libri
liturgici fu intrapresa quasi immediatamente dopo la promulgazione
della costituzione «Sacrosanctum Concilium» e fu attuata in pochi
anni grazie al considerevole e disinteressato lavoro di un grande
numero di esperti e di pastori di tutte le parti del mondo (cfr. «Sacrosanctum
Concilium», 25).
Questo lavoro è stato fatto sotto
la guida del principio conciliare: fedeltà alla Tradizione e apertura
al legittimo progresso (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 23); perciò
si può dire che la riforma liturgica è strettamente tradizionale «ad
normam Sanctorum Patrum» (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 50; «Missale
Romanum», prooem. 6).
II.
I
PRINCIPI DIRETTIVI DELLA COSTITUZIONE
5. I princìpi direttivi della
costituzione, che furono alla base della riforma, restano fondamentali
per condurre i fedeli ad un'attiva celebrazione dei misteri, «prima e
indispensabile sorgente del vero spirito cristiano» («Sacrosanctum
Concilium», 14). Ora che per la maggior parte i libri liturgici sono
stati pubblicati, tradotti e posti in uso, rimane necessario tenere
costantemente presenti tali princìpi ed approfondirli.
a) L'attualizzazione del
mistero pasquale
6. Il primo principio è l'attualizzazione
del mistero pasquale di Cristo nella liturgia della Chiesa, perché
«è dal costato di Cristo dormiente sulla croce che è scaturito il
mirabile sacramento di tutta la Chiesa» («Sacrosanctum Concilium»,
5; «Missale Romanum», Vigilia paschalis, Oratio post VII lectionem).
Tutta la vita liturgica gravita intorno al sacrificio eucaristico ed
agli altri sacramenti, ove attingiamo alle fonti vive della salvezza (cfr.
Is 12,3; cfr. «Sacrosanctum Concilium», 5-6.47.61. 102.106-107).
Dobbiamo, perciò, avere
sufficiente coscienza che per il «Mistero pasquale del Cristo siamo
stati sepolti insieme con lui nella morte, per risorgere con lui a
vita nuova» («Missale Romanum», Vigilia paschalis, Renovatio
promissionum baptismalium). Quando i fedeli partecipano all'Eucarestia,
essi devono comprendere che veramente «ogni volta che celebriamo
questo memoriale del sacrificio del Signore, si compie l'opera della
nostra redenzione» («Missale Romanum», Missa «in Cena Domini»,
Oratio super oblata). Ed a tal fine i pastori devono formarli con
costante impegno a celebrare ogni domenica l'opera meravigliosa che
Cristo ha compiuto nel mistero della sua Pasqua, affinché a loro
volta lo annuncino al mondo (cfr. «Missale Romanum», Proefatio I de
Dominicis «per annum»). Nel cuore di tutti - pastori e fedeli - la
notte pasquale deve ritrovare la sua importanza unica nell'anno
liturgico, al punto tale da essere davvero la festa delle feste.
Poiché la morte di Cristo in
croce e la sua risurrezione costituiscono il contenuto della vita
quotidiana della Chiesa (cfr. «Redemptor Hominis», 7) ed il pegno
della sua Pasqua eterna (cfr. «Dominicae Cenae», 4), la liturgia ha
come primo compito quello di ricondurci instancabilmente sul cammino
pasquale aperto da Cristo, in cui si accetta di morire per entrare
nella vita.
7. Per attualizzare il suo mistero
pasquale, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto
nelle azioni liturgiche (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 7; Pauli VI
«Mysterium Fidei», die 3 sept. 1965: AAS 57 [1965] 762.764). La
liturgia è, perciò, il «luogo» privilegiato dell'incontro dei
cristiani con Dio e con colui che egli ha inviato, Gesù Cristo (cfr.
Gv 17,3).
Cristo è presente nella Chiesa
riunita in preghiera nel suo nome. E' proprio questo fatto che fonda
la grandezza dell'assemblea cristiana con le conseguenti esigenze di
accoglienza fraterna - spinta fino al perdono (cfr. Mt 5,23-24) - e di
decoro negli atteggiamenti, nei gesti e nei canti.
Cristo è presente ed agisce nella
persona del ministro ordinato che celebra (Sacrae Congr. Rituum,
Instr. «Eucharisticum Mysterium», 9, die 25 maii 1967: AAS 59 [1967]
547). Questi non è solamente
investito di una funzione, ma, in virtù dell'ordinazione ricevuta, è
stato consacrato per agire «in persona Christi». A ciò deve
corrispondere l'atteggiamento interiore ed esteriore, anche nelle
vesti liturgiche, nel posto che occupa e nelle parole che proferisce.
Cristo è presente nella sua
parola proclamata nell'assemblea che, commentata nell'omelia, deve
essere ascoltata nella fede e assimilata nella preghiera. Tutto ciò
deve risultare dalla dignità del libro e del luogo per la
proclamazione della Parola di Dio, dell'atteggiamento del lettore,
nella consapevolezza che questi è il portavoce di Dio dinanzi ai suoi
fratelli.
Cristo è presente ed agisce per
virtù dello Spirito Santo nei sacramenti e, in modo singolare ed
eminente («sublimiori modo») nel sacrificio della Messa sotto le
specie eucaristiche (cfr. Pauli VI «Mysterium Fidei», die 3 sept.
1965: AAS 57 [1965] 763), anche quando sono conservate nel tabernacolo
al di fuori della celebrazione per la comunione soprattutto dei malati
e l'adorazione dei fedeli (cfr. Pauli VI «Mysterium Fidei», die 3
sept. 1965: AAS 57 [1965] 769-771). Circa questa reale e misteriosa
presenza, spetta ai pastori di ricordare frequentemente nelle loro
catechesi, la dottrina della fede, di cui i fedeli devono vivere e che
i teologi sono chiamati ad approfondire. La fede in questa presenza
del Signore implica un segno esteriore di rispetto verso la chiesa,
luogo santo in cui Dio si manifesta nel suo mistero (cfr. Es 3,5),
soprattutto durante le celebrazioni dei sacramenti: le cose sante
devono essere sempre trattate santamente.
b) La lettura della Parola
di Dio
8. Il secondo principio è la
presenza della Parola di Dio.
La costituzione «Sacrosanctum
Concilium» ha voluto anche ripristinare «una lettura più
abbondante, più varia e più adatta della Sacra Scrittura» («Sacrosanctum
Concilium», 35). La ragione profonda di questa restaurazione è
espressa nella costituzione liturgica, «affinché risulti evidente
che, nella liturgia, rito e parola sono intimamente connessi» («Sacrosanctum
Concilium», 35), e nella costituzione dogmatica sulla divina
rivelazione: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture, come
ha fatto anche per il corpo stesso del Signore, non cessando mai,
soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita alla
mensa sia della Parola di Dio, sia del corpo di Cristo e di porgerlo
ai fedeli» («Dei Verbum», 21). L'incremento della vita liturgica e,
di conseguenza, lo sviluppo della vita cristiana non si potranno
realizzare, se non si promuove continuamente nei fedeli e, prima di
tutto, nei sacerdoti, una «soave e viva conoscenza della Sacra
Scrittura» («Sacrosanctum Concilium», 24). La Parola di Dio è
adesso più conosciuta nelle comunità cristiane, ma un vero
rinnovamento pone ancora e sempre nuove esigenze: la fedeltà al senso
autentico della Scrittura da tenersi sempre presente, specie quando
essa viene tradotta nelle differenti lingue; il modo di proclamare la
Parola di Dio perché possa essere percepita come tale, l'uso dei
mezzi tecnici adatti, l'interiore disposizione dei ministri della
Parola, al fine di svolgere bene la loro funzione nell'assemblea
liturgica (cfr. «Dominicae Cenae», 10), la accurata preparazione
dell'omelia attraverso lo studio e la meditazione, l'impegno dei
fedeli nel partecipare alla mensa della Parola, il gusto di pregare
con i salmi, il desiderio di scoprire il Cristo - come i discepoli a
Emmaus - alla mensa della Parola e del pane (cfr. «Liturgia Horarum»,
Feria II Hebdomadae IV, Oratio ad Vesperas»).
c) La manifestazione della
Chiesa a se stessa
9. Il Concilio, infine, ha voluto
vedere nella liturgia, un'epifania della Chiesa: essa è la Chiesa in
preghiera. Celebrando il culto divino, la Chiesa esprime ciò che è:
una, santa, cattolica e apostolica.
Essa si manifesta una, secondo
quell'unità che le viene dalla Trinità (cfr. «Missale Romanum»,
Proefatio VIII de Dominicis «per annum»), soprattutto quando il
Popolo santo di Dio partecipa «alla medesima Eucaristia, in una sola
preghiera, presso l'unico altare, dove presiede il Vescovo circondato
dal suo presbiterio e dai suoi ministri» («Sacrosanctum Concilium»,
41). Nulla venga a spezzare e neppure ad allentare, nella celebrazione
della liturgia, questa unità della Chiesa!
La Chiesa esprime la santità che
le viene da Cristo (cfr. Ef 5,26-27), quando, raduna in un solo corpo
dallo Spirito Santo (cfr. «Missale Romanum», Prex eucharistica II et
IV), che santifica e dà la vita (cfr. «Missale Romanum», Prex
eucharistica III; Symbolum Nicaenum Constantinopolitanum), comunica ai
fedeli, mediante l'Eucaristia e gli altri sacramenti, ogni grazia ed
ogni benedizione del Padre (cfr. «Missale Romanum», Prex
eucharistica I).
Nella celebrazione liturgica la
Chiesa esprime la sua cattolicità, poiché in essa lo Spirito del
Signore raduna gli uomini di tutte le lingue nella professione della
medesima fede (cfr. «Missale Romanum», Benedictio sollemnis in
Dominica Pentecostes) e dall'Oriente e dall'Occidente essa presenta a
Dio Padre l'offerta del Cristo ed offre se stessa insieme con lui (cfr.
«Missale Romanum», Prex eucharistica III).
Infine, nella liturgia la Chiesa
manifesta di essere apostolica, perché la fede che essa professa è
fondata sulla testimonianza degli apostoli, perché nella celebrazione
dei misteri, presieduta dal Vescovo, successore degli apostoli, o da
un ministro ordinato nella successione apostolica, trasmette
fedelmente ciò che ha ricevuto dalla Tradizione apostolica; perché
il culto che rende a Dio la impegna nella missione di irradiare il
Vangelo nel mondo.
Così è soprattutto nella
liturgia che il mistero della Chiesa è annunciato, gustato e vissuto
(cfr. «Allocutio ad eos qui interfuerunt Conventui Praesidum et
Secretariorum Commissionum Nationalium de liturgia», 1, die 27 oct.
1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 2 [1984] 1049).
III.
ORIENTAMENTI
PER GUIDARE IL RINNOVAMENTO DELLA VITA LITURGICA
10. Da questi princìpi derivano
alcune norme ed orientamenti che devono regolare il rinnovamento della
vita liturgica. Se infatti la riforma della liturgia voluta dal
Concilio Vaticano II può considerarsi ormai posta in atto, la
pastorale liturgica, invece, costituisce un impegno permanente per
attingere sempre più abbondantemente dalla ricchezza della liturgia
quella forza vitale che dal Cristo si diffonde alle membra del suo
corpo che è la Chiesa.
Poiché la liturgia è l'esercizio
del sacerdozio di Cristo, è necessario mantenere costantemente viva
l'affermazione del discepolo davanti alla presenza misteriosa di
Cristo: «E'il Signore!» (Gv 21,7). Niente di tutto ciò che facciamo
noi nella liturgia può apparire come più importante di quello che
invisibilmente, ma realmente fa il Cristo per l'opera del suo Spirito.
La fede viva per la carità, l'adorazione, la lode al Padre e il
silenzio di contemplazione, saranno sempre i primi obiettivi da
raggiungere per una pastorale liturgica e sacramentale.
Poiché la liturgia è tutta
permeata dalla Parola di Dio, bisogna che qualsiasi altra parola sia
in armonia con essa, in primo luogo l'omelia, ma anche i canti e le
monizioni; che nessun'altra lettura venga a sostituire la parola
biblica, e che le parole degli uomini siano al servizio della Parola
di Dio, senza oscurarla.
Dato poi che le azioni liturgiche
non sono azioni private, ma «celebrazioni della Chiesa quale
sacramento di unità» («Sacrosanctum Concilium», 26), la loro
disciplina dipende unicamente dall'autorità gerarchica della Chiesa (cfr.
«Sacrosanctum Concilium», 22 e 26). La liturgia appartiene
all'intero corpo della Chiesa (cfr. «Dei Verbum», 26). E' per questo
che non è permesso ad alcuno, neppure al sacerdote, né ad un gruppo
qualsiasi di aggiungervi, togliervi o cambiare alcunché di proprio
arbitrio (cfr. «Dei Verbum», 22). La fedeltà ai riti e ai testi
autentici della liturgia è una esigenza della «lex orandi», che
deve esser sempre conforme alla «lex credendi».
La mancanza di fedeltà su questo
punto può anche toccare la validità stessa dei sacramenti.
Essendo celebrazione della Chiesa,
la liturgia richiede la partecipazione attiva, consapevole e piena da
parte di tutti, secondo la diversità degli ordini e delle funzioni (cfr.
«Dei Verbum», 26): tutti, i ministri e gli altri fedeli, compiendo
la loro funzione, fanno ciò che loro spetta e soltanto ciò che loro
spetta (cfr. «Dei Verbum», 28). E' per questo che la Chiesa dà la
preferenza alla celebrazione comunitaria, quando lo comporta la natura
dei riti (cfr. «Dei Verbum», 27); essa incoraggia la formazione di
ministri, lettori, cantori e commentatori, che compiano un vero
ministero liturgico (cfr. «Dei Verbum», 29), ha ripristinato la
concelebrazione (cfr. «Dei Verbum», 57; Sacrae Congr. Rituum Decr.
generale «Ecclesiae Semper», die 7 mar. 1965: AAS 57 [1965]
410-412), raccomanda la celebrazione comune dell'Ufficio divino (cfr.
«Sacrosanctum Concilium», 99).
Poiché la liturgia è la grande
scuola di preghiera della Chiesa, si è ritenuta cosa buona introdurre
e sviluppare l'uso della lingua viva - senza eliminare l'uso della
lingua latina, conservata dal Concilio, per i riti latini (cfr. «Sacrosanctum
Concilium», 36) - perché ognuno possa intendere e proclamare nella
propria lingua materna le meraviglie di Dio (cfr. At 2,11); come anche
aumentare il numero dei prefazi e delle preghiere eucaristiche, che
arricchiscono il tesoro della preghiera e l'intelligenza dei misteri
di Cristo.
Poiché la liturgia ha un grande
valore pastorale, i libri liturgici hanno previsto un margine
d'adattamento all'assemblea ed alle persone, ed una possibilità
d'apertura al genio ed alla cultura dei diversi popoli (cfr. «Sacrosanctum
Concilium», 37-40). La revisione dei riti ha cercato una nobile
semplicità (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 34) e dei segni
facilmente comprensibili, ma la semplicità auspicata non deve
degenerare nell'impoverimento dei segni, al contrario: i segni,
soprattutto quelli sacramentali, devono possedere la più grande
espressività. Il pane e il vino, l'acqua e l'olio, e anche l'incenso,
le ceneri, il fuoco e i fiori, e quasi tutti gli elementi della
creazione hanno il loro posto nella liturgia come offerta al Creatore
e contributo alla dignità e alla bellezza della celebrazione.
IV.
APPLICAZIONE
CONCRETA DELLA RIFORMA
a) Difficoltà
11. Bisogna riconoscere che
l'applicazione della riforma liturgica ha urtato contro difficoltà
dovute soprattutto ad un contesto poco favorevole, caratterizzato da
una privatizzazione dell'ambito religioso, da un certo rifiuto di ogni
istituzione, da una minore visibilità della Chiesa nella società, da
una rimessa in questione della fede personale. Si può anche supporre
che il passaggio da una semplice assistenza, a volte piuttosto passiva
e muta, ad una partecipazione più piena ed attiva sia stato per
alcuni un'esigenza troppo forte. Ne sono risultati atteggiamenti
diversi ed anche opposti nei confronti della riforma: alcuni hanno
accolto i nuovi libri con una certa indifferenza o senza cercar di
capire né di far capire i motivi dei cambiamenti; altri, purtroppo,
si sono ripiegati in maniera unilaterale ed esclusiva sulle forme
liturgiche precedenti intese da alcuni di essi come unica garanzia di
sicurezza nella fede. Altri, infine, hanno promosso innovazioni
fantasiose, allontanandosi dalle norme date dalla autorità della Sede
apostolica o dai Vescovi, perturbando così l'unità della Chiesa e la
pietà dei fedeli, urtando talvolta addirittura contro i dati della
fede.
b) Risultati positivi
12. Ciò non deve portare a
dimenticare che i pastori e il popolo cristiano, nella loro grande
maggioranza, hanno accolto la riforma liturgica in uno spirito di
obbedienza ed anzi di gioioso fervore.
Per questo bisogna rendere grazie
a Dio per il passaggio del suo Spirito nella Chiesa, qual è stato il
rinnovamento liturgico (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 43); per la
mensa della Parola di Dio, ormai abbondantemente aperta a tutti (cfr.
«Dei Verbum», 21; «Sacrosanctum Concilium», 51); per l'immenso
sforzo compiuto in tutto il mondo al fine di fornire al popolo
cristiano le traduzioni della Bibbia, del messale e degli altri libri
liturgici; per l'accresciuta partecipazione dei fedeli, mediante le
preghiere e i canti, i comportamenti ed il silenzio, all'Eucaristia ed
agli altri sacramenti; per i ministeri svolti dai laici e le
responsabilità che si sono assunte in forza del sacerdozio comune, in
cui sono costituiti per mezzo del Battesimo e della Cresima; per
l'irradiante vitalità di tante comunità cristiane, attinta alla
sorgente della liturgia.
Sono, questi, altrettanti motivi
per restar fedelmente attaccati all'insegnamento della costituzione «Sacrosanctum
Concilium» ed alle riforme che essa ha consentito di attuare: «Il
rinnovamento liturgico è il frutto più visibile di tutta l'opera
conciliare» (Synodi Extr. Episc. 1985 «Relatio finalis», II, B, b.
1). Per molti il messaggio del Concilio Vaticano II è stato percepito
innanzitutto mediante la riforma liturgica.
c) Applicazioni errate
13. Accanto a questi benefici
della riforma liturgica, bisogna riconoscere e deplorare alcune
deviazioni, più o meno gravi, nell'applicazione di essa.
Si constatano, a volte, omissioni
o aggiunte illecite, riti inventati al di fuori delle norme stabilite,
atteggiamenti o canti che non favoriscono la fede o il senso del
sacro, abusi nelle pratiche dell'assoluzione collettiva, confusioni
tra il sacerdozio ministeriale, legato all'ordinazione, e il
sacerdozio comune dei fedeli, che ha il proprio fondamento nel
Battesimo.
Non si può tollerare che alcuni
sacerdoti si arroghino il diritto di comporre preghiere eucaristiche o
sostituire testi della Sacra Scrittura con testi profani. Iniziative
di questo genere, lungi dall'essere legate alla riforma liturgica in
se stessa, o ai libri che ne sono seguiti, la contraddicono
direttamente, la sfigurano e privano il popolo cristiano delle
ricchezze autentiche della liturgia della Chiesa.
Spetta ai Vescovi estirparli,
poiché la regolamentazione della liturgia dipende dal Vescovo nei
limiti del diritto (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 22.1) e «la vita
cristiana dei suoi fedeli in certo modo deriva da lui» (cfr. «Sacrosanctum
Concilium», 41).
V.
IL
FUTURO DEL RINNOVAMENTO
14. La costituzione «Sacrosanctum
Concilium» ha espresso la voce unanime del collegio episcopale,
riunito attorno al successore di Pietro e con l'assistenza dello
Spirito di verità, promesse dal Signore Gesù (Gv 15,26). Tale
documento continua a sostenere la Chiesa lungo le vie del rinnovamento
e della santità incrementandone la genuina vita liturgica.
I princìpi enunciati in questo
documento orientano anche per l'avvenire della liturgia, di modo che
la riforma liturgica sia sempre più compresa e attuata. «E'necessario,
dunque, e conviene urgentemente intraprendere di nuovo un'educazione
intensiva per far scoprire le ricchezze che contiene la liturgia» («Dominicae
Cenae», 9).
La liturgia della Chiesa va al di
là della riforma liturgica. Non siamo nella medesima situazione del
1963: una generazione di sacerdoti e di fedeli, che non ha conosciuto
i libri liturgici anteriori alla riforma, agisce con responsabilità
nella Chiesa e nella società. Non si può, dunque, continuare a
parlare di cambiamento come al tempo della pubblicazione del
documento, ma di un approfondimento sempre più intenso della liturgia
della Chiesa, celebrata secondo i libri attuali e vissuta prima di
tutto come un fatto di ordine spirituale.
a) Formazione biblica e
liturgica
15. Il compito più urgente è
quello della formazione biblica e liturgica del Popolo di Dio, dei
pastori e dei fedeli. La costituzione lo aveva già sottolineato: «Non
si può sperare la realizzazione di tutto ciò (la partecipazione
piena e attiva di tutto il popolo) se gli stessi pastori d'anime non
siano penetrati, essi per primi, dello spirito e della forza della
liturgia e non ne diventino maestri» («Sacrosanctum Concilium»,
14). E', questa, un'opera di lungo respiro, la quale deve cominciare
nei seminari e nelle case di formazione (cfr. Sacrae Congr. Rituum
Instr. «Inter Oecumenici», 11-13, die 6 sept. 1964: AAS 56 [1964]
879-880; Sacrae Congr. Pro Instit. Cath. «Ratio fundamentalis
institutionis sacerdotalis», VIII, die 6 ian. 1970: AAS 62 [1970]
351-361; Instr. «In ecclesiasticam futurorum de institutione
liturgica in Seminariis», die 3 iun. 1979, Romae 1979) e continuare
lungo tutta la vita sacerdotale (cfr. Sacrae Congr. Rituum Instr. «Inter
Oecumenici», 14-17, die 26 sept. 1964: AAS 56 [1964] 880-881). Questa
stessa formazione adattata al loro stato, è indispensabile anche per
i laici (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 19), tanto più che questi,
in molte regioni, sono chiamati ad assumere responsabilità sempre più
notevoli nella comunità.
b) Adattamento
16. Un altro compito importante
per l'avvenire è quello dell'adattamento della liturgia alle
differenti culture. La costituzione ne ha enunciato il principio,
indicando la procedura da seguire da parte delle conferenze episcopali
(cfr. «Sacrosanctum Concilium», 39). L'adattamento delle lingue è
stato rapido, anche se talvolta difficile da realizzare. Gli ha fatto
seguito l'adattamento dei riti, cosa più delicata, ma egualmente
necessaria. Resta considerevole lo sforzo di continuare per radicare
la liturgia in talune culture, accogliendo di esse quelle espressioni
che possono armonizzarsi con gli aspetti del vero ed autentico spirito
della liturgia, nel rispetto dell'unità sostanziale del rito romano,
espressa nei libri liturgici (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 37-40).
L'adattamento deve tener conto del fatto che nella liturgia, e
segnatamente in quella dei sacramenti, c'è una parte immutabile,
perché è di istituzione divina, di cui la Chiesa è custode, e ci
sono parti suscettibili di cambiamento, che essa ha il potere, e
talvolta anche il dovere di adattare alle culture dei popoli
recentemente evangelizzati (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 21). Non
è un problema nuovo della Chiesa: la diversità liturgica può essere
fonte di arricchimento, ma può anche provocare tensioni,
incomprensioni reciproche e anche scismi. In questo campo, è chiaro
che la diversità non deve nuocere all'unità. Essa non può
esprimersi che nella fedeltà alla fede comune, ai segni sacramentali
che la Chiesa ha ricevuto da Cristo ed alla comunione gerarchica.
L'adattamento alle culture esige anche una conversione del cuore e, se
è necessario, anche rotture con abitudini ancestrali incompatibili
con la fede cattolica. Ciò richiede una seria formazione teologica,
storica e culturale, nonché un sano giudizio per discernere quel che
è necessario, o utile, o addirittura inutile o pericoloso per la
fede. «Uno sviluppo soddisfacente in questo campo non potrà essere
che il frutto di una maturazione progressiva nella fede, che integri
il discernimento spirituale, la lucidità teologica, il senso della
Chiesa universale in una larga concertazione» («Allocutio ad
Zairenses Episcopos occasione oblata "ad Limina"
visitationis coram admissos», 5, die 12 apr. 1983: Insegnamenti di
Giovanni Paolo II, VI, 1 [1983] 931).
c) Attenzione ai nuovi
problemi
17. Lo sforzo del rinnovamento
liturgico deve ancora rispondere alle esigenze del nostro tempo. La
liturgia non è disincarnata («Allocutio ad eos qui interfuerunt
Conventui Praesidium et Secretariorum Commissionum Nationalium de
Liturgia», 2, die 27 oct. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II,
VII, 2 [1984] 1051). In questi venticinque anni, nuovi problemi si
sono posti o hanno assunto un nuovo rilievo, quali, ad esempio,
l'esercizio del diaconato aperto a uomini sposati; i compiti liturgici
che nelle celebrazioni possono essere affidati ai laici, uomini o
donne; le celebrazioni liturgiche per i ragazzi, i giovani e gli
handicappati; le modalità di composizione dei testi liturgici
appropriati per un determinato Paese.
Nella costituzione «Sacrosanctum
Concilium» non si fa riferimento a questi problemi, ma si indicano
princìpi generali per coordinare e promuovere la vita liturgica.
d) Liturgia e pietà
popolare
18. Infine, per salvaguardare la
riforma ed assicurare l'incremento della liturgia (cfr. «Sacrosanctun
Concilium», 1), occorre tener conto della pietà popolare cristiana e
del suo rapporto con la vita liturgica (cfr. «Sacrosanctum Concilium»,
12-13). Questa pietà popolare non può essere né ignorata, né
trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori (cfr.
Pauli VI «Evangelii Nuntiandi», 48) e già di per sé esprime
l'atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di
essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime,
divenga un atto sempre più maturo ed autentico. Tanto i pii esercizi
del popolo cristiano (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 13), quanto
altre forme di devozione, sono accolti e raccomandati purché non
sostituiscano e non si mescolino alle celebrazioni liturgiche.
Un'autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze
della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la liturgia come
offerta dei popoli («Allocutio ad Episcopos Aprutinos et Molisanos
occasione oblata "ad Limina" visitationis coram admissos»,
3-7, die 24 apr. 1986: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX, 1 [1986]
1123ss).
VI.
GLI
ORGANISMI RESPONSABILI DEL RINNOVAMENTO LITURGICO
a) La Congregazione per il
Culto divino e la Disciplina dei sacramenti
19. Il compito di promuovere il
rinnovamento della liturgia spetta in primo luogo alla Sede apostolica
(cfr. «Sacrosanctum Concilium», 22.1). Si compiono quest'anno 400
anni da quando Sisto V creava la Sacra Congregazione dei Riti e le
affidava l'incarico di vigilare sullo svolgimento del culto divino,
riformato in seguito al Concilio di Trento. San Pio X istituiva
un'altra congregazione per la disciplina dei sacramenti. Per la
pratica applicazione della costituzione liturgica del Concilio
Vaticano II, Paolo VI instituì un consiglio (Pauli VI «Sacram
Liturgiam», die 25 ian. 1964: AAS 56 [1964] 139-144), poi la Sacra
Congregazione per il Culto Divino (Pauli VI «Sacra Ritum Congregatio»,
die 8 maii 1969: AAS 61 [1969] 297-305), che hanno svolto il compito
loro affidato con generosità, competenza e rapidità. Secondo la
nuova struttura della Curia romana, prevista dalla costituzione
apostolica «Pastor Bonus», tutto il campo della sacra liturgia viene
unificato e posto sotto la responsabilità di un solo dicastero: la
Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti.
Spetta a questa, salva la competenza della Congregazione per la
Dottrina della Fede («Pastor Bonus», 61), regolare e promuovere la
liturgia, di cui i sacramenti sono la parte essenziale, incoraggiando
l'azione pastorale liturgica (cfr. «Pastor Bonus», 64), sostenendo i
diversi organismi che si dedicano all'apostolato liturgico, alla
musica, al canto e all'arte sacra (cfr. «Pastor Bonus», 65), e
vigilando sulla disciplina sacramentale (cfr. «Pastor
Bonus», 63 et 66). E' questa
un'opera importante, perché si tratta anzitutto di custodire
fedelmente i grandi principi della liturgia cattolica, illustrati e
sviluppati nella costituzione conciliare e di prenderne ispirazione
per promuovere e approfondire in tutta la Chiesa il rinnovamento della
vita liturgica.
La congregazione, pertanto, aiuterà
i Vescovi diocesani nel loro impegno di presentare a Dio il culto
della religione cristiana e di regolarlo secondo i precetti del
Signore e secondo le leggi della Chiesa (cfr. «Lumen
Gentium», 26; «Sacrosanctum Concilium», 22.1). Sarà
in stretto e fiducioso rapporto con le conferenze episcopali per
quanto riguarda le loro competenze in campo liturgico (cfr. «Pastor
Bonus», 63.3).
b) Le conferenze episcopali
20. Le conferenze episcopali hanno
avuto il grave incarico di preparare le traduzioni dei libri liturgici
(cfr. «Sacrosanctum
Concilium», 36 et 63). Le
necessità del momento hanno a volte portato ad utilizzare traduzioni
provvisorie, che sono state approvate ad interim. Ma ora è giunto il
tempo di riflettere su certe difficoltà emerse successivamente, di
porre rimedio a certe carenze o inesattezze, di completare le
traduzioni parziali, di creare o di approvare i canti da utilizzare
nella liturgia, di vigilare sul rispetto dei testi approvati, di
pubblicare finalmente i libri liturgici in uno stato da considerarsi
stabilmente acquisito e in una veste che sia degna dei misteri
celebrati.
Per il lavoro di traduzione, ma
anche per un confronto più ampio nell'ambito dell'intero Paese, le
conferenze episcopali dovevano costituire una commissione nazionale ed
assicurarsi la collaborazione di persone esperte nei diversi settori
della scienza e dell'apostolato liturgico (cfr. «Sacrosanctum
Concilium», 44). Conviene ora interrogarsi sul bilancio, positivo o
negativo, di tale commissione, sugli orientamenti e sull'aiuto che
essa ha ricevuto dalla conferenza episcopale nella sua composizione e
attività. Il ruolo di questa commissione è molto più delicato,
quando la conferenza vuole occuparsi di certe misure di adattamento o
di inculturazioni più profonde (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 40):
è una ragione in più di vigilare, perché in essa ci siano persone
veramente esperte.
c) Il Vescovo diocesano
21. In ciascuna diocesi il Vescovo
è il principale dispensatore dei misteri di Dio, come pure
l'ordinatore, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica
nella Chiesa, che a lui è affidata (cfr. «Christus Dominus», 15).
Quando il Vescovo celebra in mezzo al popolo, è il mistero stesso
della Chiesa che si manifesta. E'perciò necessario che il Vescovo sia
fortemente convinto dell'importanza di tali celebrazioni per la vita
cristiana dei suoi fedeli. Esse devono essere un modello per tutta la
diocesi («Allocutio ad eos Italiae Episcopos qui interfuerunt Cursui
liturgicae renovationis», 2, die 12 febr. 1988: Insegnamenti di
Giovanni Paolo II, XI, 1 [1988] 413s). Molto resta ancora da fare per
aiutare i sacerdoti e i fedeli a penetrare il senso dei riti e dei
testi liturgici, per sviluppare la dignità e la bellezza delle
celebrazioni e dei luoghi, per promuovere alla maniera dei Padri una
«catechesi mistagogica» dei sacramenti. Per condurre questo compito
a buon fine, il Vescovo deve costituire una o anche più commissioni
diocesane, le quali gli offriranno il loro contributo nel promuovere
l'azione liturgica, la musica e l'arte sacra nella sua diocesi (cfr.
«Sacrosanctum Concilium», 45-46). La commissione diocesana, da parte
sua, agirà secondo il pensiero e le direttive del Vescovo e dovrà
poter contare sulla sua autorità e sul suo incoraggiamento per
svolgere convenientemente il proprio compito.
CONCLUSIONE
22. La liturgia non esaurisce
tutta l'attività della Chiesa, come ha ricordato la costituzione «Sacrosanctum
Concilium» (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 9). Essa, però, è una
sorgente e un vertice (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 10). E'una
sorgente perché, soprattutto nei sacramenti, i fedeli attingono
abbondantemente l'acqua della grazia, che sgorga dal fianco del Cristo
crocifisso. Per riprendere un'immagine cara al Papa Giovanni XXIII,
essa è come la fontana del villaggio, alla quale ogni generazione
viene ad attingere l'acqua sempre viva e fresca. E'anche un vertice,
sia perché tutta l'attività della Chiesa tende verso la comunione di
vita con Cristo, sia perché è nella liturgia che la Chiesa manifesta
e comunica ai fedeli l'opera della salvezza, compiuta una volta per
tutte da Cristo.
23. Sembra sia venuto il tempo di
ritrovare il grande soffio che sospinse la Chiesa nel momento in cui
la costituzione «Sacrosanctum Concilium» fu preparata, discussa,
votata, promulgata e conobbe le prime misure di applicazione. Il grano
fu seminato: esso ha conosciuto il rigore dell'inverno, ma il seme ha
germogliato, è divenuto un albero. Si tratta, in effetti, della
crescita organica di un albero tanto più vigoroso, quanto più
profondamente spinge le radici nel terreno della Tradizione (cfr. «Sacrosanctum
Concilium», 23). Desidero ricordare ciò che dissi al convegno delle
commissioni liturgiche nel 1984: nell'opera del rinnovamento
liturgico, voluta dal Concilio, bisogna tener presente «con grande
equilibrio la parte di Dio e quella dell'uomo, la gerarchia e i
fedeli, la tradizione e il progresso, la legge e l'adattamento, il
singolo e la comunità, il silenzio e lo slancio corale. Così la
liturgia della terra si riannoderà a quella del cielo, dove... si
formerà un solo coro... per inneggiare ad una sola voce al Padre per
mezzo di Gesù Cristo». («Allocutio ad eos qui interfuerunt
Conventui Praesidium et Secretariorum Commissionum Nationalium de
Liturgia», 6, die 27 oct. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II,
VII, 2 [1984] 1054).
Con tale fiducioso auspicio, che
nel cuore si trasforma in preghiera, imparto a tutti l'apostolica
benedizione.
Dal Vaticano, il 4 dicembre
dell'anno 1988, undicesimo di Pontificato.